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Viaggio apostolico in Camerun e Angola

Ultimo Aggiornamento: 02/05/2009 17:13
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19/03/2009 01:39
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Discorso del Papa nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé



YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì sera da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé, la celebrazione dei primi Vespri della Solennità di San Giuseppe con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi, i diaconi, i membri di movimenti ecclesiali e con i rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun.








* * *

Cari Fratelli Cardinali e Vescovi,

Cari Sacerdoti e Diaconi, cari fratelli e sorelle consacrati,

Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane,

Cari fratelli e sorelle!

Abbiamo la gioia di ritrovarci insieme per rendere grazie a Dio in questa basilica dedicata a Maria Regina degli Apostoli di Mvolyé, che è stata costruita sul luogo dove venne edificata la prima chiesa ad opera dei missionari spiritani, venuti a portare la Buona Novella in Camerun. Come l’ardore apostolico di questi uomini che racchiudevano nei loro cuori l’intero vostro Paese, questo luogo porta in se stesso simbolicamente ogni piccola parte della vostra terra. E’ perciò in una grande vicinanza spirituale con tutte le comunità cristiane nelle quali esercitate il vostro servizio, cari fratelli e sorelle, che rivolgiamo questa sera la nostra lode al Padre della luce.

Alla presenza dei rappresentanti delle altre Confessioni cristiane, a cui indirizzo il mio rispettoso e fraterno saluto, vi propongo di contemplare i tratti caratteristici di san Giuseppe attraverso le parole della Sacra Scrittura che ci offre questa liturgia vespertina.

Alla folla e ai suoi discepoli, Gesù dichiara: "Uno solo è il Padre vostro" (Mt 23,9). In effetti, non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore "del mondo visibile ed invisibile". E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare all’unica paternità di Dio (cfr Ef 3,15). San Giuseppe manifesta ciò in maniera sorprendente, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: "Servite il Signore che è Cristo!" (Col 3,24).

Si tratta di non essere un servitore mediocre, ma di essere un servitore "fedele e saggio". L’abbinamento dei due aggettivi non casuale: esso suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida.

Cari fratelli sacerdoti, questa paternità voi dovete viverla nel vostro ministero quotidiano. In effetti, la Costituzione conciliare Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti "abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento" (n. 28). Come allora non tornare continuamente alla radice del nostro sacerdozio, il Signore Gesù Cristo? La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere (cfr Gv15,15). Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore. Il sacerdozio ministeriale comporta un legame profondo con Cristo che ci è donato nell’Eucaristia. Che la celebrazione dell’Eucaristia sia veramente il centro della vostra vita sacerdotale, allora essa sarà anche il centro della vostra missione ecclesiale. In effetti, per tutta la nostra vita, il Cristo ci chiama a partecipare alla sua missione, a essere testimoni, affinché la sua Parola possa essere annunciata a tutti. Celebrando questo sacramento a nome e nella persona del Signore, non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a Cristo, poiché Cristo stesso si offre in sacrificio per la salvezza del mondo. "Chi governa sia come colui che serve" (Lc 22,26), dice Gesù. Ed Origene scriveva: "Giuseppe capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. Che ciascuno rifletta su questo: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che sembra comandargli. Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe" (Omelia su san Luca XX,5, S.C. p. 287).

Cari fratelli nel sacerdozio, il vostro ministero pastorale richiede molte rinunce, ma è anche sorgente di gioia. In relazione confidente con i vostri Vescovi, fraternamente uniti a tutto il presbiterio, e sostenuti dalla porzione del Popolo di Dio che vi è affidata, voi saprete rispondere con fedeltà alla chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare su Maria e sul Bambino Gesù! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro Vescovo e davanti all’assemblea. Il Successore di Pietro vi ringrazia per il vostro generoso impegno al servizio della Chiesa e vi incoraggia a non lasciarvi turbare dalle difficoltà del cammino! Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un "sì" generoso a Cristo!

Invito anche voi, fratelli e sorelle che vi siete impegnati nella vita consacrata o nei movimenti ecclesiali, a rivolgere lo sguardo a san Giuseppe. Quando Maria riceve la visita dell’angelo all’Annunciazione è già promessa sposa di Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe al mistero dell’Incarnazione. Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero che era in lei ed il mistero che era lei stessa. Egli l’ha amata con quel grande rispetto che è il sigillo dell’amore autentico. San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei. Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna ed in tanti altri modi!

Il contributo spirituale portato dalle persone consacrate è anch’esso assai significativo ed indispensabile per la vita della Chiesa. Questa chiamata a seguire Cristo è un dono per l’intero Popolo di Dio. In adesione alla vostra vocazione, imitando Cristo casto, povero ed obbediente, totalmente consacrato alla gloria del Padre suo e all’amore dei suoi fratelli e sorelle, voi avete per missione di testimoniare, davanti al nostro mondo che ne ha molto bisogno, il primato di Dio e dei beni futuri (cfr Vita consecrata, n.85). Con la vostra fedeltà senza riserve nei vostri impegni voi siete nella Chiesa un germe di vita che cresce al servizio del Regno di Dio. In ogni momento, ma in modo particolare quando la fedeltà è provata, san Giuseppe vi ricorda il senso e il valore dei vostri impegni. La vita consacrata è una imitazione radicale di Cristo. E’ quindi necessario che il vostro stile di vita esprima con precisione ciò che vi fa vivere e che la vostra attività non nasconda la vostra profonda identità. Non abbiate paura di vivere pienamente l’offerta di voi stessi che avete fatta a Dio e di darne testimonianza con autenticità attorno a voi. Un esempio vi stimola particolarmente a ricercare questa santità di vita, quello del Padre Simon Mpeke, chiamato Baba Simon. Voi sapete come "il missionario dai piedi nudi" ha speso tutte le forze del suo essere in una umiltà disinteressata, avendo a cuore di aiutare le anime, senza risparmiarsi le preoccupazioni e la pena del servizio materiale dei suoi fratelli.

Cari fratelli e sorelle, la nostra meditazione sull’itinerario umano e spirituale di san Giuseppe, ci invita a cogliere la misura di tutta la ricchezza della sua vocazione e del modello che egli resta per tutti quelli e quelle che hanno voluto votare la loro esistenza a Cristo, nel sacerdozio come nella vita consacrata o in diverse forme di impegno del laicato. Giuseppe ha infatti vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione. Non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore. Giuseppe ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza. In lui non c’è separazione tra fede e azione. La sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un "uomo giusto" (Mt 1,19) perché la sua esistenza è "aggiustata" sulla parola di Dio.

La vita di san Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa. Il suo esempio ci sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’. Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane, questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida. Essa ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre. In questo anno consacrato all’Apostolo Paolo, il grande annunciatore di Gesù Cristo, l’Apostolo delle Nazioni, rivolgiamoci insieme a lui per ascoltare e apprendere "la fede e la verità" nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo.

Terminando, rivolgiamoci alla sposa di san Giuseppe, la Vergine Maria, "Regina degli Apostoli", perché questo è il titolo con il quale ella è invocata come patrona del Camerun. A lei affido la consacrazione di ciascuno e di ciascuna di voi, il vostro desiderio di rispondere più fedelmente alla chiamata che vi è stata fatta e alla missione che vi è stata affidata. Invoco infine la sua intercessione per il vostro bel Paese. Amen.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]







Benedetto XVI: San Giuseppe, modello di amore senza possesso


Per i Vespri nella Basilica “Marie Reine des Apôtres” di Yaoundé





YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- “San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere” e resta il modello per tutti coloro che vogliono “votare la loro esistenza a Cristo”.

E' quanto ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì sera, presiedendo nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé la celebrazione dei primi Vespri della Solennità di San Giuseppe con Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, diaconi, membri di movimenti ecclesiali e rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun.

San Giuseppe, ha ricordato, “ha vissuto alla luce del mistero dell'Incarnazione” e “non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore”.

Per questo, “ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza”.

“In lui non c’è separazione tra fede e azione”, ha riconosciuto il Papa, perché “la sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni”.

“Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un 'uomo giusto' perché la sua esistenza è 'aggiustata' sulla parola di Dio”.

Pur non essendo il padre biologico di Gesù, San Giuseppe esercita “una paternità piena e intera”.

Essere padre, ha spiegato il Pontefice, “è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita”, e in questo senso ha dato prova “di una grande dedizione”.

“Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio”, ha ricordato, sottolineando che “la sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo”.

“Si tratta di non essere un servitore mediocre – ha aggiunto –, ma di essere un servitore 'fedele e saggio'”.

Il Papa ha spiegato che l’abbinamento dei due aggettivi non è casuale, perché “suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida”.

“San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei”.

Gesù Cristo, “radice” del sacerdozio

Benedetto XVI ha invitato i sacerdoti a vivere la paternità espressa da Giuseppe nel loro ministero quotidiano, ribadendo che la “radice” del sacerdozio è Gesù Cristo.

“La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere”, ha affermato.

“Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore”.

Il Pontefice ha quindi auspicato che la celebrazione dell'Eucaristia, nella quale Cristo ci viene donato, sia il centro della vita sacerdotale, diventando quindi anche quello della missione ecclesiale.

Accanto a questo, ha invitato i presbiteri a coltivare una “relazione confidente” con i loro Vescovi, esortandoli a “rispondere con fedeltà alla chiamata” del Signore e a non lasciarsi turbare “dalle difficoltà del cammino”.

“Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un 'sì' generoso a Cristo!”, ha esclamato.

San Giuseppe, uomo ecumenico

Benedetto XVI ha quindi ricordato che la vita di San Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, “è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa”.

Il suo esempio, infatti, “sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’”.

“Questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida”, ha riconosciuto il Papa parlando ai “cari amici membri delle altre confessioni cristiane”.

Questa sfida “ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre”.

Nell'Anno Paolino, il Pontefice ha quindi invitato a rivolgersi all'“Apostolo delle Nazioni” “per ascoltare e apprendere la fede e la verità nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo”.






Il Papa ai Vescovi del Camerun: evangelizzazione e riconciliazione


Durante la Messa con l'episcopato presso la chiesa di Cristo Re a Yaoundé





YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Nel suo secondo giorno in Camerun, durante un incontro tenutosi presso la chiesa di Cristo Re a Yaoundé, Benedetto XVI ha rivolto un forte invito ai Vescovi a lavorare intensamente per annunciare il Vangelo e superare i particolarismi delle diverse etnie.

Nel contesto attuale della globalizzazione, ha detto infatti il Papa, “la missione del Vescovo lo impegna ad essere il principale difensore dei diritti dei poveri, a promuovere e favorire l'esercizio della carità, manifestazione dell’amore del Signore per i piccoli”.

“In questo modo – ha aggiunto –, i fedeli sono portati a cogliere in modo concreto che la Chiesa è una vera famiglia di Dio, riunita dall’amore fraterno, che esclude ogni etnocentrismo e particolarismo eccessivi e contribuisce alla riconciliazione e alla cooperazione tra le etnie per il bene di tutti”.

Nel suo discorso di benvenuto al Papa, poco prima, il Presidente della Conferenza episcopale del Camerun, l'Acivescovo di Yaoundé, monsignor Simon-Victor Tonyé Bakot, si era detto cosciente che “la riconciliazione, la giustizia e la pace non cadono dal cielo come la manna”.

“Occorre ricercarle assiduamente presso colui che può concederle, cioè Dio stesso, ascoltando la sua voce, obbedendo ai suoi comandi”, aveva afferamto.

In particolare, il presule aveva evidenziato come non basti “guidare il popolo e metterlo al lavoro; bisogna che il Vescovo stesso si metta all'opera, che evangelizzi prima ancora di organizzare l'evangelizzazione nella sua diocesi”.

E proprio sull'annuncio del Vangelo, ha posto l'accento il Papa nell'esortare la Chiesa del Camerun a guardare al modello di San Paolo, in quest’anno giubilare dedicato all’Apostolo delle Genti. Il Vescovo – ha detto il Papa – è infatti il “catechista per eccellenza”, e il suo compito è di “confermare e purificare” la fede delle anime che gli sono state affidate.

Per fare ciò, Benedetto XVI ha sottolineato la necessità di una profonda unione tra i Pastori e una solidarietà apostolica che coinvolga catechisti e sacerdoti.

Non è mancato poi un invito a rivolgere particolare attenzione ai giovani che si avvicinano al sacerdozio: “E’ essenziale che sia fatto un serio discernimento. A tal fine, vi incoraggio, nonostante le difficoltà organizzative a livello pastorale che talvolta possono sorgere, a dare priorità alla selezione e alla formazione dei formatori e dei direttori spirituali”.

“Essi – ha continuato – devono avere una conoscenza personale e approfondita dei candidati al sacerdozio ed essere in grado di garantire loro una formazione umana, spirituale e pastorale solida che faccia di loro degli uomini maturi ed equilibrati, ben preparati per la vita sacerdotale”.

E poi l’esortazione del Santo Padre ai Vescovi del Camerun a seguire con particolare dedizione pastorale le famiglie, i cui valori fondamentali, come il matrimonio e l’amore indissolubile e stabile, vengono messi a rischio dalla modernità e della secolarizzazione.

Quindi ancora un appello ad essere vicini ai giovani esposti a numerosi pericoli: “Lo sviluppo di sette e movimenti esoterici come pure la crescente influenza di una religiosità superstiziosa, come anche del relativismo, sono un invito pressante a dare un rinnovato impulso alla formazione dei giovani e degli adulti, in particolare nel mondo universitario e intellettuale.”

“In questa prospettiva, desidero incoraggiare e lodare gli sforzi dell'Istituto cattolico di Yaoundé e di tutte le istituzioni ecclesiali la cui missione è quella di rendere accessibile e comprensibile a tutti la Parola di Dio e l'insegnamento della Chiesa”, ha affermato.

Il Papa ha quindi rivolto parole di apprezzamento per i laici del Paese, impegnati nella vita della Chiesa e della società, ringraziando l’associazionismo femminile per il suo contributo alla promozione della dignità della donna.

Benedetto XVI aveva iniziato la sua seconda giornata in terra africana con la celebrazione della messa nella cappella della Nunziatura apostolica a Yaoundé. Successivamente si era recato in visita di cortesia al palazzo del Presidente della Repubblica del Camerun, Paul Biya.

Si è trattato di un incontro cordiale, durato circa trenta minuti, al termine del quale ha avuto luogo lo scambio dei doni: Benedetto XVI ha donato un mosaico raffigurante san Paolo, mentre il Presidente ha ricambiato con un quadro raffigurante il Papa in barca mentre visita l'Africa e una statua di san Giuseppe per ricordare l'onomastico del Pontefice.






La Santa Sede spiega le parole del Papa sul preservativo


Padre Lombardi risponde alle polemiche da parte di Governi e istituzioni





YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il portavoce vaticano ha commentato le parole di Benedetto XVI sulla lotta contro l'Aids, spiegando che per la Chiesa la priorità è rappresentata da istruzione, ricerca e assistenza umana e spirituale, e non dall'opzione esclusiva per la diffusione dei preservativi.

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi S.I., ha pubblicato questo mercoledì pomeriggio da Yaoundé un comunicato in risposta alle interpretazioni da parte dei mezzi di comunicazione e anche dei rappresentanti governativi della risposta che il Papa ha dato questo martedì ai giornalisti durante il viaggio da Roma al Camerun.

Un editoriale pubblicato dal direttore de “L'Osservatore Romano”, Giovanni Maria Vian, constata che alcuni media hanno ridotto il messaggio del Papa sull'Aids “a un solo aspetto - per di più stravolto in chiave polemica -, e cioè quello dei metodi per contrastare la diffusione dell'Aids”.

Basandosi sulla versione parziale che i mezzi informativi hanno offerto questo martedì delle parole del Papa nel suo riferimento all'Aids e al preservativo, rappresentanti di istituzioni e Governi hanno rivolto dure accuse al Santo Padre.

A questo proposito, il direttore esecutivo del Fondo Mondiale per la Lotta all'Aids, Michel Kazatchkine, ha espresso la sua “profonda indignazione” e ha chiesto al Papa di ritrattare le sue affermazioni, considerate “inaccettabili” perché rappresentano “una negazione dell'epidemia”.

Anche esponenti dei Governi di Francia e Belgio hanno attaccato con violenza il Santo Padre.

Padre Lombardi ha precisato nella sua dichiarazione “che il Santo Padre ha ribadito le posizioni della Chiesa cattolica e le linee essenziali del suo impegno nel combattere il terribile flagello dell’Aids”.

Il portavoce ha spiegato le tre linee d'azione nella lotta contro l'Aids esposte da Benedetto XVI, in primo luogo “l’educazione alla responsabilità delle persone nell’uso della sessualità” e “il riaffermare il ruolo essenziale del matrimonio e della famiglia”.

In secondo luogo, ha citato “la ricerca e l’applicazione delle cure efficaci dell’Aids” e il “metterle a disposizione del più ampio numero di malati attraverso molte iniziative ed istituzioni sanitarie”; infine, “l’assistenza umana e spirituale dei malati di Aids come di tutti i sofferenti, che da sempre sono nel cuore della Chiesa”.

“Queste sono le direzioni in cui la Chiesa concentra il suo impegno non ritenendo che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore, più lungimirante ed efficace per contrastare il flagello dell’Aids e tutelare la vita umana”, ha concluso padre Lombardi.






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