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Viaggio apostolico in Camerun e Angola

Ultimo Aggiornamento: 02/05/2009 17:13
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17/03/2009 21:25
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E SULL'AIDS: «NON si può superare questo dramma con la distribuzione preservativi»

In viaggio con Benedetto XVI
«Io solo? Un mito che mi fa un po' ridere»


Il Papa in volo verso l'Africa: «Proporrò un programma di fede e di morale, non politico ed economico»

DAL VOLO PAPALE - Volo Alitalia Az 4000 da Roma a Yaoundé, Cameroun. Si parte alle 10,15, un quarto d’ora di ritardo. Manco con il Papa a bordo si riesce a partire puntuali, a Fiumicino. Tre quarti d’ora più tardi il Boeing B777 sorvola la costa africana e Benedetto XVI, dal suo posto in testa, raggiunge i giornalisti in coda all’aereo. Tranquillo, sorridente, l’aria incuriosita.

Introduce il portavoce, padre Federico Lombardi: Santità, i giornalisti hanno preparato trenta domande (il Papa sbarra gli occhi) e alla fine ne abbiamo scelte sei (il Papa atteggia il volto a un’espressione di sollievo). Benedetto XVI ascolta attento i giornalisti. Quando gli chiedono se davvero si senta solo. Ecco l’intervista integrale raccolta in volo.

Da tempo, e in particolare dopo la sua ultima lettera ai Vescovi del mondo i giornali parlano di solitudine del Papa. Lei cosa ne pensa? Si sente solo? E con quali sentimenti dopo le recenti vicende ora vola verso l’Africa?

«Per dire la verità devo un po’ ridere su questo mito della mia solitudine. In nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo i collaboratori più stretti, a cominciare dal segretario di Stato fino a Propaganda fide, vedo regolarmente tutti i capi discastero, ricevo vescovi in visita ad limina, ultimamente ho visto i vescovi della Nigeria e dell’Algeria, abbiamo avuto due plenarie in questi giorni, la congregazione del culto e quella del clero, oltre a tanti colloqui amichevoli, una rete di amicizie: sono venuti anche i miei compagni di messa dalla Germania per chiacchierare con me.
Nessuna solitudine, sono veramente circondato da amici in una stretta collaborazione con vescovi e collaboratori e con i laici, e sono lieto per questo. Vado con grande gioia in Africa.
Ho tanti amici africani sin da quando ero professore, amo la gioia della loro fede, questa gioiosa fede che si trova in Africa. Sapete che il mandato del Signore per il successore di Pietro è confermare i fratelli nella fede e io cercherò di farlo. Ma sono sicuro che sarò io a tornare confermato dai fratelli, contagiato per così dire dalla loro gioiosa fede».

Santità, viaggia in Africa mentre è in corso una crisi economica mondiale che ha i suoi riflessi anche sui Paesi poveri. In particolare l’Africa deve fronteggiare anche una crisi alimentare. Questa situazione troverà eco nel suo viaggio? Si rivolgerà alla comunità internazionale affinché si faccia carico dei problemi dell’Africa? Si parlerà di questi problemi anche nell’Enciclica che sta preparando?

«Naturalmente io non vengo in Africa con un programma politico ed economico, mi mancherebbe la competenza. Arrivo con un programma religioso, di fede, di morale, ma proprio questo può dare un contributo essenziale per la crisi economica che abbiamo in questo momento. Sappiamo che un elemento fondamentale della crisi è il deficit di etica nelle strutture economiche. Si è capito che l’etica non è una cosa fuori dall’economia, ma dentro. L’economia non funziona se non porta in sé un elemento etico. Perciò parlando di Dio e dei grandi valori spirituali cerco di dare un contributo proprio per superare la crisi e rinnovare il sistema economico dal di dentro, dove c’è proprio il punto della crisi. La chiesa è cattolica, universale, attraversa tutte le culture e i continenti, è presente in tutti i sistemi politici e così la solidarietà è il principio fondamentale del cattolicesimo. Io vorrei fare appello alla solidarietà cattolica e alla solidarietà di tutti.
Ovviamente parlerò di questo nell’enciclica, questo è un motivo di ritardo, eravamo quasi arrivati a pubblicarla quando si è scatenata la crisi e abbiamo ripreso il testo per rispondere al cambiamento nel contesto delle nostre competenze, della dottrina sociale della Chiesa, ma in riferimento agli elementi reali. Spero che l’enciclica potrà essere un elemento di aiuto, una forza per superare questa crisi».

Il Consiglio speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi ha chiesto che la forte crescita quantitativa della Chiesa africana diventi anche una crescita qualitativa. A volte i responsabili della Chiesa sono considerati come un gruppo di ricchi e privilegiati e i loro comportamenti non sono coerenti con l’annuncio del Vangelo. Lei inviterà la Chiesa in Africa a un impegno di esame di coscienza e di purificazione delle su strutture?

«Ho una visione più positiva della Chiesa in Africa: è una Chiesa molto vicina ai poveri, ai sofferenti, alle persone che hanno bisogno di aiuto. Dunque mi sembra che sia un’istituzione che funziona ancora quando le altre istituzioni non funzionano più. Sempre con il suo sistema di educazione, i suoi ospedali è molto presente tra i poveri. Naturalmente il peccato originale è anche presente nella Chiesa. Non c’è nessuna società perfetta. Ci sono peccatori e mancanze nella Chiesa e anche in Africa. In questo senso un esame di coscienza e una purificazione interiore diventano necessari: ne parlerò ma fa parte anche della liturgia eucaristica: si comincia sempre con una purificazione della coscienza. Direi che più che una purificazione delle strutture, sempre necessaria, serve una purificazione dei cuori. Una purificazione delle strutture è necessaria ma è inutile senza una purificazione dei cuori.
Le strutture sono un riflesso dei cuori: facciamo il possibile per dare una nuova forza alla spiritualità, alla presenza di Dio nel nostro cuore sia per purificare le strutture della Chiesa sia per aiutare la purificazione delle strutture della società».

Quando Lei si rivolge all’Europa parla spesso di un orizzonte da cui Dio sembra scomparire. In Africa non è così, ma vi è la presenza aggressiva delle sette, vi sono le religioni tradizionali africane. Qual è allora la specificità del messaggio della Chiesa cattolica che Lei vuole presentare in questo contesto?

«Riconosciamo tutti che in Africa il problema ateismo quasi non si pone. La realtà di Dio è così presente che non credere in Dio o vivere senza Dio non è una tentazione. E’ vero, ci sono anche problemi di sette. Noi non annunciamo come fanno loro un vangelo di prosperità ma un realismo; la sobrietà di vita cristina, non miracoli; ma siamo convinti che proprio questa sobrietà, un Dio fatto uomo, profondamente umano, che soffre con noi, da senso a nostra sofferenza, ha un orizzonte piu vasto e un futuro. Sappiamo che queste sette non sono molto stabili. Prosperità, guarigioni, miracoli…ma poi si vede che la vita à difficile e un Dio umano che soffre per noi è più promettente, piu umano, di grande aiuto nella vita. E poi abbiamo la struttura delle Chiesa, non un piccolo gruppo che alla fine si perde. Una grande rete di amicizia che ci unisce, aiuta a superare il tribalismo e ad arrivare all’unità nella diversità che è la vera promessa per il futuro».

Fra i molti mali che travagliano l’Africa vi è anche in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema durante il viaggio?

«Io direi il contrario. Penso che la realtà più efficiente, più presente e più forte nella lotta contro Aids sia proprio la Chiesa cattolica con le sue strutture, i suoi movimenti e comunità. Penso a Sant’Egidio che fa tanto nella lotta contro l’Aids, ai camilliani, alle suore a disposizione dei malati. Non si può superare il problema dell’Aids solo con i soldi, che pure sono necessari, se non c’è anima che sa applicare un aiuto.
E non si può superare questo dramma con la distribuzione preservativi, che al contrario aumentano il problema. La soluzione può essere duplice, l’umanizzazione della sessualità e una vera amicizia verso le persone sofferenti, la disponibilità anche con sacrifici personali ad essere con i sofferenti.
Questa è la nostra duplice forza: rinnovare l’uomo interiormente, dargli forza spirituale e umana per avere un comportamento giusto e insieme la capacità di soffrire con i sofferenti nelle situazioni di prova. Mi sembra la giusta risposta che la Chiesa dà, un contributo importante».

Quali segni di speranza vede la Chiesa nel continente africano? Lei pensa di poter rivolgere all’Africa un messaggio di speranza?

«La nostra fede è speranza per definizione. Chi porta la fede è convinto di portare anche la speranza. Nonostante tutti i problemi che conosciamo bene, ci sono grandi segni di speranza, nuovi governi, nuove disponibilità di collaborazione, lotta contro la corruzione – grande male che va superato – e anche l’apertura delle religioni tradizionali, alla fede cristiana. Tutti conoscono Dio ma appare un po’ lontano e attendono si avvicini. E poi il culto tradizionale degli antenati trova sua risposta nella comunione dei santi: che non sono i canonizzati ma tutti i nostri morti. C’è un incontro profondo che dà speranza. Cresce il dialogo interreligioso. Ho parlato con più della metà dei vescovi e mi dicono che relazione con i musulmani è molto buona. Cresce il rispetto reciproco, la comune responsabilità etica, la gioia di essere cristiani. Un problema delle religioni tradizionali è la paura degli spiriti. Un vescovo mi ha detto: uno è veramente convertito e diventa pienamente cristiano se sa che con Cristo non ha paura, che Gesù è più forte degli spiriti. Crescono forze spirituali, sociali e economiche che danno speranza. Ecco: vorrei mettere in luce l’elemento della speranza».

Gian Guido Vecchi

© Copyright Corriere della sera online, 17 marzo 2009


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