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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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11/05/2009 23:13
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PAPA: MADRI PIANSERO PER SHOAH, OGGI SALVINO FIGLI

(AGI) - Gerusalemme, 11 mag.

(dell'inviato Salvatore Izzo)

Le vittime dell'Olocausto - sei milioni, ha ricordato oggi Benedetto XVI - avevano dei padri e delle madri.
"Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che vita avra'? Mai avrebbero immaginato per loro un destino cosi' lacrimevole", si e' commosso il Papa tedesco nel memoriale dello Yad Vashem di Gerusalemme, prima tappa della sua visita in Israele e occasione per una rinnovata condanna di ogni forma di negazionismo. E' stata organizzata "una insidiosa rete di bugie per convincere che certi gruppi non meritano rispetto, ma per quanto ci si sforzi, non si puo' mai portar via il nome di un altro essere umano", ha detto auspicando che le sofferenze degli ebrei "non siano mai negate, sminuite o dimenticate".
La Chiesa intera vuole "operare senza stancarsi per assicurare che l'odio non regni mai piu' nel cuore degli uomini, schierandosi accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione". Parole sgorgate dal cuore del Papa dopo l'incontro con alcuni superstiti dell'Olocausto e parenti delle vittime che lo ha molto toccato a livello personale. E lo stesso sentimento di partecipazione il Papa ha manifestato in un incontro con i genitori e i fratelli di Gilad Shalit, il giovane soldato rapito 1050 giorni fa e da allora tenuto prigioniero a Gaza.
Noam Shalit, il padre, ha detto al Pontefice di sperare che grazie all'impegno del Vaticano possano esservi progressi per Gilad e l'ufficio di Shimon Peres, che aveva organizzato l'appuntamento ha parlato di "un incontro molto importante in quanto il Papa rappresenta un miliardo e mezzo di fedeli e ha incontri con leader politici e spirituali di tutto il mondo". E proprio ai papa' e alle mamme sia israeliani che palestinesi, Benedetto XVI si e' rivolto con tono accorato nel discorso piu' "politico" della giornata. "Quali genitori vorrebbero mai violenza, insicurezza o divisione per il loro figlio o per la loro figlia?" Al termine della visita alla residenza del presidente della Repubblica di Israele, Benedetto XVI ha introdotto con questa domanda il suo appello "alle comuni famiglie di questa citta', di questa terra" affinche' contribuisacano tutte alla causa della pace. "Quale umano obiettivo politico - si e' chiesto il Pontefice - puo' mai essere servito attraverso conflitti e violenze?". Per il Papa sono gia' in molti nei due popoli a invocare la pace e a lavorare concretamente per essa. "Odo il grido - ha affermato - di quanti vivono in questo Paese che invocano giustizia, pace, rispetto per la loro dignita', stabile sicurezza, una vita quotidiana libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza. So che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarieta' attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che e' loro diritto".
In questo stesso intervento il Papa ha fatto cenno al muro di divisione costruito da Israele per "controllare" l'ingresso dei palestinesi sul suo territorio, al quale ha contrapposto l'immagine biblica di "un giardino ricolmo di frutti, non segnato da blocchi e ostruzioni".
"Nel linguaggio ebraico, la parola sicurezza, che si dice 'batah', deriva - ha rilevato - da fiducia e non si riferisce soltanto all'assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza". "Naturalmente - ha ammesso il Pontefice - ci si aspetta che i leader civili e politici assicurino una giusta e adeguata sicurezza per il popolo a cui servizio essi sono stati eletti. Questo obiettivo - infatti - forma una parte della giusta promozione dei valori comuni all'umanita'" ma "i valori e i fini autentici di una societa', che sempre tutelano la dignita' umana, sono indivisibili, universali e interdipendenti e non si possono pertanto realizzare quando cadono preda di interessi particolari o di politiche frammentarie". "Il vero interesse di una nazione - ha insisitito il Papa - viene sempre servito mediante il perseguimento della giustizia per tutti".
Dunque, ha concluso, "una sicurezza durevole e' questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell'integrita', suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l'altro negli occhi e a riconoscerlo come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella".
La prima giornata del Papa in Israele ha registrato un indubbio consenso. Da parte ebraica, va registrato il commento di Avner Shalev, il direttore del memoriale dell'Olocausto che ha definito la visita allo Yad Vashem "molto importante e positiva", anche se, ha aggiunto, un'ombra puo' essere individuata nel fatto che "il Papa non ha nominato direttamente i persecutori, cioe' i nazisti tedeschi". Ma e' stato soprattutto il presidente Shimon Peres a compiere una serie di gesti che testimoniavano grande amicizia verso il Papa: rispettando la tradizione ebraica dell'accoglienza, gli ha offerto dei frutti da mangiare insieme. Poi, scambiandosi una zappa, i due anziani ma vigorosi amici, hanno piantato insieme un albero di ulivo. "Rapporti di riconciliazione e di comprensione si stanno ora intessendo tra la Santa Sede e il popolo ebraico", mentre in Israele si diffonde "la convinzione che la pace e' realizzabile sia il desiderio bruciante di ottenerla", ha assicurato Peres nel discorso ufficiale rivolto al Papa, che ha definito "promotore di pace, grande leader spirituale e potente latore di un messaggio di pace per questa terra e per tutti". E quando Ratzinger ha chiesto agli israeliani di non creare "restrizioni" nell'accesso ai luoghi santi di Gerusalemme, Peres ha risposto: "Israele salvaguarda l'assoluta liberta' della pratica religiosa e il libero accesso ai luoghi santi. Siamo sempre felici di ricevere i pellegrini in Terra Santa da dovunque nel mondo".
In serata, l'incontro con i leader religiosi della Terra Santa ha consentito al Papa di ripetere quanto sia importante che essi non aumentino le tensioni in quest'area restando fedeli al loro ruolo, ma un imam ha pronunciato parole di fuoco contro Israele provocando imbarazzo e costernazione.

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Dichiarazione del Direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, a proposito dell'incontro interreligioso presso il Centro Notre Dame di Gerusalemme


L’intervento dello sceicco Tayssir Attamimi non era previsto dagli organizzatori dell’incontro. In un evento dedicato al dialogo, tale intervento è stato una negazione del dialogo. Ci si augura che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni, come egli ha chiaramente affermato in molti discorsi di questo viaggio. Ci si augura anche che il dialogo interreligioso nella Terra Santa non venga compromesso da questo incidente.





Portavoce vaticano: gli attacchi del delegato islamico negano il dialogo
Sull'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi al "Notre Dame of Jerusalem Center"

di Mirko Testa


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Padre Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala Stampa vaticana, ha commentato negativamente l'intervento fuori programma dello sceicco Taysir Al-Tamimi, che questo lunedì sera, durante l'incontro svoltosi presso il "Notre Dame of Jerusalem Center”, ha pronunciato parole d'accusa nei confronti d'Israele.

Dopo il discorso del Pontefice, lo sceicco Al-Tamimi, Presidente del Tribunale Supremo palestinese, scelto come delegato palestinese per il dialogo interreligioso, si è avvicinato al podio pronunciando un discorso in arabo, accolto con proteste degli esponenti ebraici presenti che minacciavano di abbandonare l'aula.

L'esponente islamico ha affermato all'inizio: “do il benvenuto a sua Santità, il Papa, nella città di Gerusalemme, la capitale eterna della Palestina politica, nazionale e spirituale”.

Subito dopo, nonostante i ripetuti interventi del Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, Al-Tamimi ha proseguito dicendo che “da quando Israele ha occupato Gerusalemme, nel 1967, ha trasgredito tutte le leggi religiose e civili, ha distrutto le case, ha occupato le terre e vi ha edificato case per gli israeliani, cacciando via migliaia dei suoi abitanti originari”.

“Israele – ha continuato – ha fatto di Gerusalemme una prigione, vietando ai musulmani e ai cristiani di accedervi e vietando le preghiere nelle sue chiese e moschee”.

“Ha scavato sotto la Moschea di Al-Aqsa con l'intento di distruggerla per edificare la sinagoga al suo posto, rubando da essa anche i monumenti archeologici – ha affermato –. Ha scavato le tombe dei morti. Ha picchiato i credenti che pregavano e ha picchiato anche i monaci nella Chiesa della Risurrezione a Pasqua”.

“Per quanto riguarda la questione di Gaza – ha detto Al-Tamimi –, Israele non ha rispettato i diritti umani: una mancanza di rispetto dei diritti umani come mai era accaduto prima in questo secolo”.

“Santità – ha aggiunto –, vi supplico nel nome dell'Unico Dio, di condannare questi crimini, di far pressione sul Governo israeliano per fermare le offensive contro il popolo palestinese, di liberare le migliaia di detenuti nelle prigioni dell'occupazione, di distruggere il muro di separazione etnica, di rimuovere gli insediamenti e di ridare le terre occupate ai loro legittimi proprietari”.

Al-Tamimi ha quindi chiesto al Santo Padre di intercedere “per arrivare ad una pace giusta che riconosca pieni diritti al popolo palestinese nella sua libertà e indipendenza, e permettere ai rifugiati di far ritorno alle case che sono stati obbligati ad abbandonare, così da ricreare uno Stato libero per il popolo palestinese con Gerusalemme come sua capitale eterna”.

“Gerusalemme – ha concluso – è una parte importantissima della vita di oltre un miliardo e mezzo di musulmani e di oltre due miliardi di cristiani, e tutti loro devono difendere Gerusalemme e la sua identità”.

Il Papa, che non ha potuto ascoltare la traduzione del discorso, è rimasto seduto fino alla fine accennando di tanto in tanto un sorriso imbarazzato, conscio del clima teso suscitato dall'intervento dell'esponente islamico.

“L'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi – ha commentato padre Lombardi – non era previsto dagli organizzatori dell'incontro. In un evento dedicato al dialogo, tale intervento è stato una negazione del dialogo”.

“Ci si augura – ha aggiunto – che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni, come egli ha chiaramente affermato in molti discorsi di questo viaggio”.

“Ci si augura anche che il dialogo interreligioso nella Terra Santa non venga compromesso da questo incidente”, ha poi concluso.

In una dichiarazione, Aviv Shiron, portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, ha detto che “è una vergogna che lo sceicco Taysir Al-Tamimi abbia approfittato di un incontro interreligioso finalizzato a promuovere il dialogo e la comprensione tra cristiani, ebrei e musulmani con l'intento di incitare contro Israele”.

Dura la reazione anche del Ministro incaricato della visita del Papa in Israele, Stas Misezhnikov, secondo il quale “la provocazione dello sceicco offende, in primo luogo e principalmente, Papa Benedetto XVI che è venuto in Terra Santa per promuovere la pace e l'unità tra i popoli della regione e di tutti gli uomini di fede”.

“Israele – ha continuato – condanna le parole di odio pronunciate dallo sceicco, che invece di promuovere la pace e la coesistenza ha scelto di piantare i semi della divisione e dello scontro tra israeliani e palestinesi e tra ebrei, musulmani e cristiani”.

“E' una vergogna che siano stati gli estremisti a rappresentare i palestinesi e i musulmani in questo importante evento in presenza della Santa Sede”, ha detto infine.

[Con informazioni di Tony Assaf, Mariaelena Finessi e Mercedes de la Torre]




Mons. Sayegh: un pellegrinaggio che dà alla minoranza cristiana una nuova speranza


Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa, ascoltiamo mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania, al microfono di Pietro Cocco:

R. – E’ stata, prima di tutto, una benedizione del Signore per tutto il Paese, per tutti gli abitanti cristiani e musulmani, che ci dà questa forza, questa speranza di continuare veramente a sperare e a vivere insieme come fratelli e sorelle. L’incontro nella Moschea con il principe Ghazi e con la comunità musulmana ha mostrato che la fratellanza è viva in Giordania e speriamo che continui a crescere come una sola famiglia continui, perché la gente sia veramente sempre in pace, guardando al futuro.

D. – Che comunità cristiana ha incontrato il Papa?

R. – Penso che il Santo Padre abbia scoperto che i cristiani di Giordania sono una comunità, una Chiesa che cresce, che guarda verso il futuro con speranza, e nel benedire le pietre di tre o quattro Chiese, due nel Sito del Battesimo, vuol dire che è una Chiesa che guarda verso il futuro, che non ha paura di niente, che programma per il futuro, mette in pratica questa fratellanza tra musulmani e cristiani nel vivere insieme, nel rispettarsi gli uni gli altri, nel costruire la Chiesa e costruire la patria. E’ una cosa veramente necessaria per tutto il Paese, per tutti i musulmani e i cristiani.

D. – Benedetto XVI ha invitato ad avere la gioia spirituale, ma il coraggio anche di costruire ponti tra persone che hanno fedi e culture diverse. E quindi ha invitato ad essere presenti nella società civile...

R. – Nel Centro Regina Pacis il 99 per cento è musulmano, e lì non guardiamo ai musulmani o ai cristiani, guardiamo all’essere umano uscito dalle mani del Signore, che riflette la presenza del Signore, di Dio creatore, che sia musulmano o cristiano. E l’incontro del Re e della Regina con il Santo Padre nella visita del Sito del Battesimo, dove Cristo è stato battezzato, è stata una cosa molto, molto bella che aiuta la convivenza e la fratellanza tra musulmani e cristiani. Il Re e il popolo giordano rispettano i luoghi santi, sia cristiani sia musulmani.

D. – La celebrazione dei Vespri nella chiesa greco-melkita e la grande Messa, il grande abbraccio della comunità cristiana nello stadio di Amman domenica, sono stati anche di grande incoraggiamento per la comunità cristiana...

R. – La Messa allo stadio è stata una bella testimonianza: tutta la Chiesa, il successore di San Pietro, il rappresentante di Gesù Cristo, il pastore di tutto il popolo di Dio, tutti a pregare insieme. Il raduno nella Chiesa melkita era per la vita consacrata: tutti i religiosi e le religiose, ma anche i maestri di catechismo erano presenti ed hanno avuto il messaggio del Santo Padre per il futuro, per penetrare più fortemente nelle anime dei giovani e ben educarle e dare loro davvero un’educazione cristiana.

D. – Il Papa si trova a Gerusalemme, la seconda tappa del suo pellegrinaggio, ha raggiunto Israele. Lei lo raggiungerà lì. Qual è il suo auspicio per questo nuovo momento che sta vivendo il Papa?

R. – Lì certamente tutto il popolo cristiano, sia in Israele, sia in Palestina, e anche tutti i responsabili dei governi in Israele e Palestina, sono sicuro che faranno tutto il possibile per ben ricevere il Santo Padre, perché faccia il suo pellegrinaggio ai luoghi santi per dare una voce che aiuti la gente ad ascoltare la ragione e ad indirizzarsi verso una pace vera, che dà speranza ai giovani, alle generazioni di oggi e del futuro, perché senza pace né Israele né la Palestina possono vivere tranquille. La vera soluzione è una pace giusta, che soddisfi tutti quanti.


[Radio Vaticana]

12/05/2009 06:04
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Il Papa in Israele

Un teologo allo Yad Vashem

di Giorgio Bernardelli

Mi ero sbagliato: il Papa ha detto ancora cose politicamente molto interessanti nel discorso che ha fatto questo pomeriggio presso la residenza del presidente israeliano Shimon Peres. Ma ci sarà tempo per riprendere questa sera queste parole. Adesso vale invece la pena di concentrarci sulla tappa allo Yad Vashem, uno dei momenti più attesi di questo viaggio, appena concluso.
Benedetto XVI ha parlato da Joseph Ratzinger.
In tanti in Israele in questi giorni hanno evocato il giovane Joseph Ratzinger nella Germania nazista. Quello che hanno ascoltato oggi invece è il teologo Joseph Ratzinger, con la sua riflessione intorno a quegli anni drammatici.
Il discorso (clicca qui per leggere il testo integrale) l'ha incentrato su un tema estremamente caro al mondo ebraico, il tema del nome.
È partito dal significato biblico della parola Yad Vashem («un nome e una memoria») per ripercorrere la densità di significati che nella Scrittura assume la questione del nome. Nel Tempio di Gerusalemme - tanto per ricordarne uno - era il tetragramma sacro, il nome dell'Altissimo, il segno della Sua presenza. E ancora oggi il cuore del lavoro dello Yad Vashem è lo sforzo per riuscire a dare un nome a tutte le vittime della Shoah.
Così intorno al nome Benedetto XVI ha fatto ruotare tutta la sua riflessione.
«I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente», ha detto parlando delle vittime. Sono parole che guardano al tema gigantesco del «silenzio di Dio» di fronte alla tragedia della Shoah. «Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Sal 9,9)».
Ha parlato da uomo di fede Benedetto XVI nella «sinagoga laica» dello Yad Vashem. E, non a caso, tutti lo hanno visto pregare, mentre deponeva la corona di fiori accanto alla fiamma che ricorda le vittime.
Certo, c'è stata anche la condanna della Shoah; ma le parole più forti sull'antisemitismo le ha dette stamattina. Vanno letti insieme i due discorsi: la Chiesa condanna ogni forma di antisemitismo perché il nome di ogni uomo, di qualsiasi popolo o cultura, è scritto nel cuore dell'Altissimo.
Come reagirà l'opinione pubblica israeliana a questo discorso? Non sono così sicuro che capirà. Purtroppo le ferite di questo conflitto che insanguina questa terra da così tanti anni non hanno lasciato grande spazio alla teologia. A Gerusalemme tutti si aspettavano la «classica» condanna dell'antisemitismo e anche un accenno alle colpe dei figli della Chiesa in quegli anni tragici. Papa Benedetto ha parlato di altro: ha invitato a guardare in faccia il mistero del Male. Ho paura che in molti non capiranno. Ma spero di sbagliarmi ancora.

Ore 11,30: All'aeroporto Ben Gurion un confronto molto sottile

Benedetto XVI è arrivato in Israele e all'aeroporto ha trovato un'accoglienza in stile molto «sabra», cioè «made in Israel». L'orgoglio patriottico è una costante di ogni benvenuto al Papa. E in questo Paese un benvenuto accogliente significa non fare economia sul picchetto, sugli onori militari e sulle autorità da far salutare a Benedetto XVI appena sceso dall'aereo (c'era mezzo Parlamento e tenete presente che nella lunghissima fila non c'erano ebrei osservanti, non però per un atto di scortesia, ma solo perché oggi è una festività ebraica).
Venendo alla sostanza, anche qui i discorsi sono stati molto interessanti.
Il presidente e premio Nobel per la pace Shimon Peres ha fatto lo Shimon Peres che tutti conosciamo. Discorso alto, pieno di elogi al Papa per la sua missione spirituale e per i «semi di tolleranza» che getta nel mondo, grande fiducia nel dialogo tra ebrei e cristiani. Però il suo intento principale era - come al solito - un altro: vendere bene il marchio Israele. E anche in questo Shimon Peres non ha fatto economia: ha descritto il suo Paese come «un posto dove il rispetto della libertà religiosa è piena e tutti possono pregare senza interferenze»; e ha detto che Israele «sta negoziando con i palestinesi per arrivare alla pace». Che queste siano le speranze di Shimon Peres non lo dubitiamo. Dipingere però così la Gerusalemme di oggi ci è sembrato un tantino ottimistico.
Che a pensarlo non siamo solo noi, ma anche la Santa Sede lo si è visto dalle parole del Papa. Che ha voluto delineare subito le coordinate politiche della sua presenza, probabilmente per poi poter concentrarsi di più sull'aspetto spirituale del viaggio, che è quanto più gli sta a cuore. Di questo discorso (clicca qui per leggere il testo integrale) tre passaggi meritano qualche commento.

1) Benedetto XVI ha parlato subito dell'antisemitismo, il tema su cui l'israeliano medio più desidera ascoltarlo. E le sue parole sono state inequivocabili:

Tragicamente, il popolo ebraico ha sperimentato le terribili conseguenze di ideologie che negano la fondamentale dignità di ogni persona umana. È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo.

Lotta all'antisemitismo - dunque - non solo come eredità del passato, ma soprattutto come impegno presente.

2) Esattamente come ad Amman anche a Tel Aviv il Papa ha detto che non basta proclamare a parole la libertà religiosa: bisogna rispettarla nei fatti. E a Israele ha chiesto un impegno ben preciso:

Una cosa che le tre grandi religioni monoteistiche hanno in comune è una speciale venerazione per questa Città Santa. È mia fervida speranza che tutti i pellegrini ai luoghi santi abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni, di prendere parte a cerimonie religiose e di promuovere il degno mantenimento degli edifici di culto posti nei sacri spazi.

Questa è stata una risposta involontaria a Peres: purtroppo non è vero che a Gerusalemme tutti possono pregare liberamente senza interferenze. I cristiani dei Territori palestinesi al Santo Sepolcro ci possono andare due volte all'anno, a Natale e a Pasqua, quando la nunziatura ottiene dei permessi particolari. Per un religioso di nazionalità giordana o palestinese ottenere i visti di residenza in Israele è un percorso a ostacoli. Quanto poi ai musulmani, appena c'è un qualsiasi motivo di tensione, il primo provvedimento che viene adottato è vietare a chi ha meno di 45 anni di salire a pregare alla Spianata delle Moschee. Quello della coniugazione tra l'esigenza della sicurezza e il rispetto della libertà religiosa è un problema molto serio a Gerusalemme.

3) Benedetto XVI ha parlato del processo di pace.

Anche se il nome Gerusalemme significa "città della pace", è del tutto evidente che per decenni la pace ha tragicamente eluso gli abitanti di questa terra santa. Gli occhi del mondo sono sui popoli di questa regione, mentre essi lottano per giungere ad una soluzione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze. Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini per un futuro più sicuro e più stabile dipendono dall’esito dei negoziati di pace fra Israeliani e Palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti. A tale riguardo, spero e prego che si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità.

Un invito - neanche troppo velato - rivolto al nuovo governo del premier Netanyahu (che stava proprio lì di fianco) il cui ministro degli Esteri Lieberman sostiene esplicitamente che i negoziati con i palestinesi sono solo parole vuote.

Infine un'annotazione di colore: per i prossimi cinque giorni scordiamoci la confusione di Amman intorno al Papa. Anche la sicurezza israeliana nelle sue proverbiali procedure non gioca al risparmio. Dieci uomini intorno all'auto su cui il Papa ha percorso i duecentro metri interni all'aeroporto tra il palco e l'elicottero. Dieci minuti di attesa in auto prima di poter salire a bordo. Tutto questo dentro un aeroporto che è il luogo più controllato al mondo e in un momento in cui il suo spazio aereo era chiuso e perlustrato dai caccia dell'aviazione. Cari amici inviati al seguito del Papa: questa volta Benedetto XVI mi sa che lo vedrete col binocolo.

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Papa a Yad Vashem non cita nazisti ma condanna chi nega Shoah

Il rabbino Lu: Occasione persa. Ratzinger contro antisemitismo

Il Papa tedesco allo Yad Vashem.
Non cita i nazisti - e in Israele il fatto non passa inosservato - ma arriva dopo aver detto per la prima volta chiaro e tondo, appena giunto sul suolo di Israele, che nella Shoah sono morti "sei milioni di ebrei". E, soprattutto, torna ancora una volta a stigmatizzare senza mezzi termini - davanti a sei sopravvissuti ai lager - chi nega o minimizza la Shoah. Nel 2000 Wojtyla aveva scelto un altro profilo. Il Papa polacco era partito dai ricordi personali ("Ricordo i miei amici e vicini ebrei, alcuni dei quali sono morti, mentre altri sono sopravvissuti") per poi pronunciare uno storico 'mea culpa' a nome della Chiesa cattolica. La Chiesa, disse, "è profondamente rattristata per l'odio, gli atti di persecuzione e le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei da cristiani in ogni tempo e in ogni luogo". Nulla di tutto questo per Ratzinger. Non tanto per la sua estraneità al nazismo, tutta cattolico-bavarese, palese nelle sue biografie più o meno autorizzate.
Né perché del nazismo Benedetto XVI ha già parlato più volte, anche ad Auschwitz, non senza suscitare controversie sull'interpretazione delle colpe del popolo tedesco. Papa Ratzinger sceglie di fare un discorso più spirituale che storico. Ricorda i nomi delle vittime della furia nazista e assicura che "sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente". Poi la tanto attesa critica del negazionismo. Scontata, per un Papa intellettuale e abituato a parlare degli ebrei come "amici", ma necessaria, dopo che, per sua decisione, la Santa Sede ha revocato la scomunica al vescovo lefebvriano Richard Williamson, secondo cui le camere a gas non sono mai esistite e a morire nei campi di concentramento sono state alcune migliaia di ebrei. "Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate!", afferma. "E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell'uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!". Un riferimento che fa 'pendant' con le nette dichiarazioni pronunciate dal Papa la mattina, ancora sulla pista dell'aeroporto Ben Gurion. Quando ha voluto "onorare la memoria di sei milioni di ebrei vittime della Shoah", ha pregato che "l'umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità" ed ha denunciato - parole gradite agli israeliani intimoriti dalle minacce dell'iraniano Ahmadinejad - che l'antisemitismo "continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile". Certo, il Papa, come rileva a conclusione dell'incontro il rabbino Meir Lu, presidente dello Yad Vashem - prontamente rilanciato dal 'Jerusalem Post' - "non c'era menzione dei tedeschi, o dei nazisti, che hanno compiuto il massacro. E non c'era una parola di compassione o lutto per la sofferenza di sei milioni di vittime". Insomma, una "occasione persa". All'interno del memoriale, peraltro, era risuonata la condanna dei "nazisti tedeschi" pronunciata dallo speaker della cerimonia. Lo Zentralrat der Juden - l'organizzazione ebraica tedesca - aveva, da parte sua, auspicato che il Papa, nella visita, chiedesse "scusa" per la persecuzione degli ebrei da parte dei cristiani. Su Pio XII - di cui una targa nel museo dello stesso Yad Vashem critica i silenzi sulla shoah - nessuna polemica. Anche se il Papa, in termini generali, afferma: "Come Vescovo di Roma e Successore dell'Apostolo Pietro, ribadisco - come i miei predecessori - l'impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l'odio non regni mai più nel cuore degli uomini".

Apcom


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Papa/ Rappresentante Mufti critica Israele, imbarazzo in sala

Arringa in arabo. Twal cerca di intervenire. Incontro interrotto

Gerusalemme, 11 mag. (Apcom)

Un rappresentante musulmano invitato ad un incontro interreligioso con il Papa, a Gerusalemme, ha preso la parola per una lunga intemerata in arabo contro Israele.
Nell'imbarazzo generale, alcuni esponenti ebrei hanno lasciato la sala, un altro, convinto dagli organizzatori, è rimasto in sala scuotendo la testa.
Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha tentato di fermare, senza successo, il religioso islamico. Benedetto XVI - che aveva già tenuto il suo discorso - ha assistito alla scena con volto perplesso e - in assenza di traduzione dall'arabo - senza comprendere il senso dell'arringa.
Ratzinger si è consultato, con un sorriso, con il suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Alla fine il rappresentante musulmano ha concluso con "Shukran" (grazie, in arabo) e l'incontro è stato interrotto in anticipo. L'evento è accaduto al Notre Dame of Jerusalem Center.

Fonte Apcom


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PAPA IN ISRAELE/ I genitori del soldato Shalit incontrano Benedetto XVI

Noam e Aviva Shalit, genitori del soldato Noam Shalit, prigioniero di Hamas a Gaza dal giugno del 2006, si sono incontrati oggi a Gerusalemme con Papa Benedetto XVI nella residenza del presidente Shimon Peres.
A quanto si è appreso, nel corso del breve colloquio Noam Shalit ha chiesto l'aiuto del Papa per facilitare la liberazione del figli e gli ha consegnato un messaggio.
Si suppone che sia una lettera indirizzata al figlio e che Noam abbia chiesto i buoni uffici della Santa Sede perché gli arrivi. Hamas tiene il soldato in stretto isolamento in un sito segreto, impedendogli di comunicare con i genitori e di ricevere visite della Croce Rossa Internazionale. Solo una volta, a quanto risulta, i genitori sarebbero riusciti a far pervenire una lettera al figlio grazie all' aiuto del presidente francese Nicolas Sarkozy. Dal soldato è pervenuta solo una lettera con l'implorazione di fare tutto il possibile per ottenere la sua liberazione al più presto. I contatti tra Israele e Hamas sono stati finora indiretti e condotti soprattutto con la mediazione dell' Egitto, finora però le parti non sono riuscite ad arrivare a un accordo per uno scambio di prigionieri.

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PAPA: INCONTRO CON PERES, TRA I PREZIOSI DONI UNA BIBBIA IN MINIATURA

Papa Benedetto XVI ha ricevuto una piccola Bibbia della grandezza di un chicco di sabbia e uno speciale tipo di grano proveniente dalla Terra Santa.
Durante il loro storico incontro il presidente Shimon Peres ha presentato al pontefice un Vecchio Testamento che gli scienziati locali hanno ridotto a un chip di silicone della grandezza di una capocchia di spillo.
La Bibbia, scritta in ebraico, e' stata incisa su un chip della grandenzza di 0,5 millimetri quadrati dagli scienziati del Technion, l'Istituto di Tecnologia di Israele. Il chip e' stato collocato in una custodia di vetro che ha una lente di ingradimento con spiegazioni tecniche della Bibbia in miniatura in ebraico e inglese e i primi 13 versi del Libro della Genesi ingranditi 10.000 volte.
Tre studenti (un musulmano, un ebreo e un cristiano) hanno inoltre consegnato al Papa, in visita in Israele, una spiga di una nuova specie di frumento battezzato proprio ''Benedetto XVI'' in onore del suo viaggio. Tra i regali offerti dai bambini anche frutta e cereali: grano; orzo; uva; fichi; melograni; olive e datteri noti nell'ebraismo come le ''sette specie'' pronunciate anche nel Vecchio Testamento e prodotte in Terra Santa.
Il Papa ha invece regalato a Peres un dipinto di una Menorah, il tradizionale candelabro ebreo. Il Sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha infine consegnato al pontefice un'antica mappa della Terra Santa raffigurata al centro del mondo.

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Peres e Netanyahu accolgono Benedetto XVI a Tel Aviv

Linea aerea giordana gli augura un viaggio di pace per tutti

Il presidente israeliano Shimon Peres e il primo ministro Benjamin Netanyahu hanno accolto all'aeroporto di Tel Aviv Papa Benedetto XVI giunto attorno alle 10.15 (11.15 ora locale) in Israele dalla Giordania. Tra le autorità presenti sul piazzale del Ben Gurion Airport, il Papa ha salutato le diverse personalità religiose e civili e, tra di esse, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, Tzipi Livni (Kadima) e il ministro della Difesa, Ehud Barak (Labour). La linea aerea Royal Jordanian, che ha portato il Papa da Amman a Tel Aviv, ha salutato Benedetto XVI all'atterraggio augurando "che il suo viaggio possa essere un messaggio di pace per tutti gli uomini". Dopo l'esecuzione degli inni di Israele e della Santa Sede e il saluto alle autorità, Peres e Papa Ratzinger terranno un discorso ufficiale prima di trasferirsi a Gerusalemme.

Papa/ Sull'aereo giordano, le bandiere di Vaticano e Israele

Atterrato stamane all'aeroporto di Ben Gurion

Cristianesimo, ebraismo e Islam, tutti insieme sull'aereo che ha portato papa Benedetto XVI nella Terra santa. La bandiera del Vaticano e quella con la stella di David dello Stato di Israele sono state spiegate sulla fusoliera dell'aereo della Royal Jordanian, le linee aeree giordane, appena atterrato sulla pista dell'aeroporto di Ben Gurion di Tel Aviv, in arrivo da Amman, con a bordo il Pontefice. La simbolica immagine è stata notata anche dal giornalista in studio della tv satellitare araba al Jazeera che trasmetteva, in diretta, le immagini dell'arrivo del capo della Chiesa cattolica.

Papa a Peres: No restrizioni a pellegrinaggi a Gerusalemme

A aeroporto di Tel Aviv lo accolgono anche Netanyahu e Lieberman

Cristianesimo, ebraismo e islam hanno in comune "una speciale venerazione" per la "città santa di Gerusalemme": è a partire da questa considerazione che Papa Benedetto XVI, appena giunto all'aeroporto di Tel Aviv a bordo di un aereo della Royal Jordanian, si è rivolto alle autorità israeliane presenti - Peres, Netanyahu, Lieberman ed altri - affermando: "E' mia fervida speranza che tutti i pellegrini ai luoghi santi abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni, di prendere parte a cerimonie religiose e di promuovere il degno mantenimento degli edifici di culto posti nei sacri spazi".

M.O./ Papa: supplico israeliani e palestinesi per pace giusta

A cristiani:difendete sacralità vita, contribuite a fine ostilità

Anche se il nome di Gerusalemme significa città della pace "è del tutto evidente che per decenni la pace ha tragicamente eluso gli abitanti di questa terra santa", secondo Papa Benedetto XVI appena giunto in Israele. "Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini per un futuro più sicuro e più stabile - ha detto Benedetto XVI in un discorso ufficiale all'aeroporto di Tel Aviv - dipendono dall'esito dei negoziati di pace fra israeliani e palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà - ha detto Ratzinger - supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all'interno di confini sicuri e internazionalmente riconosciuti". "Alle comunità cristiane della Terra Santa - ha detto ancora il Papa - dico: attraverso la vostra fedele testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, attraverso il vostro impegno a difendere la sacralità di ogni vita umana, potrete recare un particolare contributo perchè terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra".

Papa: Antisemitismo continua a sollevare testa ripugnante

In Israele: Inaccettabile, qui ricordo 6 milioni morti in Shoah

L'antisemitismo "continua a sollevare la sua ripugnante testa inmolte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile": lo ha detto il Papa giunto in Israele. All'aeroporto di Tel Aviv, ha detto che è "giusto e conveniente", per lui, avere "l'opportunità di onorare la memoria di sei milioni di ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l'umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità".

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IL PAPA E L’ISLAM, LA FORZA DI UNA SCELTA

Un dialogo senza ambiguità

Angelo Panebianco

Benedetto XVI è giunto oggi a Tel Aviv dopo la sua prima tappa in Giordania.
Questo lungo viaggio in Terra santa del Papa avrà certamente an cora molti momenti sa lienti ma un primo bilan cio è reso possibile dal l’accoglienza che gli è sta ta fin qui riservata e dalle parole, forti e inequivoca bili, che egli ha già pro nunciato sui rapporti fra il cristianesimo, l'ebrai smo e l'islam.
Il viaggio del Papa è di estrema delicatezza. Non solo perché si svolge nei luoghi che sono, oggi co me mille anni fa, il terre no di incontro/scontro fra le tre religioni mono teiste.
E non solo perché è proprio lì, in Medio Oriente, che si addensa no, si sovrappongono e si intrecciano i più gravi ele menti di conflitto che mi naccino oggi la stabilità mondiale. E' di estrema delicatezza anche perché il Papa vi è giunto prece duto da una lunga scia di polemiche e incompren sioni che hanno fin qui se gnato i suoi rapporti sia con l'ebraismo che con l'islam.
Sul Monte Nebo, in Giordania, Benedetto XVI ha colto l'occasione per ri badire con solennità quanto ha peraltro già detto e scritto in molte oc casioni.
Ha affermato con enfasi quanto speciale sia il rapporto fra cristianesi mo e ebraismo, quanto «inseparabile» sia il vin colo che li unisce. Forse non tutte le incompren sioni spariranno di colpo ma sono state poste le ba si per un loro superamen to. Benedetto XVI ha par lato così agli ebrei ma an che, contestualmente, ai cristiani. Ha voluto dire agli uni e agli altri che an che gli ultimi detriti so­pravvissuti dell'antico an tigiudaismo cristiano de vono essere spazzati via senza indugio dalle co scienze. Inoltre, la sua presenza in Israele oggi, nella condizione presen te, vale più di mille rico noscimenti diplomatici. E' un'implicita affermazio ne del diritto all'esistenza dello Stato di Israele con tro coloro che vorrebbero cancellarlo.
Altrettanto delicato, e forse anche più delicato, è il rapporto con l'islam. E non solo a causa degli eventi che seguirono il di scorso di Ratisbona. E' più delicato anche per ché il Papa è impegnato in una assai difficile e complessa operazione che investe, al tempo stes­so, la sfera religiosa e quella mondana. Una ope razione complessa che na sce dal riconoscimento, più volte ribadito da Bene detto XVI, che il rapporto fra il cristianesimo e l'islam è di natura diversa da quello che lega il cri stianesimo e l'ebraismo. Quella relazione speciale che c'è, e va riconosciuta, fra cristianesimo ed ebrai smo, non c'è, non ci può essere, fra cristianesimo e islam.
Ciò che il Papa sta cercando di fare (un aspetto che era rimasto non chiarito, irrisolto, al l’epoca del pontificato di Giovanni Paolo II, e an che in occasione del viag gio che quel Papa fece in Terra santa) è di togliere ogni ambiguità al dialogo con il mondo musulma no, in modo da renderlo davvero proficuo sgom brando il campo dai ma lintesi.
Ciò che il Papa vuol fare è di chiarire che fra cristianesimo e islam non ci può essere dialogo religioso (le due fedi sono, su questo terreno, inconciliabili) ma ci deve essere invece, fra cristiani e musulmani, un incontro inter-culturale e civile (un dialogo che potremmo anche definire laico).
Anche per ribadire questo il Pontefice è rimasto in meditazione ma non ha pregato durante la sua visita alla moschea Hussein.
E' un mo do, l'unico modo, per spazzare via equivoci e ipocrisie rendendo possibile il rispetto reciproco e un dialogo forse foriero di buone conseguenze per le persone, cristiani e musulmani, coinvolte.
In Giordania, per lo meno, il senso della presenza del Papa sembra essere stato compre so dagli islamici che lo hanno accolto. Così come sono state comprese le parole che il Papa ha dedicato alla condanna della violenza ammantata di motivi religiosi. Benedet to XVI, naturalmente, è stato attento a non mettere a carico del solo mondo islamico (oltre a tutto, ciò non sarebbe stato nemmeno veritiero) la tentazione e la pratica della violenza. Ma è certo che le sue parole sulla violenza (così come quelle rivolte ai cristia ni del Medio Oriente sul ruolo delle donne) rappresentano una sponda che il capo della cristianità ha offerto a quella parte del mondo islamico che patisce la violenza dei fondamentalisti ancor più di quanto la patiscano gli occidentali.
La presenza del Papa, e i suoi atti e le sue parole, sono assai dispiaciute ai fondamentalisti, nonché a quei personaggi ambigui, di confine (il più celebre dei quali è Tariq Ramadan), che circola no e predicano in Occidente. Ed è un bene che sia così. Il viaggio del Papa può aiutare l'azione degli uomini, musulmani, ebrei o cristiani, alla ricerca di una pacifica convi venza proprio perché ricorda a tutti quanta mistificazione ci sia nell'uso a scopi politici della religione e nella violenza che quell'uso porta sempre con sé.

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PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVI)


VISITA DELLA CUPOLA DELLA ROCCIA E VISITA DI CORTESIA AL GRAN MUFTI, ALLA SPIANATA DELLE MOSCHEE DI JERUSALEM



Alle 8.45 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI lascia la Delegazione Apostolica e si trasferisce in auto alla Spianata delle Moschee di Jerusalem. Alle ore 9 il Papa arriva alla Cupola della Roccia, il più antico monumento islamico in Terra Santa. Qui è accolto dal Gran Mufti e dal Presidente del Consiglio del "Waqf" (beni religiosi islamici). Dopo una breve visita del luogo, il Santo Padre è accompagnato all’edificio di "al-Kubbah al-Nahawiyya" dove sono presenti importanti esponenti della Comunità musulmana.

Dopo il saluto del Gran Mufti e del Presidente del Consiglio del Waqf, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Amici Musulmani,

As-salámu ‘aláikum! Pace a voi!

Ringrazio cordialmente il Gran Muftì, Muhammad Ahmad Hussein, insieme con il Direttore del Jerusalem Islamic Waqf, Sheikh Mohammed Azzam al-Khatib al-Tamimi e il Capo del Awquaf Council, Sheikh Abdel Azim Salhab, per le parole di benvenuto che essi mi hanno rivolto a vostro nome. Sono profondamente grato per l’invito a visitare questo sacro luogo e volentieri porgo i miei ossequi a voi e ai capi della comunità Islamica in Gerusalemme.

La Cupola della Roccia conduce i nostri cuori e le nostre menti a riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo. Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto. Ciascuna riconosce Abramo come proprio antenato, un uomo di fede al quale Dio ha concesso una speciale benedizione. Ciascuna ha raccolto schiere di seguaci nel corso dei secoli ed ha ispirato un ricco patrimonio spirituale, intellettuale e culturale.

In un mondo tristemente lacerato da divisioni, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno.

Poiché gli insegnamenti delle tradizioni religiose riguardano ultimamente la realtà di Dio, il significato della vita ed il destino comune dell’ umanità – vale a dire, tutto ciò che è per noi molto sacro e caro – può esserci la tentazione di impegnarsi in tale dialogo con riluttanza o ambiguità circa le sue possibilità di successo. Possiamo tuttavia cominciare col credere che l’Unico Dio è l’infinita sorgente della giustizia e della misericordia, perché in Lui entrambe esistono in perfetta unità. Coloro che confessano il suo nome hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana.

Per questa ragione, è scontato che coloro che adorano l’Unico Dio manifestino essi stessi di essere fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana. In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana.

Questo pone una grave responsabilità su di noi. Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I Cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità. L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto.

Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta.

Cari Amici, sono venuto a Gerusalemme in un pellegrinaggio di fede. Ringrazio Dio per questa occasione che mi è data di incontrarmi con voi come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ma anche come figlio di Abramo, nel quale "tutte le famiglie della terra si diranno benedette" (Gn 12,3; cfr Rm 4,16-17). Vi assicuro che è ardente desiderio della Chiesa di cooperare per il benessere dell’umana famiglia. Essa fermamente crede che la promessa fatta ad Abramo ha una portata universale, che abbraccia tutti gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza o da loro stato sociale. Mentre Musulmani e Cristiani continuano il dialogo rispettoso che già hanno iniziato, prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana. Sottomettendosi al suo amabile piano della creazione, studiando la legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell’uomo, riflettendo sul misterioso dono dell’autorivelazione di Dio, possano tutti coloro che vi aderiscono continuare a tenere lo sguardo fisso sulla sua bontà assoluta, mai perdendo di vista come essa sia riflessa sul volto degli altri.

Con questi pensieri, umilmente chiedo all’Onnipotente di donarvi pace e di benedire tutto l’amato popolo di questa regione. Impegniamoci a vivere in spirito di armonia e di cooperazione, dando testimonianza all’Unico Dio mediante il servizio che generosamente ci rendiamo l’un l’altro. Grazie!


Al termine, il Santo Padre si trasferisce in auto al "Western Wall" di Jerusalem.




PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVII)

VISITA AL "WESTERN WALL" DI JERUSALEM


Alle ore 10 il Santo Padre giunge al "Western Wall", comunemente detto "Muro del Pianto", un frammento del muro di sostegno del lato occidentale della Spianata del Tempio, ed è accolto dal Rabbino Capo e dal Presidente della Fondazione che gestisce il luogo sacro.

Il Rabbino Capo legge un salmo in ebraico, quindi il Santo Padre ne legge uno in latino e sosta poi in silenziosa preghiera davanti al Muro.

Di seguito pubblichiamo il testo della preghiera scritta sul biglietto che il Santo Padre Benedetto XVI depone tra le fenditure del Muro del Pianto:

TESTO DELLA PREGHIERA

God of all the ages,

on my visit to Jerusalem, the "City of Peace",

spiritual home to Jews, Christians and Muslims alike,

I bring before you the joys, the hopes and the aspirations,

the trials, the suffering and the pain of all your people throughout the world.

God of Abraham, Isaac and Jacob,

hear the cry of the afflicted, the fearful, the bereft;

send your peace upon this Holy Land, upon the Middle East,

upon the entire human family;

stir the hearts of all who call upon your name,

to walk humbly in the path of justice and compassion.

"The Lord is good to those who wait for him,

to the soul that seeks him" (Lam 3:25)!



VISITA DI CORTESIA AI DUE GRAN RABBINI DI JERUSALEM

Conclusa la visita al "Western Wall", alle ore 10.45 il Papa si reca in auto al Centro "Hechal Shlomo", sede del Gran Rabbinato a Gerusalemme per la Visita di cortesia ai due Rabbini Capo di Israele: il Gran Rabbino askenazita Yona Metzger e il Gran Rabbino sefardita Shlomo Amar.

La visita inizia con il colloquio privato. Successivamente, nel corso della parte pubblica dell’incontro, dopo i discorsi dei due Gran Rabbini, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Distinti Rabbini,
Cari Amici,

vi sono riconoscente per l’invito fattomi a visitare Hechal Shlomo e ad incontrarmi con voi durante questo mio viaggio in Terra Santa come Vescovo di Roma. Ringrazio Sephardi Rabbi Shlomo Amar e Ashknazi Rabbi Yona Metzger per le loro calorose parole di benvenuto e per il desiderio da loro espresso di continuare a fortificare i vincoli di amicizia che la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato si sono impegnati così diligentemente a far avanzare nell’ultimo decennio. Le vostre visite in Vaticano nel 2003 e 2005 sono un segno della buona volontà che caratterizza le nostre relazioni in crescita.

Distinti Rabbini, contraccambio tale atteggiamento esprimendo a mia volta i miei personali sentimenti di rispetto e di stima per voi e per le vostre comunità. Vi assicuro del mio desidero di approfondire la vicendevole comprensione e la cooperazione fra la Santa Sede, il Gran Rabbinato di Israele e il popolo Ebraico in tutto il mondo.

Un grande motivo di soddisfazione per me fin dall’inizio del mio pontificato è stato il frutto prodotto dal dialogo in corso tra la Delegazione della Commissione della Santa Sede per le Relazioni Religiose con gli Ebrei e il Gran Rabbinato della Delegazione di Israele per le Relazioni con la Chiesa Cattolica. Desidero ringraziare i membri di entrambe le Delegazioni per la loro dedizione e il faticoso lavoro nel perfezionare questa iniziativa, così sinceramente desiderata dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, come egli volle affermare nel Grande Giubileo del 2000.

Il nostro odierno incontro è un’occasione molto appropriata per rendere grazie all’Onnipotente per le tante benedizioni che hanno accompagnato il dialogo condotto dalla Commissione Bilaterale, e per guardare con speranza alle sue future sessioni. La buona volontà dei delegati nel discutere apertamente e pazientemente non solo i punti di intesa, ma anche i punti di disaccordo, ha anche spianato la strada per una più efficace collaborazione nella vita pubblica. Ebrei e Cristiani sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana. Questi temi di dialogo rappresentano solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione.

Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell’avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali. Possa il dialogo che è stato avviato continuare a generare idee su come sia possibile a Cristiani ed Ebrei lavorare insieme per accrescere l'apprezzamento della società per i contributi caratteristici delle nostre tradizioni religiose ed etiche. Qui in Israele i Cristiani, dal momento che costituiscono solamente una piccola parte della popolazione totale, apprezzano in modo particolare le opportunità di dialogo con i loro vicini ebrei.

La fiducia è innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo. Oggi ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei. Come la Dichiarazione Nostra Aetate ha chiarito, la Chiesa continua a valorizzare il patrimonio spirituale comune a Cristiani ed Ebrei e desidera una sempre più profonda mutua comprensione e stima tanto mediante gli studi biblici e teologici quanto mediante i dialoghi fraterni. I sette incontri della Commissione Bilaterale che già hanno avuto luogo tra la Santa Sede e il Gran Rabbinato possano costituirne una prova! Vi sono così molto grato per la vostra condivisa assicurazione che l’amicizia fra la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato continuerà in futuro a svilupparsi nel rispetto e nella comprensione.

Amici miei, esprimo ancora una volta il mio profondo apprezzamento per il benvenuto che mi avete rivolto oggi. Confido che la nostra amicizia continui a porsi come esempio di fiducia nel dialogo per gli Ebrei e i Cristiani di tutto il mondo. Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità – insieme con tutte le persone di buona volontà – nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo. Prego Iddio, che scruta i nostri cuori e conosce i nostri pensieri ( Sl 139,23), perché continui ad illuminarci con la sua sapienza, così che possiamo seguire i suoi comandamenti di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (cfr Dt 6,5) e di amare il nostro prossimo come noi stessi (Lev 19,18). Grazie !


Al termine, il Papa si reca in auto al Cenacolo.




PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVIII)

PREGHIERA DEL "REGINA COELI" NEL CENACOLO CON GLI ORDINARI DI TERRA SANTA


Lasciato il Centro "Hechal Shlomo", il Santo Padre Benedetto XVI si reca in auto al Cenacolo, luogo storico della Pentecoste, dove giunge alle ore 11.50 per la recita del "Regina Coeli" con gli Ordinari di Terra Santa.

L’incontro inizia con il canto del "Veni Creator" e il saluto del Custode di Terra Santa, P. Pierbattista Pizzaballa, OFM.

Prima di guidare la recita del "Regina Coeli", il Papa pronuncia il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,
Caro Padre Custode,

è con grande gioia che io vi saluto, Ordinari della Terra Santa, in questo Cenacolo dove, secondo la tradizione, Dio aprì il suo cuore ai discepoli da Lui scelti e celebrò il Mistero Pasquale, e dove lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste ispirò i primi discepoli ad uscire e a predicare la Buona Novella. Ringrazio Padre Pizzaballa per le calorose parole di benvenuto che mi ha rivolto a vostro nome. Voi rappresentate le comunità cattoliche della Terra Santa che, nella loro fede e devozione, sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi cristiani, onorati un tempo dalla presenza di Gesù, il nostro Dio vivente. Questo particolare privilegio dà a voi e al vostro popolo un posto speciale nell’affetto del mio cuore come Successore di Pietro. "Quando Gesù seppe che la sua ora era venuta di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Il Cenacolo ricorda l'Ultima Cena di nostro Signore con Pietro e gli altri Apostoli ed invita la Chiesa ad orante contemplazione. Con questo stato d’animo ci ritroviamo insieme, il Successore di Pietro con i Successori degli Apostoli, in questo stesso luogo dove Gesù rivelò nell'offerta del suo corpo e del suo sangue le nuove profondità dell'alleanza di amore stabilita tra Dio e il suo popolo. Nel Cenacolo il mistero di grazia e di salvezza, del quale siamo destinatari ed anche araldi e ministri, può essere espresso solamente in termini di amore. Poiché Egli ci ha amati per primo e continua ad amarci, noi possiamo rispondere con l’amore (cfr Deus caritas est, 2). La nostra vita come cristiani non è semplicemente uno sforzo umano di vivere le esigenze del Vangelo imposte a noi come doveri. Nell'Eucaristia noi siamo tirati dentro il mistero dell’amore divino. Le nostre vite diventano un'accettazione grata, docile ed attiva del potere di un amore che ci viene donato. Questo amore trasformante, che è grazia e verità (cfr Gv 1,17), ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri. Ci porta come comunità cristiane ad essere fedeli alla nostra missione con franchezza e coraggio (cfr At 4,13). Nel Buon Pastore che dona la sua vita per il suo gregge, nel Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli, voi, miei cari Fratelli, trovate il modello del vostro stesso ministero nel servizio del nostro Dio che promuove amore e comunione.

L’invito alla comunione di mente e di cuore, così strettamente collegato col comandamento dell’amore e col centrale ruolo unificante dell'Eucaristia nelle nostre vite, è di speciale rilevanza nella Terra Santa. Le diverse Chiese cristiane che qui si trovano rappresentano un patrimonio spirituale ricco e vario e sono un segno delle molteplici forme di interazione tra il Vangelo e le diverse culture. Esse ci ricordano anche che la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio. Un nuovo impulso spirituale verso la comunione nella diversità nella Chiesa Cattolica ed una nuova consapevolezza ecumenica hanno segnato il nostro tempo, specialmente a partire dal Concilio Vaticano Secondo. Lo Spirito conduce dolcemente i nostri cuori verso l'umiltà e la pace, verso l'accettazione reciproca, la comprensione e la cooperazione. Questa disposizione interiore all’unità sotto l’impulso dello Spirito Santo è decisiva perché i Cristiani possano realizzare la loro missione nel mondo (cfr Gv 17, 21).

Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa, la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva. Questa presenza è di importanza vitale per il bene della società nel suo insieme. Le parole chiare di Gesù sull'intimo legame tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, sulla misericordia e sulla compassione, sulla mitezza, la pace e il perdono sono un lievito capace di trasformare i cuori e plasmare le azioni. I Cristiani nel Medio Oriente, insieme alle altre persone di buona volontà, stanno contribuendo, come cittadini leali e responsabili, nonostante le difficoltà e le restrizioni, alla promozione ed al consolidamento di un clima di pace nella diversità. Mi piace ripetere ad essi quello che affermai nel Messaggio di Natale del 2006 ai cattolici nel Medio Oriente: "Esprimo con affetto la mia personale vicinanza in questa situazione di insicurezza umana, di sofferenza quotidiana, di paura e di speranza che state vivendo. Ripeto alle vostre comunità le parole del Redentore: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno' (Lc 12,32). " (Messaggio di Natale di Sua Santità Papa Benedetto XVI ai cattolici che vivono nella Regione del Medio Oriente, 21 dicembre 2006).

Cari Fratelli Vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace. Apprezzo i vostri sforzi di offrir loro, come a cittadini maturi e responsabili, assistenza spirituale, valori e principi che li aiutino nello svolgere il loro ruolo nella società. Mediante l’istruzione, la preparazione professionale ed altre iniziative sociali ed economiche la loro condizione potrà essere sostenuta e migliorata. Da parte mia, rinnovo il mio appello ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo a sostenere e ricordare nelle loro preghiere le comunità cristiane della Terra Santa e del Medio Oriente. In questo contesto desidero esprimere il mio apprezzamento per il servizio offerto ai molti pellegrini e visitatori che vengono in Terra Santa in cerca di ispirazione e rinnovamento sulle orme di Gesù. La storia del Vangelo, contemplata nel suo ambiente storico e geografico, diviene viva e ricca di colore, e si ottiene una comprensione più chiara del significato delle parole e dei gesti del Signore. Molte memorabili esperienze di pellegrini della Terra Santa sono state possibili grazie anche all’ospitalità e alla guida fraterna offerte da voi, specialmente dai Frati francescani della Custodia. Per questa servizio, vorrei assicurarvi l'apprezzamento e la gratitudine della Chiesa Universale e esprimo il desiderio che, nel futuro, pellegrini in numero ancora maggiore vengano qui in visita.

Cari Fratelli, nell’indirizzare insieme la nostra gioiosa preghiera a Maria, Regina del Cielo, mettiamo con fiducia nelle sue mani il benessere e il rinnovamento spirituale di tutti i Cristiani in Terra Santa, così che, sotto la guida dei loro Pastori, possano crescere nella fede, nella speranza e nella carità, e perseverare nella loro missione di promotori di comunione e di pace.



BREVE VISITA ALLA CONCATTEDRALE LATINA DI JERUSALEM

Conclusa la visita al Cenacolo, il Santo Padre raggiunge in auto il Patriarcato Latino di Gerusalemme e alle ore 12.30 compie una breve visita alla Concattedrale latina dedicata al Santissimo Nome di Gesù. Nella Concattedrale sono riunite circa 300 persone, tra cui alcune religiose contemplative.

Dopo un breve momento di Adorazione del Santissimo Sacramento e il saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, S.B. Fouad Twal, il Santo Padre pronuncia il saluto che pubblichiamo di seguito:

SALUTO DEL SANTO PADRE

Beatitudine, La ringrazio per le Sue parole di benvenuto. Ringrazio anche il Patriarca emerito ed assicuro entrambi dei miei fraterni auguri e delle mie preghiere.

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo, sono lieto di essere qui con voi oggi in questa Concattedrale, dove la comunità cristiana di Gerusalemme continua a riunirsi come ha fatto da secoli, fin dai primi giorni della Chiesa. Qui, in questa città, Pietro per primo predicò la Buona Novella di Gesù Cristo il giorno di Pentecoste, quando circa tremila anime si unirono al numero dei discepoli. Ancora qui i primi cristiani "erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere" ( At 2,42). Da Gerusalemme il Vangelo si è diffuso "per tutta la terra...fino ai confini del mondo" (Salmo 19, 4), ed in ogni tempo lo sforzo dei missionari del Vangelo è stato sostenuto dalle preghiere dei fedeli, raccolti attorno all’altare del Signore, per invocare la forza dello Spirito Santo sull’opera della predicazione.

Soprattutto sono state le preghiere di coloro la cui vocazione, secondo le parole di Santa Teresa di Lisieux, è di essere "l’amore profondo nel cuore della Chiesa" (Lettera alla sorella Maria del Sacro Cuore), che sostiene l’opera dell’evangelizzazione. Desidero esprimere una particolare parola di apprezzamento per l’apostolato nascosto delle persone di vita contemplativa che sono qui presenti, e ringraziarvi per la vostra generosa dedizione ad una vita di preghiera e di abnegazione. Sono particolarmente grato per le preghiere che offrite per il mio ministero universale e vi chiedo di continuare a raccomandare al Signore il mio servizio al popolo di Dio in tutto il mondo. Con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di "pregare per la pace di Gerusalemme" ( Sal 122,6), di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione. Ed ora vi imparto la mia Benedizione.


Al termine, il Papa pranza con gli Ordinari di Terra Santa, con gli Abati e con i Membri del Seguito papale, nel Patriarcato Latino di Jerusalem. Quindi rientra alla Delegazione Apostolica.




Omelia di Benedetto XVI nella valle di Giosafat di Gerusalemme



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo pomeriggio la Santa Messa nella valle di Giosafat di Gerusalemme, che si trova di fronte alla Basilica del Gethsemani e all’Orto degli Ulivi.

* * *

Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

"Cristo è risorto, alleluia!". Con queste parole vi saluto con grande affetto. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal per le sue parole di benvenuto a vostro nome, e prima di tutto esprimo anche la mia gioia di essere qui a celebrare questa Eucarestia con voi, Chiesa in Gerusalemme. Ci siamo raccolti qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere "la via della pace" (cfr Lc 19,42), qui donde egli tornò al Padre, dando la sua ultima benedizione terrena ai suoi discepoli e a noi. Accogliamo oggi questa benedizione. Egli la dona in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle, che siete collegati in una ininterrotta linea con quei primi discepoli che incontrarono il Signore Risorto nello spezzare il pane, che sperimentarono l’effusione dello Spirito Santo nella "stanza al piano superiore", che furono convertiti dalla predicazione di San Pietro e degli altri apostoli. I miei saluti vanno anche a tutti i presenti, e in modo speciale a quei fedeli della Terra Santa che per varie ragioni non hanno potuto essere oggi con noi.

Come successore di san Pietro, ho ripercorso i suoi passi per proclamare il Signore Risorto in mezzo a voi, per confermarvi nella fede dei vostri padri ed invocare su di voi la consolazione che è il dono del Paraclito. Trovandomi qui davanti a voi oggi, desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre. Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa.

Nella seconda lettura di oggi, l’Apostolo Paolo chiede ai Colossesi di "cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio" (Col 3,1). Queste parole risuonano con particolare forza qui, sotto il Giardino del Getsemani, dove Gesù ha accettato il calice della sofferenza in completa obbedienza alla volontà del Padre e dove, secondo la tradizione, è asceso alla destra del Padre per intercedere continuamente per noi, membra del suo Corpo. San Paolo, il grande araldo della speranza cristiana, ha conosciuto il prezzo di questa speranza, il suo costo in sofferenza e persecuzione per amore del Vangelo, e mai vacillò nella sua convinzione che la risurrezione di Cristo era l’inizio della nuova creazione. Come egli dice a noi: "Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria" (Col 3,4)!

L’esortazione di Paolo di "cercare le cose di lassù" deve continuamente risuonare nei nostri cuori. Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr Is 25,6-8; Ap 21,2-4).

Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese. Per questa ragione, la comunità cristiana in questa Città che ha visto la risurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito deve fare tutto il possibile per conservare la speranza donata dal Vangelo, tenendo in gran conto il pegno della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, testimoniando la forza del perdono e manifestando la natura più profonda della Chiesa quale segno e sacramento di una umanità riconciliata, rinnovata e resa una in Cristo, il nuovo Adamo.

Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, Musulmani e Cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una "città della pace" per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, "una voce che parla di pace" ( cf. Sl 85,8)!

Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana. Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.

Vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa Città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città. Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.

Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, San Pietro e San Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, "vide e credette" (Gv 20,8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di "toccare" le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio. La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a "vedere e credere" nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad "ascoltare" con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a "toccare" le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.

Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo. Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni "pietra pesante" posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo. Cristo è risorto, alleluia! Egli è davvero risorto, alleluia!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





La preghiera del Papa nel Cenacolo: sostenere le comunità cattoliche in Terra Santa


La presenza dei cristiani nei luoghi in cui visse Gesù è “vitale” e va sostenuta e consolidata perché sia promotrice di pace. L’appello di Benedetto XVI è risuonato questa mattina fra le mura del Cenacolo, nel quale il Papa ha recitato il Regina Coeli assieme agli ordinari di Terra Santa. Poco dopo, nella Concattedrale latina di Gerusalemme, la nuova preghiera di Benedetto XVI per la fine del conflitto e delle sofferenze che patisce il Medio Oriente. Il servizio di Alessandro De Carolis:

(Canto Veni Creator)

“Fare tutto quello che è in vostro potere”. E’ la frase-chiave di un discorso che considera la realtà dei cristiani di Terra Santa di oggi dal luogo in cui quelli di venti secoli fa, sparuti e impauriti, prendevano coscienza della loro missione. Tra le mura in stile gotico e sotto le arcate e le volte a crociera che danno volto alla Sala superiore del Cenacolo, Benedetto XVI ha affrontato come pastore supremo della Chiesa la questione delle comunità cattoliche della Terra Santa. Comunità, ha detto con riconoscenza, che “nella loro fede e devozione, sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi cristiani”. Tuttavia, al Papa sono ben noti i bisogni concreti e le difficoltà ambientali che costellano la quotidianità della Chiesa locale. E dunque, ha affermato il Pontefice:


“Dear brother bishops, count on my support…
Cari fratelli vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace (...) Da parte mia, rinnovo il mio appello ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo a sostenere e ricordare nelle loro preghiere le comunità cristiane della Terra Santa e del Medio Oriente.”

Assistenza spirituale, valori e principi, ma anche istruzione, preparazione professionale, iniziative sociali ed economiche. Tutto questo la Chiesa di Terra Santa mette in campo per migliorare la condizione dei cristiani del posto. Ma Benedetto XVI guarda più in alto. “Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa - ha detto - la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva. Questa presenza è di importanza vitale per il bene della società nel suo insieme”:


“The different christian Churches found here…
Le diverse Chiese cristiane che qui si trovano rappresentano un patrimonio spirituale ricco e vario e sono un segno delle molteplici forme di interazione tra il Vangelo e le diverse culture. Esse ci ricordano anche che la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio".


“Un nuovo impulso spirituale verso la comunione nella diversità nella Chiesa Cattolica ed una nuova consapevolezza ecumenica hanno segnato il nostro tempo - ha riconosciuto il Papa - specialmente a partire dal Concilio Vaticano II”. Un impulso proprio del luogo che vide irradiare gli Apostoli della forza e della luce dello Spirito Santo. E “questo amore trasformante, che è grazia e verità”, ha ribadito il Papa:


“Prompt us, as individuals and communities…
Ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri. Ci porta come comunità cristiane ad essere fedeli alla nostra missione con franchezza e coraggio”.

(Canto Regina Coeli)


Dal Cenacolo alla Concattedrale latina di Gerusalemme, edificata nel 1847 e dedicata al Santissimo Nome di Gesù. Affetto e calore hanno accolto Benedetto XVI, al quale ha rivolto un indirizzo di saluto il Patriarca, mons. Fouad Twal, sottolineando, fra l’altro che:

“I sacerdoti, seminaristi, religiosi, religiose e laici che Lei vede davanti a sé hanno passato lunghi anni- talvolta tutta la loro vita- a pregare e a servire in Terra Santa. Essi rappresentato un tesoro inestimabile, dediti e implicati come sono nella vita della nostra famiglia cristiana di Terra Santa”.


Il Papa ha nuovamente ringraziato tutti i presenti per la loro testimonianza di fede e in particolare le religiose contemplative - alcune delle quali presenti nella Concattedrale - per le preghiere a sostegno del suo ministero. Ed ha concluso:


“In the words of the Psalmist, I ask you also…
Con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di ‘pregare per la pace di Gerusalemme’, di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione. Ed ora vi imparto la mia Benedizione."

(Canto)






Il Papa sulla Spianata delle Moschee e al Muro del Pianto: ragione, libertà e carità liberano l'uomo da odio e vendetta


Giornata intensa e fitta d’impegni quella odierna. La quinta giornata del pellegrinaggio in Terra Santa ha portato il Papa in tre luoghi simbolo delle tre grandi religioni monoteistiche: la Spianata delle Moschee, il Muro del Pianto, il Cenacolo. Parlando al Gran Muftì, Benedetto XVI ha sottolineato che ragione, libertà e carità liberano l’uomo dall’odio e dalla vendetta. Al Muro del Pianto poi il Papa ha elevato la sua accorata preghiera di pace. Ai Gran Rabbini d’Israele ha ricordato che ebrei e cristiani sono chiamati a difendere insieme la vita, la famiglia e la libertà religiosa. Ma diamo la linea al nostro inviato Roberto Piermarini:

Nell’incanto di minareti, sinagoghe e campanili, in una splendida giornata di sole che solo Gerusalemme sa offrire nelle giornate importanti, Benedetto XVI è entrato oggi nel cuore della vecchia Città Santa, un viaggio nei ‘santuari’ per eccellenza delle altre due religioni monosteiste: la Spianata delle Moschee, il più grande centro islamico dopo La Mecca e Medina e il Muro del Pianto, cuore della vita ebraica ed ultimo bastione del vecchio tempio di Gerusalemme. Nell’incantevole cornice della Cupola della Roccia, Benedetto XVI come è nella tradizione islamica, si è tolto le scarpe per entrare nel Mausoleo sovrastato dalla grande cupola dorata. Rivolgendosi al Gran Muftì - che ha parlato al Papa sulle violazioni e sulle limitazioni di Israele contro il popolo palestinese ed i luoghi santi - il Papa ha detto che la Cupola della Roccia fa riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo ed è qui che le vie delle tre grandi religioni si incontrano:


“In a world sadly torn by divisions...”
“In un mondo tristemente lacerato da divisioni - ha affermato - questo luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato ed a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno”.

Benedetto XVI ha ricordato che la fedeltà all’unico Dio ci porta a riconoscere che gli esseri umani sono legati l’uno all’altro, perchè tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. “Marcati con l’indelebile immagine del divino – ha detto il Papa – essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana. Questo pone una grave responsabilità ma i cristiani affermano che i doni divini della reagione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa ed il destino comune della famiglia umana mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro ed a servirlo nella carità. “Questa è la ragione – ha sottolineato il Papa – perchè operiamo per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta”. Dalla Spianata delle Moschee Benedetto XVI si è quindi spostato al Muro dei Pianto – che contiene pietre del tempio di Erode - dove lo attendeva il Rabbino Capo. Insieme hanno letto un salmo in ebraico e in latino: un’invocazione di pace per Gerusalemme. Benedetto XVI si è quindi raccolto in preghiera davanti al Muro ed ha lasciato un messaggio tra le fessure delle grandi pietre levigate. Ecco il testo:


Dio di tutti i tempi,
nella mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”,
dimora spirituale per ebrei, cristiani e musulmani,
porto davanti a Te le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le angosce, le sofferenze e le pene di tutto il Tuo popolo sparso nel mondo.
Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, degli impauriti, dei disperati,
manda la Tua pace su questa Terra Santa, sul Medio Oriente,
sull’intera famiglia umana;
risveglia il cuore di tutti coloro che chiamano il Tuo nome
affinché vogliano camminare umilmente sul cammino della giustizia e della pietà.
“Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l`anima che lo cerca”. (Lam 3, 25)



(Canto – Centro Shlomo)


Nel vicino Centro “Hechal Shlomo” sede del Gran Rabbinato d’Israele, Benedetto XVI ha espresso la soddisfazione per i frutti del dialogo ed ha incoraggiato una più convinta cooperazione fra le due comunità nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo:


“Jews and Christians alike concerned...”
“Ebrei e Cristiani – ha detto auspicando un dialogo sempre più intenso - sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana”.




Il commento di padre Lombardi sul pellegrinaggio del Papa a Gerusalemme


Sugli eventi del Papa a Gerusalemme ascoltiamo il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Roberto Piermarini:

D. - Padre Lombardi, come ha vissuto il Papa la visita allo Yad Vashem?

R. - Naturalmente è uno dei momenti culminanti di questi giorni perché è un Memoriale di una tragedia immensa e sappiamo che posto ha questa tragedia nella storia del popolo di Israele ed anche nella coscienza dell’umanità di oggi. Quindi, il Papa l’ha vissuto in un modo estremamente compreso, estremamente profondo, con la più chiara e viva intenzione di dimostrare la sua partecipazione alla grande tragedia passata di questo popolo, ed anche alla sua sensibilità di ricordare quello che è avvenuto, per evitare che si possa ripetere qualche cosa di simile in futuro, evitarlo assolutamente in ogni modo.

D. - La stampa israeliana parla di “discorso tiepido” del Papa allo Yad Vashem...

R. - Ovviamente io non sono d’accordo cioè è un discorso detto con la consueta finezza e delicatezza del Papa che non usa toni reboanti o teatrali ma che toccava un tema profondissimo che è quello della memoria e del nome; il nome, come sappiamo, da un punto di vista biblico, dice l’identità delle persone. Quindi, ricordare tutte queste persone che sono nel cuore di Dio e che sono nell’eternità, che devono rimanere anche nella nostra memoria proprio anche come monito per il futuro. Il Papa ha avuto dei momenti intensissimi nel discorso quando ricordava l’esperienza dei genitori che pensano quale nome dare al loro bambino. Quindi era un discorso di profondissima sensibilità ed emozione, però espresso con toni sempre misurati e moderati come il Papa fa. Questo è il suo stile che però, chi lo conosce, apprezza moltissimo.

D. - In che clima si è svolta la visita alla Spianata delle Moschee?

R. – Un clima piuttosto sereno. Questa immensa spianata fa molto impressione, la Cupola della Roccia è un edificio splendido e il Papa è stato accolto all’ingresso di questa moschea; si è tolto le scarpe come è abituale in questi luoghi musulmani di culto, è entrato e, accompagnato dal Gran Muftì e da un altro dignitario e da alcuni loro collaboratori, gli è stata data un’ampia spiegazione della moschea e del suo significato anche spirituale, per tutti i musulmani del mondo. Purtroppo ci sono lavori in corso quindi, in realtà, si vedevano dei grandi tendaggi, la famosa Roccia custodita sotto la Cupola non l’abbiamo potuta vedere.

D. - Superato l’incidente dello sceicco che ha arringato contro Israele nell’incontro interreligioso?

R. – Per noi, sì, bisogna vedere se anche la stampa o gli altri, lo considereranno un incidente di percorso o continueranno a girarci attorno. Certamente è stato un incidente spiacevole che ha turbato il clima dell’incontro di ieri sera e noi, come dicevo, speriamo che non turbi, in seguito, i rapporti interreligiosi nella Terra Santa che sono difficili. Gli incontri di questi giorni fanno capire come effettivamente fare un cammino di comprensione mutua fra le diverse religioni, qui, costruire veramente la pace, è molto difficile. Il Papa dà un esempio di pazienza, di ascolto, di invito fiducioso ad atteggiamenti dello spirito che possano costruire la via alla pace. Speriamo che venga ascoltato.





Domani il Papa a Betlemme


Oggi pomeriggio il Papa presiederà la Messa nella Valle di Giosafat: domani il trasferimento nei Territori Autonomi Palestinesi. Benedetto XVI giungerà in mattinata a Betlemme dove incontrerà il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Subito dopo celebrerà la Messa nella Piazza della Mangiatoia. Nel pomeriggio il Pontefice visiterà la Grotta della Natività e, a seguire, il Caritas Baby Hospital di Betlemme e il campo profughi di Aida. In serata il rientro a Gerusalemme. Sul significato di questa visita ascoltiamo padre Jerzy Kraj, guardiano di Betlemme, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Per noi e per la popolazione di Betlemme è un segno della storia di 20 secoli della cristianità, come presenza di una comunità viva. Abbiamo una Basilica che ricorda l’inizio della vita terrena di Gesù, ma accanto a questa Basilica, da sempre, c’è una comunità viva. E allora noi siamo qui per testimoniare l’amore di Dio per tutti gli uomini, compresi quelli che vengono come pellegrini in Terra Santa.


D. – Padre Jerzy, che cosa chiede il pellegrino che viene a Betlemme?


R. – Il pellegrino che viene tocca soprattutto i luoghi santi, come sorgenti della fede. Qui si tocca l’inizio della vita di Dio in mezzo a noi. Allora, il pellegrino arriva qui, per toccare con mano quella viva presenza di Dio. Io credo che adorando nella grotta della Natività, il luogo storico che ricorda l’inizio della presenza di Gesù in mezzo a noi, si celebra l’amore di Dio, che si è rivelato in mezzo a noi.


D. – All’interno della Basilica, qual è il rapporto con le altre confessioni cristiane?


R. – Abbiamo tre comunità qui: i francescani come rappresentanti della Chiesa cattolica, i greco-ortodossi e gli armeni. I rapporti sono relativamente buoni. Ci sono alle volte delle tensioni, ma nell’insieme bisogna riconoscere che c’è una buona collaborazione, perchè nel cuore di tutti c’è forse un amore troppo geloso di questo luogo e in questo amore geloso a volte c’è una specie di rivalità, ma rivalità, credo, guidata soprattutto dall’autenticità del luogo santo.


D. – E' rimasto ancora qualcosa dell’assedio che c’è stato qui in questa Basilica per molti giorni? E’ rimasto qualche segno o è tutto cancellato ormai?


R. – Ci sono segni sul muro esterno della Basilica di qualche pallottola volante, che ha lasciato schegge sulla pietra antica. Il resto è stato soprattutto cancellato dalla memoria positiva, memoria di una testimonianza di custodire il luogo e offrirlo a tutti i pellegrini e anche ai cristiani locali.


D. – Gesù Cristo si è incarnato a Betlemme per portare al mondo la pace, ma è veramente difficile la pace in questa terra così travagliata?


R. – La pace è soprattutto un impegno morale. E’ difficile perchè l’uomo ancora non ha colto la pace di Dio, di Gesù, che porta ad un rinnovamento del cuore. Finché noi cercheremo di costruire la pace sugli accordi politici, non arriverà mai un’autentica pace, collaborazione, riconciliazione dei popoli qui in Terra Santa, tra i palestinesi e gli israeliani. Occorre un rinnovamento interiore. I cristiani sono segno di questo ponte, di questa visione positiva, di fermento dall’interno per costruire una pace non basata sulle dichiarazioni, ma soprattutto sull’amore che Cristo ci ha portato.


D. – E lei personalmente che cosa si aspetta da questa visita del Papa?


R. – Un segno positivo per noi custodi dei luoghi santi. I francescani quest’anno ricordano i 700 anni dei documenti delle autorità musulmane per poter custodire questo luogo. Ci ricordiamo le storie non facili, gli anni difficili. Ricordo con tanta gioia la visita del Santo Padre Giovanni Paolo II nel 2000. La stessa attesa, la stessa gioia in questa visita di Benedetto XVI, come segno del terzo Papa dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II, che viene qui a confermare la comunità cristiana e a seminare segni di pace e anche di riconciliazione tra la popolazione locale.







“Giustizia” e “misericordia”, bussola per i credenti nell'unico Dio
Visita di Benedetto XVI alla “Cupola della Roccia”

di Mirko Testa


GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- I fedeli delle tre grandi religioni monoteistiche hanno il compito di spendersi per l'edificazione di un modo di pace, guidati dalla giustizia e dalla misericordia che discendono dall'unico Dio.

E' quanto ha detto, questo martedì mattina, Benedetto XVI nell'incontrarsi con importanti esponenti della comunità musulmana nell'edificio "al-Kubbah al-Nahawiyya", che si trova sulla Spianata delle Moschee.

Anche Giovanni Paolo II visitò il 26 marzo 2000 la Spianata delle Moschee, però rispetto al suo predecessore Benedetto XVI ha avuto l'opportunità questa volta di varcare la soglia della “Cupola della Roccia” (detta anche Moschea di Omar), accompagnato dal Gran Mufti di Gerusalemme Muhammad Ahmad Husayn, sunnita, considerato la suprema autorità giuridica islamica a Gerusalemme e del popolo arabo-musulmano in Palestina.

La "Cupola della Roccia", costruita fra il 687 e il 691, è il più antico monumento islamico in Terra Santa. E' stato stato eretto dove, secondo la tradizione, sorgeva il tempio di Salomone, distrutto nel 70 d.C. sotto l'impero di Tito.

In questo luogo, ha detto il Papa, “le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto”.

L'area infatti “al-Haram al-Sharif” (Nobile Santuario), su cui sorge la Moschea di Omar è un suolo sacro per le tre religioni monoteistiche abramitiche.

I musulmani ritengono che la "roccia" al centro della moschea sia il punto da cui Maometto sarebbe asceso al cielo (la stessa su cui Abramo avrebbe offerto Ismaele in sacrificio a Dio). Per gli ebrei è terra sacra in quanto sede del Tempio di Salomone. Per i cristiani ricorda le numerose visite di Gesù al Tempio e le sue dispute con i sacerdoti e altri episodi della sua vita pubblica.

“In un mondo tristemente lacerato da divisioni – ha aggiunto –, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno”.

Il punto di partenza, ha indicato, deve essere la fede nell’Unico Dio, “infinita sorgente della giustizia e della misericordia”.

“Coloro che confessano il suo nome – ha detto – hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana”.

Da qui, ha incoraggiato il Santo Padre, discende il pressante appello a lavorare per “l’unità dell’intera famiglia umana”.

“L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto”, ha continuato.

“Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta”, ha aggiunto il Papa.

“Impegniamoci a vivere in spirito di armonia e di cooperazione, dando testimonianza all’Unico Dio mediante il servizio che generosamente ci rendiamo l’un l’altro”, ha infine concluso.





La stampa laica trascura i tesori dei discorsi papali
Padre Thomas Wiliams commenta il pellegrinaggio in Terra Santa



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il sacerdote della Congregazione dei Legionari di Cristo, padre Thomas Williams (www.thomasdwilliams.com), un teologo statunitense che vive a Roma, segue per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione offrirà una cronaca del suo viaggio anche a ZENIT. Di seguito riportiamo il suo primo commento.

* * *

Sono arrivato in Israele domenica sera, per essere qui per l'arrivo di Benedetto XVI lunedì mattina. Il proverbiale sistema di sicurezza israeliano è stato aumentato per la visita del Santo Padre, ma nonostante polizia e telecamere ovunque siamo riusciti ad attraversare l'aeroporto con ritardi minimi. Per fortuna non ero andato in Messico la settimana scorsa, visto che dei cartelli invitavano quanti c'erano stati a recarsi al posto sanitario dell'aeroporto per gli accertamenti contro l'influenza A.

Gerusalemme dista solo 30 miglia dall'Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, per cui il viaggio non è durato più di 45 minuti. Il mio taciturno autista Hezi mi dava segnalazioni occasionali durante il viaggio (indicando anche il suo quartiere) mentre attraversavamo rombando l'autostrada con la sua malridotta Subaru bianca, ma è diventato estremamente cordiale quando gli ho detto che non mi dava fastidio se fumava in macchina.

Quando la Città Santa di Gerusalemme è apparsa all'orizzonte, emergendo dal panorama come una versione bianco-mediterraneo della Città di Smeraldo di Oz, mi ha tolto il fiato. E' solo la mia seconda visita in Terra Santa, e camminare dove ha camminato Gesù e guardare la città che ha amato così profondamente è una sensazione indescrivibile.

La città è abbellita per la visita del Papa con bandiere bianche e gialle che costellano il viale principale intorno alla Città Vecchia, intervallate dalle bandiere dello Stato di Israele, bianche con la stella di Davide blu. Gli emblemi papali non sono gli unici segni da notare, ovviamente, e molti cartelloni annunciano l'arrivo sugli schermi della versione cinematografica di “Angeli e demoni”. Ovunque, qui, il sacro e il profano sono fianco a fianco.

In questo pellegrinaggio papale precedente all'arrivo del Pontefice in Israele sono già avvenute molte cose. Benedetto XVI ha trascorso tre giorni proficui nel Regno di Giordania, dove ha visitato il Monte Nebo, da dove Mosè fece spaziare lo sguardo dal fiume Giordano alla Terra Promessa, così come la Moschea Al-Hussein Bin Talal, dove ha pronunciato un brillante discorso sul dialogo interreligioso e interculturale.

Questo mi fa venire in mente una riflessione per me ricorrente in questi giorni. Molte persone hanno sentore di ciò che Papa Benedetto dice o scrive quando qualche sua frase o qualche azione suscita proteste e viene ripresa dai media secolari. Ciò porta a una visione del tutto parziale e ingiustamente negativa del Papa. Quasi chiunque, quindi, sa che un commento a Ratisbona (Germania) nel 2006 ha infastidito i musulmani, e che ha rimesso la scomunica a quattro Vescovi scismatici, uno dei quali nega l'Olocausto, ma pochi hanno letto le sue Encicliche sull'amore e sulla speranza, o ascoltato i suoi discorsi su San Paolo e i Padri della Chiesa.

Questa domenica Benedetto XVI ha celebrato una Messa all'aperto nell'International Stadium di Amman, dove un altro gioiello di questo tipo è sfuggito all'attenzione dei media. In questo Paese a maggioranza musulmana, il Papa ha scelto di esporre un'approfondita riflessione sulla dignità delle donne, riferendosi al loro “carisma profetico” e lodandole come “portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace”.

“Con la sua pubblica testimonianza di rispetto per le donne e con la sua difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore”, ha aggiunto.

Arrivando in Israele questo lunedì mattina, il Papa ha subito voluto dissipare ogni dubbio residuo circa la sua posizione sull'Olocausto ebraico. Nel suo primo discorso, all'aeroporto di Tel Aviv, ha affermato: “È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo”.

Il Papa non vuole che resti un'ombra di dubbio sulla sua ripugnanza nei confronti dell'antisemitismo, e sta cercando di uccidere rapidamente il drago prima che sollevi la sua terribile testa. Si spera che la sua evidente buona volontà ne susciti una uguale da parte di tutti coloro che lo ascoltano.

La sua toccante visita al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem lunedì pomeriggio ha offerto un'ulteriore conferma del suo impegno per promuovere le relazioni tra ebrei e cristiani e presentare una posizione unita a favore dei diritti umani. Dopo l'incontro, ho parlato con molti ebrei per la strada e la maggior parte di loro è stata soddisfatta di come sono andate le cose, anche se un uomo mi ha detto che il Papa avrebbe dovuto dire che milioni di ebrei sono stati “assassinati” e non “uccisi”. Onestamente ho qualche problema nel percepire questo livello di cavillosità semantica, ma ovviamente lui pensava che fosse importante.

Finora nelle sue varie attività in Terra Santa il Papa non solo ha evitato i problemi che molti avevano previsto, ma ha anche perseguito attivamente una via molto più elevata, sfidando i suoi ascoltatori alla pace, alla giustizia, al dialogo e al rispetto reciproco. Nei prossimi giorni ci si aspetta ancor di più.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]






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Papa/ Patriarca Latino denuncia "agonia" dei palestinesi

E Israele sogna vita normale ma nonostante potere non ci riesce

da APCOM

Il patriarca latino di Gerusalemme evoca l'"agonia" dei palestinesi durante una messa pubblica celebrata dal Papa nella valle di Giosafat. "Santissimo Padre - ha detto mons. Fouad Twal - per molti aspetti la situazione oggi non è tanto cambiata.
Assistiamo da una parte all'agonia del popolo palestinese, che sogna di vivere in uno Stato palestinese libero e indipendente, ma non ci arriva; e assistiamo dall'altra parte - ha detto - all'agonia di un popolo israeliano, che sogna una vita normale nella pace e nella sicurezza ma, nonostante la sua potenza mediatica e militare, non ci arriva". "Quanto alla comunità internazionale - ha proseguito - essa gioca il ruolo dei discepoli di Gesù: se ne sta da parte, le palpebre appesantite di indifferenza, insensibile all'agonia per la quale passa la Terra Santa da sessantun anni, senza volere veramente svegliarsi per trovare una soluzione giusta. Da questa valle di Giosafat, valle di lacrime, facciamo salire la nostra preghiera perché si realizzino i sogni di questi due popoli".
Gesù pianse invano su Gerusalemme.
Oggi, Egli continua a piangere con i rifugiati senza speranza di ritorno, con le vedove il cui marito è stato vittima di violenza, e con le numerose famiglie di questa città che tutti i giorni vedono le loro case demolite col pretesto che esse sono state "costruite illegalmente", allorquando tutta la situazione generale tutta intera è illegale e non riceve soluzione".
"Per chiunque soffre, un malato, un rifugiato, un prigioniero o uno che porta il peso di una ingiustizia, il più grande sconforto è di constatare di essere stato dimenticato e che nessuno veda, non sappia né si commuova per quello che lui sopporta. La sua visita oggi - ha proseguito Twal rivolgendosi al Papa - è un grande conforto per i nostri cuori e l'occasione di dire a tutti che il Dio di compassione e coloro che credono in lui non sono né ciechi, né dimentichi, né insensibili".
"Santissimo Padre lei ha davanti un piccolo gregge, e che ancora si riduce a causa dell'emigrazione, una emigrazione largamente dovuta - ha detto ancora il leader dei cristiani latini di Terra Santa - agli effetti di una occupazione ingiusta, con l'accompagnamento di umiliazione, di violenza e di odio.
Ma noi sappiamo che 'questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede' e che la fede ci rende capaci di vedere e di riconoscere Gesù Cristo in ogni persona. Con Gesù e in Gesù, noi possiamo gustare qui e ora la pace che il mondo non può né dare né togliere dai nostri cuori. Questa pace significa serenità, fede, spirito di accoglienza e gioia di vivere e di lavorare in questa terra".

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IN ISRAELE

Contrastanti le reazioni: forti apprezzamenti ma anche voci di dissenso

DI GIORGIO BERNARDELLI

Nonostante la condanna inequivocabile dell’antisemitismo pronunciata da Benedetto XVI fin dal suo arrivo a Tel Aviv, ieri sera è stata tiepida in Israele l’accoglienza del discorso allo Yad Vashem.
Erano passati pochi minuti dalla fine dell’incontro con il Papa quando il rabbino Yisrael Lau, proprio presidente dello Yad Vashem, ha espresso un giudizio gelido ai microfoni di Channel 1, il primo canale della tv pubblica: a suo parere, mentre il resto della prima giornata di Benedetto XVI era stato molto positivo, il discorso al memoriale della Shoah è stato «deludente». «Non ho visto nelle sue parole compassione, dolore per la tragedia dei sei milioni di morti – ha dichiarato gelido –.
Non ha detto neppure la parola 'sei'. E poi non ha detto nulla sui carnefici, tedeschi o nazisti che fossero.
Ma quello che mi ha addolorato di più sono state le mancate condoglianze alla nazione ebraica, che nella Shoah ha perso un terzo dei suoi figli. Ha fatto un discorso cosmopolita».
Parole rese ancora più dure dal fatto che a pronunciarle è stato una personalità come Lau, già rabbino capo fino al 2003 e – soprattutto – lui stesso un sopravvissuto al campo di sterminio di Buchenwald.
A riequilibrare un po’ il giudizio ci ha pensato il direttore dello stesso Yad Vashem, Avner Shalev, che dal Papa ha detto di aver ascoltato «affermazioni importanti, soprattutto rispetto alla condanna di coloro che negano l’Olocausto. È stato un discorso importante e interessante, che ha ricordato a tutti la necessità di combattere la violenza, dovunque si annidi». È però soprattutto dal mondo della destra religiosa che non smettono di arrivare attacchi a Benedetto XVI: Eli Yishai, il leader dello Shas, partito di governo, ha accusato ieri sera il Papa di «aver fallito nel contrastare i vecchi e nuovi negatori della Shoah».
Parole sconcertanti, che sono purtroppo figlie dei tanti veleni circolati sulla stampa israeliana alla vigilia di questa visita. Non solo su media estremisti, come quelli vicini al mondo dei coloni: anche un grande quotidiano popolare come «Yediot Ahronot» ha indugiato in maniera subdola sugli anni giovanili in Germania di Joseph Ratzinger.
Il tutto accompagnato dall’idea (altrettanto infondata) che la Chiesa cattolica voglia togliere qualcosa agli ebrei a Gerusalemme. Contro tutto questo Peres ieri ha detto parole importanti, spiegando come il Papa sia venuto in Israele da autentico «promotore di pace». La speranza è che oggi anche i giornali aiutino i loro lettori a capire chi è davvero l’uomo che in questi giorni hanno davanti.

© Copyright Avvenire, 12 maggio 2009


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YAD VASHEM LA VISITA

Il Papa sulla Shoah «Mai sia negata»

Commossa sosta al Memoriale dell’Olocausto degli ebrei: «Non vanno sminuite, né dimenticate quelle sofferenze»

DAL NOSTRO INVIATO A GERUSALEMME

SALVATORE MAZZA

Uno di quei luoghi in cui re sti come sospeso.
Che ti pe sano addosso e tolgono il fiato. Anche se ci entrassi ogni gior no, tutti i giorni.
Uno di questi luo ghi in cui davvero è difficile com prendere le misteriose e imper scrutabili vie del Signore. L’ingle se scheggiato con cui pronuncia il suo discorso rivela il peso che an che il Papa si sente addosso, il suo fiato corto.
Un’emozione infinita. «So che lei è nato in Germania, ma per me lei è un essere umano co me me, la ringrazio di essere qui » , gli dice Ed Mosberg, l’ultimo dei sopravvissuti all’Olocausto cui stringe la mano. Forse ha letto tut to di quell’emozione, nei suoi oc chi commossi. Il Papa gli stringe a lungo le mani, mormorando qual cosa che nessuno raccoglie.
Allo Yad Vashem, il memoriale del la Shoah, Benedetto XVI entra nel suo primo pomeriggio a Gerusa lemme.
Al suo arrivo in Israele, e dopo nella visita al presidente Shi- mon Peres, che adesso lo accom pagna nella Sala della rimem branza, ha già detto tutto quel che sentiva di dover dire. E quello che i suoi ospiti si aspettavano di udi re. Qui, al mausoleo, onora le vit time. I loro nomi che non devono « perire mai » , e le cui sofferenze non dovranno « mai essere negate, sminuite, dimenticate» .
E in questo, quei nomi, sembra chiamarli a uno a uno, intermina bile processione di dolore genera ti da un odio nero come la pietra del pavimento su cui sono scolpi ti i mostri da quell’odio generati, che quei nomi hanno divorato: Ba bi Yar, Ponery, Transnistria, We­sterbork, Ravensbrueck, Buchen vald, Dachau, Therensienstadt, Stutthof, Klooga, Sobibor, Tre blinka, Belzes, Chelmno, Au schwitz, Bergen- Belsen, Janosw ska, Majdanek, Mathausen, Jase novac, Drancy, Breendonck. Mo stri che hanno schiantato vite, so gni, speranze, attese. Ma, ricorda il Papa, non sono riusciti a cancella re quei nomi che «custoditi in que sto venerato monumento avran­no per sempre un posto sacro fra gli innumerevoli discendenti di A braham » . Comincia in ritardo, la cerimonia allo Yad Vashem. E accumulerà al tro ritardo. Il Papa non se ne cura. Dopo aver deposto i suoi fiori bianchi e gialli, si sofferma a salu tare sei sopravvissuti e un ' giusto delle nazioni': Ivan Vranetic, che salvò un gruppo di ebrei in Croa zia, Israela Hargil, salvata da una famiglia di cattolici polacchi, A vraham Ashkenazi, aiutato dai gre ci ortodossi, Gita Calderon, so pravvissuta al campo di sterminio, Dan Landsberg, nascosto a tre an ni sotto la gonna di suor Gertruda mentre lei accompagnava i nazi sti che perquisivano il convento al la ricerca di bambini ebrei, Ruth Blondy, scampata a Bergen- Bel sen, ed Edward Mosberg.
«Cari amici – termina il suo di scorso – sono profondamente gra to a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricor dare, un silenzio per sperare » . La voce, adesso, appena si sente.

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Benedetto XVI° è chiarissimo: ''alleanza indissolubile con gli ebrei'', con i musulmani, invece nessuna ''alleanza'', ma un intenso, partecipato ''dialogo''

Se in Europa esistesse ancora un dibattito culturale serio, se soprattutto la sinistra non fosse prigioniera -anche nelle sue componenti moderate- di schemi obsoleti e settari, il pontificato di Benedetto XVI° verrebbe salutato con gioia e entusiasmo. Non è così, ed è ormai un luogo comune contrapporre il misticismo mediatico di Papa Woytyla, alla ''fredda restaurazione'' di cui si incolpa -a torto- il papa teologo.
Ma non è così e lo si vede bene in queste ore, a Gerusalemme, là dove papa Ratzinger ha marcato ancora una volta quella che fu già la ''svolta'' del papa polacco nei confronti dell'ebraismo (che il pontefice tedesco allora ispirò). La ''alleanza indissolubile'' con l'ebraismo da lui ribadita, è più importante di ogni autocritica sulle responsabiolità antisemite della Chiesa (ed è incredibile che tanti rabbini non lo vogliano capire e speculino sulle parole, settariamente).
''Alleanza indissolubile'' vuol dire riconoscere che l'alveo messianico delle due religioni è lo stesso, che non è possibile nessun cedimento dogmatico o teologico dell'una verso l'altra, ma che ebraismo e cristianesimo non possono vivere e operare se non l'uno a fianco dell'altro.
Questa alleanza -questa è la novità rivoluzionaria- secondo ratzinger non è ipotizzabile con l'Islam, che è ''altro'', rispetto alla tradizione giudaico cristiana, anche se pretende di esserne la continuità. Questo è il punto. Nel momento stesso in cui riconosce l'alvo comune tra cristiani ed ebrei, il papa lo nega neio confronti dei muslmani che invece -basta leggere il Corano superficialmente per comprenderlo- si pretende la ''vera continuazione'' di quella tradizione.
L'Islam, dunque, a differenza dell'ebraismo è ''altro'' dal cristianesimo. Un altro con cui dialogare, ovviamente, con amicizia e apertura di mente e di cuore, senza alcun pregiudizio, con amore.
Ma solo ''dialogare'', non ''alleandosi''.
Una stupenda chiarezza dottrinale che peraltro ha evidenti ricadute politiche implicite. Perché Israele, e il papa lo ha testimoniato, è lo Stato delgi ebrei con la cui religione continuare ''alleanza'' e questo, da questa visita in poi, muterà molte cose, lentamente, molto lentamente, anche nella diplomazia vaticana.

Carlo Pannella


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Sondaggio tedesco

Lei condivide le critiche di Israele al discorso del Papa al Jad Vashem Holocaust Memorial?

Sì, il Papa avrebbe dovuto dire che i responsabili erano i nazisti. (11%)

No, non sono d'accordo con le critiche, perché Benedetto è andato al Jad Vashem come leader dei cattolici di tutto il mondo. In quanto tale, egli ci ha parlato. (86%)

Non ho ancora un parere. (3%)

ORIGINALE TEDESCO

Teilen Sie die in Israel geübte Kritik an der Rede des Papstes in der Holocaust-Gedenkstätte Jad Vaschem?

11% Ja, der Papst hätte Mitgefühl zeigen und die Nazis als Täter nennen müssen.

86% Nein, ich teile die Kritik nicht, denn Benedikt kam als Oberhaupt aller Katholiken weltweit nach Jad Vaschem. Als solcher hat er dort gesprochen.

3% Ich habe mir noch keine Meinung gebildet.


Da Die Welt


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PAPA, PELLEGRINO DI PACE, SCALZO E INCOMPRESO DAI MEDIA

(AGI) - Gerusalemme, 12 mag.

(dell'inviato Salvatore Izzo)

"Pace per la Terra Santa e per l'umanita'".
E' questa l'invocazione che Benedetto XVI ha rivolto all'Unico Dio nella sua preghiera silenziosa davanti al Muro del Pianto di Gerusalemme, dopo essere entrato scalzo nella Cupola della Roccia sulla limitrofa spianata delle Moschee.
L'ha scritta lui stesso sul foglietto infilato in una fessura tra le antiche pietre, come aveva fatto nel 2000 Giovanni Paolo II e come fanno ogni giorno tanti ebrei.
"Dio di tutti i tempi - si legge nel biglietto autografo - nella mia visita a Gerusalemme, la Citta' della pace, casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani, porto di fronte a te le gioie, le speranze e le aspirazioni, le prove, le sofferenze e i disagi di tutti i tuoi popoli dovunque nel mondo. Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati.
Manda la pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente e su tutta la famiglia umana.
Smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome affinche camminino umilmente nel sentiero di giustizia e compassione". Nel foglietto e' citata un'altra frase del libro biblico delle Lamentazioni "Il Signore e' buono con coloro che lo attendono, con gli animi che lo cercano".
Anche ieri il Papa si era ispirato a questo testo nel lasciare un pensiero sul libro d'onore dello Yad Vashem, una visita che ha diviso l'opinione pubblica israeliana.
Al suo arrivo all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, per la prima volta un Papa aveva parlato esplicitamente di sei milioni di vittime e poi al memoriale aveva ripetuto la piu' ferma condanna di ogni negazionismo, ricordando con commozione come quei milioni di morti avessero ricevuto da padre e madri un nome che non si potra' mai cancellare.
Ma oggi i commenti sono nettamente discordi: da una parte i giornali che sottolineano solo le critiche di alcuni esponenti gia' contrari in partenza alla visita del Pontefice, dall'altra le televisioni che hanno dato piu' spazio ai commenti della gente, il piu' delle volte favorevolmente impressionata dai primi momenti del pellegrinaggio del Papa.
E in positivo ha parlato anche Noah Frug, presidente dei comitati dei sopravvissuti all'Olocausto, che ha definito "esagerate" le condanne del discorso al Yad Vashem. "Il Papa non e' presidente di una organizzazione sionista, quindi perche' lo critichiamo?", si e' chiesto, ricordando che Benedetto XVI "e' venuto in Israele per avvicinare la Chiesa all'Ebraismo e dobbiamo considerare la sua visita positiva ed importante".
Parole molto chiare che pero' "Haaretz", quotidiano ritenuto autorevole in materia perche' nei mesi scorsi annuncio' per primo il viaggio del Papa in Israele, ignora nel titolo sprezzante di oggi: "I sopravvissuti irritati dal discorso tiepido di Benedetto".
E sui media non sono mancate addirittura le calunnie tanto che il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, e' stato costretto a precisare che Joseph Ratzinger, arruolato di forza a 16 anni nella contraerea tedesca, "non ha mai fatto parte della fanatica Gioventu' Hitleriana".
Forse domani andra' nello stesso modo, ma e' certo che il Papa anche oggi ha compiuto passi inequivocabili verso l'ebraismo, al Muro del Pianto e anche nel successivo incontro con i rabbini capo, il sefardita Shlomo Amar e l'ashknazita Yona Metzger. "La Chiesa Cattolica - ha detto - e' irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra cristiani ed ebrei".
E, fedelmente alla Dichiarazione Nostra Aetate, "continua a valorizzare il patrimonio spirituale comune a cristiani ed ebrei e desidera una sempre piu' profonda mutua comprensione e stima tanto mediante gli studi biblici e teologici quanto mediante i dialoghi fraterni". Ricordando che "la fiducia e' innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo", ha anche espresso l'auspicio che l'amicizia che ormai li lega al Papa "continui a porsi come esempio di fiducia nel dialogo per gli ebrei e i cristiani di tutto il mondo".
"Guardando ai risultati finora raggiunti e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture - ha detto il Pontefice nel suo discorso - possiamo con fiducia puntare a una sempre piu' convinta cooperazione fra le nostre comunita', insieme con tutte le persone di buona volonta', nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo".
"Un clima piuttosto sereno" ha caratterizzato la visita compiuta oggi da Papa Ratzinger sull'immensa spianata delle Moschee, ha raccontato ai giornalisti padre Lombardi.
"Il Papa - ha riferito - e' stato accolto all'ingresso della Cupola della Roccia, si e' tolto le scarpe come e' abituale in questi luoghi musulmani di culto, e' entrato e, accompagnato dal Gran Mufti' e da un altro dignitario e da alcuni loro collaboratori, gli e' stata data un'ampia spiegazione della moschea e del suo significato anche spirituale, per tutti i musulmani del mondo".
Il portavoce vaticano ha commentato anche l'episodio di ieri sera al Pontificio Istituto Notre Dame dove, alla presenza del Papa, un esponente islamico ha pronunciato pesanti critiche contro
Israele. "E' stato - ha detto Lombardi - un incidente spiacevole che ha turbato il clima dell'incontro di ieri sera e noi, come dicevo, speriamo che non turbi, in seguito, i rapporti interreligiosi nella Terra Santa che sono difficili. Gli incontri di questi giorni fanno capire come effettivamente fare un cammino di comprensione mutua fra le diverse religioni, qui, costruire veramente la pace, e' molto difficile".
Secondo Lombardi, "il Papa da' un esempio di pazienza, di ascolto, di invito fiducioso ad atteggiamenti dello spirito che possano costruire la via alla pace. Speriamo - ha concluso -che venga ascoltato".
Nel pomeriggio, migliaia di cristiani arrivati anche da altre citta' hanno manifestato grande entusiasmo al passaggio del Pontefice che li salutava dalla papamobile con cenni delle mani. Il Papa ha voluto che fossero aperti i vetri blindati per avere un contatto piu' diretto con la folla. Sulla papamobile c'era anche il segretario, don Georg.
E applausi hanno interrotto piu' volte l'omelia della messa celebrata nella Valle di Josephat, il luogo nel quale secondo la Bibbia si terra' il Giudizio Universale. Oggi era gremita di fedeli - certamente piu' dei sei mila attesi - e il Papa e' rimasto colpito dal grande calore dimostratogli nonostante le difficili condizioni nelle quali la comunita' cristiana sopravvive nei Luoghi Santi, dove piu' volte ieri e oggi il Pontefice ha chiesto ai fedeli di restare. Nella mattinata invece il Papa aveva visitato il primo dei santuari cristiani della Terra Santa inseriti nel suo programma: il Cenacolo.
I francescani - per bocca del Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa - gli hanno ricordato che benche' esso sia presente in molte delle pagine piu' importanti del Vangelo (l'istituzione dell'Eucaristia, la lavanda dei piedi, la visita del Cristo risorto che entra e dice 'pace a voi', l'attesa in preghiera con Maria e poi la discesa dello Spirito Santo) e proprio qui sia sorto il primo Convento concesso ne 1333 ai frati "con grandi spese e lunghe trattative", come ricorda la bolla papale dell'epoca, e' rimasta lettera morta la promessa del Governo Israeliano che al termine della visita di Giovanni Paolo II nel 2000 si era impegnato a restituirlo. La questione si e' impantanata insieme alle trattative per l'accordo fiscale ede economico tra Israele e la Chiesa Cattolica che sollecita un trattamento che non penalizzi le opere sociali da essa svolte nel campo dell'educazione e dell'assistenza socio-sanitaria, che sono aperte a tutta la popolazione.

© Copyright (AGI)


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Il Papa denuncia l`orrore dell`Olocausto Benedetto XVI ricorda «sei milioni» di vittime.

Tensione all`incontro interreligioso

Gian Guido Vecchi

DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME

Il Papa li saluta a uno a uno e c`è una sopravvissuta ad Auschwitz che trattiene le mani di Benedetto XVI più degli altri sei compagni, Gita Kalderon riprende a parlare in modo convulso, come si fa a raccontare in pochi secondi la propria storia, quella storia, e come avrebbe potuto pensare che un giorno l`avrebbe narrata a un Papa nato in Germania, allo Yad Vashem, nella Sala del ricordo della Shoah.
Solo che la signora parla un ladino sefardita spagnolo, «faccia sì che il popolo ebraico sia amato», capire è difficile ma non importa, poche volte Benedetto XVI è apparso così commosso: torna al suo posto, la fiamma perenne illumina i nomi dei lager sul pavimento nero e quando lo speaker ne annuncia l`intervento il pontefice è così assorto che non se ne accorge, il presidente israeliano Shimon Peres lo avverte sfiorandogli il braccio.
Così la voce di Benedetto XVI quasi s`incrina mentre ricorda i «milioni di ebrei» («sei milioni», aveva già scandito all`aeroporto) uccisi «nell`orrenda tragedia della Shoah» e sillaba: «Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate!
Mai più un simile orrore possa disonorare ancora l`umanità!».
Il primo giorno del Papa in Israele è il più delicato, Benedetto XVI dispiega in poche ore i temi fondamentali della sua visita. All`aeroporto, davanti a Peres e al premier Netanyahu, parla delle «speranze» legate «all`esito dei negoziati tra israeliani e palestinesi» e alza lo sguardo: «Supplico quanti sono investiti di responsabilità a esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all`interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti».
Di lì a poco denuncia «l`antisemitismo che continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo» ed esorta a «combatterlo ovunque si trovi» perché «totalmente inaccettabile».
Al Museo della Shoah cita Isaia, «darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato» - il significato di Yad («memoriale») e Shem («nome») - e spiega che le vittime «hanno perso la vita ma non perderanno mai i loro nomi, incisi in modo indelebile nella memdria di Dio».
Avner Shalev, presidente del Museo, parla di una visita «positiva», salvo aggiungere che «il Papa non ha nominato direttamente i persecutori: i nazisti tedeschi». Peres si è detto «grato» e lo ha accolto a casa.
Oggi il Papa andrà al Muro del pianto e nella Spianata delle moschee.
Ma il dialogo «trilaterale» è arduo. L`incontro interreligioso della sera si è interrotto quando lo sceicco Taysir al-Tamimi ha preso il microfono e inveito contro Israele e «i suoi crimini», mentre molti rabbini lasciavano la sala e il patriarca Twal cercava di fermarlo.
Parlava in arabo e Benedetto XVI guardava senza capire, desolato e contrariato quando gli hanno spiegato. «Una vergogna che ferisce soprattutto il Papa» protesta il governo israeliano.
E il gran rabbinato: «O lo sceicco esce dal comitato interreligioso o usciamo noi».
Il più irritato è il Vaticano, «un intervento non previsto che è la negazione del dialogo», fa sapere il portavoce, padre Federico Lombardi: «Ci si augura che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni».

© Copyright Corriere della sera, 12 maggio 2009


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Terra Santa, il Pontefice anticonformista conquista i cuori

Da Gerusalemme

Giacomo Galeazzi*

A Gerusalemme, come ad Amman, si estendono le espressioni di totale condivisione verso l’impostazione “onesta, coraggiosa e anticonformista” che il Papa imprime coerentemente ad ogni sua apparizione pubblica o colloquio riservato. E’ una linea di chiarezza che sta facendo breccia nei cuori dei più diversi interlocutori, ed è merito di un pensiero forte, limpido, dialetticamente aperto al confronto, a partire da saldi convincimenti.
Tutte doti che in un contesto contemporaneo spesso troppo “politically correct” sono destinate a lasciare il segno. Per capirlo basta un’occhiata all’entusiasmo sincero suscitato da Benedetto XVI in tutte le tappe della sua visita apostolica in Terra Santa.
Il Pontefice ha "apprezzato le iniziative politiche lungimiranti della Giordania". Il re Abdallah si è impegnato a collaborare a una nuova stesura del piano saudita, convinto che se non si arriverà a uno Stato palestinese entro il 2009, le forze estremiste e violente avranno il sopravvento. A Gerusalemme, il Santo Padre ha avuto un colloquio con i familiari di Gilad Shalit, il giovane soldato rapito oltre tre anni fa da militanti palestinesi in territorio israeliano e da allora tenuto prigioniero a Gaza. Intanto i cristiani palestinesi che vivono nella Striscia hanno ottenuto, dopo giorni di polemiche, il permesso dalle autorità israeliane per recarsi alla Messa papale di Betlemme. Sui muri di Nazareth, però, sono comparsi poster contro l'arrivo del Pontefice, e lo sheikh Maqam Shahabiddine, Imam della moschea, che si trova proprio accanto alla Chiesa dell’Annunciazione, ha incitato i musulmani a sbarrare al successore di Pietro la strada verso la spianata delle moschee perché "ha sferrato una crociata contro l’Islam, ha benedetto gli americani che stanno uccidendo i nostri fratelli musulmani in Iraq e Afghanistan e ha stretto un’alleanza con i macellai di Gaza quando il sangue palestinese è ancora fresco”.
Il tutto, con un "fuori programma" serale all'auditorium "Notre Dame". Durante la visita del Pontefice, un esponente musulmano ha preso la parola e, in arabo, ha a lungo e con enfasi arringato contro Israele. Gli esponenti ebraici presenti hanno cercato di abbandonare l'aula in segno di protesta e almeno un paio ci sono riusciti, mentre il patriarca latino di Gerusalemme, Monsignor Fouad Twal, cercava di placare gli animi.
La riunione è stata interrotta. Il Papa, che aveva già tenuto il suo discorso, non essendoci traduzione dall'arabo, non ha compreso le parole dell'ospite islamico e ha seguito con un certo stupore l'evolversi dell'imbarazzante situazione.
Intanto, in una Gerusalemme blindata da 80mila soldati e poliziotti, Benedetto XVI lancia un accorato appello ai popoli che si contendono la Terra Santa ("Salvate i vostri figli dalla violenza") e un monito di "compassione" che chiude la bufera provocata quattro mesi fa dal reintegro nella Chiesa del vescovo negazionista Richard Williamson ("La Shoah è un'orrenda tragedia che non si deve mai negare, dimenticare o sminuire"). A "Yad Vashem", il Papa rende omaggio alla memoria dei "sei milioni di ebrei morti nei lager" e ammonisce: "Mai più un simile orrore disonori l'umanità". Visibilmente commosso, accende una fiamma, depone una corona di fiori, incontra alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio.
Il ricordo delle "sofferenze" delle vittime dell'Olocausto, avverte Benedetto XVI, "non deve mai perire e tutti devono vigilare per sradicare dal cuore dell'uomo le cause di tragedie come questa". Se durante il viaggio negli Usa il Pontefice aveva descritto la sua giovinezza rovinata dal nazismo, in queste ore ha aggiunto che "si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto, ma non si può mai portare via il ‘nome’ di un altro essere umano”. La Chiesa, assicura quindi il Santo Padre, “si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione”. Il presidente dello "Yad Vashem" definisce la giornata "positiva e molto importante, anche se il Papa non ha nominato personalmente i persecutori, cioé i nazisti tedeschi". Ma sulla pace in Medio Oriente, Benedetto XVI raccomanda "ogni via per i negoziati", pianta un ulivo con il presidente Shimon Peres, invoca dai leader mediorentali una "soluzione giusta" al conflitto israelo-palestinese, perché "dall'esito delle trattative dipendono le speranze di un futuro più sicuro e stabile". Davanti a Peres, al premier Netanyahu e a gran parte del Governo, il Pontefice chiede, poi, che "ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all'interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti". Insomma, una terra per due Stati indipendenti e garantiti "nella giustizia e nella sicurezza". Peres gli risponde che "benché le divisioni siano tenaci, i popoli della regione sono stanchi delle guerre". Di sicuro, per farsi pellegrino di pace, il Papa affronta la Terra Santa in una fase particolarmente delicata, dopo l'operazione "Piombo fuso" su Gaza e l'insediamento in Israele di un governo sbilanciato a destra.

Giornalista, vaticanista de ‘La Stampa’


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Gerusalemme sia la città della pace non della discriminazione e della violenza! Così il Papa alla Messa nella Valle di Giosafat


“Nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede”. È quanto ha detto il Papa nella Santa Messa presieduta nella Josafat Valley a Gerusalemme. Benedetto XVI è tornato a parlare dell’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa definita “un grande impoverimento culturale e spirituale”. “Trovandomi qui davanti a voi oggi – ha detto - desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre”. Bisogna davvero rendere Gerusalemme una “città della pace” ha aggiunto: “Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati”.


[Radio Vaticana]



Il Papa chiede di evitare l'esodo dei cristiani dalla Terra Santa
La Messa nella Valle di Giosafat diventa un forte gesto di sostegno



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- La Messa che Benedetto XVI ha celebrato questo martedì pomeriggio nella Valle di Giosafat si è trasformata in una manifestazione di sostegno della Chiesa universale ai cattolici sofferenti di Terra Santa e in una richiesta alle autorità perché pongano le condizioni per evitarne l'esodo.

Per la prima volta nella storia, un Papa ha celebrato una Messa all'aperto a Gerusalemme con la partecipazione di circa 6.000 fedeli. Il luogo non poteva essere più suggestivo: l'Orto degli Ulivi, in cui Gesù agonizzò prima della morte.

"Desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e - Dio non lo permetta - possono ancora conoscere", ha detto il Pontefice.

Il Patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, all'inizio della Messa ha descritto la situazione in cui vivono i cattolici di Terra Santa.

"Assistiamo da un lato all'agonia del popolo palestinese, che sogna di vivere in uno Stato palestinese libero e indipendente, ma non ci riesce - ha affermato il Patriarca -; e assistiamo dall'altro lato all'agonia di un popolo israeliano che sogna una vita normale in pace e sicurezza ma, nonostante la potenzia mediatica e militare, non le ottiene".

Il Papa ha auspicato "che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre".

"Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa".

Benedetto XVI ha rivolto un energico appello perché si eviti la migrazione dei cristiani di Terra Santa. Secondo dati della Custodia di Terra Santa, nel 1946, due anni prima della fondazione dello Stato di Israele, la comunità cristiana di Gerusalemme contava circa 31.000 membri, il 20% della popolazione. Oggi i cristiani rappresentano il 2% della popolazione, sono circa 14.000, compresi religiosi e i sacerdoti stranieri.

"Vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà - che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa Città e questa terra - della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città", ha osservato.

Il Papa ha ribadito un messaggio che aveva già espresso in passato: "Nella Terra Santa c'è posto per tutti!".

"Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell'amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede", ha constatato.

Amnon Ramon, dell'Istituto di Gerusalemme per gli Studi di Israele, autore di vasti studi sulle comunità cristiane del Paese, sostiene che la comunità cattolica (a Gerusalemme) è la più numerosa con circa 4.500 membri; i greci ortodossi sono 3.500, gli armeni 1.500. I protestanti, delle varie denominazioni, sono 850, i siriano-copti 250, gli etiopi 60.

La Messa è stata celebrata in varie lingue, soprattutto in latino e in arabo. Nella preghiera dei fedeli si è pregato in ebraico, francese, spagnolo, inglese e italiano.

Il messaggio lasciato dal Papa nella sua omelia, applaudita fin dal primo istante, è stato innanzitutto di speranza.

"In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall'egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese", ha dichiarato.

Questo mercoledì il Pontefice si recherà nella città cisgiordana di Betlemme, dove celebrerà la Messa nella Piazza della Mangiatoia e visiterà la Grotta della Natività e il campo di rifugiati di Aida, venendo ricevuto dall'Autorità Nazionale Palestinese.





Il Papa: i cristiani di Terra Santa, promotori di pace e comunione
Visita al Cenacolo e alla Concattedrale latina di Gerusalemme

di Mirko Testa


GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- La missione affidata ai cristiani di Terra Santa è quella di essere promotori di pace e comunione, nell'impegno sociale come nella vita contemplativa.

E' questo il messaggio sottolineato da Benedetto XVI in due incontri successivi tenutisi questo martedì, nel Cenacolo per la preghiera del Regina Coeli con gli Ordinari di Terra Santa e durante la visita presso la chiesa "madre" della diocesi di Gerusalemme.

Lasciato il Centro "Hechal Shlomo", il Santo Padre si è recato nel luogo dove, secondo il Vangelo, Gesù apparve agli apostoli dopo la sua risurrezione e dove si ritrovano uniti in preghiera con Maria, quando discese su di loro lo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste.

Il Cenacolo è una ex moschea di proprietà dello Stato di Israele, visitabile come fosse un museo, anche perché nella parte inferiore del fabbricato si trova una tomba venerata dagli ebrei come la sepoltura di Davide.

Qui i francescani, già stabilititisi a Gerusalemme nel 1229, fondarono il primo convento nel 1335. In seguito, nel 1551, furono espulsi definitivamente dal Cenacolo dovendo lasciarlo ai musulmani. Ci ritorneranno, scegliendo un'abitazione non lontana dal Cenacolo, solo nel 1936.

Nel fare gli onori di casa il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, OFM, ha detto al Santo Padre: “Qui, proprio in questo luogo così semplice si è celebrata la Cena di Pasqua del Signore Gesù con gli Apostoli, prima della Passione, e ci richiama ogni volta l’istituzione dell’Eucaristia, ma anche il gesto di testimonianza del Signore e Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli, il comandamento nuovo, la promessa dello Spirito, e la sua grande preghiera”.

“Cenacolo è il timore che fa chiudere le porte agli Apostoli, e il Cristo risorto che entra e dice: Pace a voi. Cenacolo è l’attesa nella preghiera, con Maria, è lo Spirito che irrompe come vento gagliardo e la nascita della Chiesa, una e indivisa…”, ha continuato, denunciando poi lo stato di abbandono dell'edificio.

Prendendo la parola, Benedetto XVI ha ricordato che “la nostra vita come cristiani non è semplicemente uno sforzo umano di vivere le esigenze del Vangelo imposte a noi come doveri. Nell'Eucaristia noi siamo tirati dentro il mistero dell’amore divino”.

E “questo amore trasformante”, ha continuato il Santo Padre, “ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri”.

“L'invito alla comunione di mente e di cuore, così strettamente collegato col comandamento dell’amore e col centrale ruolo unificante dell'Eucaristia nelle nostre vite, è di speciale rilevanza nella Terra Santa”, ha poi aggiunto.

Infatti, “la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio”.

“Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa, la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva”, ha ricordato.

In conclusione, il Papa ha auspicato che i cristiani di Terra Santa possano continuare a “perseverare nella loro missione di promotori di comunione e di pace”.

Dopo il suo discorso e la recita della preghiera mariana del Regina Coeli, il Santo Padre ha raggiunto dapprima in auto il Patriarcato Latino di Gerusalemme per poi compiere una breve visita alla Concattedrale latina dedicata al Santissimo Nome di Gesù, alla presenza di circa 300 persone, tra cui alcune religiose contemplative.


Nell'accogliere il Papa in questo luogo, già onorato dalle visite di Paolo VI (6 gennaio 1964) e di Giovanni Paolo II (26 marzo 2000), il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, ha rivolto un breve saluto in francese.


Nelle sue parole, il Patriarca ha elogiato i tanti sacerdoti, seminaristi, religiosi, religiose e laici impegnati nei diversi ambiti del sociale, dall'insegnamento, all'assistenza ai poveri, ai malati e ai portatori di handicap, e che rappresentano “un tesoro inestimabile” in Terra Santa.

Una piccola Chiesa se si pensa che la comunità cattolica – la più numerosa – a Gerusalemme conta circa 4.500 membri, mentre i cristiani sono circa 14.000, compresi religiosi e i sacerdoti stranieri (il 2% della popolazione).

Dopo aver quindi ricordato il contributo dei cattolici al benessere comune, Sua Beatitudine Fouad Twal ha quindi sottolineato che “la presenza di preghiera e di contemplazione non è meno preziosa”.


“Tra le molte congregazioni religiose presenti nel nostro patriarcato – ha spiegato -, riunite nell'Unione delle religiose di Terra Santa, una quindicina hanno una vocazione esclusivamente contemplativa. Questi fratelli e sorelle sono le 'sentinelle dell'invisibile'”.

“Nel segreto della preghiera e di una vita tutta offerta, invisibilmente portano sulle loro braccia la nostra Chiesa e la Terra Santa tutta intera – ha detto –. Essi intercedono per la missione e l'unità della Chiesa, e per la riconciliazione tra i popoli e le religioni”.

A questo proposito, nel suo discorso, il Papa ha sottolineato che da sempre a sostenere l'opera di evangelizzazione della Chiesa sono state “le preghiere di coloro la cui vocazione, secondo le parole di Santa Teresa di Lisieux, è di essere 'l’amore profondo nel cuore della Chiesa'".

Per questo ha espresso il proprio “apprezzamento per l’apostolato nascosto delle persone di vita contemplativa”: “con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di 'pregare per la pace di Gerusalemme', di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione”.




La Chiesa continua il cammino di riconciliazione fra cristiani ed ebrei
Visita del Papa al Muro del Pianto e alla sede del Gran Rabbinato d'Israele

di Mirko Testa


GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- Nel secondo giorno della sua visita a Gerusalemme, Benedetto XVI ha voluto sottolineare con le parole e i gesti simbolici il comune patrimonio spirituale di ebrei e cristiani, ribadendo l'intenzione della Chiesa di proseguire il cammino di riconciliazione avviato con il Concilio Vaticano II.

Seguendo le orme del suo predecessore, Giovanni Paolo II, il Papa tedesco ha visitato il Muro Occidentale, chiamato anche Muro del Pianto o "Muro al-Buraq" (dai musulmani), il muro di cinta risalente all'epoca del primo Tempio di Gerusalemme (il Tempio di Salomone), costruito nel X secolo a.C. e distrutto dai babilonesi nel 586 a.C.

Giunto in questo luogo, il Papa ha trovato ad accoglierlo Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Muro Occidentale e dei Luoghi Sacri d'Israele, che ha detto: “Le pietre del Muro Occidentale recano testimonianza del glorioso passato del popolo ebraico, stillando in esso la forza di resistere alle avversità e alla persecuzione”.

“Proprio come queste pietre sono sopravvissute ad eventi difficili – ha aggiunto –, così il popolo ebraico ha patito le persecuzioni e le torture, rimanendo un popolo eterno e morale, ancora invitto. E' compito di ogni persona di fede assicurare che nessuno danno venga recato al popolo ebraico”.

Il Rabbino ha poi recitato in ebraico alcuni versi tratti dalla invocazione di Re Salomone per la dedicazione del Tempio di Gerusalemme (1Re 8), in cui il sovrano chiede che ogni supplica e preghiera elevata da un ebreo come da un non ebreo possa essere accolta nel Sacro Tempio.

Il Papa ha invece recitato in latino il Salmo 122 (121), l'Inno in onore di Gerusalemme, in cui si dice: "Gerusalemme, città ben costruita, raccolta entro le tue mura! A te salgono le tribù, le tribù del Signore. Qui Israele deve lodare il nome del Signore. Qui, nel palazzo di Davide, siedono i re a rendere giustizia. Pregate per la pace di Gerusalemme".

Successivamente, Benedetto XVI si è avvicinato al Muro del Pianto per appoggiare in una fenditura – come vuole la tradizione ebraica – una preghiera al Signore sostando poi in silenziosa preghiera.

Nel messaggio il Papa, rivolgendosi al “Dio di tutti i tempi”, supplica: “Ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati; manda la pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente, su tutta la famiglia umana”.

“Smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome, affinché camminino umilmente nel sentiero di giustizia e compassione”, si legge ancora nel testo.

Il messaggio si chiude poi con una verso tratta dai poemetti delle Lamentazioni, che descrivono la situazione di Gerusalemme, dopo la sua distruzione nel 587 a.C., pur aprendosi alla speranza in Dio: “Buono è il Signore con chi spera in Lui, con colui che lo cerca”.

Gran Rabbinato d'Israele

Più tardi, Benedetto XVI si è quindi recato in auto al Centro "Hechal Shlomo", sede del Gran Rabbinato a Gerusalemme per la visita di cortesia ai due Rabbini Capo di Israele: il Gran Rabbino askenazita Yona Metzger e il Gran Rabbino sefardita Shlomo Amar.

Il suo nome, “Hechal Shlomo”, in ebraico significa “Residenza di Salomone”, e infatti ricorda per la sua imponente struttura il Tempio di Salomone. Il Gran Rabbinato di Israele è l'organo religioso supremo ebraico dello Stato di Israele.

La sinagoga che c’è all’interno dell’edificio custodisce inoltre un'Arca dell'Alleanza traslata da Padova.

Nel prendere la parola il Rabbino Capo sefardita Shlomo Amar ha detto: "Lei rappresenta una vasta nazione di fedeli che conosce che cos'è la Bibbia, ed è suo compito far giungere il messaggio che il popolo ebraico merita una rinascita e un po' di rispetto per poter vivere in questa terra”.

Il Gran Rabbino askenazita Yona Metzger, dal canto suo, ha poi aggiunto: "Mi sono detto che se solo un evento storico come questo, in cui il Capo della più grande religione al mondo si fosse incontrato a Gerusalemme con i Capi dell'Ebraismo, e se solo questo fosse accaduto molti anni prima, tanto sangue innocente sarebbe stato risparmiato”.

Nel prendere successivamente la parola il Santo Padre ha espresso la propria gioia per i passi avanti nel dialogo compiuti dalla Chiesa Cattolica e dal Gran Rabbinato attraverso la Commissione bilaterale avviata a Gerusalemme nel 2002.

“Ebrei e cristiani – ha quindi detto – sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana”.

Parlando poi delle minacce attuali rappresentate dal “relativismo morale” e dalle “offese che esso genera contro la dignità della persona umana”, “le nostre due comunità – ha aggiunto – si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali”.

“Oggi – ha continuato – ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra cristiani ed ebrei”.

“Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità – insieme con tutte le persone di buona volontà – nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo”, ha poi concluso.





Benedetto XVI non ha mai fatto parte della Gioventù hitleriana
Il portavoce lamenta informazioni errate o lacune informative



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il portavoce della Santa Sede ha smentito che Benedetto XVI abbia fatto parte della "Hitlerjugend" (la Gioventù hitleriana), chiarendo alcune notizie pubblicate dai mezzi di informazione di Israele durante il suo pellegrinaggio.

P. Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha spiegato questo martedì durante una conferenza stampa a Gerusalemme: "Ho letto una cosa non vera: il Papa non è mai, mai stato nella Hitlerjugend, che era un corpo di volontari fanatici e ideologici".

Benedetto XVI "non ha niente a che fare con la violenza, è una persona gentile e umile, dolce. Non è mai stato contro gli ebrei", ha spiegato il portavoce.

Il sacerdote ha sottolineato che il Papa in quel momento "era un seminarista che studiava teologia e, all'età di 16 anni, è stato coscritto nei corpi ausiliari della contraerea, come tutte le persone della sua età. Nulla a che vedere con la Hitlerjugend e l'ideologia nazista".

Il portavoce ha anche risposto alle critiche apparse sulla stampa israeliana e internazionale contro il Papa per non aver menzionato nel suo discorso al Memoriale di Yad Vashem i milioni di morti nell'Olocausto o la sua origine tedesca.

P. Lombardi ha spiegato che il Pontefice non può ripetere gli stessi concetti in ogni discorso. "Ha scelto il tema della memoria e ha sviluppato la questione dei nomi. Non è che dovesse fare un trattato sull'Olocausto. Della Germania, del suo passato e del nazismo ha già parlato altre volte. La mattina, inoltre, aveva già detto che ci sono sei milioni di ebrei morti che non possiamo dimenticare, che c'è ancora l'antisemitismo".

P. Lombardi ha rivelato che il Papa non si offende quando i mezzi di comunicazione alterano le sue parole.

"Non è uno che reagisca in modo superficiale o immediato, è molto paziente e pronto ad ascoltare gli altri, ognuno può fare il suo discorso. Certo sente che non è stato capito, io sento lo stesso, ma sappiamo cosa è il mondo e quali sono gli atteggiamenti. Non si è sempre pronti a capire bene, a volte ci sono pregiudizi, e non tutti sono pronti a un atteggiamento di ascolto", ha concluso.

13/05/2009 07:37
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