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Viaggio apostolico in Camerun e Angola

Ultimo Aggiornamento: 02/05/2009 17:13
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10/03/2009 15:42
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Dal blog di Lella...

PAPA IN CAMERUN E ANGOLA: IL PROGRAMMA; P.LOMBARDI, “È L’ANNO DELL’AFRICA”

“E’ l’anno dell’Africa: sarà infatti la prima volta che Benedetto XVI visiterà due Paesi africani, in vista dell’importante Sinodo di ottobre”.
Lo ha ricordato oggi padre Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa della Santa Sede, illustrando in conferenza stampa tutti i particolari del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Camerun ed Angola, che si svolgerà dal 17 al 23 marzo prossimo. In Camerun, dove si parla sia inglese sia francese, il Papa verrà accolto il 17 marzo all’aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé e terrà un discorso. Il 18 marzo alle 8 del mattino celebrerà una Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Yaounde, quindi alla 10 farà la visita di cortesia al presidente della Repubblica nel Palais de l’Unité di Yaoundé. Subito dopo incontrerà i vescovi del Camerun nella Chiesa Christ-Roi in Tsinga a Yaoundé. Nel pomeriggio, alle 16.45 celebrerà i vespri con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i diaconi, i movimenti ecclesiali e con i rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun nella Basilica Marie Reine des Apôtres, nel quartiere di Mvolyé a Yaoundé. “Sarà il primo incontro con la Chiesa del Camerun e le altre confessioni cristiane – ha spiegato p.Lombardi – e verrà offerta alla Madonna una lampada con delle rose”.
Il 19 marzo, san Giuseppe ed onomastico del Papa, si terrà al mattino l’incontro con i rappresentanti della comunità musulmana nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé. Alle 10 Benedetto XVI celebrerà la messa in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum Laboris della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi (4-25 ottobre 2009), nello Stadio Amadou Ahidjo di Yaoundé. E’ prevista la presenza di decine di migliaia persone, con una cinquantina di vescovi, ha precisato p.Lombardi. Nel pomeriggio, alle 16.30, il Papa incontrerà i malati e i disabili nel Centro card. Paul Emile Léger-Cnrhdi Yaoundé e qui terrà un discorso. Subito dopo, alle 18.30, vedrà i 12 membri del Consiglio speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé. Il 20 marzo mattina il Papa saluterà il Camerun con un discorso all’aeroporto e alle 12.45 arriverà a Luanda, in Angola, il primo Paese evangelizzato dell’Africa, per celebrare i 500 anni di cristianesimo. All’aeroporto internazionale 4 de Fevereiro il Papa terrà un discorso, quindi visiterà il presidente della Repubblica nel suo palazzo. L’incontro con le autorità politiche e civili e con il corpo diplomatico sarà nel Salone d’onore del Palazzo Presidenziale di Luanda. Qui Benedetto XVI rivolgerà un discorso al continente africano. In serata incontrerà i vescovi dell’Angola e di Sao Tomé nella Nunziatura Apostolica.
Il 21 marzo alle 10 il Papa celebrerà la messa con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i movimenti ecclesiali e i catechisti nella Chiesa São Paolo di Luanda. Poi nel pomeriggio alle 16.30 incontrerà i giovani nello Stadio dos Coqueiros di Luanda. Il 22 marzo mattina si svolgerà uno dei momenti più popolari, con la messa con i vescovi dell’I.m.b.i.s.a. (Inter-regional meeting of bishops of Southern Africa) nella Spianata di Cimangola a Luanda. Sono previste decine di migliaia di persone, i giornali angolani parlano addirittura di un milione. La liturgia sarà animata da canti e danze africane. L’Angelus domini verrà recitato nella Spianata di Cimangola a Luanda. Alle 16.45 il Papa incontrerà i movimenti cattolici per la promozione della donna nella Parrocchia di Santo António di Luanda, una zona povera della capitale. Il 23 marzo Benedetto XVI si congederà dall’Angola. E’ previsto l’arrivo alle 18 a Ciampino (Roma). Rispondendo alle domande dei giornalisti su presunti rapporti difficili tra Chiesa e governo in Angola, padre Lombardi ha detto: ”Non ho impressione che si possa parlare di rapporti difficili. Il precedente governo marxista-leninista era sostenuto dai cubani. Ora la situazione è pacifica, e il ruolo della Chiesa è riconosciuto importante”.

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Il Papa tra una settimana in Africa: briefing in Sala Stampa vaticana

Si avvicina la prossima visita apostolica del Papa che dal 17 al 23 marzo sarà in Africa. Camerun e Angola i Paesi scelti per questo 11.mo viaggio internazionale di Benedetto XVI. Molti i motivi da evidenziare per questo primo incontro del Santo Padre con la Chiesa e la realtà in Africa. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ne ha parlato stamani durante un briefing con i giornalisti. Il servizio di Giancarlo La Vella:

Benedetto XVI, per la prima volta, abbraccia idealmente tutta l’Africa. Si tratta del 18.mo viaggio di un Papa nel continente. Iniziò nell’estate del 1969 Paolo VI, che si recò in Uganda. Ben 16 i viaggi africani di Giovanni Paolo II, che dal 1980 al 2000 è stato in 42 dei 53 Paesi africani, un contatto diretto con tutte le emergenze che affliggono vaste zone dell’Africa, come la guerra, la povertà, ma anche con la grande umanità, i valori culturali e spirituali di queste terre. Non è la prima volta in assoluto che Joseph Ratzinger si reca in Africa. Già da cardinale nel 1987, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, andò a Kinshasa per un convegno. Con Camerun e Angola il Papa fa tappa in due dei Paesi più rappresentativi della cultura dell’intero continente e delle sue espressioni linguistiche: francese, inglese e anche tedesco per il Camerun, portoghese per l’Angola. Benedetto XVI unirà idealmente anche i due emisferi del globo, attraversando l’equatore nel trasferimento da Yaoundé a Luanda. Tra i momenti salienti, in Camerun l’incontro con i vescovi africani per la consegna dell’Instrumentum laboris del Sinodo per l’Africa, che si aprirà a Yaoundé, per poi svolgersi ad ottobre prossimo in Vaticano sul tema “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Significativi gli incontri in Angola, primo Paese africano ad essere evangelizzato oltre 500 anni fa. Ma qual è il clima per questa prima visita del Papa in Africa? Lo abbiamo chiesto ad Angelo Turco, africanista, docente di Geografia dello Sviluppo all’Università dell’Aquila:

R. – C’è una certa aspettativa per l’arrivo del Papa. Questo viaggio, pur avendo come destinazione il Camerun e l’Angola, idealmente è un segno dell’attenzione e dell’amore che il Papa porta all’Africa. Un’Africa in questo momento squassata da molti problemi, vecchi e nuovi. I problemi vecchi sono povertà, violenza diffusa, la compressione dei diritti della persona; i problemi nuovi sono la crisi economico-finanziaria mondiale. Sono problemi nuovi anche le strategie geo-politiche, i riposizionamenti delle grandi potenze che si vanno affermando in Africa …

D. – Ma l'Africa è anche un continente di grandi ricchezze...

R. – Ci sono molte cose che di questo continente occorre fare tesoro. Certamente, il valore della persona, e quando dico valore della persona intendo non tanto l’individuo, quanto piuttosto il valore della persona in comunità, e chi dice comunità dice famiglia e chi dice famiglia dice solidarietà e chi dice solidarietà dice una rete di risorse capaci di far fronte a momenti e situazioni anche molto, molto critiche.

www.radiovaticana.org
[Modificato da +PetaloNero+ 10/03/2009 16:53]

10/03/2009 19:16
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Il primo viaggio nel grande continente

L'Africa che attende Benedetto XVI

di Mario Ponzi

L'Africa attende Benedetto XVI.
Tra qualche giorno - partirà martedì mattina 17 marzo, diretto a Yaoundé, in Camerun, prima e poi a Luanda, in Angola - il Papa si ritroverà, per la prima volta dall'inizio del suo pontificato, nel cuore del grande continente nero.
Porterà con sé un messaggio di riconciliazione, di giustizia e di pace, i tre elementi centrali intorno ai quali ruota l'Instrumentum laboris della seconda assemblea continentale speciale del Sinodo dei vescovi, in programma in Vaticano dal 4 al 25 ottobre prossimi. Un documento che vuole personalmente consegnare nelle mani dei suoi confratelli africani, davanti ai loro fedeli.
Essenzialmente per questo va in Africa; ma il suo gesto si trasforma nella testimonianza dell'amore che la Chiesa nutre da sempre per i popoli africani.
Non a caso gli ultimi Pontefici hanno dedicato un'attenzione premurosa all'Africa. E lo hanno fatto proprio nel momento in cui il continente, dopo l'era della colonizzazione, aveva iniziato a vivere la grande avventura della ricerca di un nuovo ordine. Così all'enciclica del 1957 di Pio XII, la Fidei donum, si legò idealmente, dieci anni dopo, il messaggio di Paolo VI Africae Terrarum, rivolto alla gerarchia e a tutti i popoli del continente per reclamare la "promozione del bene religioso, civile e sociale dell'Africa". Due anni più tardi - dal 31 luglio al 2 agosto del 1969 - lo stesso Papa Montini si recò pellegrino in Uganda, per portare personalmente il suo incoraggiamento. E continuava a ripetere: "È l'Africa la nuova patria di Cristo!".
Giovanni Paolo II in Africa è andato ben 14 volte, oltre a due scali. Il primo viaggio lo compì dal 2 al 12 maggio del 1980. Fu il più lungo tra quelli che aveva sino ad allora effettuato: diciottomila chilometri in undici giorni. Complessivamente durante il suo lungo pontificato, ha visitato 42 dei 53 Paesi africani più un dipartimento francese, La Réunion. In sette nazioni si è recato più di una volta.
Nel 1994 convocò il primo Sinodo speciale per l'Africa a Roma. Le conclusioni, raccolte nella Ecclesia in Africa andò personalmente a presentarle proprio a Yaoundé, in Camerun, l'anno successivo. E nel 2004, mentre consumava gli ultimi mesi della sua missione terrena, a sorpresa annunciò l'intenzione di convocare una seconda assemblea speciale del Sinodo dei vescovi, decisione confermata da Benedetto XVI.
Ogni volta che tornava dai suoi pellegrinaggi in quelle terre, Papa Wojtyla non mancava di sottolineare quanta speranza nel futuro nascesse dall'anima africana. Un'anima "che noi abbiamo il compito di salvare, perché - diceva - sarà proprio la testimonianza delle comunità cristiane africane che un giorno potrà molto arricchire l'anima di quei Paesi che sino a ieri portavano all'Africa il messaggio evangelico". Parole che sono tornate alla mente nell'ascoltare Benedetto XVI quando, incontrando i preti romani all'inizio della quaresima di quest'anno, ha contrapposto la freschezza e la gioventù della Chiesa africana, alla stanchezza della Chiesa in Europa. La visita di Papa Ratzinger acquista così ancor più quel senso profetico della missione della Chiesa.
In questo senso la tappa di Yaoundé, la prima dei sei giorni del viaggio, assume un forte significato. Giovanni Paolo II aveva portato in casa degli africani il frutto di una lunga riflessione sul futuro di un continente - allora martoriato da un'irrefrenabile ondata di violenze -, il cui volto drammatico era rappresentato, in quei giorni, dal Rwanda grondante di sangue.
Da allora, indubbiamente, sono stati fatti passi in avanti, soprattutto sul fronte delle guerre fratricide. Sono diminuite un po' ovunque, anche se in alcune regioni continuano a morire vittime innocenti. In tante nazioni poi cominciano ad affermarsi democrazie, seppur in fase iniziale ma con evidenti segni dei benefici influssi delle comunità cristiane che lavorano per la loro costituzione e per il loro consolidamento.
Tuttavia il miracolo del progresso dell'Africa libera non si è ancora realizzato. A dieci anni dall'inizio del terzo millennio infatti l'Africa, praticamente indipendente sulla carta - e nonostante si impegni con slancio nel presentarsi come padrona del suo destino - non riesce a decollare.
C'è chi parla di "povertà antropologica", retaggio dell'epoca coloniale; chi denuncia il penoso fallimento delle attuali classi dirigenti; chi invoca gli sfaceli di una globalizzazione selvaggia che avrebbe acuito il numero e le sofferenze dei ceti meno abbienti. Sta di fatto che, l'Africa viene ormai usata come la metafora di tutte le disgrazie che si susseguono nel mondo e dunque al massimo stimola, nell'opinione pubblica un sentimento di pietà, quello che porta a fare carità.
Ma l'Africa non ha bisogno della nostra carità. Non chiede beneficenza. Chiede giustizia. Non è una nazione povera. Semmai è stata resa povera da Governi esteri, o da multinazionali poco importa. È caduta vittima di un nuovo colonialismo, forse meno eclatante, ma certamente più subdolo. Di qui la necessità di un risveglio delle coscienze.
E la Chiesa intende favorire, aiutare il risveglio delle coscienze africane, ripartendo da Yaoundé, da dove cioè ventiquattro anni fa si era celebrata la speranza. Lo fa nella continuità di un magistero che percorre le strade degli uomini e che oggi vuole richiamare l'attenzione su una missione al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace per far sì che quella speranza antica trasformi il destino dei popoli africani.
È questo l'ideale che ha ispirato Benedetto XVI nella scelta del tema per la riflessione nella prossima celebrazione sinodale: "La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. "Voi siete il sale della terra... voi siete la luce del mondo" (Matteo, 5, 13-14)". E che sia lui stesso a scendere tra i suoi figli africani, per avviare la riflessione costituisce un segnale molto forte. Intanto di grande affetto. Benedetto XVI ama l'Africa e gli africani. Ha a cuore il loro destino. Sa che si aprono all'orizzonte sfide ciclopiche per un continente che - seppur grande come Europa occidentale, India, Cina e Stati Uniti messi insieme (quasi un quarto delle terre emerse) - non riesce a garantire per sé e per il suo popolo condizioni minime di benessere e di progresso. Dispone di un potenziale economico straordinario, ma non riesce a imboccare la via del progresso e della rinascita. Anzi nel rincorrere un futuro che forse potrebbe non essere quello che le appartiene, rischia di perdere di vista una serie di valori che, al contrario, meritano non solo di essere conservati e rafforzati, ma addirittura di essere ritrasmessi come risposta a quel mondo che un tempo, nel bene e nel male, ha recato all'Africa i propri valori, i propri strumenti di crescita.
In un momento come questo, caratterizzato da una vera e propria accelerazione della storia, sembra che manchi il tempo per operare in Africa la necessaria decantazione e sedimentazione di questi suoi valori, alla luce di una realtà che ancora non garantisce uno stabile equilibrio. Affrontando i grandi temi della riconciliazione, della giustizia e della pace, nel contesto globale della evangelizzazione, si cercherà innanzitutto di riportare il discorso sull'Africa su un piano di parità con tutti gli altri continenti, allontanando ogni possibile strumentalizzazione ideologica. E torna alla memoria una frase dello scrittore senegalese Cheik Anta Diop che fece ascoltare la voce dell'Africa in un dibattito sui rapporti tra Paesi ricchi e Paesi poveri, tra nord e sud del mondo: "Non abbiamo avuto lo stesso passato, voi e noi, ma avremo necessariamente lo stesso futuro".

(©L'Osservatore Romano - 11 marzo 2009)


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L'islam che Benedetto XVI incontrerà in Camerun


Una comunità radicata e tollerante diffusasi nel XIX secolo





di Nieves San Martín

ROMA, giovedì, 12 marzo 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI, come i suoi predecessori nei loro viaggi, incontra rappresentanti della religione radicata nel Paese che visita. In Camerun dopo il cristianesimo, con una presenza del 42%, e le numerose religioni tradizionali che rappresentano il 30%, la terza religione per numero di fedeli è l'islam, con il 20-22%. Il Papa incontrerà i leader islamici il 19 marzo nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé.

Poco più di un quinto della popolazione camerunense è musulmano. La presenza dei seguaci del Profeta nel Paese è antica e molto consolidata anche se in generale, a differenza di molti altri Paesi africani, è un islam tollerante, moderato e lontano da tentazioni estremiste.

Una delle caratteristiche più rilevanti dell'organizzazione interna dei fedeli musulmani è che sono sotto l'orientamento diretto dei quattordici imam principali, in particolare del rispettato Ibrahim Moussa, Grande Imam di Yaoundé, che nell'agosto 2008 ha assunto la direzione della Grande Moschea centrale della capitale, chiamata coranica camerunense.

L'islam è arrivato in questo territorio per la prima volta nel 1715 attraverso i primi musulmani giunti dal vicino Ciad, ma si è diffuso nei primi anni del XIX secolo, soprattutto mediante i pastori nomadi “fula” e la fraternità sufi (Qadiri e Tijani).

I primi musulmani in Camerun cercavano il mare per migliorare le loro attività commerciali. Una prima ondata entrò nel Paese dal nord e questo spiega il fatto che oggi in queste regioni la presenza musulmana sia più consistente rispetto alla media nazionale. L'islam si è poi affermato anche nella zona centrale del Paese.

Giovanni Paolo II ha dedicato un'attenzione speciale al dialogo con i leader musulmani camerunensi nella sua visita del 1985. Il 12 agosto, incontrandoli, ha sottolineato che è sempre esistita una convivenza pacifica tra cattolici e islamici.

In Camerun c'è “una società pluralista in cui vivono fianco a fianco cristiani, musulmani e fedeli delle religioni africane tradizionali”, disse il Papa, sottolineando che questa è “una delle grandi sfide per l’umanità d’oggi nel mondo: imparare a vivere insieme in modo pacifico e costruttivo”.

Per il Pontefice polacco, era necessario “riconoscere che viviamo in un’epoca di polarizzazione”.

Alcuni gruppi etnici, certe comunità religiose e certe ideologie economiche e politiche, avvertiva Giovanni Paolo II, “tendono a far prevalere il loro punto di vista escludendo coloro che non lo condividono, a difendere i loro diritti al punto da ignorare quelli degli altri”.

Per questo, esortava cristiani e musulmani a resistere “a queste tentazioni, perché esse non conducono l’umanità a questi atti veramente buoni, conformi alla vita che Dio ha tracciato per noi fin dal principio”.

L'unico “vero cammino”, aggiungeva, è “quello del dialogo”. Un dialogo con molti aspetti, a partire dal fatto di “imparare a conoscere la fede gli uni degli altri, superare i pregiudizi e i malintesi” ed “essere tolleranti nei riguardi delle differenze”, giungendo, “malgrado gli ostacoli, a una mutua fiducia, tale che possiamo incontrarci per parlare e per preparare dei progetti in comune, rispettando le responsabilità e i diritti di ciascuno. Vuol dire impegnarci in azioni concrete per sviluppare il nostro Paese, per lavorare insieme a costruire una società in cui la dignità di ogni persona sia riconosciuta e rispettata”.

Dal discorso di Benedetto XVI all'Università di Ratisbona sono stati compiuti importanti passi avanti nell'intesa reciproca tra cattolici e musulmani.

Quello più importante è stata la lettera aperta che 138 leader religiosi musulmani gli hanno inviato e la risposta di Benedetto XVI in cui assicurava la volontà della Chiesa cattolica di procedere sulla via del dialogo.

In quell'occasione, il Papa li ha invitati a recarsi a Roma per avere un incontro di lavoro con i rappresentanti di Curia ed altri esperti cattolici sul dialogo interreligioso.


13/03/2009 16:51
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La visita del Papa genera una maggiore vicinanza all'Africa


“Qualche volta i gesti parlano più delle parole”, spiega il Cardinale Cordes





di Jesús Colina


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 13 marzo 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI in Camerun e Angola susciterà un movimento di vicinanza e solidarietà con l'Africa in un momento di crisi economica, ha affermato il Cardinale Paul Josef Cordes.

Il presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, organismo della Santa Sede responsabile dell'orientamento e del coordinamento tra le organizzazioni e le attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica, ha confessato le sue speranze a un piccolo gruppo di giornalisti, tra cui ZENIT, in vista della visita papale nel continente africano prevista dal 17 al 23 marzo.

In un momento di crisi finanziaria ed economica, ha riconosciuto il porporato tedesco, c'è il rischio di dimenticare la solidarietà con l'Africa, elemento che il Papa sottolineerà con la sua presenza.

“Il fatto che lui vada già serve per creare attenzione. Qualche volta i gesti parlano più delle parole”, ha spiegato il Cardinale.

“Se il Papa va lì, i comunicatori, gli informatori, tutti contribuiscono a focalizzare l'attenzione su questo continente”.

“Non solo porta il messaggio di carità della Bibbia – ha osservato –; è anche importante questa conseguenza umana”.

Il Cardinale Cordes, che conosce da molti anni Joseph Ratzinger, sostiene che al Papa “non piace viaggiare. A Giovanni Paolo II piaceva. Benedetto XVI lo fa come sacrificio. Conoscendolo un po' ne sono convinto. Lo fa perché lo vede utile, necessario”.

Il collaboratore del Pontefice spiega che non è importante solo l'aiuto materiale. A volte contano molto di più la vicinanza umana e spirituale.

“Sono andato in Sudan, e ho visto che i soldi non sono tutto. Ho visto che la gente vuole vedere facce, compassione. É importante andare a trovare la gente. Noi europei pensiamo troppo alla categoria di aiuto, è importante pensare a categorie di partecipazione”.

“Nel contesto di tante iniziative di aiuto, deve sottolinearsi quello che fa la Chiesa: c'è la tendenza in alcune agenzie cattoliche ad avere una prospettiva solo filantropica, umanitaria”.

I cattolici, spiega, non possono “fare della filantropia un mestiere. Così perdiamo il Vangelo, le radici. Essere come gli altri non serve a niente”.

Per questo motivo, Benedetto XVI ha dedicato alla dimensione profonda dell'opera di carità della Chiesa la seconda parte della sua prima Enciclica, "Deus caritas est".

Il porporato ricorda anche che l'opera di carità della Chiesa cattolica in Africa garantisce il sistema sanitario o educativo di alcuni Paesi. In Uganda, ad esempio, è stata realizzata un'opera decisiva nella lotta all'Aids.

Il Cardinale Cordes conclude ricordando che se la comunità internazionale ha abbracciato il concetto di aiuto allo sviluppo all'estero “è una vittoria della Chiesa”, perché prima questo concetto non esisteva in nessun Paese.

13/03/2009 16:51
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L'inculturazione, priorità della Chiesa in Camerun


Spiega il presidente della Conferenza Episcopale del Paese





ROMA, venerdì, 13 marzo 2009 (ZENIT.org).- L'inculturazione è la sfida principale che affronta la Chiesa in Camerun, ha affermato monsignor Simon-Victor Tonyé Bakot, Arcivescovo di Yaoundé e presidente della Conferenza Episcopale del Paese.

Il Camerun sarà il primo Paese a ricevere Benedetto XVI nel suo viaggio nel continente africano dal 17 al 23 marzo, che lo porterà a visitare anche l'Angola.

In un articolo pubblicato da “L'Osservatore Romano”, il presule spiega che l'inculturazione “non è mai stata un cammino facile; anzi si è rivelata sempre di più una consegna delicata ed esigente”.

“Come Vescovi del Camerun, abbiamo cercato di sviluppare il processo dell'inculturazione del Vangelo nelle nostre Diocesi in diverse direzioni”, ha osservato, spiegando che si è in primo luogo provveduto alla traduzione della Bibbia, “lavoro realizzato nella lingua Boulou, Beti e tuttora in corso nella diocesi di Edéa (Nuovo Testamento già tradotto in Basaa)”.

“La stessa cosa abbiamo fatto per la traduzione dell'ordinario della Messa in sei lingue del nord, in Beti, Bassa e Mpoo”.

Tra le numerose iniziative in questo senso, il presule ha affermato che “lo sforzo più importante” che tutte le Diocesi stanno compiendo riguarda “l'ambito della liturgia e dell'arte sacra”.

“Abbiamo tradotto la maggior parte dei salmi nelle nostre lingue e molte composizioni sono state create ispirandosi alle nostre culture. Oggi nei nostri cori vengono utilizzati libri di canti, e per l'accompagnamento musicale sono utilizzati strumenti tradizionali” “che, mentre arricchiscono la nostra liturgia e la nostra arte sacra, aiutano i fedeli a pregare meglio il Signore”.

Secondo l'Arcivescovo, “l'evangelizzazione profonda dell'Africa non può ignorare l'inculturazione”, perché ciò “si ricollega alla necessità di applicare il Vangelo alla vita concreta e questa vita concreta è la nostra lingua, è la nostra cultura, sono i valori che costituiscono la specificità del nostro essere e del nostro agire”.

Il Camerun ha quasi 18,5 milioni di abitanti, impegnati per la maggior parte in agricoltura. Il tasso di scolarizzazione è dell'85%, uno dei più alti dell'Africa.

Nel Paese vivono 200 etnie e ci sono due lingue ufficiali, l'inglese e il francese.

I cristiani rappresentano il 42% della popolazione, i fedeli delle religioni tradizionali il 30% e i musulmani il 20-22%.


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L'eccezione del Camerun, un Paese fragile ma stabile


Benedetto XVI sarà ricevuto da una giovane democrazia africana




di Nieves San Martín

ROMA, venerdì, 13 marzo 2009 (ZENIT.org).- Parlare di giovane democrazia africana è dire tutto sul Paese che il 17 marzo riceverà Benedetto XVI. L'ultimo aggettivo evita parallelismi ingiusti o il giudizio partendo da culture diverse, che hanno avuto bisogno di secoli per raggiungere i propri equilibri politici, rotti ripetutamente senza dover andare più lontano del XX secolo.

Il Camerun è un Paese politicamente stabile, senza guerre, con quella che è stata definita "l'eccezione camerunense" ma che, come quasi tutti i Paesi africani, deve mantenere un fragile equilibrio tra tutte le etnie, le religioni e le culture che tentano di convivere in esso.

Dal punto di vista religioso, il fatto che ci siano tre grandi comunità, quasi divise in parti uguali, è una garanzia di dialogo. Nessuno prevale sugli altri: 26,8% di cattolici, 30% di religioni tradizionali e 20-22% di musulmani. Altre religioni cristiane porterebbero la percentuale di cristiani al 42%, ma non è un gruppo omogeneo, come non lo è quello delle religioni tradizionali. I musulmani sono stati gli ultimi ad arrivare nella zona, colonizzata da portoghesi, tedeschi, francesi e inglesi.

Questa giovane Repubblica presidenziale si è costituita nel 1961, dopo la riunificazione di due parti, una britannica (quella meridionale) e l'altra francese, frutto della sconfitta nella Prima Guerra Mondiale della Germania, che era la potenza colonizzatrice di questa parte dell'Africa. Il Camerun tedesco perse in queste vicissitudini una zona settentrionale britannica che passò alla Nigeria.

I primi evangelizzatori cattolici che si stabilirono in Camerun erano tedeschi. Si impegnarono nel settore educativo e sanitario e insieme alle prime congregazioni religiose che si insediarono nel Paese sono molto apprezzati.

La Repubblica è stata federale fino al 1972, quando si è trasformata in Stato unitario. Esiste un pluripartitismo imperfetto, visto che il Raggruppamento Democratico del Popolo Camerunense (RDPC), al Governo, predomina ampiamente.

Il Presidente è eletto ogni sette anni e il Paese ne ha avuti solo due: il "padre della patria", se così si può dire, Ahmadou Ahidjo, musulmano, primo Presidente del Camerun indipendente, per vent'anni Capo di Stato, e quello attuale, Paul Biya, cattolico, Primo Ministro nel 1975 e che è succeduto ad Ahidjo nel 1982.

La decisione più controversa di questo Presidente, nel 2008, è stata la riforma della Costituzione che, tra le altre cose, prevede l'eliminazione del limite dei mandati presidenziali consecutivi, consentendo così a Biya, che ha 75 anni ed è al potere da 27, di presentarsi di nuovo alle elezioni del 2011.

La riforma è stata approvata con 157 voti a favore, 5 contrari e 15 astensioni. I 15 deputati del principale partito d'opposizione, il Fronte Sociale Democratico (FSD), hanno abbandonato il Parlamento in protesta. Partiti di opposizione e associazioni della società civile hanno criticato la modifica della Costituzione del 1996. Tra loro, i Vescovi del Paese si sono mostrati contrari al mantenimento del Presidente al potere.

Il Paese si prepara a una visita che, anche se pastorale, dà chiaramente prestigio all'attuale Presidente. Da ciò potrebbe derivare, sostengono alcuni analisti, un anticipo delle elezioni al 2009.

Fervono i preparativi

Nel frattempo, nel Paese fervono i preparativi per l'arrivo del Papa. Nel corso di una conferenza stampa del 27 febbraio, l'Arcivescovo di Yaoundé e presidente della Conferenza Episcopale (CENC), Victor Tonye Bakot, ha espresso la propria soddisfazione per l'andamento dei preparativi per accogliere il Papa.

Un atteggiamento che ha suscitato critiche, secondo la stampa locale, è la distruzione delle bancarelle di Yaoundé, che davano da vivere a migliaia di persone. Le autorità affermano che l'occasione merita che la città si abbellisca. Secondo loro, le bancarelle sono antiestetiche e per questo sono state demolite, ma è stato spiegato che i proprietari non avrebbero ricevuto un indennizzo per questo.

Anche se è vero che tutte le misure di sicurezza sono poche, non sarebbe gradito all'illustre ospite lasciare qualcuno senza lavoro.

"C'è qualcosa nell'aria, una vera gioia di sentirsi camerunensi, che si respira dalle alture della Basilica minore di Mvolyé, passando per Yaoundé, fino a Piazza San Pietro a Roma", ha scritto il 28 ottobre scorso Abui Mama sul quotidiano locale Camerun Tribune dopo l'annuncio ufficiale del viaggio papale.

Secondo Mama, da allora il Camerun "si sente bene nella propria pelle, il che è piuttosto raro nel continente di questi tempi". "Nella fervente comunità cattolica - aggiungeva - e anche oltre, si legge nei volti. C'è come una gioia condivisa, portatrice di speranza, che viene a dare gusto alla vita e colore alla quotidianità". Per il giornalista, tutti desiderano mostrarsi degni dell'onore ricevuto.

Il Papa è "messaggero di pace e di fraternità", indicava Mama, sottolineando che "la Repubblica è neutra, ma le religioni hanno un loro ruolo nella società".

Con la visita del Papa, il Camerun, "che condivide le stesse idee di pace e di fraternità del Vaticano, raccoglie le conseguenze di una lunga ed eccellente relazione di amicizia e di cooperazione che lega i Capi dei due Stati", aggiungeva il giornalista ricordando i due viaggi di Giovanni Paolo II nel Paese, nel 1985 e nel 1995.

"La scelta del Camerun come prima tappa della prima visita di Benedetto XVI in Africa è anche la prova che il nostro Paese conta a livello internazionale, e non manca di fornire apporti all'incontro tra culture e civiltà", concludeva Abui Mama.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]




16/03/2009 17:12
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Da domani il Papa in Africa: Camerun e Angola le tappe del primo viaggio apostolico di Benedetto XVI nel continente


C'è grande attesa in tutta l'Africa per il primo viaggio di Benedetto XVI nel continente. Il Papa partirà domani mattina per il Camerun: qui consegnerà l'Instrumentum laboris del secondo Sinodo per l'Africa che si svolgerà in ottobre in Vaticano. Dal 20 al 23 marzo sarà in Angola. Ieri all'Angelus il Pontefice ha chiesto ai fedeli di accompagnare con la preghiera questo suo undicesimo viaggio apostolico internazionale. Parto per l'Africa - ha detto - con la consapevolezza di non avere altro da proporre se non Cristo e la Buona Novella della sua Croce, mistero di amore divino che genera una forza irresistibile di pace e riconciliazione fino al perdono dei nemici. Ma diamo la linea al nostro inviato, Giancarlo La Vella:

Il Papa e l’Africa: un rapporto preferenziale, quasi tra un padre ed i suoi figli sofferenti. Un rapporto che ha vissuto momenti di concreto affetto sin dal 1969, primo viaggio in epoca moderna di un Pontefice – Paolo VI – in Uganda, e poi attraverso le 16 visite di Giovanni Paolo II, dal 1980 al 2000. Ora, Benedetto XVI raccoglie il testimone dei suoi predecessori e si reca in Camerun e Angola, due realtà che racchiudono in sé gran parte degli aspetti di tutto il continente. “Penso agli emarginati e a tutte le persone che soffrono nel cuore e nel corpo”, disse Giovanni Paolo II congedandosi, nel settembre del 1995, a conclusione della sua ultima permanenza in Camerun. “Saluto le famiglie, che portano avanti con coraggio i loro compiti; rivolgo i miei auguri ai giovani affinché costruiscano il loro futuro in maniera positiva, aperti alla dimensione spirituale della vita, preoccupandosi sempre di essere utili ai propri fratelli”.

E salutando l’Angola, nel giugno del 1992: “Popolo dell’Angola – disse Giovanni Paolo II ad un Paese in una difficile fase di riconciliazione dopo una durissima guerra civile – non desistere nel cammino che conduce ad una riconciliazione autenticamente fraterna. Potrete così superare gli ostacoli della povertà e perseguire uno sviluppo che possa assicurare un futuro migliore per le generazioni future”. Benedetto XVI, sulle orme del suo predecessore, in Camerun consegnerà alla Chiesa africana l’Instrumentum laboris, atto con cui si aprirà simbolicamente la seconda Assemblea speciale del Sinodo per l’Africa dal titolo “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. I lavori dell’assise si svolgeranno poi ad ottobre in Vaticano. Lo stesso aveva fatto Giovanni Paolo II sempre a Yaoundé, presentando l’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Africa” a conclusione della prima assemblea.

Dopo il Camerun, per il Papa, l’Angola, dove si stanno celebrando ancora i 500 anni dell’evangelizzazione iniziata nel 1491. Sia il Camerun sia l’Angola si affacciano sulla costa atlantica dell’Africa, separati dall’Equatore. Il Camerun, a Nord, è indipendente dal 1961, dopo la dominazione francese e britannica; oltre 17 milioni di abitanti su 475 mila chilometri quadrati, di essi oltre un quarto di religione cattolica. E’ una Repubblica presidenziale che solo negli ultimi anni ha superato le violente frizioni tra gruppi secessionisti anglofoni e oggi gode di una più stabile situazione politica e sociale.

Anche l’Angola è oggi una Repubblica presidenziale, dopo essere stata una colonia portoghese sino al 1975. Sedici milioni gli abitanti su una superficie di un milione e 250 mila chilometri quadrati, che ne fanno – per estensione – il quinto Paese del Continente. Oltre metà della popolazione è di religione cattolica. Dal 1975 al 2002, il Paese è stato teatro di una cruenta guerra civile che causò 500 mila morti. Pochi i momenti di tregua, uno dei quali consentì la visita di Giovanni Paolo II nel 1992. In lotta, i movimenti che avevano combattuto il colonialismo portoghese, ognuno dei quali poi cercò di imporre la propria leadership nell’indipendenza. Dal 2002 la parola “pace” risuona sempre più forte e nel Paese è iniziato un sia pur graduale periodo di miglioramento economico e sociale.

Uno dei momenti significativi per il futuro del continente sarà la consegna, a Yaoundé, dell’Instrumentum laboris per il secondo Sinodo per l’Africa. Ascoltiamo padre Mathias Stephane, presidente dell’ufficio per la comunicazione della Conferenza episcopale del Camerun, al microfono di Giancarlo La Vella:

R. – Sarà significativo non soltanto per il futuro: sarà anche un’apertura perché se si ricorda il primo Sinodo, che ha avuto luogo a Roma nel 1994, si è visto proprio come tutta l’Africa si sia alzata per celebrare questo evento. Per cui, questa sarà la seconda volta per l’Africa di sentirsi spinta a poter portare la fede in tutto il continente e di far sentire a tutti i fedeli che la Chiesa cattolica non ha dimenticato l’Africa e continua sempre a pensare all’Africa.
Sulla religiosità in Camerun ascoltiamo un altro sacerdote di questo Paese africano, padre Bayeni Sosthene, al microfono di Giancarlo La Vella:

R. - L’aspetto della fede in Camerun attraversa un momento critico, ci troviamo ad un crocevia. Un primo passo è già stato compiuto quando la fede è arrivata in Camerun, adesso c’è un tentativo di ritornare a qualcosa di tradizionale ma allo stesso tempo c’è la modernità, la globalizzazione, i mezzi di comunicazione e c’è il desiderio importante di vivere una fede vera e autentica. Credo che questo sia un momento di scelta per avere una fede vera, pura, che porti a un vero incontro col Signore. Tante persone chiedono un aiuto per incontrare il Signore, per vivere un’autentica esperienza di fede, un cammino di fede, sia nella preghiera, sia nello studio. C’è poi una forte fede nella preghiera: per esempio, quando c’è una malattia le persone chiedono sempre una preghiera e una benedizione; chi non trova lavoro, chi non trova una soluzione a un problema chiede sempre un aiuto spirituale da parte del sacerdote.

D. - In questa tensione tra tradizione e modernità la fede che posto trova?

R. - La fede sta facendo una sua strada e bisogna aiutare a farla maturare nella gente per un’autentica inculturazione. Non é facile perché ci sono tante voci che gridano a destra e a sinistra. La Conferenza episcopale prova a insegnare come combattere, per esempio la corruzione, la perdita di alcuni valori come il senso della famiglia, il senso del rispetto della vita: con la fede cerchiamo di trovare i nostri veri valori ma trasformati dal Vangelo.

www.radiovaticana.org




L'Africa è il nuovo motore della Chiesa cattolica



ROMA, lunedì, 16 marzo 2009 (ZENIT.org).- Grazie alla pubblicazione da parte della Santa Sede delle statistiche relative alla Chiesa cattolica in Angola e Camerun, si può constatare il rilevante aumento dei cattolici e la grande forza della Chiesa in entrambi i Paesi, se si paragonano ai dati di 80 anni fa.

Oggi la Chiesa camerunense e quella angolana sono veramente africane e non dipendono dall'impulso missionario delle congregazioni e degli ordini religiosi che tanto hanno fatto per diffondere il Vangelo in questi Paesi.

La Repubblica del Camerun, con capitale Yaoundé, ha una popolazione di 18.160.000 abitanti, 4.842.000 dei quali cattolici (il 26,7 % della popolazione). Esistono 24 circoscrizioni ecclesiastiche, 916 parrocchie e 3.630 centri pastorali di altro tipo. Attualmente ci sono 31 Vescovi, 1.847 sacerdoti, 2.478 religiosi, 28 membri laici di istituti secolari e 18.722 catechisti. I seminaristi minori sono 2.249, quelli maggiori 1.361.

Un totale di 410.964 alunni frequenta i 1.530 centri educativi cattolici, dalle scuole materne all'università. Per quanto riguarda i centri caritativi e sociali di proprietà della Chiesa o diretti da ecclesiastici o religiosi, in Camerun ci sono 28 ospedali, 235 ambulatori, 11 ospizi per anziani e invalidi, 15 orfanotrofi, 40 consultori familiari e altri centri per la difesa della vita, 23 centri speciali di istruzione o reinserimento sociale e 32 istituzioni di altro tipo.

E' interessante paragonare questi dati con la situazione della Chiesa camerunense 80 anni fa, quando non si era nemmeno costituito il Paese. Nel 1932 la Chiesa cattolica si articolava in tre vicariati apostolici (Foumban, Yaoundé e Douala). Aveva 246.742 cattolici e i sacerdoti erano 77, nessuno dei quali autoctono. C'erano poi 32 religiosi non sacerdoti, 8 dei quali locali. Le religiose erano 37, due delle quali africane.

La Repubblica dell'Angola, la cui capitale è Luanda, ha 15.473.000 abitanti, di cui 8.600.000 cattolici, ovvero il 55,6% della popolazione. Ci sono 18 circoscrizioni ecclesiastiche, 307 parrocchie e 2.976 centri pastorali di altro tipo. Attualmente ci sono 27 Vescovi, 794 sacerdoti, 2.276 religiosi, 5 membri laici di istituti secolari e 30.934 catechisti. I seminaristi minori sono 1.031, quelli maggiori 1.236.

Nelle 481 scuole materne, secondarie, superiori e università di proprietà della Chiesa o dirette da ecclesiastici o religiosi studiano 226.798 alunni. Quanto ai centri caritativi e sociali gestiti dalla Chiesa o da ecclesiastici o religiosi, in Angola ci sono 23 ospedali, 269 ambulatori, 16 case per anziani e invalidi, 45 orfanotrofi, 37 consultori familiari e altri centri a favore della vita, 28 centri speciali di istruzione o reinserimento sociale e 41 istituzioni di altro tipo.

Come in Camerun, 80 anni fa in Angola la presenza dei cattolici era più ridotta di oggi. C'erano 322.589 fedeli, con 73 sacerdoti, 3 dei quali angolani, 48 religiosi (uno angolano) e 48 religiose (11 africane).






L'Angola attende le parole di pace di Benedetto XVI


Afferma il Presidente del Comitato preparatorio della visita del Santo Padre





LUANDA, lunedì, 16 marzo 2009 (ZENIT.org).- “Aspettiamo con trepidazione le parole di pace e di riconciliazione del Santo Padre in un Paese ancora sofferente per le ferite della guerra civile”, ha detto mons. Filomeno do Nascimento Vieira Dias, Vescovo di Cabinda e Presidente del Comitato preparatorio della visita che il Santo Padre compirà in Angola dal 20 al 23 marzo.

In una intervista all'agenzia Fides, il presule ha spiegato che “tutta l'Angola attende con gioia la visita del Santo Padre. In particolare si avverte il fervore con il quale la Chiesa, nelle sue molteplici espressioni, si sta preparando all'arrivo di Benedetto XVI”, che partirà il 17 marzo per il suo primo viaggio apostolico in Africa.

“Vogliamo accogliere il Santo Padre facendogli sentire il calore della popolazione angolana, desideriamo accogliere Benedetto XVI nella tradizione della festa angolana”, ha detto.

“Abbiamo bisogno del suo conforto spirituale, delle sue indicazioni morali sulla giustizia, sulla pace, sulla ricerca del bene comune, sul progresso civile e spirituale”, ha poi sottolineato.

In vista della visita di Benedetto XVI, la Chiesa angolana ha organizzato momenti di preghiera con un testo comune appositamente preparato.

“In ogni parrocchia dell'Angola, ogni domenica, si è seguita una catechesi particolare incentrata sulla figura del Pontefice – ha spiegato il Vescovo di Cabinda – . Di domenica in domenica, si è affrontato un aspetto particolare della figura Petrina: l'essere Vicario di Cristo, il ruolo del Papa nella Chiesa universale, il suo rapporto con le Chiese particolari e così via, in modo da offrire ai fedeli la possibilità di comprendere pienamente il significato della visita del Papa”.

“Anche se la visita è concentrata solo nella capitale, Luanda, tutte le diocesi angolane sono coinvolte – ha poi aggiunto –. Sono attesi almeno 4mila delegati da tutte le diocesi del Paese, più numerosi fedeli da tutta l'Angola”.

Per accogliere tutte queste persone, ha proseguito, “sono state mobilitate le scuole cattoliche di Luanda, dove verranno alloggiati i pellegrini che non risiedono nella capitale”, inoltre “è stata organizzata una raccolta di viveri per assicurare loro i pasti, stiamo predisponendo i servizi igienici e un servizio sanitario e di pronto soccorso”.

“La sera dell'arrivo del Santo Padre in Angola, per le strade di Luanda si svolgerà una processione di quattro chilometri che si concluderà con una Veglia di preghiera – ha rivelato –. Per preparare tutto questo occorre tanto lavoro, ma lo stiamo facendo con grande gioia e in spirito di fraternità”.

L'Angola è il primo Paese dell'Africa subasahariana ad essere stato evangelizzato. Il primo battesimo risale infatti al 1491, un anno prima della scoperta dell'America.

L'Angola ha una popolazione di oltre 16 milioni di abitanti. I cattolici sono 8 milioni 334mila, distribuiti in 18 diocesi con 283 parrocchie.



17/03/2009 16:28
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN CAMERUN E ANGOLA (17-23 MARZO 2009) (I)

Ha inizio questa mattina l’11° Viaggio internazionale del Santo Padre Benedetto XVI che lo porta in Camerun e Angola.

L’aereo con a bordo il Santo Padre - un B777 dell’Alitalia - è partito dall’aeroporto di Fiumicino (Roma) alle ore 10.20.

L’arrivo all’aeroporto Nsimalen di Yaoundé (Camerun) è previsto per le ore 16.00.



TELEGRAMMA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Nel momento di lasciare il territorio italiano, il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto pervenire al Presidente della Repubblica Italiana, On. Giorgio Napolitano il seguente messaggio telegrafico:

A SUA ECCELLENZA

ON. GIORGIO NAPOLITANO

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

PALAZZO DEL QUIRINALE

00187 ROMA

NEL MOMENTO IN CUI MI ACCINGO A COMPIERE UN VIAGGIO APOSTOLICO IN CAMERUN E IN ANGOLA MOSSO DAL VIVO DESIDERIO DI INCONTRARE I FRATELLI NELLA FEDE E GLI ABITANTI DI QUELLE CARE NAZIONI MI È GRADITO RIVOLGERE A LEI SIGNOR PRESIDENTE L’ESPRESSIONE DEL MIO DEFERENTE SALUTO CHE ACCOMPAGNO CON FERVIDE PREGHIERE PER IL BENE E LA PROSPERITÀ DELL’INTERO POPOLO ITALIANO

BENEDICTUS PP. XVI




Il Papa in volo verso il Camerun, prima tappa del suo 11.mo viaggio apostolico internazionale. Ai giornalisti a bordo dell’aereo dice: amo l’Africa e la sua fede gioiosa

Amo l’Africa e la fede gioiosa degli africani, questo viaggio in Camerun e Angola vuole essere un segno di gioia e speranza: con queste parole, Benedetto XVI ha parlato del suo imminente arrivo in terra camerunese, rispondendo a sei domande rivoltegli qualche ora fa dai giornalisti sull’aereo papale diretto a Yaoundé. Qui, dopo circa sei ore di volo, il Papa atterrerà intorno alle ore 16 ed avrà così inizio, con la cerimonia di benvenuto, l’11.mo viaggio apostolico internazionale di Benedetto XVI. Dall’aereo papale, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, riferisce dei passaggi salienti della conferenza stampa:

Il Papa ha risposto a sei domande dei giornalisti in circa venti minuti, mezz’ora. Ha toccato molti punti cruciali: ad esempio, la crisi economica mondiale e il suo impatto nei Paesi poveri e l’importanza dell’etica per un retto ordine economico-mondiale, argomento che sarà sviluppato ulteriormente anche nella prossima Enciclica:


“Naturalmente, farò appello alla unitarietà internazionale (…) parlerò di questo anche nell’Enciclica: questo è un motivo del ritardo. (…) Spero che l’Enciclica potrà anche essere un elemento, una forza per superare questa crisi”.


Ha parlato pure della Chiesa africana, della sua vitalità e dei suoi problemi: dell’annuncio del Vangelo per il continente, della capacità dell’annuncio della Chiesa di rispondere alle attese più profonde della cultura africana e di dare un ampio respiro comunitario e di lungo termine, a differenza delle promesse di benessere di breve termine che danno le sette religiose:


“Io amo l’Africa, ho tanti amici africani già dai tempi in cui ero professore fino a tutt’oggi. Amo la gioia della fede, questa gioiosa fede che si trova in Africa”.


Il Papa ha anche parlato dell’Aids e della prospettiva cristiana dell’amore e della sessualità e dell’impegno efficace e positivo di tante istituzioni cattoliche a vantaggio dei malati e dei sofferenti, un messaggio di speranza per l’Africa e per la Chiesa in Africa:


“Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari (…) non si può superare con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano il problema. La soluzione può solo essere una umanizzazione della sessualità, un rinnovo spirituale e umano”.


Sorridendo il Papa, all’inizio della conferenza, ha anche risposto a una domanda circa la sua presunta solitudine, di cui parlano tanto spesso i media:


“Per dire la verità, mi fa un po’ ridere questo mito della mia solitudine. In nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo delle visite dei collaboratori più stretti, incominciando dal segretario di Stato (...) Sono realmente circondato da amici e in stupenda collaborazione con vescovi, collaboratori, laici e sono grato per questo”.
In sostanza, abbiamo visto, all’inizio di questo viaggio, un Papa sereno e fiducioso sulla strada del suo primo incontro, come Pontefice, con l’Africa.



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=746&sett...

17/03/2009 16:28
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L'attesa del Papa a Yaoundé e in tutto il Camerun nelle testimonianze di rappresentanti della Chiesa locale


Durante la sua rotta verso l’Africa, Benedetto XVI ha indirizzato come di consueto alcuni telegrammi di saluto e di benedizione ai capi di Stato dei Paesi sorvolati. In particolare, al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, il Pontefice ha detto di accingersi al viaggio in Camerun e Angola “mosso dal vivo desiderio di incontrare i fratelli nella fede e gli abitanti di quelle care nazioni”. Analoghi sentimenti sono stati espressi da Benedetto XVI ai presidenti di Tunisia, Libia, Niger e Nigeria.

Intanto, solo un paio d’ore ormai separano il Papa dal primo abbraccio con il Camerun. Al suo arrivo, Benedetto XVI sarà accolto all’aeroporto Nsimalen di Yaoundé dalle massime cariche civili e religiose del Paese africano e terrà il suo primo discorso alla presenza del capo di Stato, Paul Biya. Il nostro inviato, Giancarlo La Vella, ci restituisce nel suo servizio l'atmosfera che si respira per le strade di Yaoundé:

Il Papa riparte dal Camerun nel suo costante e attento dialogo con l’Africa e la città di Yaoundè si è vestita a festa per questo eccezionale incontro, il terzo con un Pontefice dopo le visite del 1985 e 1995 di Giovanni Paolo II. Ogni strada, soprattutto quelle attraverso le quali si snoderà il corteo papale negli spostamenti cittadini, reca un caloroso segno di saluto: “Santo Padre ti accogliamo a braccia aperte”, “Benvenuto in Cameroun, Benedetto”, le frasi più ricorrenti, e poi tante espressioni augurali nelle strade che il Santo Padre percorrerà il 19 marzo, San Giuseppe, giorno del suo onomastico. I colori, i profumi e le luci dell’Africa camerunense si fonderanno con il bianco e il giallo delle bandiere vaticane, che già a centinaia sono esposte in tutta Yaoundé. Una città in cui si vive all’aperto, tra i mille mercatini dove si vende di tutto, e il caos delle voci e dei rumori dei motori, che fanno da costante colonna sonora alla vita della gente, che nonostante oggi non conosca il dolore della guerra o le difficoltà della povertà, così come in altre regioni africane, mostra con dignità tutte le difficoltà del vivere quotidiano.


Non sarà la magnificenza dell’arte rinascimentale o la strabiliante modernità ad accogliere il Papa, ma la semplicità dei luoghi e la sincera gioia dei fedeli. Questa è la ricchezza che offre al vicario di Cristo il Camerun, un Paese indipendente dal 1961, dopo la colonizzazione franco-britannica. Furono i padri Pallottini tedeschi a portare il Vangelo nel Paese nel 1890 e a sviluppare il cattolicesimo, che oggi è seguito da quasi il 27% dei 17 milioni di abitanti. “Con questa visita, intendo abbracciare l’intero continente africano: le sue differenze, il suo faticoso cammino di sviluppo e di riconciliazione; le sue dolorose ferite e le sue speranze. Parto con la consapevolezza di non avere altro da donare, se non Cristo e la Buona Novella della sua Croce”. E’ stato il Papa stesso, con sintesi efficace, a puntualizzare, all’Angelus di domenica scorsa, i motivi del suo viaggio pastorale in Africa, continente dalle tante contraddizioni e dalle tante potenzialità.


Camerun e Angola, dunque le tappe, ma per parlare all’intero continente africano e per dare l’abbrivio all’evento che definirà in ottobre il ruolo della Chiesa del continente, chiamata a confrontarsi con ataviche emergenze, riassunte nel titolo del Sinodo che i vescovi africani terranno in Vaticano: “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Alle quattro di pomeriggio, l’arrivo dell’aereo papale all’aeroporto Nsimalen di Yaoundé, dove si terrà la cerimonia di benvenuto e durante la quale il Papa rivolgerà le sue prime parole di saluto. Il Pontefice si ritirerà nella nunziatura, dove alloggerà nel periodo camerunense. Una particolarità, la nunziatura, situata su di un colle che domina tutta Yaoundé, è circondata da un giardino tropicale, nel quale il nunzio apostolico, mons. Ariotti, ha fatto sistemare una serie di statue che raffigurano vita di Cristo, la storia della Salvezza, la storia della Chiesa e della devozione popolare, il tutto grazie all’opera di artisti locali.


Per la sua conformazione interna - ricca di differenze etniche e religiose ma capaci di coesistere nel segno della collaborazione - il Camerun viene spesso indicato come uno Stato-modello dell’Africa contemporanea. Ma quale volto presenta oggi il Paese a Benedetto XVI, rispetto a quello del 1985 e 1995 quando lo visitò Giovanni Paolo II? Giancarlo La Vella lo ha domandato a mons. Joseph Akonga Essomba, segretario generale della Conferenza episcopale del Camerun:

R. - E’ un Camerun che ha avuto una certa maturazione a più livelli, perché nelle due volte che Giovanni Paolo II è giunto in Camerun, già la prima volta era stato chiesto di avere nel Paese un’Università Cattolica, cosa che è diventata realtà. Esiste un’Università Cattolica per l’Africa Centrale, che ora è un riferimento per tutto il continente. Inoltre, si registra un processo di democratizzazione dappertutto in Africa, che allora non si viveva in modo concreto. Nuove diocesi sono state fondate da Giovanni Paolo II e anche da Benedetto XVI, il che fa sì che la Chiesa sia molto viva. Devo dire che il Camerun è cambiato da quel tempo.


D. - Uno dei momenti più attesi è l’incontro con la comunità musulmana, una comunità molto numerosa in Camerun. Com’è la realtà islamica oggi nel Paese?


R. – Le relazioni con i musulmani in Camerun sono molto buone, devo dire. In questo Paese ci sono soprattutto sunniti anche se, parlando di comunità di fede, essi rappresentano una minoranza, mentre i cristiani sono la maggioranza. Questo fa sì che i musulmani abbiano sempre collaborato con i cristiani. Adesso, nel sud del Paese, si nota la costruzione di alcune moschee, con l’aiuto dell’Arabia Saudita. Le relazioni sono molto buone e il rispetto è mutuo, non c’è traccia di estremismi presenti in altre parti. C’è un aiuto fraterno, anche perché la Chiesa cattolica si è impegnata in gruppi di riflessione: uno si chiama “Forum Camerun”, un altro agisce soprattutto a livello sociale. C’è poi un gruppo che agisce a livello teologico, che sviluppa una riflessione teologica sul dialogo interreligioso tra la comunità cristiana e i musulmani.


D. - C’è poi l’incontro del Papa con il mondo della malattia. Come si manifesta la sofferenza in una realtà così difficile come quella africana?


R. - La sofferenza fa parte della vita. Siamo molto lieti che il Santo Padre possa incontrare il mondo della sofferenza. Ci sono malattie che la gente non può curare, perché mancano i mezzi economici. La gente è ancora molto povera. C’è qualcuno che muore di malaria, perchè non ha i mezzi per farsi curare in ospedale. La Chiesa cattolica lavora molto, specie nei dispensari tenuti dalle suore missionarie e dai sacerdoti. E’ una realtà molto, molto viva qui in Camerun.


D. - Come vive la Chiesa del Camerun, ma anche di tutta l’Africa, il tema del secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, e cioè l’impegno della Chiesa africana per la riconciliazione, la giustizia e la pace?


R. - L’Africa, purtroppo, è il continente dove non solo c’è povertà, ma ci sono anche guerre e rifugiati, frutto di conflitti e interessi egoistici di alcune persone. Penso, dunque, che tutta la gente, soprattutto la gioventù, vorrebbe avere per il suo futuro giustizia, vorrebbe vivere in pace. Per vivere bene - come creature degne, create da Dio - c’è bisogno di questa giustizia e di questa pace.


D. - Quale sarà il saluto che il Camerun rivolgerà al Papa?


R. - Sarà il saluto di una Chiesa, di una comunità di credenti, che accoglie il Pastore universale, che accoglie il successore di Pietro, che viene a incoraggiare, ad esortare i suoi figli nella fede, perché rimangano fedeli a quella fede che hanno ricevuto il giorno del Battesimo e perché siano veramente come nel tema del Sinodo: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”. Che i cristiani di questo Paese possano invitare gli altri a capire che, vivendo da cristiani, si vive in maniera differente dal solito e che la fede in Cristo fa cambiare l’uomo.(Montaggio a cura di Maria Brigini)


Il ruolo della donna nella società africana costituirà - soprattutto con la successiva tappa in Angola di Benedetto XVI - uno degli punti di riflessione di questo viaggio pontificio. Il nostro inviato Giancarlo La Vella ne ha parlato con suor Jocelyne Kamga, della Congregazione delle Suore di Sant’Anna, che descrive anzitutto l’attesa del Papa tra le religiose del Paese:

R. - Noi religiose del Camerun siamo molto contente. Viviamo questo momento come un momento di grazia e aspettiamo che il Santo Padre ci rinvigorisca nella nostra fede e ci aiuti ad essere segno di speranza in mezzo ai popoli che soffrono e hanno diversi problemi di povertà, di sofferenza; speranza per i giovani che si sentono un po’ abbandonati, smarriti, non hanno un futuro sicuro. Per noi, è un grande momento di speranza. Aspettiamo proprio quello che il Papa ci dirà per essere a nostra volta segno di speranza.


D. - Uno dei momenti importanti di questo viaggio, che avverrà, però, in Angola, è l’incontro con i Movimenti cattolici per la promozione della donna. L’elemento femminile in Africa è sempre stato considerato molto importante...


R. - La donna è la madre dell’umanità e per noi africani la donna è proprio la madre, perchè porta l’essere vivente nel suo seno. E’ al centro di questa nostra cultura. Poi voi sapete che da noi la Chiesa è fatta dalle donne. La maggior parte dei cristiani sono donne e sono molto ferventi, con il loro impegno spirituale e materiale, nel sostenere le nostre chiese. Poi abbiamo anche un altro elemento: noi religiose ci prendiamo cura della donna in modo speciale, perché, nonostante il fatto che la donna sia il centro, in quanto madre e perché porta la vita, dall’altro lato è abbandonata e messa in secondo piano, e non partecipa direttamente alle prese di decisioni, alla vita della società ed anche alla vita della cultura. Gli uomini si sono impadroniti della situazione. Nella nostra società, però, la donna sta prendendo piede, è intraprendente. Nel piccolo commercio in maggioranza sono donne e, come ho detto, sono sempre le donne che sono il fermento vivo della Chiesa in Camerun.


Come ricordato in apertura, dopo la cerimonia inaugurale in programma tra meno di due ore all’aeroporto di Yaoundé, Benedetto XVI si trasferirà nella Nunziatura della capitale camerunense. Domattina, il Pontefice si recherà in visita di omaggio dal presidente, Biya, e terrà un discorso nel palazzo presidenziale. Quindi, sarà la volta del pranzo dei vescovi del Camerun con Benedetto XVI, nella Nunziatura apostolica. Nel pomeriggio, infine, il Papa presiederà la celebrazione dei Vespri nella solennità di San Giuseppe nella Basilica di Maria Regina degli Apostoli di Yaoundé, alla presenza del clero e di tutte le forze della Chiesa cattolica nel Paese, oltre che di rappresentanti di altre confessioni camerunensi.


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17/03/2009 16:29
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Musulmani e protestanti danno il benvenuto al Papa in Camerun


“Una benedizione”, commenta il grande Imam di Yaoundé





YAOUNDÉ, martedì, 17 marzo 2009 (ZENIT.org).- Giungendo all'aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé, Benedetto XVI ha ricevuto il benvenuto di musulmani e protestanti del Camerun.

“Nel Corano, il profeta Maometto ci raccomanda di accogliere bene gli stranieri, perché spesso vengono in pace. Per noi, quindi, l'arrivo del Papa è una benedizione”, ha dichiarato il grande Imam di Yaoundé, lo sceicco Ibrahim Moussa.

Durante il suo soggiorno in Camerun, il Papa riceverà in varie occasioni il benvenuto dei responsabili della comunità musulmana del Paese, la seconda per numero dopo quella cristiana.

In occasione dell'arrivo del Pontefice, lo sceicco Ibrahim Moussa ha rivolto un appello ai fedeli musulmani a “rispettare la religione degli altri e a unirsi per accogliere questo grande uomo”.

Secondo quanto ha riferito alla stampa locale, il leader islamico ha assicurato che “consideriamo il Papa un grande Imam”, in riferimento alla figura incaricata di presiedere la preghiera canonica musulmana ponendosi davanti ai fedeli perché questi lo seguano nelle parole e nei movimenti.

“Preghiamo perché il suo soggiorno si svolga positivamente e torni a casa in pace”, ha aggiunto l'Imam.

“Noi abbiamo una buona considerazione di lui, e soprattutto conviviamo pacificamente con i fedeli cattolici. Di fatto, preghiamo l'unico Dio. I musulmani, quindi, sono contenti come loro di ricevere il Papa qui, nel nostro Paese”.

Hanno dato il benvenuto al Papa anche le comunità protestanti.

“L'arrivo del Santo Padre nel nostro Paese è una grazia che non può lasciare un cristiano indifferente”, ha sottolineato in particolare il reverendo Jean Emile Ngué, segretario generale del Consiglio delle Chiese protestanti del Camerun, che considera l'arrivo del Papa “un avvenimento di grande portata spirituale”.

[Con informazioni di Isabelle Cousturié]


17/03/2009 16:29
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Evangelizzazione e impegno sociale, i compiti dei cattolici in Africa


Spiega il fondatore della Comunità di Sant'Egidio




di Mercedes de la Torre


ROMA, martedì, 17 marzo 2009 (ZENIT.org).- Grandi sono le aspettative sul viaggio apostolico in Africa di Benedetto XVI, che da questo martedì fino al 23 marzo lo condurrà prima in Camerun e poi in Angola.

Ad affermarlo a ZENIT è stato il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, sostenendo che “il viaggio del Papa sarà molto importante, prima di tutto perché l'Africa resta in crisi”.

Tra i problemi principali che il continente si trova ad affrontare, lo storico ha citato “AIDS, malattie, guerre e Stati fragili”.

L'Africa, tuttavia, non è solo fonte di problemi. Secondo Riccardi, i cristiani hanno la responsabilità di evangelizzare e lottare per una società più umana.

“I cattolici e i cristiani hanno un ruolo importante”, ha dichiarato. “Devono assumere la loro responsabilità nell'evangelizzazione, ma non solo. Devono assumere la propria responsabilità per una società più giusta e più umana”.

“Il Papa va a confermare le Chiese e ad aprire un percorso che poi passerà attraverso il Sinodo di ottobre”, ha aggiunto.

In Camerun, il Pontefice consegnerà l'Instrumentum laboris del prossimo Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre 2009 sul tema “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo”.

17/03/2009 16:42
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Il viaggio del papa in Africa: i 107 del volo papale
Scritto da Salvatore Scolozzi


Benedetto XVI parte per il Camerun e l’Angola per il suo primo viaggio apostolico nel continente africano. Una sette giorni intensa, dal 17 al 23 marzo, ricca di grande significato pastorale, e densa di messaggi “di riconciliazione, di giustizia e di pace”. Alle ore 10 del 17 marzo la partenza del Boeing 777 dell’Alitalia dall’aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino. Nel volo AZ 4000 con destinazione Yaoundé (Camerun), oltre a Benedetto XVI, viaggeranno il seguito papale (34 persone), i giornalisti ammessi al volo (70), un funzionario della Sala stampa vaticana e uno dell’Alitalia. In tutto, oltre al personale di volo, 107 persone, incluso, ovviamente, il papa.


La Segreteria di Stato della Santa sede ha indicato che il seguito papale sarà formato da 3 cardinali, 4 vescovi, 9 sacerdoti e 18 laici. Alla sua guida il Segretario di Stato, S.Em. Card. Tarcisio Bertone. Gli altri cardinali saranno il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, S.Em. Card. Ivan Dias, e il prefetto emerito della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, S.Em. Card.Francis Arinze.

Saranno presenti inoltre il sostituto alla Segreteria di Stato S.E.R. Mons. Fernando Filoni, l’elemosiere di Sua Santità, S.E.R. Mons. Félix Del Blanco Prieto, il Segretario generale del Sinodo dei vescovi, S.E.R. Mons. Nikola Eterović, e il segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, S.E.R. Mons. Robert Sarah. Tra i sacerdoti, saranno del seguito Mons. Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche, Mons. Georg Gänswein, segretario particolare del papa, coadiuvato da Mons. Alfred Xuereb. Per la Segreteria di Stato, saranno presenti Mons. Jean-Marie Speich, Mons. Peter B. Wells e Mons. Antonio F. Da Costa.

A coadiuvare mons. Marini nelle liturgie ci saranno Mons. Konrad Krajewski e Mons. Guillermo Karcher. Saranno ovviamente presenti il direttore della Sala Stampa vaticana, del CTV e della Radio vaticana, P. Federico Lombardi, S.J. e il funzionario della Sala Stampa, Vik van Brantegem, veterano dei viaggi papali.

Tra i laici si segnalano il dott. Alberto Gasbarri, responsabile dell’organizzazione del viaggio, coadiuvato dal dott. Paolo Corvini e il Prof. Giovanni Maria Vian, direttore de L'Osservatore Romano. Accompagnerà il papa anche il suo medico personale, dott. Renato Buzzonetti e il dott. Patrizio Polisca, della direzione per la Sanità e l’Igiene dello Stato della Città del Vaticano.

La sicurezza del Santo Padre sarà garantita dai 5 della gendarmeria vaticana, guidati dal dott. Domenico Giani oltre che dal Cap. Pino Cocco della Guardia Svizzera pontificia, coadiuvato dal serg. Stephan Probst.

Tra i media della Santa Sede, faranno parte del seguito il fotografo dell’Osservatore Romano, Francesco Sforza, due operatori del CTV e due della Radio vaticana.

L’assistente dall’Alitalia è Stefania Izzo, responsabile per i trasferimenti aerei.

Tra i 70 giornalisti accreditati, 19 fanno riferimento a testate italiane e 4 ai media del vaticano(CTV e Osservatore Romano). Gli altri 47 giornalisti rappresentano le più importanti testate giornalistiche mondiali. Dei 70, sei sono photoreporter per le agenzie AP, AFP, Ansa (Ciro Fusco), Reuters (Alessandro Bianchi), Catholic Press Photo (Alessia Giuliani) e SIPA.

Per le televisioni ci saranno ben 26 giornalisti. Tra i corrispondenti Giuseppe De Carli, direttore della Struttura Rai Vaticano, Raffaele Genah, TG1, Lucio Brunelli, TG2, Mons. Guido Todeschini, Telepace, 2 giornalisti della ZDF, 1 rispettivamente per France 2, KTO TV, ABC News, Canal 13 TV UC Chile, TPA.
Sempre per le televisioni saranno presenti 2 tecnici e 4 producer, oltre a 9 cameramen per le agenzie EU Pool TV (Stefano Belardini), AP-Reuters pool TV (Gabriele Pileri), ZDF, France 2, Telepace (Simone Tommasi), KTO TV, Canal 13 TV UC Chile, Fanes Film (Ciro Cappellari) e TPA.

I redattori di giornali, agenzie e periodici saranno 32. Per i quotidiani italiani saranno presenti Franca Giansoldati (Il Messaggero), Carlo Marroni (Il Sole 24 Ore), Mimmo Muolo (Avvenire), Marco Politi (La Repubblica), Andrea Tornelli (Il Giornale) e Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera). Per i quotidiani stranieri Isabelle De Gauliminn Sallè (La Croix), Jaen Marie Guénois (Le Figaro) e Stéphanie Le Bars (Le Monde).

Tra gli inviati delle agenzie di stampa, per la Reuters ci sarà Philip Pullella, per l’Ansa, Elisa Pinna. Tra le altre agenzie, segnaliamo la Itar-Tass, la EFE, la I.Media, la CIC, DPA, AFP, AP e CNS. Per i periodici, invece, i giornalisti saranno Alberto Bobbio (Famiglia Cristiana), Giulio Albanese (Missio Italia), Ignazio Ingrao (Panorama), e i redattori de Sankt Ulrich Verlag e Famille Chrétienne.

Tra gli otto giornalisti radiofonici abbiamo Gabriele Fontana (Radio Svizzera Italiana), Raffaele Luise (Rai – Gr) e gli inviati di Rne, Cadena Cope, Radio France, Radio Renascença e Rádio Ecclésia.

Dopo un volo di 6 ore, e 4220 km percorsi, il volo papale atterrerà alle ore 16 all’aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé (Camerun), non prima di aver attraversato Italia, Tunisia, Libia, Niger, Nigeria, Camerun. Gli ammessi al volo papale utilizzeranno di nuovo il B777 dell’Alitalia per il trasferimento del 20 marzo verso l’Angola, (Yaoundé-Luanda, 2 ore e 15’ di viaggio per 1422 km), sorvolando Camerun, Guinea Equatoriale, Gabon, Congo, Repubblica del Congo, Angola.

Il rientro del volo papale è previsto per lunedì 23 marzo. Il volo AZ 4001 lascerà l’Aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda per l’Aeroporto Ciampino (Roma) alle ore 10:30. Arrivo previsto alle ore 18 (7 ore e mezza di viaggio e 5.630 km percorsi), dopo aver sorvolato Angola, Repubblica del Congo, Congo, Camerun, Repubblica Centroafricana, Ciad, Niger, Libia e Italia.


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PAPA IN AFRICA: ALL’AEROPORTO DI YAOUNDE, “NO A SILENZIO SU VIOLENZA, POVERTÀ E ABUSI”

“Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio”. Lo ha detto oggi Benedetto XVI, nel suo primo discorso in terra africana, nella cerimonia di benvenuto appena sbarcato all’aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé, in Camerun. Il Papa resterà tre giorni in Camerun, quindi si recherà in Angola, fino al 23 marzo. “Anche in mezzo alle più grandi sofferenze – ha precisato -, il messaggio cristiano reca sempre con sé speranza”. “Qui, in Africa – ha proseguito -, come pure in tante altre parti del mondo, innumerevoli uomini e donne anelano ad udire una parola di speranza e di conforto. Conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e di vedove”. Benedetto XVI ha accennato ai tanti abitanti dell’Africa “crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi”, al traffico di esseri umani, “specialmente di inermi donne e bambini”. “In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici – ha sottolineato -, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro”.
Il Papa dice no “a nuove forme di oppressione economica o politica”, all’”imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati” e ad “amare rivalità interetniche o interreligiose”. In Camerun un quarto della popolazione (su oltre 17 milioni di abitanti) è cattolica, mentre in Africa i cattolici sono circa 150 milioni. Benedetto XVI ha accennato alla sua visita, nei prossimi giorni, al Centro Cardinal Léger, dove “potrò osservare di persona la sollecitudine pastorale di questa Chiesa locale per le persone malate e sofferenti; ed è particolarmente encomiabile che i malati di Aids in questo Paese siano curati gratuitamente”. Il Camerun, inoltre, è “terra di speranza per molti nell’Africa Centrale”, ha proseguito, visto che “migliaia di rifugiati” dai Paesi in guerra “hanno ricevuto qui accoglienza”. Ed è “una terra di vita, con un Governo che parla chiaramente in difesa dei diritti del non nati”, una “terra di giovani” ed “una terra di pace” per aver risolto “mediante il dialogo il contenzioso sulla penisola Bakassi” insieme alla Nigeria. Il Camerun è anche descritto come un’”Africa in miniatura”, patria di oltre 200 gruppi etnici differenti “che vivono in armonia gli uni con gli altri”. Il Papa ha concluso pregando per la Chiesa in Africa e per i lavori della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei vescovi che si svolgerà a Roma ad ottobre.

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Aids, Benedetto XVI vola in Africa: "I preservativi non sono la soluzione"

Roma

Papa Benedetto XVI è partito per il Camerun, prima tappa del viaggio apostolico in Africa che da oggi al 23 marzo toccherà anche l’Angola. Il volo speciale, un Boeing 777 dell’Alitalia battezzato "Sestriere", è decollato dall’aeroporto di Fiumicino alle 10.20. L’arrivo all’aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundè è previsto intorno alle 16 locali.
Prima di imbarcarsi, il Pontefice, sorridente, si è trattenuto qualche minuto sulla piazzola dell’aeroporto di Fiumicino con il sottosegretario Gianni Letta e con le altre autorità presenti, che ha salutato una ad una. Poi un ultimo saluto con la mano dalla scaletta dell’aereo, prima che si chiudesse il portellone del B777.

Il viaggio del Santo Padre

Sei ore di volo, per arrivare fino all’Equatore e portare la sua presenza e la sua parola in un Continente finora mai toccato. "L’attenzione di Benedetto XVI verso l’Africa, dichiarata sin dai primi istanti del suo Pontificato, assume oggi - afferma la Radio Vaticana - una nuova concretezza".
Alle 16, ora del Camerun, è previsto lo sbarco del Papa all’aeroporto della capitale di Yaoundè, dove terrà il suo primo discorso. Il giorno successivo sarà dedicato agli incontri istituzionali con il presidente dello Stato africano e a quelli fraterni con l’Episcopato locale e quindi con tutti i livelli della gerarchia ecclesiale, poi conclusi da una celebrazione dei Vespri, che avrà carattere ecumenico, nella Basilica dedicata a Maria Regina degli Apostoli. Il 19 marzo, Benedetto XVI si intratterrà con i rappresentanti della comunità musulmana del Camerun, quindi alle 10 celebrerà, nello stadio di Yaoundè, la messa solenne durante la quale consegnerà idealmente ai vescovi di tutta l’Africa l’Instrumentum laboris del loro prossimo Sinodo. I concelebranti saranno 1800 e le suore di clausura della città hanno preparato 50 mila ostie.

La piaga dell'Aids in Africa

L’epidemia di Aids "non si può superare con la distribuzione dei preservativi che, anzi aumentano i problemi", ha affermato Benedetto XVI, durante il suo viaggio verso l’Africa. Il Papa ha indicato come unica strada efficace quella di un rinnovo spirituale e umano nella sessualità. Il Papa ha ricordato che la Chiesa cattolica fa tanto in Africa contro l’Aids. "E' una tragedia che non si può superare solo con i soldi, non si può superare con la distribuzione di preservativi, che anzi aumentano i problemi". Serve invece, ha proseguito, un comportamento umano morale e corretto ed una grande attenzione verso i malati: "Soffrire con i sofferenti".

Il nodo dei Lefebvriani

Durante il viaggio il Santo Padre ha, poi, detto che è ridicolo il "mito della sua solitudine". "Non mi sento solo in alcun modo", ha aggiunto dicendo di essere circondato da amici, collaboratori e vescovi. Il Papa ha risposto ad una domanda sulla sua presunta solitudine dopo la crisi scoppiata in seguito alla revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani. "A dire la verità - ha osservato Ratzinger - devo ridere di fronte a questo mito della solitudine. In nessun modo - ha aggiunto - mi sento solo; ogni giorno vedo i miei collaboratori i capi discastero, i vescovi". Benedetto XVI ha ricordato che, proprio in questi giorni, sono venuti a trovarlo anche dei suoi compagni tedeschi. "Solitudine? Certo che no. Mi sento circondato da amici in una cerchia di stretti collaboratori".

Napolitano: "Pieno sostegno"

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato a Sua Santità Benedetto XVI, in occasione della sua partenza per il suo viaggio apostolico in Africa, un "sincero ringraziamento". Un'occasione per confermare "il pieno sostegno dell’Italia, anche nella sua veste di presidente di turno del G8, a contribuire in ogni modo alle iniziative poste in essere dalla comunità internazionale a sostegno dell’Africa". Napolitanop si è detto "certo che il messaggio di incoraggiamento alla pace fra i popoli e di fiducia nella capacità di quel continente di imboccare con successo la strada di uno sviluppo basato sulla salvaguardia della dignità della persona sarà accolto con gratitudine e profonda consapevolezza del suo profondo significato".

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Discorso di Benedetto XVI all’aeroporto Nsimalen di Yaoundé



YAOUNDÉ, martedì, 17 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del discorso pronunciato questo martedì da Benedetto XVI all’aeroporto Nsimalen di Yaoundé, in Camerun, il primo giorno del suo viaggio apostolico in Africa.






* * *

Venerati Fratelli Vescovi,

Cari fratelli e sorelle,

grazie per il benvenuto con cui mi avete accolto. E grazie a Lei, Signor Presidente, per le Sue gentili parole. Apprezzo grandemente l’invito a visitare il Camerun e per questo desidero esprimere la mia riconoscenza a Lei ed al Presidente della Conferenza Episcopale Nazionale, l’Arcivescovo Tonyé Bakot. Porgo il mio saluto a tutti voi che mi avete onorato con la vostra presenza in questa circostanza, e desidero che sappiate quale gioia mi procura l’essere tra voi in terra africana, per la prima volta dalla mia elezione alla Sede di Pietro. Saluto affettuosamente i miei Fratelli Vescovi, come pure il clero e i fedeli laici qui convenuti. Il mio rispettoso saluto va anche ai Rappresentanti del Governo, alle Autorità civili e al Corpo diplomatico. Dal momento che questa Nazione, così come numerose altre in Africa, si avvicina al cinquantesimo anniversario della sua indipendenza, desidero aggiungere la mia voce al coro dei rallegramenti e degli auspici che i vostri amici in ogni parte del mondo vi invieranno in tale lieta occasione. Con gratitudine registro la presenza di membri di altre Confessioni cristiane e di seguaci di altre religioni. Unendovi a noi in questo giorno, voi offrite un chiaro segnale della buona volontà e dell’armonia che esiste in questo Paese tra persone di differenti tradizioni religiose.

Vengo tra voi come pastore. Vengo per confermare i miei fratelli e le mie sorelle nella fede. Questo è stato il compito che Cristo ha affidato a Pietro nell’Ultima Cena, e questo è il ruolo dei successori di Pietro. Quando Pietro predicò alla moltitudine in Gerusalemme nel giorno di Pentecoste, erano presenti tra loro anche visitatori provenienti dall’Africa. La testimonianza poi di molti grandi santi di questo Continente durante i primi secoli del cristianesimo – San Cipriano, Santa Monica, Sant’Agostino, Sant’Atanasio, per nominarne solo alcuni – assicura all’Africa un posto di distinzione negli annali della storia della Chiesa. Fino ai giorni nostri schiere di missionari e di martiri hanno continuato ad offrire la loro testimonianza a Cristo in ogni parte dell’Africa, e oggi la Chiesa è qui benedetta con la presenza di circa centocinquanta milioni di fedeli. Quanto appropriata è dunque la decisione del Successore di Pietro di venire in Africa per celebrare con voi la vivificante fede in Cristo, che sostiene e nutre un così gran numero di figli e figlie in questo grande Continente.

Fu qui a Yaoundé nel 1995 che il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, promulgò l’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, frutto della Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi a Roma l’anno precedente. Il decimo anniversario di quello storico momento fu celebrato or non è molto con grande solennità in questa stessa città. Sono venuto qui per presentare l’Instrumentum laboris per la Seconda Assemblea Speciale, che si realizzerà a Roma nel prossimo ottobre. I Padri del Sinodo rifletteranno insieme sul tema: "La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace: ‘Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo (Mt 5,13-14)". Dopo quasi dieci anni del nuovo millennio, questo momento di grazia è un appello a tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici del Continente a dedicarsi nuovamente alla missione della Chiesa a portare speranza ai cuori del popolo dell’Africa, e con ciò pure ai popoli di tutto il mondo.

Anche in mezzo alle più grandi sofferenze, il messaggio cristiano reca sempre con sé speranza. La vita di Santa Josephine Bakhita offre uno splendido esempio della trasformazione che l’incontro con il Dio vivente può portare in una situazione di grande sofferenza ed ingiustizia. Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio. Il messaggio salvifico del Vangelo esige di essere proclamato con forza e chiarezza, così che la luce di Cristo possa brillare nel buio della vita delle persone. Qui, in Africa, come pure in tante altre parti del mondo, innumerevoli uomini e donne anelano ad udire una parola di speranza e di conforto. Conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e di vedove. In un Continente che, nel passato, ha visto tanti suoi abitanti crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi, il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù. In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio (cfr Rm 8,21). Non l’imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati, ma la pura acqua salvifica del Vangelo della vita. Non amare rivalità interetniche o interreligiose, ma la rettitudine, la pace e la gioia del Regno di Dio, descritto in modo così appropriato dal Papa Paolo VI come "civiltà dell’amore" (cfr Messaggio per il Regina caeli, Pentecoste 1970).

Qui in Camerun, dove oltre un quarto della popolazione è cattolica, la Chiesa è ben piazzata per portare avanti la sua missione per la salute e la riconciliazione. Nel Centro Cardinal Léger, potrò osservare di persona la sollecitudine pastorale di questa Chiesa locale per le persone malate e sofferenti; ed è particolarmente encomiabile che i malati di Aids in questo Paese siano curati gratuitamente. L’impegno educativo è un altro elemento-chiave del ministero della Chiesa, ed ora vediamo gli sforzi di generazioni di insegnanti missionari portare il loro frutto nell’opera dell’Università Cattolica dell’Africa Centrale, un segno di grande speranza per il futuro della regione.

Il Camerun è effettivamente terra di speranza per molti nell’Africa Centrale. Migliaia di rifugiati dai Paesi della regione devastati dalla guerra hanno ricevuto qui accoglienza. E’ una terra di vita, con un Governo che parla chiaramente in difesa dei diritti dei non nati. E’ una terra di pace: risolvendo mediante il dialogo il contenzioso sulla penisola Bakassi, Camerun e Nigeria hanno mostrato al mondo che una paziente diplomazia può di fatto recare frutto. E’ una terra di giovani, benedetta con una popolazione giovane piena di vitalità e impaziente di costruire un mondo più giusto e pacifico. Giustamente viene descritto come un’"Africa in miniatura", patria di oltre duecento gruppi etnici differenti che vivono in armonia gli uni con gli altri. Sono, queste, altrettante ragioni per lodare e ringraziare Dio.

Venendo tra voi, oggi, prego che la Chiesa qui e dappertutto in Africa possa continuare a crescere nella santità, nel servizio alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Prego perché il lavoro della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi possa soffiare sul fuoco dei doni che lo Spirito ha riversato sulla Chiesa in Africa. Prego per ciascuno di voi, per le vostre famiglie e i vostri cari e chiedo a voi di unirvi a me nella preghiera per tutti gli abitanti di questo vasto continente. Dio benedica il Camerun! Dio benedica l’Africa! Grazie.


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Il Papa giunto in Camerun, prima tappa del suo 11.mo viaggio apostolico internazionale. Ai giornalisti a bordo dell’aereo dice: amo l’Africa e la sua fede gioiosa


Amo l’Africa e la fede gioiosa degli africani, questo viaggio in Camerun e Angola vuole essere un segno di gioia e speranza: con queste parole, Benedetto XVI ha parlato del suo arrivo in terra camerunese, rispondendo a sei domande rivoltegli qualche ora fa dai giornalisti sull’aereo papale diretto a Yaoundé. Qui, dopo circa sei ore di volo, il Papa è atterrato poco prima delle 16 dando inizio, con la cerimonia di benvenuto, all’11.mo viaggio apostolico internazionale di Benedetto XVI. Dall’aereo papale, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha riferito dei passaggi salienti della conferenza stampa:

Il Papa ha risposto a sei domande dei giornalisti in circa venti minuti, mezz’ora. Ha toccato molti punti cruciali: ad esempio, la crisi economica mondiale e il suo impatto nei Paesi poveri e l’importanza dell’etica per un retto ordine economico-mondiale, argomento che sarà sviluppato ulteriormente anche nella prossima Enciclica:


“Naturalmente, farò appello alla unitarietà internazionale (…) parlerò di questo anche nell’Enciclica: questo è un motivo del ritardo. (…) Spero che l’Enciclica potrà anche essere un elemento, una forza per superare questa crisi”.


Ha parlato pure della Chiesa africana, della sua vitalità e dei suoi problemi: dell’annuncio del Vangelo per il continente, della capacità dell’annuncio della Chiesa di rispondere alle attese più profonde della cultura africana e di dare un ampio respiro comunitario e di lungo termine, a differenza delle promesse di benessere di breve termine che danno le sette religiose:


“Io amo l’Africa, ho tanti amici africani già dai tempi in cui ero professore fino a tutt’oggi. Amo la gioia della fede, questa gioiosa fede che si trova in Africa”.


Il Papa ha anche parlato dell’Aids e della prospettiva cristiana dell’amore e della sessualità e dell’impegno efficace e positivo di tante istituzioni cattoliche a vantaggio dei malati e dei sofferenti, un messaggio di speranza per l’Africa e per la Chiesa in Africa:


“Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari (…) non si può superare con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano il problema. La soluzione può solo essere una umanizzazione della sessualità, un rinnovo spirituale e umano”.


Sorridendo il Papa, all’inizio della conferenza, ha anche risposto a una domanda circa la sua presunta solitudine, di cui parlano tanto spesso i media:


“Per dire la verità, mi fa un po’ ridere questo mito della mia solitudine. In nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo delle visite dei collaboratori più stretti, incominciando dal segretario di Stato (...) Sono realmente circondato da amici e in stupenda collaborazione con vescovi, collaboratori, laici e sono grato per questo”.


In sostanza, abbiamo visto, all’inizio di questo viaggio, un Papa sereno e fiducioso sulla strada del suo primo incontro, come Pontefice, con l’Africa.


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Nell'incontro con i giornalisti durante il viaggio aereo il Papa propone una lettura dell'attuale crisi alla luce dei valori cristiani

Più solidarietà per l'Africa




dal nostro inviato Mario Ponzi

Il Papa non va in Africa con programmi politici o economici ma con un programma religioso, un programma di fede, una proposta etica. È stato lo stesso Benedetto XVI a puntualizzare così le motivazioni del suo viaggio parlando ai giornalisti durante il volo verso la capitale del Camerun, Yaoundé.
La crisi economica mondiale e i suoi riflessi sul continente sono stati uno dei temi centrali della tradizionale conferenza stampa a bordo dell'aereo, decollato da Fiumicino alle 10.25 di martedì 17 marzo. La causa della recessione - ha detto il Papa - è soprattutto di carattere etico, perché "dove manca l'etica, la morale, non può esserci correttezza nei rapporti". Durante la sua visita il Pontefice parlerà di Dio e dei grandi valori della vita cristiana, offrendo su questo terreno anche un contributo all'analisi e alla comprensione della crisi economica.
Al riguardo Benedetto XVI ha assicurato che farà appello alla comunità internazionale perché sia solidale con l'Africa. "La solidarietà e la carità - ha affermato - fanno parte della cattolicità. Dunque, è proprio dai cattolici che mi aspetto qualcosa di più". Il Papa ha accennato anche alla prossima enciclica dedicata ai temi sociali, rivelando che era già pronta e stava per uscire. Ma poi - ha spiegato - si è scatenata la tempesta e, di conseguenza, sono state riviste alcune cose alla luce dei nuovi avvenimenti per cercare risposte sempre più confacenti.
A chi gli chiedeva un commento sull'immagine di un Pontefice "solo" diffusa in questi giorni dai media dopo la recente lettera ai vescovi del mondo, Benedetto XVI ha risposto: "Devo dire che mi viene un po' da ridere del mito della solitudine del Papa". E ha assicurato che quotidianamente riceve i suoi più stretti collaboratori, incontra presuli e ha colloqui con tutti i vescovi che vengono in Vaticano. Nei giorni scorsi ha anche ricevuto alcuni vecchi compagni di ordinazione sacerdotale. Dunque "nessuna solitudine", perché - ha confidato - "sono strettamente circondato da amici".
Il Papa ha poi confermato di andare in Africa con gioia, per incontrare un popolo ricco di fede. Riferendosi in particolare alla comunità cattolica, Benedetto XVI ha parlato di una Chiesa molto vicina alla gente, presente con tutte le sue istituzioni accanto ai poveri e ai sofferenti. Certo - ha ammesso - la Chiesa non è "una società perfetta". Per questo egli farà appello anche a "una purificazione alla Chiesa". Ma si tratta - ha specificato - di una purificazione non delle strutture, ma del cuore e della coscienza, perché le strutture sono il risultato di ciò che è il cuore.
Una delle domande ha preso in esame il contesto religioso generale del continente. A questo proposito il Pontefice ha riconosciuto che l'ateismo in Africa quasi non si pone, perché per gli africani è inconcepibile vivere senza Dio. Quanto al rapporto tra fede cattolica e sette religiose, ha ricordato che l'annuncio cristiano è un annuncio sereno, perché propone un Dio vicino all'uomo e dà vita a una grande rete di solidarietà.
Sulla diffusione dell'Aids nel continente africano, il Pontefice ha risposto che non ci sono realtà più efficienti nella lotta contro la terribile epidemia di quelle legate alla presenza della Chiesa. Del resto - ha puntualizzato - non si può vincere l'Aids con il denaro, tantomeno con la distribuzione dei preservativi. Due le risposte offerte dalla Chiesa: umanizzare la sessualità e aiutare l'uomo anche nelle situazioni di sofferenza.
Il Papa concludendo la conversazione - di cui pubblicheremo la trascrizione integrale - ha parlato dei "segni di speranza" che si possono cogliere oggi nella realtà africana. La nostra fede - ha detto - è speranza. Chi porta la fede porta speranza. In Africa - ha rilevato - ci sono nuovi Governi, nuove disponibilità nella lotta contro la corruzione, che è uno dei più grandi mali da sconfiggere. E le stesse religioni tradizionali si stanno aprendo al messaggio evangelico, perché cominciano a vedere che il Dio dei cattolici non è un Dio lontano. Il Papa ha ribadito la sua fiducia nel dialogo interreligioso e parlando dei rapporti con i musulmani ha assicurato che con loro sta crescendo il rispetto reciproco nella comune responsabilità etica.



(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)






La giovane Chiesa del Camerun e Benedetto XVI

Un mosaico di razze e culture
dove i cattolici sono in continuo aumento




dal nostro inviato Mario Ponzi

È una Chiesa fresca d'annuncio quella che in Camerun accoglie il Papa. Giovane - ha poco più di cento anni - ma straordinariamente viva, in forte crescita tra la popolazione, che conta oggi oltre 18 milioni di persone. Un traguardo importante, raggiunto in questi ultimi anni grazie al sacrificio di tanti missionari e all'impegno di un laicato attento, ben formato e pronto a portare il Vangelo in ogni angolo del Paese. E non deve essere stata una cosa facile viste le numerose etnie presenti sul territorio e l'uso quotidiano di oltre 80 lingue. Eppure in questo mosaico di razze e culture è cresciuta una comunità compatta, che ha saputo in poco tempo dar vita a una Chiesa ricca di energie e pronta a offrire la sua realtà come sfondo al messaggio che Benedetto XVI porta all'intero continente.
Il Papa va in Camerun per riprendere un discorso iniziato a Yaoundé nel 1995. Un discorso teologico-pastorale, che coinvolge dunque soprattutto i pastori del grande continente nero e che riguarda il futuro di quella "Ecclesia in Africa", disegnata dalla prima assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi nell'ottobre del 1994. Nel 1995 fu Giovanni Paolo II a recarsi nella capitale del Camerun, per consegnare il documento post-sinodale. Oggi è Benedetto XVI a portare, di nuovo a Yaoundé, il documento base per la riflessione della seconda assemblea speciale per l'Africa del sinodo, che si terrà a ottobre a Roma.
Il Camerun diventa così l'emblema della continuità del magistero africano del Vescovo di Roma. E la scelta non è casuale: il Paese gode della fama di essere un'isola felice, dove la gente vive in pace pur nella molteplicità delle etnie che la popolano, lontana dalle guerre, con una certa stabilità politica, senza troppi problemi nel far quadrare i conti.
In molti ne parlano come di un'"Africa in miniatura", poiché rispecchierebbe le componenti sociali e quelle più profonde dell'anima africana. Ma qualcosa, negli anni più recenti, in Camerun, non è andata per il verso giusto. L'anno appena concluso è stato infatti scosso da una tormenta finanziaria di proporzioni gigantesche. I provvedimenti adottati per fronteggiarla hanno favorito l'inasprimento della pressione fiscale e i prezzi, soprattutto quelli dei generi alimentari e della benzina, sono finiti alle stelle con pesantissime ricadute sulla popolazione. La ribellione è scesa sulle piazze; si sono verificati scontri violenti; è rimasto nell'aria un clima piuttosto pesante.
Qualcosa di simile era già accaduto nel 2007, quando la gente era scesa in piazza per dimostrare contro i tagli dell'energia elettrica. Sono i segnali di quelle contrarietà che hanno segnato in qualche modo il volto del Paese. Prima fra tutte il declino del settore agricolo che non accenna a diminuire. La causa va ricercata nella perdurante difficoltà di accesso alla proprietà delle terre da coltivare. Ne consegue un massiccio esodo dalle zone rurali, soprattutto di giovani. I terminali finiscono per essere naturalmente le grandi città. E mentre vengono sottratte braccia all'agricoltura, si creano immense fasce di povertà che stringono d'assedio le metropoli.
Un quadro di difficoltà abbastanza comune in tutti i Paesi africani. Ma se nel Camerun la situazione è vissuta in modo quasi drammatico, è proprio perché esso è poco avvezzo a confrontarsi con difficoltà così gravi.
Infatti a metà degli anni Ottanta dello scorso secolo il Paese aveva conosciuto un trend di crescita senza precedenti, che gli era valso il titolo di oasi felice, abitata da una popolazione costituita per la maggior parte da persone qualificate e ben formate, molte delle quali uscite da istituzioni educative di ottimo livello universitario.
Tale stato di benessere è stato il frutto della stabilità politica assicurata da una democrazia paternalista, che però ha ben funzionato. Libertà, giustizia indipendente, pacifica convivenza tra le diverse etnie, azzeramento pressoché totale del debito internazionale, riduzione dell'analfabetismo (al 32 per cento contro il 58 per cento dell'intero continente), crescita costante del Pil, un guadagno medio annuo di 800 dollari pro capite (negli altri Paesi dell'Africa oscilla dai 100 ai 300). E non ultima circostanza favorevole: il Paese non è stato attraversato da guerre.
Questa bella impalcatura cominciò a scricchiolare negli anni Novanta a causa del crollo del prezzo del caffè e del cacao sul mercato internazionale. Le prime istituzioni a risentire della crisi furono quelle educative. A seguire la regressione investì la sanità e poi tutte le attività produttive.
Per di più si continuava a registrare un forte aumento della popolazione, con relativo ingigantirsi della spesa sociale. Anche sul piano internazionale il Camerun cominciò a perdere peso e considerazione. Si fecero sentire i riflessi delle crisi politiche e militari che si verificavano negli altri Paesi africani.
Le decisioni assunte per rispondere alle sollecitazioni del Fondo monetario internazionale si rivelarono disastrose per la traballante economia locale. Il risultato fu la paralisi della maggior parte dei servizi pubblici.
La piaga peggiore è comunque la corruzione a tutti i livelli. Non è un caso che i vescovi all'inizio di quest'anno abbiano lanciato un appello ai fedeli "a denunciare le piaghe che flagellano la nazione, a cominciare dalla corruzione che ostacola lo sviluppo".
Nel 2006 il governo mise in campo una vasta operazione anticorruzione. Gli effetti si fecero sentire nell'immediato, ma alla lunga la piaga si è mostrata ancora di nuovo. Circa l'80 per cento delle persone intervistate nel corso di una recente inchiesta hanno ammesso di aver dovuto pagare una tangente per ricevere un qualcosa di dovuto.
Di qui la preoccupazione espressa dall'episcopato, che non ha risparmiato neppure la comunità cristiana. Philipe Stevens, vescovo di Maroua-Mokolo, si è chiesto dove fossero in questo periodo "i quadri cristiani? Purtroppo - ha aggiunto - sono rimasti anch'essi coinvolti nelle appropriazioni indebite dei fondi pubblici destinati a scuole e ospedali. È un grande motivo di sofferenze sapere che in questa catena di corruzione dei mercati pubblici siano presenti anche persone che si dichiarano cristiane". Di qui l'appello rivolto ai fedeli di "abbandonare le vecchie pratiche che non rendono onore al loro essere cristiani" e invece si adoperino "nel cooperare allo sviluppo reale, che richiede una giusta ripartizione delle terre e l'impegno di tutti nella lotta contro la corruzione, ovunque essa si annidi". Identica preoccupazione i presuli l'hanno espressa per il futuro dei giovani.
Nonostante il quadro c'è chi è pronto ancora a scommettere sul futuro. Importante sarebbe, avvertono i vescovi, riscoprire i principi cristiani della giustizia e della verità, combattere gli abusi, evitare lo spreco di risorse pubbliche e farla finita con i favoritismi: tutte cose "che uccidono la speranza".
Una forza è rimasta in Camerun: quella della pace che unisce comunque 18 milioni di persone nonostante parlino ottanta lingue diverse. E su questa forza dovranno basarsi per ricostruire quell'immagine di isola felice che li ha portati oggi al centro del cuore della Chiesa. Il Papa viene tra loro per sostenerli ancora.



(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)





Dal Pontefice un messaggio di riconciliazione e di speranza

L'Africa non vuole essere la terra delle sofferenze dimenticate




Théodore Adrien Sarr
Cardinale arcivescovo di Dakar
Presidente della Conferenza episcopale regionale
dell'Africa occidentale

"Solidarietà pastorale organica": è stata la parola chiave della pastorale della Chiesa universale durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Tale è rimasta anche in quello di Benedetto XVI, che ha continuato la felice tradizione dei viaggi apostolici. Il successore di Pietro va da un punto all'altro del mondo conferendo così alla collegialità un dinamismo concreto di sinodalità a livello dei continenti e anche delle conferenze regionali.
È in questa luce che vediamo il primo viaggio di Benedetto XVI in Africa. Noi tutti abbiamo ammirato un anno fa, il 1° gennaio 2008, il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace, sul tema "Famiglia umana, comunità di pace". In quel documento il Pontefice, in numerosi punti, ha inteso sviluppare in modo luminoso dimensioni inattese dell'ecclesiologia della Chiesa famiglia di Dio e ha fatto dell'attenzione alla famiglia un criterio fondamentale della pace. Da parte sua, la Conferenza episcopale regionale dell'Africa occidentale (Cerao), insieme a tutte le Conferenze episcopali dell'Africa e del Madagascar (Sceam), è particolarmente attenta all'ecclesiologia della Chiesa famiglia di Dio e ne ha fatto il nucleo di un lavoro teologico e di un vissuto ecclesiale intenso, che si può osservare in quasi mezzo secolo d'esistenza. La prima visita in Africa di Benedetto XVI si situa per tutti noi in una duplice luce: quella della Chiesa famiglia di Dio e della fraternità di Cristo.
Ciò che la Chiesa regionale dell'Africa occidentale si aspetta da Benedetto XVI è, dunque, prima di tutto uno stimolo nuovo per l'edificazione della Chiesa come casa e famiglia di Dio e come fraternità di Cristo. Ci aspettiamo quindi che si manifestino quelle fibre teologiche profonde che legano Benedetto XVI, Papa eminentemente missionario per le sue convinzioni teologiche più forti, e la Chiesa in Africa. Immergendoci nelle sue stesse fonti spirituali, ci aspettiamo dal suo viaggio un'evidenziazione ancora più precisa delle ragioni per cui la famiglia è la linea profetica più importante della conoscenza di Dio, della pastorale e della missione, non solo della Chiesa in Africa, ma anche della Chiesa universale. L'opzione preferenziale per i poveri è stata un contributo proprio della Chiesa in America Latina alla Chiesa universale. La Chiesa come famiglia di Dio e la famiglia come linea profetica futura per la nostra umanità costituiscono la linea profetica africana? L'Africa sarebbe lieta di ascoltare Benedetto XVI dirlo per animarci lungo le vie della missione. Ci aspettiamo da lui che ci illumini sui vincoli intimi esistenti fra l'ecclesiologia della Chiesa famiglia di Dio e l'ecclesiologia della Chiesa regno di Dio che sta germinando. E che ci motivi, a partire da questa angolatura teologica e spirituale, ad assumerci meglio le nostre responsabilità nell'ambito delle gravi questioni sociali che lacerano l'Africa: la migrazione massiccia, con la conseguente fuga di cervelli, e l'incapacità dell'Africa di strutturarsi come spazio abitabile per i suoi figli, da cui derivano anche il sottosviluppo crescente, la corruzione, la povertà e la miseria, il malgoverno, la pandemia dell'Aids, l'annientamento sotto il peso del debito.
Se la Chiesa in Africa rappresenta l'immensa speranza della Chiesa universale, questa Chiesa scopre in Benedetto XVI un'opportunità eccezionale affinché questa speranza non deluda. Perciò si aspetta dal Papa luci per articolare sempre meglio la sua visione, la sua missione e i suoi obiettivi strategici. Si aspetta che le insegni a unire organicamente verità e metodo nella pianificazione pastorale, come i padri fondatori della Cerao ambivano a fare. La Chiesa in Africa si aspetta dal Pontefice che l'aiuti a individuare i nuovi areopaghi missionari per farne luoghi di annuncio della buona novella che Dio è amore e ama e salva oggi l'uomo africano, che ha subito e subisce le conseguenze di quello che i suoi predecessori hanno chiamato il magnum scelus o "l'olocausto sconosciuto". L'Africa non vuole essere il continente delle sofferenze dimenticate.
L'Africa attende l'aiuto di Benedetto XVI nel campo del dialogo interreligioso e dell'inculturazione. È lieta che il Pontefice ricordi al mondo e anche a essa il carattere assolutamente centrale della questione: chi è Dio e qual è il suo disegno per l'uomo in Gesù Cristo. In lui vede il pastore accorto e lungimirante, che vuole aiutare a uscire dalla "dittatura del relativismo", a qualunque livello essa si trovi. L'Africa si aspetta indicazioni in materia di dialogo, invitando ogni credente, a partire dal più profondo della sua fede, a conferire alla ragione - principio di verità e non di relatività - il suo diritto, affinché le religioni liberino veramente l'uomo e contribuiscano alla pace del mondo. Il relativismo è oggi la fonte più seria d'intolleranza e di violenza. L'Africa si aspetta da questo Papa, difensore dei diritti della ragione, che l'aiuti a lasciare che le due ali della fede e della ragione si dispieghino verso la verità di Dio, perché la Chiesa in Africa diventi anch'essa Chiesa missionaria ad gentes.
La Chiesa in Africa riceverà da lui lo "strumento di lavoro" della seconda assemblea speciale continentale del Sinodo dei vescovi. I problemi relativi alla cultura, all'inculturazione o al radicamento culturale della fede nel cuore dell'uomo - che è fonte e culmine della cultura - continuano a essere preoccupanti, ma lo sono anche i problemi sociali, e la Chiesa in Africa vuole guardarli in faccia. Il piano di azione, frutto dei risultati di questo secondo sinodo africano, fungerà per la Cerao da primo piano di azione durante la sua assemblea plenaria prevista per dicembre 2010 a Yamoussoukro.
Ci auguriamo, in definitiva, che la nostra Chiesa regionale viva sempre nella piena e totale disponibilità allo Spirito Santo che ha caratterizzato i nostri padri fondatori, affinché le nostre comunità contribuiscano a una autentica rinascita africana che ci farà uscire dalle nostre schiavitù antiche e moderne.



(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)








Una “Casa della Speranza” per i bambini di strada del Camerun


Parla il coordinatore, padre Alfonso Ruiz Marrodán





di Nieves San Martín

YAOUNDÉ, martedì, 17 marzo 2009 (ZENIT.org).- A Yaoundé – una città estesa, con circa due milioni di abitanti distribuiti su un terreno pieno di colline, in cui le abitazioni e la vegetazione si intrecciano fondendosi con il paesaggio – si possono trovare, come in altre capitali dei Paesi in via di sviluppo, numerosi bambini che sopravvivono come possono in strada.

Molti di loro hanno trovato una mano tesa nella “Casa della Speranza” diretta da un missionario gesuita spagnolo, Alfonso Ruiz Marrodán.

In un'intervista concessa a ZENIT, Alfonso Ruiz – che i bambini chiamano affettuosamente “padre”, in spagnolo – ha spiegato in cosa consiste questa risposta ecclesiale a una realtà così dolorosa come l'infanzia che si perde nelle strade.

Il sacerdote vive da undici anni in Camerun, e prima ha trascorso vent'anni in Ciad.

La “Casa della Speranza”, in cui lavora su richiesta dell'Arcivescovo della capitale, è in realtà “un insieme di iniziative, di opere, che hanno tutte lo scopo di reinserire i bambini di strada nelle loro famiglie, il reinserimento sociale dei giovani di strada e dei minori del carcere di Yaoundé”, ha spiegato il sacerdote.

“C'è un gruppo di educatori che lavora in strada e ha come retroguardia una piccola casa in affitto in cui i più piccoli possono andare per lavarsi, dormire un po', lavare i vestiti, parlare con gli educatori”.

“Ci sono anche attività di ogni tipo: manuali, pittura, ecc. Il pomeriggio però se ne vanno e tornano al loro lavoro, in strada”.

Il sacerdote ha spiegato che quando qualcuno di questi giovani vuole rientrare in famiglia, alcuni vanno a trovarla se si trova nei dintorni di Yaoundé, mentre in altri casi si viene portati qui, in quella che viene chiamata “La Casa del Fratello Yves”, “in onore del nostro fondatore, Yves Lescanne, un religioso francese della congregazione di padre De Foucauld che nel 2002 è stato assassinato da uno dei suoi ex bambini di strada, con problemi psichici, che lo ha ucciso a colpi di ascia in testa. La Diocesi ha messo a disposizione il terreno per la fondazione”.

In questa casa i giovani vengono accolti e accuditi a carico dell'organizzazione. Vivono, mangiano, vanno a scuola e svolgono una serie di attività di base, come i compiti scolastici e il mantenimento di due ettari di palmeti con i cui frutti si fa l'olio da consumare in casa. A volte ci sono anche apprendisti carpentieri o meccanici.

“A poco a poco, si prende contatto con le famiglie per vedere come li possiamo reinserire”, ha aggiunto padre Ruiz Marrodán.

La filosofia dell'organizzazione è che “il miglior posto per un bambino è la sua famiglia”, ma “ci sono ragazzi che rimangono qui quattro anni e quando dobbiamo dire loro che non possono più rimanere andranno di nuovo in strada perché la famiglia o non esiste o è così disgregata che non può accoglierli”.

La “Casa della Speranza” lavora anche nel carcere minorile.

“Tutti i giorni della settimana tranne la domenica ci sono lì nostri educatori – ha osservato il gesuita –. Si cerca di far sì che sfruttino in modo positivo il tempo che devono trascorrere in carcere”.

In uno spazio previsto per 60 persone, quest'anno sono arrivati a essere 290 e ora sono 240, ricorda. Ciò vuol dire che “in tutte le attività che vogliamo organizzare troveremo difficoltà, ad esempio organizzare la scuola, che va dall'alfabetizzazione al baccalaureato”.

“I professori sono carcerati. In uno spazio previsto per 700 persone vivono in più di 4.000”.

Secondo il sacerdote, si tratta di un'“impresa improba” perché bisogna anche cercare il materiale necessario per poter fare lezione ed essere d'accordo con tutte le autorità della prigione.

“Chiaramente i risultati non sono molto positivi perché forse arriviamo a presentare dieci persone per gli esami scolastici e solo due vengono promossi, ma occupano il tempo in modo positivo e imparano, anche se il livello non è quello di una scuola”.

“Ci sono anche laboratori artigianali, animazione sportiva e altre attività – ha proseguito il presbitero spagnolo –. Un altro aspetto importante è la comunicazione con le famiglie. Molti di questi bambini provengono dalla strada, le loro famiglie non sanno che sono in carcere e si cerca il contatto per preparare l'uscita”.

“Il problema è che passano più tempo in carcere di quanto dovrebbero. Ci sono bambini che, quando arriva la sentenza, sono condannati a sei mesi e hanno già trascorso in carcere un anno e mezzo”, denuncia.

In questo momento in cui il Paese accoglie il Papa, padre Alfonso Ruiz conclude affermando che Chiesa rappresenta un enorme fattore di umanizzazione per il Camerun.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

17/03/2009 21:25
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Dal blog di Lella...

E SULL'AIDS: «NON si può superare questo dramma con la distribuzione preservativi»

In viaggio con Benedetto XVI
«Io solo? Un mito che mi fa un po' ridere»


Il Papa in volo verso l'Africa: «Proporrò un programma di fede e di morale, non politico ed economico»

DAL VOLO PAPALE - Volo Alitalia Az 4000 da Roma a Yaoundé, Cameroun. Si parte alle 10,15, un quarto d’ora di ritardo. Manco con il Papa a bordo si riesce a partire puntuali, a Fiumicino. Tre quarti d’ora più tardi il Boeing B777 sorvola la costa africana e Benedetto XVI, dal suo posto in testa, raggiunge i giornalisti in coda all’aereo. Tranquillo, sorridente, l’aria incuriosita.

Introduce il portavoce, padre Federico Lombardi: Santità, i giornalisti hanno preparato trenta domande (il Papa sbarra gli occhi) e alla fine ne abbiamo scelte sei (il Papa atteggia il volto a un’espressione di sollievo). Benedetto XVI ascolta attento i giornalisti. Quando gli chiedono se davvero si senta solo. Ecco l’intervista integrale raccolta in volo.

Da tempo, e in particolare dopo la sua ultima lettera ai Vescovi del mondo i giornali parlano di solitudine del Papa. Lei cosa ne pensa? Si sente solo? E con quali sentimenti dopo le recenti vicende ora vola verso l’Africa?

«Per dire la verità devo un po’ ridere su questo mito della mia solitudine. In nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo i collaboratori più stretti, a cominciare dal segretario di Stato fino a Propaganda fide, vedo regolarmente tutti i capi discastero, ricevo vescovi in visita ad limina, ultimamente ho visto i vescovi della Nigeria e dell’Algeria, abbiamo avuto due plenarie in questi giorni, la congregazione del culto e quella del clero, oltre a tanti colloqui amichevoli, una rete di amicizie: sono venuti anche i miei compagni di messa dalla Germania per chiacchierare con me.
Nessuna solitudine, sono veramente circondato da amici in una stretta collaborazione con vescovi e collaboratori e con i laici, e sono lieto per questo. Vado con grande gioia in Africa.
Ho tanti amici africani sin da quando ero professore, amo la gioia della loro fede, questa gioiosa fede che si trova in Africa. Sapete che il mandato del Signore per il successore di Pietro è confermare i fratelli nella fede e io cercherò di farlo. Ma sono sicuro che sarò io a tornare confermato dai fratelli, contagiato per così dire dalla loro gioiosa fede».

Santità, viaggia in Africa mentre è in corso una crisi economica mondiale che ha i suoi riflessi anche sui Paesi poveri. In particolare l’Africa deve fronteggiare anche una crisi alimentare. Questa situazione troverà eco nel suo viaggio? Si rivolgerà alla comunità internazionale affinché si faccia carico dei problemi dell’Africa? Si parlerà di questi problemi anche nell’Enciclica che sta preparando?

«Naturalmente io non vengo in Africa con un programma politico ed economico, mi mancherebbe la competenza. Arrivo con un programma religioso, di fede, di morale, ma proprio questo può dare un contributo essenziale per la crisi economica che abbiamo in questo momento. Sappiamo che un elemento fondamentale della crisi è il deficit di etica nelle strutture economiche. Si è capito che l’etica non è una cosa fuori dall’economia, ma dentro. L’economia non funziona se non porta in sé un elemento etico. Perciò parlando di Dio e dei grandi valori spirituali cerco di dare un contributo proprio per superare la crisi e rinnovare il sistema economico dal di dentro, dove c’è proprio il punto della crisi. La chiesa è cattolica, universale, attraversa tutte le culture e i continenti, è presente in tutti i sistemi politici e così la solidarietà è il principio fondamentale del cattolicesimo. Io vorrei fare appello alla solidarietà cattolica e alla solidarietà di tutti.
Ovviamente parlerò di questo nell’enciclica, questo è un motivo di ritardo, eravamo quasi arrivati a pubblicarla quando si è scatenata la crisi e abbiamo ripreso il testo per rispondere al cambiamento nel contesto delle nostre competenze, della dottrina sociale della Chiesa, ma in riferimento agli elementi reali. Spero che l’enciclica potrà essere un elemento di aiuto, una forza per superare questa crisi».

Il Consiglio speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi ha chiesto che la forte crescita quantitativa della Chiesa africana diventi anche una crescita qualitativa. A volte i responsabili della Chiesa sono considerati come un gruppo di ricchi e privilegiati e i loro comportamenti non sono coerenti con l’annuncio del Vangelo. Lei inviterà la Chiesa in Africa a un impegno di esame di coscienza e di purificazione delle su strutture?

«Ho una visione più positiva della Chiesa in Africa: è una Chiesa molto vicina ai poveri, ai sofferenti, alle persone che hanno bisogno di aiuto. Dunque mi sembra che sia un’istituzione che funziona ancora quando le altre istituzioni non funzionano più. Sempre con il suo sistema di educazione, i suoi ospedali è molto presente tra i poveri. Naturalmente il peccato originale è anche presente nella Chiesa. Non c’è nessuna società perfetta. Ci sono peccatori e mancanze nella Chiesa e anche in Africa. In questo senso un esame di coscienza e una purificazione interiore diventano necessari: ne parlerò ma fa parte anche della liturgia eucaristica: si comincia sempre con una purificazione della coscienza. Direi che più che una purificazione delle strutture, sempre necessaria, serve una purificazione dei cuori. Una purificazione delle strutture è necessaria ma è inutile senza una purificazione dei cuori.
Le strutture sono un riflesso dei cuori: facciamo il possibile per dare una nuova forza alla spiritualità, alla presenza di Dio nel nostro cuore sia per purificare le strutture della Chiesa sia per aiutare la purificazione delle strutture della società».

Quando Lei si rivolge all’Europa parla spesso di un orizzonte da cui Dio sembra scomparire. In Africa non è così, ma vi è la presenza aggressiva delle sette, vi sono le religioni tradizionali africane. Qual è allora la specificità del messaggio della Chiesa cattolica che Lei vuole presentare in questo contesto?

«Riconosciamo tutti che in Africa il problema ateismo quasi non si pone. La realtà di Dio è così presente che non credere in Dio o vivere senza Dio non è una tentazione. E’ vero, ci sono anche problemi di sette. Noi non annunciamo come fanno loro un vangelo di prosperità ma un realismo; la sobrietà di vita cristina, non miracoli; ma siamo convinti che proprio questa sobrietà, un Dio fatto uomo, profondamente umano, che soffre con noi, da senso a nostra sofferenza, ha un orizzonte piu vasto e un futuro. Sappiamo che queste sette non sono molto stabili. Prosperità, guarigioni, miracoli…ma poi si vede che la vita à difficile e un Dio umano che soffre per noi è più promettente, piu umano, di grande aiuto nella vita. E poi abbiamo la struttura delle Chiesa, non un piccolo gruppo che alla fine si perde. Una grande rete di amicizia che ci unisce, aiuta a superare il tribalismo e ad arrivare all’unità nella diversità che è la vera promessa per il futuro».

Fra i molti mali che travagliano l’Africa vi è anche in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema durante il viaggio?

«Io direi il contrario. Penso che la realtà più efficiente, più presente e più forte nella lotta contro Aids sia proprio la Chiesa cattolica con le sue strutture, i suoi movimenti e comunità. Penso a Sant’Egidio che fa tanto nella lotta contro l’Aids, ai camilliani, alle suore a disposizione dei malati. Non si può superare il problema dell’Aids solo con i soldi, che pure sono necessari, se non c’è anima che sa applicare un aiuto.
E non si può superare questo dramma con la distribuzione preservativi, che al contrario aumentano il problema. La soluzione può essere duplice, l’umanizzazione della sessualità e una vera amicizia verso le persone sofferenti, la disponibilità anche con sacrifici personali ad essere con i sofferenti.
Questa è la nostra duplice forza: rinnovare l’uomo interiormente, dargli forza spirituale e umana per avere un comportamento giusto e insieme la capacità di soffrire con i sofferenti nelle situazioni di prova. Mi sembra la giusta risposta che la Chiesa dà, un contributo importante».

Quali segni di speranza vede la Chiesa nel continente africano? Lei pensa di poter rivolgere all’Africa un messaggio di speranza?

«La nostra fede è speranza per definizione. Chi porta la fede è convinto di portare anche la speranza. Nonostante tutti i problemi che conosciamo bene, ci sono grandi segni di speranza, nuovi governi, nuove disponibilità di collaborazione, lotta contro la corruzione – grande male che va superato – e anche l’apertura delle religioni tradizionali, alla fede cristiana. Tutti conoscono Dio ma appare un po’ lontano e attendono si avvicini. E poi il culto tradizionale degli antenati trova sua risposta nella comunione dei santi: che non sono i canonizzati ma tutti i nostri morti. C’è un incontro profondo che dà speranza. Cresce il dialogo interreligioso. Ho parlato con più della metà dei vescovi e mi dicono che relazione con i musulmani è molto buona. Cresce il rispetto reciproco, la comune responsabilità etica, la gioia di essere cristiani. Un problema delle religioni tradizionali è la paura degli spiriti. Un vescovo mi ha detto: uno è veramente convertito e diventa pienamente cristiano se sa che con Cristo non ha paura, che Gesù è più forte degli spiriti. Crescono forze spirituali, sociali e economiche che danno speranza. Ecco: vorrei mettere in luce l’elemento della speranza».

Gian Guido Vecchi

© Copyright Corriere della sera online, 17 marzo 2009


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