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Viaggio apostolico in Camerun e Angola

Ultimo Aggiornamento: 02/05/2009 17:13
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23/03/2009 01:27
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Omelia per la Messa nella Spianata di Cimangola a Luanda



LUANDA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica mattina da Benedetto XVI nel presiedere la Santa Messa con i Vescovi dell’Interregional Meeting of Bishops of Southern Africa (Angola e São Tomé, Botswana, Sud Africa e Swaziland, Lesotho, Mozambico, Namibia e Zimbabwe) nella Spianata di Cimangola a Luanda.






* * *

Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Cari fratelli e sorelle in Cristo!

"Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). Queste parole ci colmano di gioia e di speranza, in quanto attendiamo il compimento delle promesse di Dio. Motivo di particolare gioia è, oggi, per me potere come Successore dell’Apostolo Pietro celebrare questa Messa con voi, miei fratelli e sorelle in Cristo venuti da varie regioni dell’Angola, di São Tomé e Príncipe e da molti altri Paesi. Con grande affetto nel Signore, saluto le comunità cattoliche di Luanda, Bengo, Cabinda, Benguela, Huambo, Huíla, Kuando Kubango, Kunene, Kwanza Norte, Kwanza Sul, Lunda Norte, Lunda Sul, Malanje, Namibe, Moxico, Uíje e Zaire.

In modo speciale, saluto i miei Fratelli Vescovi, i membri dell’Associazione Inter-regionale dei Vescovi dell’Africa Australe, raccolti intorno a questo altare del Sacrificio del Signore. Ringrazio il Presidente del CEAST, Arcivescovo Damião Franklin, per le sue gentile parole di benvenuto e, nelle persone dei loro Pastori, saluto tutti i fedeli della nazioni di Botswana, Lesotho, Mozambique, Namibia, South Africa, Swaziland e Zimbabwe.

La prima lettura di oggi ha una particolare risonanza per il Popolo di Dio in Angola. E’ un messaggio di speranza rivolto al Popolo eletto nella lontana regione del loro esilio, un invito a ritornare in Gerusalemme per ricostruire il Tempio del Signore. La vivace descrizione della distruzione e della rovina causata dalla guerra rispecchia l’esperienza personale di tante persone in questo Paese durante le terribili devastazioni della guerra civile. Com’è vero che la guerra può "distruggere tutto ciò che ha valore" (cfr 2 Cr 36,19): famiglie, intere comunità, il frutto della fatica degli uomini, le speranze che guidano e sostengono le loro vite e il loro lavoro! Questa esperienza è fin troppo familiare all’Africa nel suo insieme: il potere distruttivo della guerra civile, il precipitare nel vortice dell’odio e della vendetta, lo sperpero degli sforzi di generazioni di gente perbene. Quando la Parola del Signore – una Parola che mira all’edificazione dei singoli, delle comunità e dell’intera famiglia umana – è trascurata, e quando la Legge di Dio è "ridicolizzata, disprezzata e schernita" (cfr ibid., v. 16), il risultato può essere solo distruzione ed ingiustizia: l’umiliazione della nostra comune umanità e il tradimento della nostra vocazione ad essere figli e figlie del Padre misericordioso, fratelli e sorelle del suo Figlio diletto.

Traiamo quindi conforto dalle parole consolanti, che abbiamo ascoltato nella prima lettura! La chiamata a ritornare e a ricostruire il tempio di Dio ha un significato particolare per ciascuno di noi. San Paolo, della cui nascita celebriamo quest’anno il bimillennario, ci dice che "siamo il tempio del Dio vivente" (2 Cor 6, 16). Come sappiamo, Dio dimora nei cuori di quanti pongono la loro fiducia in Cristo, sono rinati nel Battesimo e sono resi tempio dello Spirito Santo. Anche adesso, nell’unità del Corpo di Cristo che è la Chiesa, Dio ci chiama a riconoscere il potere della sua presenza in noi, a riappropriarci del dono del suo amore e del suo perdono e a diventare messaggeri di questo amore misericordioso entro le nostre famiglie e comunità, a scuola e al posto di lavoro, in ogni settore della vita sociale e politica.

Qui in Angola, questa Domenica è stata riservata come giorno di preghiera e di sacrificio per la riconciliazione nazionale. Il Vangelo ci insegna che la riconciliazione - una vera riconciliazione - può essere soltanto frutto di una conversione, di un cambiamento del cuore, di un nuovo modo di pensare. Ci insegna che solo il potere dell’amore di Dio può cambiare i nostri cuori e farci trionfare sul potere del peccato e della divisione. Quando eravamo "morti per i nostri peccati" (cfr Ef 2, 5) il suo amore e la sua misericordia ci hanno offerto la riconciliazione e la vita nuova in Cristo. È questo il nucleo dell’insegnamento dell’Apostolo Paolo, ed è importante per noi richiamare alla memoria che solo la grazia di Dio può creare in n oi un cuore nuovo! Solo il suo amore può cambiare il nostro "cuore di pietra" (Ez 11, 19) e metterci in grado di costruire invece di demolire. Solo Dio può fare nuove tutte le cose!

Sono venuto in Africa proprio per predicare questo messaggio di perdono, di speranza e di una nuova vita in Cristo. Tre giorni fa, a Yaoundé, ho avuto la gioia di rendere pubblico l’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicata al tema: La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Vi chiedo oggi di pregare, in unione con tutti i nostri fratelli e sorelle in tutta l’Africa, per questa intenzione: che ogni cristiano in questo grande Continente sperimenti il tocco risanante dell’amore misericordioso di Dio e che la Chiesa in Africa diventi "per tutti, grazie alla testimonianza resa dai suoi figli e dalle sue figlie, luogo di autentica riconciliazione" (Ecclesia in Africa 79).

Cari amici, è questo il messaggio che il Papa porta a voi e ai vostri figli. Dallo Spirito Santo avete ricevuto la forza di essere i costruttori di un domani migliore per il vostro amato Paese. Nel Battesimo vi è stato dato lo Spirito per essere araldi del Regno di Dio, Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace (cfr Messale Romano, Prefazio di Cristo Re). Nel giorno del vostro Battesimo avete ricevuto la luce di Cristo. Siate fedeli a questo dono, certi che il Vangelo può confermare, purificare e nobilitare i profondi valori umani presenti nella vostra cultura nativa e nelle vostre tradizioni: famiglie unite, profondo senso religioso, gioiosa celebrazione del dono della vita, apprezzamento della saggezza degli anziani e delle aspirazioni dei giovani. E poi siate riconoscenti per la luce di Cristo! Mostratevi riconoscenti verso coloro che ve l’hanno portata: generazioni e generazioni di missionari che tanto hanno contribuito e continuano a contribuire allo sviluppo umano e spirituale di questo Paese. Siate riconoscenti per la testimonianza di tanti genitori ed insegnanti cristiani, di catechisti, sacerdoti, religiose e religiosi, che hanno sacrificato la loro propria vita per trasmettervi questo tesoro prezioso! Ed affrontate la sfida che questo grande patrimonio vi pone. Rendetevi conto che la Chiesa, in Angola e in tutta l’Africa, ha il compito di essere, davanti al mondo, un segno di quell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata mediante la fede in Cristo Redentore.

Nel Vangelo di oggi vi sono parole pronunciate da Gesù che suscitano una certa impressione: Egli ci dice che la sentenza di Dio sul mondo è già stata emessa (cfr Gv 3, 19ss). La luce è già venuta nel mondo. Ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Quanto grandi sono le tenebre in tante parti del mondo! Tragicamente, le nuvole del male hanno ottenebrato anche l’Africa, compresa questa amata Nazione di Angola. Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta – una società veramente ed autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori. E che dire di quell’ insidioso spirito di egoismo che chiude gli individui in se stessi, divide le famiglie e, soppiantando i grandi ideali di generosità e di abnegazione, conduce inevitabilmente all’edonismo, all’evasione in false utopie attraverso l’uso della droga, all’irresponsabilità sessuale, all’indebolimento del legame matrimoniale, alla distruzione delle famiglie e all’eliminazione di vite umane innocenti mediante l’aborto?

La parola di Dio, però, è una parola di speranza senza limiti. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito … perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3, 16–17). Dio non ci dà mai per spacciati! Egli continua ad invitarci ad alzare gli occhi verso un futuro di speranza e ci promette la forza per realizzarlo. Come dice san Paolo nella seconda lettura di oggi, Dio ci ha creati in Cristo Gesù per vivere una vita giusta, una vita in cui pratichiamo opere buone secondo la sua volontà (cfr Ef 2, 10). Ci ha donati i suoi comandamenti, non come un fardello, ma come una fonte di libertà: della libertà di diventare uomini e donne pieni di saggezza, maestri di giustizia e di pace, gente che ha fiducia negli altri e cerca il loro vero bene. Dio ci ha creati per vivere nella luce e per essere luce per il mondo intorno a noi! È questo che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: "Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio" (Gv 3, 21).

"Vivete, dunque, secondo verità!" Irraggiate la luce della fede, della speranza e dell’amore nelle vostre famiglie e comunità! Siate testimoni della santa verità che rende liberi uomini e donne! Voi sapete in base ad un’amara esperienza che, rispetto alla repentina furia distruttrice del male, il lavoro di ricostruzione è penosamente lento e duro. Richiede tempo, fatica e perseveranza: deve iniziare nei nostri cuori, nei piccoli sacrifici quotidiani necessari per essere fedeli alla legge di Dio, nei piccoli gesti mediante i quali dimostriamo di amare i nostri vicini - tutti i nostri vicini senza riguardo alla razza, all’etnia o alla lingua - nella disponibilità a collaborare con loro per costruire insieme su basi durevoli. Fate sì che le vostre parrocchie diventino comunità dove la luce della verità di Dio e il potere dell’amore riconciliante di Cristo non siano soltanto celebrati, ma espressi in opere concrete di carità. E non abbiate paura! Anche se questo significa essere un "segno di contraddizione" (Lc 2, 34) di fronte ad atteggiamenti duri e ad una mentalità che vede gli altri come strumenti da usare piuttosto che come fratelli e sorelle da amare, da rispettare e da aiutare lungo la via della libertà, della vita e della speranza.

Permettetemi di concludere con una parola rivolta in particolare ai giovani dell’Angola e a tutti i giovani dell’Africa. Cari giovani amici, voi siete la speranza del futuro del vostro Paese, la promessa di un domani migliore! Cominciate fin da oggi a crescere nella vostra amicizia con Gesù, che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14, 6): un’amicizia nutrita ed approfondita mediante la preghiera umile e perseverante. Cercate la sua volontà su di voi, ascoltando quotidianamente la sua parola e permettendo alla sua legge di modellare la vostra vita e le vostre relazioni. In questo modo diventerete profeti saggi e generosi dell’amore salvifico di Dio; diventerete evangelizzatori dei vostri stessi compagni, guidandoli con il vostro esempio personale ad apprezzare la bellezza e la verità del Vangelo e verso la speranza di un futuro plasmato dai valori del Regno di Dio. La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza! Non abbiate paura di rispondere generosamente alla chiamata di Dio a servirlo sia come sacerdoti, religiose o religiosi, sia come genitori cristiani o in tante altre forme di servizio che la Chiesa vi propone.

Cari fratelli e sorelle! Alla fine della prima lettura di oggi, Ciro re di Persia, ispirato da Dio, ingiunge al Popolo eletto di ritornare nella sua amata Patria e di ricostruire il Tempio del Signore. Che queste parole del Signore siano un appello all’intero Popolo di Dio in Angola e in tutta l’Africa del Sud: Alzatevi! Ponde-vos a caminho! (2 Cr 36, 23). Guardate al futuro con speranza, confidate nelle promesse di Dio e vivete nella sua verità. In questo modo costruirete qualcosa destinato a perdurare e lascerete alla generazioni future un’eredità durevole di riconciliazione, di giustizia e di pace. Amen.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]






Preghiera di Benedetto XVI a Maria per la pace in Africa


Parole introduttive all'Angelus nella Spianata di Cimangola a Luanda





LUANDA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus pronunciato questa domenica da Benedetto XVI al termine della celebrazione eucaristica nella spianata di Cimangola con i Vescovi dell’Interregional Meeting of Bishops of Southern Africa.









* * *

Cari fratelli e sorelle,

al termine della nostra Celebrazione eucaristica, mentre la mia Visita pastorale in Africa sta giungendo alla sua conclusione, ci volgiamo ora a Maria, la Madre del Redentore, per implorarne l’amorevole intercessione su di noi, sulle nostre famiglie, e sul nostro mondo.

In questa preghiera dell’Angelus, ricordiamo il "sì" incondizionato di Maria alla volontà di Dio. Attraverso l’obbedienza di fede della Vergine, il Figlio è venuto nel mondo per portarci perdono, salvezza e vita in abbondanza. Facendosi uomo come noi in tutto fuorché nel peccato, Cristo ci ha insegnato la dignità e il valore di ogni membro della famiglia umana. E’ morto per i nostri peccati, per raccoglierci insieme nella famiglia di Dio.

La nostra preghiera sale oggi dall’Angola, dall’Africa, ed abbraccia il mondo intero. A loro volta gli uomini e le donne di ogni parte del mondo che si uniscono alla nostra preghiera, volgano i loro occhi all’Africa, a questo grande Continente così colmo di speranza, ma ancora così assetato di giustizia, di pace, di un sano e integrale sviluppo che possa assicurare al suo popolo un futuro di progresso e di pace.

Oggi io affido alle vostre preghiere il lavoro di preparazione per la prossima Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, la cui celebrazione prevista per la fine di quest’anno. Ispirati dalla fede in Dio e fiduciosi nelle promesse di Cristo, possano i cattolici di questo Continente diventare sempre più pienamente lievito di evangelica speranza per tutte le persone di buona volontà che amano l’Africa, sono dedite al progresso materiale e spirituale dei suoi figli, e alla diffusione della pace, della prosperità, della giustizia e della solidarietà in vista del bene comune.

La Vergine Maria, Regina della Pace, continui a guidare il popolo dell’Angola nel compito della riconciliazione nazionale dopo la devastante e disumana esperienza della guerra civile. Le sue preghiere ottengano per tutti gli Angolani la grazia di un autentico perdono, del rispetto per gli altri, della cooperazione che sola può portare avanti l’immensa opera della ricostruzione. La Santa Madre di Dio, che ci addita il Figlio suo, nostro fratello, ricordi a noi cristiani di ogni luogo il dovere di amare il nostro prossimo, di essere costruttori di pace, di essere i primi a perdonare a chi ha peccato contro di noi, così come noi siamo stati perdonati.

Qui, nell’Africa del Sud, vogliamo pregare Nostra Signora in modo particolare di intercedere per la pace, la conversione dei cuori e per la fine del conflitto nella vicina regione dei Grandi Laghi. Il Figlio suo, Principe della Pace, porti guarigione a chi soffre, conforto a coloro che piangono e forza a tutti coloro che portano avanti il difficile processo del dialogo, del negoziato e della cessazione della violenza.

Con questa fiducia, noi ora ci volgiamo a Maria, nostra Madre, e nel recitare la preghiera dell’Angelus, preghiamo per la pace e la salvezza dell’intera famiglia umana.





[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]







Discorso del Papa ai movimenti cattolici per la promozione della donna



LUANDA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI nell’incontrarsi, presso la parrocchia di Santo António, nella periferia di Luanda, con alcune rappresentanze di Movimenti cattolici per la promozione della donna.









* * *


Carissimi fratelli e sorelle,

«Non hanno più vino» – disse Maria supplicando Gesù affinché lo sposalizio potesse continuare nella festa, come del resto sempre deve essere: «Gli invitati a nozze non possono digiunare quando hanno con loro lo sposo» (cfr Mc 2, 19). Poi la Madre di Gesù si recò dai servi per raccomandar loro: «Fate quello che vi dirà» (cfr Gv 2, 1-5). E quella mediazione materna rese possibile il «vino buono», premonitore di una nuova alleanza tra l’onnipotenza divina e il cuore umano povero ma disponibile. È ciò che, del resto, era già successo in passato quando – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura – «tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!"» (Es 19, 8).

Queste stesse parole salgano dal cuore di quanti siamo radunati qui in questa chiesa di Sant’Antonio, sorta grazie alla benemerita opera missionaria dei Frati minori cappuccini, i quali la vollero quale nuova Tenda per l’Arca dell’Alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo in cammino. Su di loro e su quanti collaborano e traggono beneficio dall’assistenza religiosa e sociale qui elargita, il Papa traccia una benevola e incoraggiante Benedizione. Saluto con affetto ciascuno dei presenti: Vescovi, presbiteri, consacrati e consacrate, e in modo particolare voi, fedeli laici, che abbracciate consapevolmente i doveri d’impegno e di testimonianza cristiana che derivano dal sacramento del Battesimo e, per gli sposati, anche dal sacramento del Matrimonio. E, dettato dalla ragione principale che ci raduna qui, un mio saluto carico di affetto e di speranza va alle donne, alle quali Dio ha affidato le sorgenti della vita: Vivete e scommettete sulla vita, perché il Dio vivente ha scommesso su di voi! Con animo grato, saluto i responsabili e gli animatori dei Movimenti ecclesiali che hanno a cuore, tra l’altro, la promozione della donna angolana. Ringrazio Mons. José de Queirós Alves e ai vostri rappresentanti per le parole che mi hanno rivolto, illustrando gli affanni e le speranze di tante silenziose eroine quali sono le donne in questa Nazione amata.

Tutti esorto ad un’effettiva consapevolezza delle condizioni sfavorevoli a cui sono state – e continuano ad essere – sottoposte tante donne, esaminando in quale misura la condotta e gli atteggiamenti degli uomini, a volte la loro mancanza di sensibilità o di responsabilità, possano esserne la causa. I disegni di Dio sono diversi. Abbiamo sentito nella lettura che tutto il popolo rispose insieme: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» Dice la Sacra Scrittura che il Creatore divino, nell’esaminare l’opera compiuta, vide che qualcosa mancava: tutto sarebbe stato buono, se l’uomo non fosse stato solo! Come poteva l’uomo solo essere ad immagine e somiglianza di Dio che è uno e trino, di Dio che è comunione? «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (cfr Gn 2, 18). Dio di nuovo si mise all’opera per creare l’aiuto che mancava, e lo dotò in modo privilegiato introducendo l’ordine dell’amore, che non vedeva abbastanza rappresentato nella creazione.

Come sapete, fratelli e sorelle, quest’ordine dell’amore appartiene alla vita intima di Dio stesso, alla vita trinitaria, essendo lo Spirito Santo l’ipostasi personale dell’amore. Orbene, «nel fondamento del disegno eterno di Dio – come diceva il compianto Papa Giovanni Paolo II – la donna è colei in cui l’ordine dell’amore nel mondo creato delle persone trova un terreno per gettare la sua prima radice» (Lett. ap. Mulieris dignitatem, 29). Infatti, nel vedere l’affascinante incanto che irradia dalla donna a causa dell’intima grazia che Dio le ha donata, il cuore dell’uomo si illumina e si rivede in essa: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2, 23). La donna è un’altro «io» nella comune umanità. Bisogna riconoscere, affermare e difendere l’uguale dignità dell’uomo e della donna: sono ambedue persone, differentemente da ogni altro essere vivente del mondo attorno a loro.

Ambedue sono chiamati a vivere in profonda comunione, in un vicendevole riconoscimento e dono di se stessi, lavorando insieme per il bene comune con le caratteristiche complementari di ciò che è maschile e di ciò che è femminile. Chi non avverte, oggi, il bisogno di dare più spazio alle «ragioni del cuore»? In un mondo come l’attuale dominato dalla tecnica, si sente bisogno di questa complementarietà della donna, affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumanizzarsi del tutto. Si pensi alle terre dove abbonda la povertà, alle regioni devastate dalla guerra, a tante situazioni tragiche risultanti da migrazioni forzate e non… Sono quasi sempre le donne che vi mantengono intatta la dignità umana, difendono la famiglia e tutelano i valori culturali e religiosi.

Carissimi fratelli e sorelle, la storia registra quasi esclusivamente le conquiste dei maschi, quando in realtà una parte importantissima si deve ad azioni determinanti, perseveranti e benefiche poste da donne. Lasciate che, fra tante donne straordinarie, vi parli di due: Teresa Gomes e Maria Bonino. Angolana la prima, è deceduta l’anno 2004 nella città di Sumbe, dopo una vita coniugale felice da cui sono nati 7 figli; incrollabile è stata la sua fede cristiana e ammirevole il suo zelo apostolico, soprattutto negli anni 1975 e 1976 quando una feroce propaganda ideologica e politica si abbatté sopra la parrocchia di Nostra Signora delle Grazie di Porto Amboim, riuscendo quasi a far chiudere le porte della chiesa. Allora Teresa divenne la leader dei fedeli che non si arrendevano alla situazione, sostenendoli, proteggendo coraggiosamente le strutture parrocchiali e tentando ogni possibile strada per avere di nuovo la santa Messa. Il suo amore alla Chiesa la rese instancabile nell’opera dell’evangelizzazione, sotto la guida dei sacerdoti.

Quanto a Maria Bonino: era una pediatra italiana, offertasi volontaria per varie missioni in quest’Africa amata, e divenuta la responsabile del Reparto pediatrico dell’Ospedale provinciale d’Uíje negli ultimi due anni della sua vita. Votata alle cure quotidiane di migliaia di bambini lì ricoverati, Maria dovette pagare con il sacrificio più alto il servizio ivi reso durante una terribile epidemia della febbre emorragica di Marburg, finendo lei stessa contagiata; anche se trasferita a Luanda, qui decedette e qui riposa dal 24 marzo del 2005 – si compie dopodomani il quarto anniversario. La Chiesa e la società umana sono state – e continuano ad essere – enormemente arricchite dalla presenza e dalle virtù delle donne, in particolare di quelle che si sono consacrate al Signore e, poggiando su di Lui, si sono messe al servizio degli altri.

Carissimi angolani, oggi nessuno dovrebbe più dubitare del fatto che le donne, sulla base della loro dignità pari a quella degli uomini, hanno «pieno diritto di inserirsi attivamente in ogni ambito della vita pubblica, e il loro diritto deve essere affermato e protetto anche mediante strumenti legali, là dove questi appaiano necessari. Tuttavia il riconoscimento del ruolo pubblico delle donne non deve sminuire l’insostituibile funzione che esse hanno all’interno della famiglia: qui, infatti, il loro contributo per il bene e lo sviluppo sociale, anche se poco considerato, è di un valore realmente inestimabile» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace nel 1995, n. 9). Peraltro, a livello personale, la donna sente la propria dignità non tanto quale risultato dell’affermazione di diritti sul piano giuridico, quanto piuttosto come diretta conseguenza delle attenzioni materiali e spirituali ricevute nel cuore della famiglia. La presenza materna all’interno della famiglia è così importante per la stabilità e la crescita di questa cellula fondamentale della società, che dovrebbe essere riconosciuta, lodata e sostenuta in ogni modo possibile. E, per lo stesso motivo, la società deve richiamare i mariti e i padri alle loro responsabilità riguardo alla propria famiglia.

Carissime famiglie, certamente vi siete rese conto del fatto che nessuna coppia umana può da sola, unicamente con le proprie forze, offrire adeguatamente ai figli l’amore e il senso della vita. Infatti, per poter dire a qualcuno: «La tua vita è buona, nonostante non ne conosca il futuro», c’è bisogno di un’autorità e di una credibilità più alte di quanto possono offrire i genitori da soli. I cristiani sanno che quest’autorità più grande è stata assegnata a quella famiglia più ampia che Dio, per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo e del dono dello Spirito Santo, ha creato nella storia degli uomini, e cioè alla Chiesa. Vediamo qui al lavoro quell’Amore eterno e indistruttibile che assicura alla vita di ciascuno di noi un senso permanente, anche se non ne conosciamo il futuro. Per questo motivo, l’edificazione di ogni famiglia cristiana avviene all’interno di quella famiglia più grande che è la Chiesa, la quale la sostiene e la stringe al suo petto garantendo che sopra di essa si posa, ora e nel futuro, il «sì» del Creatore.

«Non hanno più vino» – dice Maria a Gesù. Carissime donne angolane, prendeteLa come Avvocata vostra presso il Signore. Così la conosciamo da quelle nozze di Cana: come la Donna benigna, piena di materna sollecitudine e di coraggio, la Donna che si accorge dei bisogni altrui e, volendo rimediare, li porta davanti al Signore. Presso di Lei, possiamo tutti, donne e uomini, ricuperare quella serenità e intima fiducia che ci fa sentire beati in Dio e instancabili nella lotta per la vita. Possa la Madonna di Muxima essere la stella della vostra vita; Essa vi custodisca uniti nella grande famiglia di Dio. Amen.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]











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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN CAMERUN E ANGOLA (17-23 MARZO 2009) (XVIII)

CERIMONIA DI CONGEDO DALL’ANGOLA


Questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato, alle ore 9.15 il Santo Padre lascia la Nunziatura Apostolica e si trasferisce in auto all’aeroporto internazionale "4 de Fevereiro" di Luanda dove, alle ore 10.00, ha luogo la Cerimonia di congedo dall’Angola, alla presenza delle Autorità politiche e civili, dei Vescovi dell’Angola e di un gruppo di giovani.

Dopo il discorso del Presidente della Repubblica dell’Angola, S.E. il Sig. José Eduardo dos Santos, il Papa pronuncia il discorso che pubblichiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Eccellentissimo Signor Presidente della Repubblica,
Illustrissime Autorità civili, militari ed ecclesiastiche,
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Amici tutti di Angola!

Vivamente sensibile alla presenza di Vostra Eccellenza, Signor Presidente, in quest’ora della mia partenza, voglio esprimerLe il mio apprezzamento e la mia gratitudine tanto per il distinto trattamento che mi ha riservato quanto per le disposizioni prese per facilitare lo svolgimento dei diversi incontri che ho avuto la gioia di vivere. Sia alle Autorità civili e militari che ai Pastori e ai responsabili delle comunità ed istituzioni ecclesiali coinvolte nei suddetti incontri, rivolgo i più cordiali ringraziamenti per ogni gentilezza con cui hanno voluto onorare la mia persona durante questi giorni che ho potuto passare tra voi. Una parola di riconoscenza è dovuta agli operatori dei mezzi di comunicazione sociale, agli agenti dei servizi di sicurezza e a tutti i volontari che, con generosità, efficienza e discrezione, hanno contribuito al buon esito della mia visita.

Ringrazio Iddio di aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno. È ora di congedarmi e di ripartire alla volta di Roma, rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere. Nonostante le resistenze e gli ostacoli, questo popolo intende edificare il suo futuro camminando per sentieri di perdono, giustizia e solidarietà.

Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione – sono certo – è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini.

E da Luanda allargo lo sguardo verso l’Africa intera, dandole appuntamento per il prossimo mese di ottobre nella Città del Vaticano, quando ci raduneremo per la II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata a questo Continente, dove il Verbo incarnato in persona ha trovato rifugio. Prego ora Iddio di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa. Il Dio del cielo ripete loro: «Anche se la mamma si dimenticasse di te, Io invece non ti dimenticherò mai» (cfr Is 49, 15). È come figli e figlie che Dio vi ama; Egli veglia sui vostri giorni e sulle vostre notti, sulle vostre fatiche e aspirazioni.

Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno. E ciò sarà possibile se vi riconoscerete a vicenda quali figli dello stesso e unico Padre del Cielo. Dio benedica l’Angola! Benedica ognuno dei suoi figli e figlie! Benedica il presente e il futuro di questa amata Nazione. Addio!


TELEGRAMMA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DELL’ANGOLA

Alle ore 10.30 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI lascia l’aeroporto internazionale "4 de Fevereiro" di Luanda a bordo di un B777 dell’Alitalia, diretto a Roma.

Al momento di lasciare lo spazio aereo dell’Angola, il Papa fa pervenire al Presidente della Repubblica, S.E. il Sig. José Eduardo dos Santos, il seguente messaggio telegrafico:

EXCELENTÍSSIMO SENHOR JOSÉ EDUARDO DOS SANTOS
PRESIDENTE DA REPUBLICA DE ANGOLA
LUANDA

AO DEIXAR O ESPAÇO ANGOLANO VENHO RENOVARLHE MINHA DEFERENTE SAUDAÇÃO E CORDIAL AGRADECIMENTO PELA DISPONIBILIDADE FACILIDADES E BOM ACOLHIMENTO DE VOSSA EXCELÊNCIA GOVERNO AUTORIDADES E TODO DILECTO POVO ANGOLANO NO DESENROLARSE DESTA VISITA PASTORAL(.) NELA PRETENDI CHAMAR TODOS A UMA RENOVADA SOLIDARIEDADE DAS MENTES E CORAÇÕES QUE POSSIBILITE EMPENHO COMUM NA OBRA DE PACIFICAÇÃO E RECONSTRUÇÃO DA NAÇÃO INTEIRA PARA UM FUTURO MAIS DIGNO DOS SEUS FILHOS SOBRE QUEM IMPLORO CONTINUA ASSISTÊNCIA DAS BENÇAOS DE DEUS

BENEDICTUS PP XVI



Concluso il viaggio in Africa. Benedetto XVI: per ridare speranza al continente la prima sfida da vincere è quella della solidarietà


Il viaggio del Papa in Africa si è concluso. Stamani la cerimonia di congedo all’aeroporto di Luanda. Benedetto XVI ha detto di aver trovato una Chiesa viva, nonostante le difficoltà, che continua ad annunciare che è arrivato il tempo della speranza. Quindi ha lanciato un nuovo appello perché i responsabili lavorino per realizzare le giuste aspirazioni delle popolazioni alla pace, al cibo, alla casa: in questo senso - ha detto - “la prima sfida da vincere è quella della solidarietà”. Alle 18.00 di oggi l’arrivo di Benedetto XVI all'aeroporto romano di Ciampino. Il servizio del nostro inviato a Luanda Davide Dionisi:

Rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere. Nella cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda, Benedetto XVI ha espresso così, questa mattina, sentimenti di riconoscenza e di affetto nei confronti del popolo angolano. L’entusiasmo e il calore che hanno caratterizzato i tre giorni di permanenza nella capitale, hanno lasciato il segno e la risposta del Papa non si è fatta attendere. Nel tracciare un bilancio di questa seconda parte del suo undicesimo viaggio apostolico internazionale, il Pontefice ha posto l’accento sull’efficacia e sul ruolo svolto dalla Chiesa locale, nonostante le difficoltà e gli ostacoli tipici di un Paese reduce da anni di guerra civile:


“Estou grato a Deus por ter encontrado...
Ringrazio Iddio di aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno”.

Prima di lasciare Luanda e di salutare il popolo angolano, ha voluto lanciare un ultimo appello al presidente della Repubblica, José Eduardo Dos Santos, e alle autorità politiche e civili presenti, affinché si prodighino per il bene comune e per sostenere chi è in difficoltà. E il Santo Padre ha indicato l’unica strada capace di dare concrete risposte ai fratelli bisognosi: quella della solidarietà:


“Se me permitissem um apelo final...
Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione – sono certo – è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini”.

Un messaggio finale, quello del Pontefice, rivolto non solo all’Angola, ma a tutto il continente africano, anche in vista della II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata a questo Continente. Un messaggio di speranza anche per coloro che ancora soffrono a causa delle guerre e delle discriminazioni:

“Agora peço a Deus que faça sentir…
Prego ora Iddio di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa”.

Benedetto XVI è tornato infine ad esortare il popolo angolano ad avere fiducia nei propri mezzi e a continuare a lavorare per realizzare una civiltà dell’amore, attraverso la via del perdono e del dialogo fraterno. Prerogative, queste, utili per favorire la pace e l’intese fra i popoli, su una base di lealtà e uguaglianza:


"Irmãos e amigos de África,…
Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno. Dio benedica l’Angola!”.




www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=761&sett...








Le parole del Papa in volo verso Roma


Il Papa è dunque in volo verso Roma. A bordo dell’aereo ha parlato con i giornalisti della sua esperienza in Africa. Ecco le sue parole:

“Cari amici … mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi con tutti i limiti siamo in questa famiglia e Dio è con noi. E così la presenza del Papa ha … aiutato a sentire questo … E dall’altra parte mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso; anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di coscienza della presenza divina. Questo mi ha fatto una grande impressione.


Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che sabato nel caos formatosi all’ingresso dello stadio sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una non è stata ancora identificata. Il cardinal Bertone e mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra ragazza: una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La ragazza deceduta, era la prima dei suoi figli ed era una catechista. E noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.


Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – è il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere qui il mondo delle sofferenze molteplici, tutta la sofferenza, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana, ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra, movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando il sofferente diventa più uomo, il mondo diventa più umano: questo rimane iscritto nella mia memoria.


Poi abbiamo distribuito l’Instrumentum laboris per il Sinodo e abbiamo anche lavorato per il Sinodo. Nella sera del giorno di San Giuseppe mi sono riunito con i componenti del Consiglio per il Sinodo – 12 vescovi – e ognuno ha parlato della situazione della sua Chiesa locale, delle loro proposte, delle loro aspettative, e così è nata un’idea molto ricca della realtà della Chiesa in Africa, come si muove, come soffre, che cosa fa, quali sono le speranze, i problemi. Potrei raccontare molto, per esempio che la Chiesa del Sudafrica, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita, aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe.


Infine vorrei ancora una volta ringraziare tutti coloro che hanno contribuito per la bella riuscita di questo viaggio: abbiamo visto quali preparativi lo avevano preceduto, come hanno collaborato tutti, vorrei ringraziare le autorità statali, civili, della Chiesa e tutti i singoli che hanno collaborato. Mi sembra che veramente la parola “grazie” dovrebbe concludere questa avventura e grazie ancora una volta anche a voi, giornalisti, per il lavoro che avete fatto e farete. Buon viaggio a voi tutti. Grazie!”


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Nella giornata conclusiva del suo viaggio Benedetto XVI parla di pace e riconciliazione: «La cupidigia riduce in schiavitù i poveri»

«L'Africa si liberi dai mali»

Il Papa sempre vicino alle donne: «In famiglia il genio femminile si impone»

Giuseppe De Carli

Il caldo, ma probabilmente la ressa, hanno fatto due vittime. Si tratta di due angolane di vent'anni (una pare fosse incinta) deceduta la sera di sabato non si sa se prima o dopo l'incontro dei giovani col Papa allo stadio di Luanda. Il governo non ha dato una versione ufficiale e le ipotesi divergono. C'è chi parla di calca per entrare allo stadio che ha provocato, fra l'altro, una quarantina di feriti. Chi di un collasso cardiocircolatorio che ha stroncato per la temperatura elevatissima le due ragazze. Una tragedia ricordata durante la «preghiera dei fedeli» sulla spianata di Cimandola. Benedetto XVI, i vescovi di nuove nazioni dell'Africa australe, e centinaia di migliaia di fedeli. Il rito eucaristico nella domenica dedicata alla riconciliazione nazionale. «Il lavoro di ricostruzione - afferma il Papa - è penosamente lento e duro», soprattutto qui, in un Paese uscito da una devastante guerra civile. Se ne rende conto lungo i quattordici chilometri di tragitto verso la spianata. Una delle tante «guerre dimenticate» ha prodotto «una umanità dimenticata». Un panorama terrificante di case di lamiera, di enormi conglomerati sorti dal nulla, senza acqua, né luce, né fognature.
Luanda come Manila, come tante città disperate del cosiddetto «terzo mondo in via di sviluppo». La giornata conclusiva è perciò la giornata dei ripetuti appelli alla pace, alla riconciliazione, al perdono, alla speranza. Gli uomini, spesso, preferiscono le tenebre alla luce. «Pensiamo - dice ancora Papa Benedetto - ai frutti feroci del tribalismo, delle rivalità etniche, della cupidigia che corrompe il cuore dell'uomo e riduce in schiavitù i poveri; alla droga, all'irresponsabilità sessuale, all'indebolimento del legame matrimoniale, alla distruzione delle famiglie e alla eliminazione di vite umane innocenti mediante l'aborto».
L'ultima parola di Papa Ratzinger è per le donne.
Due donne sono diventate un esempio da seguire: Teresa Gomes, angolana, e l'italiana Maria Bonino, pediatra, morta di febbre emoraggica quattro anni fa. Diritti di assoluta parità sul piano giuridico, ma è in famiglia, secondo Joseph Ratzinger, che il «genio femminile» si impone.

Benedetto XVI si lascia andare: «Affascinante incanto che irradia la donna», «intima grazia», [SM=g7707] [SM=g8468] argine contro la disumanizzazione, aralde delle «ragioni del cuore» in una società dominata dalla tecnica.

Termina la visita con un bilancio straordinariamente positivo. A dispetto delle polemiche in Occidente, è stata un interminabile abbraccio di popoli, un incontro commuovente fra un padre e i figli dispersi. Si è scoperta una Chiesa forte, giovane, dinamica, destinata a contare sempre di più nella Chiesa universale. «Inculturazione dell'amore» e «teologia della fraternità» sembrano essere i frutti ecclesiali raccolti da questa visita.
In sfida anche con se stesso per i continui spostamenti e la fatica di sopportare il clima tropicale, Benedetto XVI ha seminato parole di giustizia, ha predicato la guarigione del cuore, l'amicizia con Dio.

© Copyright Il Tempo, 23 marzo 2009


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La preghiera del Papa per le due ragazze morte nella calca allo stadio

di Redazione

A dare la notizia agli angolani è stato Benedetto XVI, che ieri mattina, all’inizio della messa ha ricordato il sacrificio delle due ragazze morte il giorno precedente nella calca all’ingresso allo stadio dos Coqueiros. Fino a quel momento, infatti, giornali e tv locali avevano ignorato il grave incidente. «Amati fratelli - ha detto il Papa cominciando la celebrazione - desidero includere in questa eucarestia un suffragio particolare per le due giovani che ieri hanno perso la vita allo stadio dos Coqueiros.
Affidiamole a Gesù, che le accolga nel suo regno». «Ai loro familiari e amici - ha aggiunto Ratzinger - esprimo la mia solidarietà e la mie più profonde condoglianze anche perché venivano per incontrarmi. Allo stesso tempo prego per i feriti augurando loro una pronta guarigione. Affidiamoci - ha concluso - ai disegni insondabili di Dio».
La disgrazia, che ha provocato, oltre alle due vittime, anche 89 feriti, è avvenuta dopo mezzogiorno, al momento dell’apertura della porta numero 4 dello stadio. Nella ressa incontrollata le due ragazze sono rimaste travolte e schiacciate. Una di loro, Celine, 22 anni, all’ospedale è stata subito identificata perché portava con sé i documenti. L’altra fino a ieri non aveva ancora un nome, perché priva di documenti: dimostra una ventina d’anni d’età e secondo una voce non confermata sarebbe stata incinta. Nessuno si è ancora presentato a cercarla.
Una delegazione della Santa sede, guidata dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone, ha reso omaggio e ha pregato davanti alle salme, deposte su due lettighe e coperte da lenzuoli bianchi in una sala dell’ospedale Maria Pia. Celine faceva la catechista nella parrocchia di San Pietro a Luanda. Bertone ha espresso il dolore del Papa ai familiari presenti: la mamma vedova, la sorella maggiore, tre fratelli minori, il nonno, alcuni zii. Celine, anche ieri mattina, era andata in parrocchia a far lezione di catechismo, prima di recarsi allo stadio. Nella visita all’ospedale, la delegazione vaticana è stata accompagnata dal ministro degli Esteri e dalla governatrice di Luanda. Bertone ha chiesto chiarimenti sulla dinamica dell’evento. Tra gli 89 feriti, nessuno è in gravi condizioni. Le autorità angolane hanno promesso che aiuteranno le famiglie delle vittime e la Santa sede ha chiesto di essere tenuta al corrente sui risultati dell’indagine aperta sull’incidente.
Una tragedia simile, anche se con un bilancio più grave, accadde anche durante il primo viaggio di Papa Wojtyla in Africa. A Kinshasa, capitale dell’allora Zaire, nove fedeli morirono schiacciati tra la folla accorsa per la messa. I feriti furono 78.
AnTor

© Copyright Il Giornale, 23 marzo 2009


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Il viaggio in Africa Tragedia ieri mattina nella capitale dell'Angola, 80 feriti

Due morti alla Messa del Papa schiacciati dalla folla allo stadio

Ratzinger informato esprime «dolore e sconcerto»
Benedetto XVI è arrivato senza sapere quello che era successo: le autorità hanno mantenuto il silenzio per ore

DAL NOSTRO INVIATO

Gian Guido Vecchi

LUANDA (Angola)

Quando Benedetto XVI è arrivato allo stadio erano già morti. Un ragazzo e una ragazza — secondo fonti ospedaliere; gli scout parlano di due ragazze — fra le decine di migliaia rimasti in attesa per ore, ieri pomeriggio, fuori dallo stadio dos Coqueiros, per il grande incontro dei giovani con il Papa. Nell'ospedale della capitale angolana sono stati portati almeno un'ottantina di feriti, schiacciati dalla calca o distrutti dal caldo atroce della capitale.

Nello stadio, pressati come sardine, c'erano trentamila ragazzi tra spalti e campo. Altre migliaia sono rimasti fuori.

La tragedia è avvenuta quattro ore e mezzo prima dell'inizio, a mezzogiorno, quando già a migliaia si accalcavano fuori dall'impianto e sono stati aperti i cancelli. È stata fatale la pressione della folla. I due giovani sono stati portati in ospedale, ma non c‘era più nulla da fare. Di certo il clima era quasi impossibile, dallo stadio si è usciti fradici e disidratati, i ragazzi svenivano a decine.
Le autorità hanno comunque tenuto sotto silenzio la cosa. Nella notte i notiziari della televisione angolana continuavano allegramente a trasmettere le immagini festose del pomeriggio. A rovinare il quadretto, alcune voci poco prima delle nove e l'agenzia di informazioni
Lusa che ha diffuso la notizia verso le nove di sera. Sorpreso lo stesso seguito del Papa, tenuto all'oscuro di tutto. Padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, spiegava a tarda sera di aver ricevuto solo alcune «prime conferme»: la morte dei due ragazzi in non meglio precisati «incidenti».
Il Papa e tutto il seguito «esprimono dolore e sconcerto ». Benedetto XVI è arrivato allo stadio senza sapere quello che era successo. Nonostante il clima, il volto provato dalla fatica e dal caldo, aveva l'aria rasserenata davanti ai giovani che cantavano «Papa, amigo, Angola esta con tigo», ha battuto le mani al ritmo dei canti africani scanditi da danze e strumenti a percussione tradizionali, si è messo pure a scherzare con i ragazzi, dopo aver ricordato il precedente di Giovanni Paolo II nel '92: «Con lineamenti un po' diversi, ma con lo stesso amore nel cuore, ecco davanti a voi l'attuale Successore di Pietro, che vi abbraccia tutti in Gesù Cristo».
Si è commosso davanti ai ragazzi mutilati dalle mine disseminate in 27 anni di guerra civile e ancora sparse nel Paese: «Vedo qui presenti alcuni delle migliaia di giovani angolani mutilati in conseguenza della guerra e delle mine, penso alle innumerevoli lacrime che tanti di voi hanno versato per la perdita dei familiari, e non è difficile immaginare le nubi grigie che coprono ancora il cielo dei vostri sogni migliori», ha detto loro. «Amici che mi ascoltate, il futuro è Dio.
Io vi dico: coraggio!». Una festa di suoni o colori. Nello stadio si vedevano le barelle sfilare avanti e indietro, portando via chi era svenuto. Ma nessuno poteva immaginare che due ragazzi erano già morti. E questa mattina si teme per quello che potrà succedere nella spianata di Cimangola, l'appuntamento principale e più atteso a Luanda. Benedetto XVI, durante la Messa, ricorderà le due vittime.

© Copyright Corriere della sera, 22 marzo 2009


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Benedetto XVI saluta l'Africa ed elogia le donne

di Andrea Tornielli

Luanda (Angola)

In un mondo «dominato dalla tecnica» c’è bisogno di «dare più spazio» alle donne, che hanno diritto di inserirsi in ogni ambito della vita pubblica. E deve essere riconosciuta e sostenuta «in ogni modo possibile» la loro funzione all’interno della famiglia. Benedetto XVI, sotto l’enorme vetrata triangolare di colore azzurro e blu della chiesa parrocchiale di Sant’Antonio, è circondato da migliaia di donne angolane, nei loro variopinti costumi.
L’ultimo appuntamento del viaggio africano è dedicato a loro, alle donne. Le più colpite insieme ai loro bambini, dalla tragica guerra civile e dagli atteggiamenti degli uomini. In numerosissimi casi vittime di stupri e di ogni genere di violenza.
Sono accorse in tante, hanno riempito le strade attorno alla chiesa, per manifestare il loro entusiasmo al Papa. Prima che di parole, è un incontro fatto di sguardi, di sorrisi, di volti segnati da indicibili sofferenze e, al tempo stesso, da autentica gioia. Appartengono a vari gruppi femminili, in particolare a Promaica, l’associazione che conta 71mila aderenti laiche presenti in tutte le diocesi dell’Angola, che si dedicano alla promozione della donna e testimoniano ancora una volta l’opera della Chiesa in prima linea nella lotta per i diritti e la dignità della persona.
«Tutti esorto - dice Ratzinger - a un’effettiva consapevolezza delle condizioni sfavorevoli a cui sono state e continuano a essere sottoposte tante donne, esaminando in quale misura la condotta e l’atteggiamento degli uomini, a volte la loro mancanza di sensibilità o di responsabilità, possano esserne causa».
Il Papa spiega che i «disegni di Dio sono diversi» e che va riconosciuta, affermata e difesa «l’uguale dignità dell’uomo e della donna».
Oggi, aggiunge, occorre «dare più spazio alle ragioni del cuore» e «in un mondo come l’attuale dominato dalla tecnica, si sente il bisogno di questa complementarietà della donna, affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumanizzarsi del tutto». Cita le terre dove abbonda la povertà, le regioni devastate dalla guerra, le «situazioni tragiche risultanti da migrazioni forzate e no... Sono quasi sempre le donne che vi mantengono intatta la dignità umana, difendono la famiglia e tutelano i valori culturali e religiosi».
Benedetto XVI ricorda che «la storia registra quasi esclusivamente le conquiste dei maschi», quando in realtà «una parte importantissima si deve ad azioni determinanti, perseveranti e benefiche» delle donne. Donne come la pediatra Maria Bonino, morta qui quattro anni fa dopo aver contratto la febbre emorragica mentre curava i bambini. Ratzinger ripete infine il «pieno diritto» delle donne di «inserirsi in ogni ambito della vita pubblica», un diritto da proteggere «anche mediante strumenti legali», ma ricorda pure che questo riconoscimento «non deve sminuire l’insostituibile funzione che esse hanno all’interno della famiglia». Per questo «la presenza materna all’interno della famiglia deve essere riconosciuta, lodata e sostenuta in ogni modo possibile».
La giornata di Benedetto era cominciata con la messa celebrata nella spianata di Cimangola, alla periferia di Luanda, di fronte a centinaia di migliaia di fedeli (un milione, secondo le stime della polizia).
Per arrivarci, il pontefice ha percorso quattordici chilometri attraverso una sterminata bidonville ed è entrato così in contatto con la realtà del degrado e dell’estrema povertà delle baracche di lamiere e cartone, affastellate una sull’altra, dove vive in condizioni disumane molta della popolazione della capitale angolana.
Nell’omelia, Ratzinger ha detto di essere venuto qui per portare un messaggio di perdono e speranza. Ha invitato il Continente nero alla riconciliazione, che può essere solo «frutto di una conversione, di un cambiamento del cuore», e ha elencato le tragedie che hanno colpito questa parte del mondo: «Tragicamente - ha detto - le nuvole del male hanno ottenebrato anche l’Africa, compresa questa amata nazione.
Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù gli uomini e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta, una società veramente e autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori». E se la «furia distruttrice del male» è repentina, il lavoro di ricostruzione «è penosamente lento e duro».
Questa mattina, alle 10.30, Benedetto XVI, dopo aver salutato all’aeroporto il presidente Dos Santos, riparte per Roma, dove atterrerà nel tardo pomeriggio.

© Copyright Il Giornale, 23 marzo 2009


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PAPA IN AFRICA - Il dito e la luna

Miopia e parzialità dei media

Marco Deriu

Un viaggio di enorme portata, una tappa fondamentale del cammino di evangelizzazione che può segnare una svolta profonda per i cristiani d’Africa, un segno tangibile di speranza per chi spesso vive in condizioni disperate. Molte altre ancora, senza timore di eccedere, potrebbero essere le definizioni per inquadrare nella sua giusta dimensione il viaggio di Benedetto XVI nel continente africano, un’iniziativa densa di significati.
Attraverso la luce della Parola, il Santo Padre ha affrontato le questioni nodali della situazione africana, chiamando il mondo intero a un’attenzione e a una mobilitazione che consentano di affrontare fenomeni radicati e drammatici: la sistematica discriminazione delle donne e le conseguenti violenze innumerevoli a cui sono sottoposte, la stregoneria che ancora prevede sacrifici umani e spesso rende i bambini capri espiatori di credenze distorte, la povertà e la fame che seminano morte e costringono le popolazioni al limite della sopravvivenza, l’Aids che ancora non si riesce a sconfiggere e che continua a mietere vittime.
Quali tracce ha lasciato in noi il cammino di Benedetto XVI nel Continente nero in questi giorni? Per averne un riverbero, naturalmente, ci siamo dovuti affidare ai media – televisione e giornali soprattutto – per trovare risposta alla nostra curiosità e al nostro interesse verso questa delicata e importante missione. E naturalmente i media hanno riproposto i soliti cliché di larga presa sul pubblico ma di scarso rispetto della verità dei fatti. A parte le consuete eccezioni rappresentate dalle testate di ispirazione cattolica, l’informazione ha cavalcato con clamore la questione relativa all’uso del profilattico per combattere l’Aids, in seguito a una frase detta dal Papa durante un’intervista realizzata dai giornalisti che lo accompagnavano in aereo nel viaggio di andata.
La domanda riguardava la posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro questa malattia, spesso considerata “non realistica e non efficace”. La risposta del Santo Padre è stata riportata dai media come esempio di una crociata antistorica e ottusa della Chiesa contro l’uso del profilattico e questo è bastato a suscitare un vespaio di polemiche tanto urlate quanto infondate nei presupposti. Lettori e ascoltatori hanno così assistito alla solita guerra fra opposte tifoserie e, soprattutto, al travisamento di quanto effettivamente detto dal Pontefice su un tema così delicato. Sarebbe bastato riportare correttamente e integralmente le parole di Benedetto XVI per spegnere alla base ogni fiammella polemica.
Ecco, nella sua semplicità, la risposta testuale del Papa: “Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi. Sono necessari, ma se non c’è l’anima che li sappia applicare, non aiutano. Non si può superare con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema. La soluzione può essere solo una, duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, una disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, per essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano con sé anche veri e visibili progressi”.
Questa è la difesa acritica e anacronistica di una dottrina vetusta o la risposta che darebbe chiunque sia dotato di buonsenso, anche al di là delle convinzioni religiose? Eppure i media hanno avuto gioco facile nel decontestualizzare la frase del Santo Padre dalle premesse e dal discorso generale in cui si collocava, per spararla nei titoloni e darla in pasto a chi aspetta solo un pretesto per attaccare il presunto antistoricismo della Chiesa di Benedetto XVI. Uno spazio minore è stato dedicato alle altre questioni importantissime, che il Pontefice ha affrontato sia nella famigerata intervista che durante i numerosi discorsi, omelie e messaggi di questi giorni: la crisi economica mondiale che sui più poveri ha i suoi effetti peggiori, la situazione specifica della Chiesa africana, il futuro di quel continente e del mondo intero, le nuove necessità della fede.
Le parole del Papa su questi argomenti travalicano di gran lunga le possibili polemiche sull’uso del preservativo, argomento sul quale il Santo Padre non ha fatto altro che ribadire la posizione da sempre assunta dalla Chiesa. Su tutti questi argomenti e sui molti altri (tra cui, appunto, la diffusione dell’Aids), il Papa ha riaffermato la necessità assoluta di un recupero del fondamento etico in ogni dimensione della vita. A livello personale innanzitutto, poi negli ambiti specifici dell’educazione, della politica, dell’economia, della gestione globale delle risorse. Ma le tracce riportate dai media hanno dato l’idea di un cammino completamente diverso.
L’obiettivo dichiarato del viaggio di Benedetto XVI era “rendere testimonianza a Cristo e incoraggiare i popoli africani a essere se stessi in una convivenza giusta e pacifica”: non si può dire che non sia stato centrato in pieno. Quale è stato, invece, lo scopo dei media che si sono impegnati a raccontare questo viaggio in maniera miope e parziale?

© Copyright Sir


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Il Papa è dunque in volo verso Roma. A bordo dell’aereo ha parlato con i giornalisti della sua esperienza in Africa.

Ecco le sue parole:

“Cari amici …

vedo che voi lavorate ancora. Il mio lavoro è quasi finito, invece il vostro comincia di nuovo e grazie per questo impegno...

mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi con tutti i limiti siamo in questa famiglia e Dio è con noi. E così la presenza del Papa ha … aiutato a sentire questo … E dall’altra parte mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso; anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di coscienza della presenza divina. Questo mi ha fatto una grande impressione.

Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che sabato nel caos formatosi all’ingresso dello stadio sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una non è stata ancora identificata.
Il cardinal Bertone e mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra ragazza: una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La ragazza deceduta, era la prima dei suoi figli ed era una catechista. E noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.

Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – è il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere qui il mondo delle sofferenze molteplici, tutta la sofferenza, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana, ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra, movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando il sofferente diventa più uomo, il mondo diventa più umano: questo rimane iscritto nella mia memoria.

Poi abbiamo distribuito l’Instrumentum laboris per il Sinodo e abbiamo anche lavorato per il Sinodo. Nella sera del giorno di San Giuseppe mi sono riunito con i componenti del Consiglio per il Sinodo – 12 vescovi – e ognuno ha parlato della situazione della sua Chiesa locale, delle loro proposte, delle loro aspettative, e così è nata un’idea molto ricca della realtà della Chiesa in Africa, come si muove, come soffre, che cosa fa, quali sono le speranze, i problemi. Potrei raccontare molto, per esempio che la Chiesa del Sudafrica, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita, aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe.

Infine vorrei ancora una volta ringraziare tutti coloro che hanno contribuito per la bella riuscita di questo viaggio: abbiamo visto quali preparativi lo avevano preceduto, come hanno collaborato tutti, vorrei ringraziare le autorità statali, civili, della Chiesa e tutti i singoli che hanno collaborato. Mi sembra che veramente la parola “grazie” dovrebbe concludere questa avventura e grazie ancora una volta anche a voi, giornalisti, per il lavoro che avete fatto e farete. Buon viaggio a voi tutti. Grazie!”

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PAPA: BAGNASCO, IRRISIONE E VOLGARITA' SU VIAGGIO AFRICA PER OSCURARLO

(ASCA) - Roma, 23 mar

Il viaggio di papa Benedetto XVI in Africa e' stato ''ostracizzato'' e trattato con ''irrisione e la volgarita''' dall'Occidente, forse con l'intento di ''non lasciarsi disturbare dalle problematiche concrete'' sollevate dal pontefice durante la propria visita nel Continente in un tempo di crisi: e' un giudizio aspro, quello del presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, per la polemica sui preservativi che ha segnato la settimana africana di papa Ratzinger, una polemica ''che francamente non aveva ragione d'essere''.
Per Bagnasco, ''non ci si e' limitati ad un libero dissenso, ma si e' arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici. L'irrisione e la volgarita' - aggiunge - tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica''.
Nella sua prolusione ai lavori del Consiglio Permanente Cei, l'arcivescovo di Genova, descrive un viaggio ''impegnativo e ad un tempo ricco di speranza'', il cui significato ''e' stato sovrastato nell'attenzione degli occidentali da una polemica - sui preservativi'; che francamente non aveva ragione d'essere''.
''Non a caso - nota Bagnasco -, sui media africani non si e' riscontrato alcun autonomo interesse, se non fosse stato per l'insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sovranazionali, cioe' di quella classe che per ruolo e responsabilita' non dovrebbe essere superficiale nelle analisi ne' precipitosa nei giudizi''. Per il presidente Cei la sensazione suscitata da queste critiche e' che l'Occidente non volesse ''lasciarsi disturbare dalle problematiche concrete che un simile viaggio avrebbe suscitato, specie in una fase di acutissima crisi economica che richiede ai rappresentanti delle istituzioni piu' influenti una mentalita' aperta e una visione inclusiva''. E per questo, in risposta alle critiche, la richiesta avanzata da Bagnasco ai governi e di ''mantenere i propri impegni, al di la' della demagogia e di logiche di controllo neo-colonialista'' e allo stesso tempo ''a non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che e' indice di civilta'''. ''Vorremmo anche dire, sommessamente ma con energia − conclude -, che non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso. Per tutti egli rappresenta un'autorita' morale che questo viaggio ha semmai fatto ancor piu' apprezzare''.


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INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON I GIORNALISTI NEL VOLO DI RITORNO DAL VIAGGIO APOSTOLICO IN CAMERUN E ANGOLA (LUNEDÌ, 23 MARZO 2009)

Ieri mattina, nel volo di ritorno dal Viaggio Apostolico in Africa, mentre l’aereo sorvolava Yaoundé, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato a salutare i giornalisti che lo avevano accompagnato in Camerun e Angola ed ha loro rivolto le parole che pubblichiamo di seguito:


PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari amici, vedo che voi lavorate ancora. Il mio lavoro è quasi finito, invece il vostro comincia di nuovo. Grazie per questo impegno.

Mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte, l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo tutti figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi, con tutti i nostri limiti, siamo in questa famiglia e Dio è con noi. Così la presenza del Papa ha, diciamo, aiutato a sentire questo e ad essere realmente nella gioia.

Dall’altra parte, mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso: Anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di consapevolezza della presenza divina. Questo ha suscitato in me una grande impressione.

Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che, venerdì sera nel caos formatosi davanti alla porta allo Stadio, sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una di loro non è stata ancora identificata. Il Cardinal Bertone e Mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra, una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La prima dei cinque - quella adesso morta - era catechista. Noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.

Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – riguarda il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere lì il mondo delle molteplici sofferenze – tutto il dolore, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana – ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando chi soffre diventa più uomo, il mondo diventa più umano. Questo è ciò che rimane iscritto nella mia memoria.

Non solo abbiamo distribuito l’Instrumentum laboris per il Sinodo, ma abbiamo anche lavorato per il Sinodo. Nella sera del giorno di San Giuseppe mi sono riunito con tutti i componenti del Consiglio per il Sinodo – 12 Vescovi – e ognuno ha parlato della situazione della sua Chiesa locale. Mi hanno parlato delle loro proposte, delle loro aspettative, e così è nata un’idea molto ricca della realtà della Chiesa in Africa: come si muove, come soffre, che cosa fa, quali sono le speranze, i problemi. Potrei raccontare molto, per esempio della Chiesa del Sud Africa, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita: essa aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe.

E finalmente vorrei ancora una volta ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla bella riuscita di questo viaggio: abbiamo visto quali preparativi lo avevano preceduto, come hanno collaborato tutti. Desidero ringraziare le autorità statali, civili, quelle della Chiesa e tutti i singoli che hanno collaborato. Mi sembra che veramente la parola "grazie" debba concludere questa avventura. Grazie ancora una volta anche a voi, giornalisti, per il lavoro che avete fatto e che continuate a fare. Buon viaggio a voi tutti. Grazie!



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=762&sett...






Il Papa traccia un bilancio del suo viaggio in Africa
Le due maggiori impressioni: il senso di gioia e raccoglimento nelle liturgie



CITTA' DEL VATICANO, martedì, 24 marzo 2009 (ZENIT.org).- Questo lunedì, sul volo di rientro a Roma dopo il viaggio in Africa, Benedetto XVI ha voluto tracciare un primo bilancio delle impressioni raccolte.

Nel parlare ai giornalisti presenti – secondo quanto riporato da “H2onews” – il Santo Padre ha detto di essere stato colpito da una parte dall’“impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo figli e famiglia di Dio”.

“Esiste questa famiglia e noi con tutti i limiti siamo in questa famiglia e Dio è con noi – ha aggiunto –. E così la presenza del Papa ha aiutato a sentire questo”.

“E dall’altra parte – ha aggiunto il Vescovo di Roma – mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso; anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di coscienza della presenza divina”.

Il Papa ha quindi espresso profondo dolore per la morte dei due ragazze coinvolte nella calca, che ha causato anche una novantina di feriti, creatasi fuori dai cancelli dello stadio Coqueiros a Luanda, dove di lì a poco si sarebbe tenuto l'incontro con i giovani angolani.
“Ho pregato e prego per loro”, ha detto il Pontefice.

Il ricordo del Papa è poi andato all'incontro del 19 marzo con i malati del Centro “Cardinale Paul Emile Léger” di Yaoundé, una struttura sanitaria destinata alla riabilitazione degli handicappati fondata nel 1972 dal porporato canadese dal quale prende il nome.

“Mi ha toccato il cuore vedere qui il mondo delle sofferenze molteplici, tutta la sofferenza, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana, ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti”, ha commentato il Papa.

“E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando il sofferente diventa più uomo, il mondo diventa più umano: questo rimane iscritto nella mia memoria”, ha aggiunto.


Un riferimento è andato anche all’Instrumentum laboris (documento di lavoro) per la seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma dal 4 al 25 ottobre 2009 e che Benedetto XVI ha voluto consegnare personalmente ai Presidente delle 42 Conferenze episcopali africane, il 19 marzo, durante la Messa nello stadio "Amadou Ahidjo" di Yaoundé.

Inoltre, la sera dello stesso giorno, presso la Nunziatura Apostolica di Yaoundé il Pontefice si è riunito insieme ai membri del Consiglio Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi composto da 12 Vescovi (3 Cardinali, 8 Arcivescovi e 1 Vescovo di tradizione Caldea) per analizzare le luci e le ombre, così come le aspettative della Chiesa locale.

“Potrei raccontare molto – ha detto Benedetto XVI –, per esempio che la Chiesa del Sudafrica, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita, aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe”.




[Per vedere il video completo girato sul volo papale: h2onews.org/_page_videoview.php?id_news=1683]















Il viaggio del Papa in Africa all’insegna della speranza e del realismo: la riflessione di padre Federico Lombardi


“Ho avuto la possibilità di incontrare popoli ancorati a salde tradizioni spirituali e desiderosi di progredire nel giusto benessere”: è quanto scrive Benedetto XVI in un telegramma indirizzato, ieri sera, al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, al rientro a Roma dal suo primo viaggio nel continente africano. Dal canto suo, in un messaggio inviato al Pontefice, il presidente Napolitano mette l’accento sulla “passione e determinazione” con la quale il Papa ha richiamato la comunità internazionale a sostenere “gli sforzi dei Paesi africani” in vista di uno sviluppo “fondato sulla promozione della dignità della persona e sul fermo rifiuto di ogni discriminazione”. All’indomani della conclusione del viaggio, il direttore generale della nostra emittente, padre Federico Lombardi, si sofferma sugli aspetti salienti della visita del Papa in Camerun e Angola. L’intervista è di Alessandro Gisotti:

R. – Io parlerei di realismo e di speranza perché il Papa ha guardato la realtà dell’Africa in un modo molto concreto, ha messo in luce tutti i suoi grandi problemi ma ha anche invitato a guardare lontano, in una chiave cristiana. Naturalmente, questo messaggio della speranza vale per tutti i cristiani in tutte le parti del mondo, ma per L’Africa può darsi che questa espressione abbia un significato specifico, proprio perché noi vediamo e sappiamo che ci sono dei problemi drammatici. Per questo, l’invito alla speranza è particolarmente urgente ed è giusto che il Papa abbia ricordato il valore grande di questa virtù per tutti i cristiani impegnati in questo continente.


D. – Donne e giovani sono senza dubbio i protagonisti del futuro dell’Africa. A loro il Papa ha dedicato forse i momenti più belli di questo viaggio. Una sua riflessione…


R. – E’ vero. L’incontro con i giovani è un po’ una tradizione dei viaggi del Papa, quello con le donne è stato meno comune. Anche se le donne erano sempre inserite fra le componenti attive della Chiesa, questa volta si è voluto fare ad esse anche un discorso. Dimostrare ad esse un’attenzione particolare, nella consapevolezza del loro ruolo fondamentale di accoglienza e generazione della vita, di centro della famiglia, di centro anche della società, in un certo senso, della comunità allargata tramite i doni, i carismi che la donna ha anche di aiutare alla comprensione, al dialogo, all’accettazione reciproca.


D. –In che modo questa visita del Pontefice potrà aiutare la Chiesa africana a rendere fruttuoso il Sinodo in programma ad ottobre?


R. – Io credo che sia stata una buona scelta quella di fare il viaggio del Papa in Africa prima del Sinodo per distribuire l’Instrumentum Laboris, presentarlo, perché questo dà un grande impulso alla preparazione del Sinodo; fa vedere che il Papa e la Chiesa universale sono molto interessati a questo evento, lo seguono, vi vogliono partecipare, lo accompagnano con la loro preghiera. Adesso che l’Instrumentum Laboris è pronto, è proprio un grande quadro aperto in cui inserire una quantità di riflessioni, di contributi concreti, di approfondimenti, che poi nell’Assemblea di ottobre avranno tutto il loro spazio.


D. - La visita di Benedetto XVI in Camerun e Angola ha fatto bene all’Africa, ma anche il Papa torna rinfrancato dall’abbraccio caloroso e entusiasta di una Chiesa viva e dinamica. Davvero “fa ridere” - come ha detto il Santo Padre - il mito della sua solitudine…


R. – Fa sorridere, certamente, perché lui sa quanto la sua vita sia densa di rapporti con gli altri, di rapporti importanti, di ascolto, di fiducia e, quindi, non si può proprio parlare di solitudine. Abbiamo visto anche la solidarietà che i vescovi hanno voluto manifestare in questi ultimi mesi. Abbiamo visto l’entusiasmo e l’abbraccio di popolazioni numerosissime. Quindi, il Papa non si sente solo né a livello del governo della Chiesa, né a livello della gente che incontra.


D. – In Africa il viaggio del Papa è stato unanimemente considerato un successo, un contributo importante per tutta l’Africa, non solo per i cattolici. In Occidente, invece, molti media si sono fossilizzati su argomenti polemici. Ma quali sono dunque i temi forti di questo viaggio che sono passati in secondo piano?


R. – Io ho un po’ l’impressione che quello che qui in Occidente è difficile capire è l’approccio specifico con cui la Chiesa guarda allo sviluppo e al progresso dei popoli. Bisogna ripartire un po’ dalla Popolorum Progressio di Paolo VI, per capirlo meglio. La Chiesa ha una visione della dignità della persona e di ogni persona, del fatto che ognuno deve crescere nella responsabilità e nella libertà e su questo si costruisce poi una società con dei valori di convivenza, nella democrazia, nella libertà. Questo però è un lungo cammino, un cammino complesso, che prende tante dimensioni ma che parte dalla convinzione profonda che ogni singola persona ha un valore enorme davanti a Dio e ha una grande dignità, è chiamata da Dio ad assumere le sue responsabilità. Io guardavo, passando con il Papa, queste centinaia di migliaia di persone: non sono numeri, non sono animali da limitare o da governare con la forza o con delle misure semplicemente economiche o poliziesche o di altro genere. Sono delle persone. Ognuno è un volto dietro cui la Chiesa vede una persona che ha una dignità infinita e che è chiamata ad assumere le sue responsabilità e a crescere. E’ questo che mi sembra manchi in tante delle prospettive di cui abbiamo sentito parlare in questi giorni nel guardare all’Africa e al suo futuro.


www.radiovaticana.org




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SINGOLARE PARABOLA DEI « MAESTRI » DI PENSIERO LAICO

I critici sul preservativo di colpo zitti sui problemi

CARLO CARDIA

Il Vangelo cammina e si diffonde nelle strade dell’Africa insieme al Papa.
A popolazioni che mancano quasi di ogni cosa Benedetto XVI si è rivolto con le stesse parole ed immagini che Gesù ha usato quando ha iniziato la sua missione facendosi carico dei mali del mondo e dando a ciascun uomo una speranza per il futuro. Sono parole dolci perché rassicurano, ma anche aspre perché denunciano le colpe degli uomini. Sono parole sagge quando indicano la strada per superare le difficoltà, ma anche piene di forza quando propongono una fede e una felicità che non appassiscono. Il Papa ha parlato della sofferenza di Dio di fronte ai patimenti degli uomini affermando che «davanti a sofferenze atroci noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste».
Si è rivolto alle popolazioni africane dicendo cose che altri tacciono, ed ha denunciato che se un tempo esse conoscevano l’emarginazione e il silenzio della storia, oggi vivono i mali della modernità, guerre, malattie, abbandono. Nascono tanti bambini in Africa ma molti vengono uccisi o mutilati, altri si ammalano presto, altri non vedono la luce perché così hanno deciso coloro che incentivano l’aborto, decidendo ancora una volta in modo atroce il destino degli altri. Molti bambini, prima dell’età adulta, sono violentati anche nei poveri vestiti perché si ritrovano in assurde divise militari che portano morte o mutilazioni. Lo scandalo dei bambini-soldato si aggiunge agli altri scandali che l’Africa subisce nel silenzio generale, nell’apatia di governi e potentati economici e militari. Nei giorni scorsi, mentre tanti critici non sapevano che dire, la voce del Vangelo è stata pronunciata in un continente ignorato dai potenti del pianeta, ed ha declinato le parole più semplici che esistano, sofferenza e amore, paura e speranza, egoismo e carità, pronunciando la condanna più aspra che si sia sentita in queste terre: alla sofferenza non ci si arrende e la si combatte con la dedizione che nulla chiede in cambio, ai tanti egoismi si deve contrapporre una logica di giustizia e di distribuzione dei beni, alla guerra si oppone il rifiuto della violenza e il disarmo dei mercanti di morte.

Queste parole sono coerenti con una analisi razionale della condizione dell’Africa e con i diritti umani tante volte declamati, eppure nessuno statista le dice, nessuna cancelleria le mette al centro dei propri programmi. Sono, invece, le parole della speranza cristiana, e sono dette dal Papa a milioni di uomini, di donne e di bambini, che nella speranza vedono la possibilità per dare un senso alla vita.

Mentre Benedetto XVI diceva e predicava queste cose si è verificato un fatto che fa riflettere. Chi aveva criticato Benedetto XVI perché sostiene l’umanizzazione della sessualità si è visto praticamente ridotto al silenzio, non è riuscito a dire più nulla quando il Papa si è rivolto ai popoli africani indicando i mali di cui soffrono e le loro cause.

È rimasto in silenzio perché si è accorto che il vescovo di Roma non è solo, sa farsi capire dai semplici e da chi ha retta coscienza.

Più di ieri, oggi sappiamo che il Papa non è solo in Vaticano, da dove si irradia il messaggio cristiano, non è solo in Africa dove accorrono per vederlo, ascoltarlo, anche solo sfiorarlo, popolazioni tra le più povere al mondo, che vedono in lui il simbolo e la garanzia di una strada diversa che prospetta una scelta per l’amore anziché per l’odio, per una vita degna in luogo dello sfruttamento degli altri, per una fede forte al posto di illusioni e ombre vaghe.
I critici di ieri sono rimasti silenziosi perché nessuno li avrebbe ascoltati. Il Papa ha parlato in Africa contro la superstizione che prende di mira i bambini abbandonati e li indica come oggetti maligni da colpire, suggerendo di far loro del male, addirittura di ucciderli. Il Vangelo offre una fede luminosa, che cancella il buio della superstizione, e apre la mente alla ragione e al Dio della fiducia, mentre altri tacciono perché la loro ragione non conosce la fede e non sa reagire alla superstizione. Chi ha seguito il viaggio di Benedetto XVI è rimasto colpito da quanti gli correvano incontro, e da quanti cristiani, cattolici, vescovi, preti, suore, laici, sono impegnati nell’aiutare gli altri, nel trasformare un tempo che sembra fuori della storia in una storia nuova, positiva, cristiana. Si può sperare che siano rimasti colpiti tanti sapienti che non hanno potuto dire più nulla, perché hanno visto con i loro occhi che Benedetto XVI sa farsi capire da chiunque nel mondo cerchi con ansia verità anziché inganni, cose vere e umane invece di astrattezze o materialità.

© Copyright Avvenire, 24 marzo 2009


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Due ragazze morte poco prima dell'incontro

Un momento di festa funestato dalla tragedia

dal nostro inviato Mario Ponzi

Doveva essere la giornata della festa. Invece è stata la giornata del dolore. Due giovani vite stroncate mentre si preparavano a vivere la gioia nello stadio dos Coqueiros di Luanda.
Ormai la notizia ha fatto il giro del mondo: due ragazze, mentre stavano cercando di entrare nello stadio per partecipare all'incontro con il Papa, sono state travolte dalla folla. Sabato però, quando l'incidente si è verificato, alle 12 circa (l'incontro era fissato per le 16.30) nessuno ha detto nulla, fino a quando un'agenzia portoghese ha diffuso la notizia, ripresa e rilanciata da un'agenzia italiana. Ormai era già sera inoltrata. L'ambiente papale è stato informato solo intorno alle 20.
Quando il Pontefice alle 16.30 ha compiuto il suo giro in papamobile in mezzo ai giovani, quando poco più tardi ha partecipato alla festa preparata per lui - con canti e danze in costumi tribali - e quando ha ascoltato le voci dei ragazzi e delle ragazze non sapeva del dramma che si era consumato poche ore prima. Ha parlato ai giovani, anche a quelli che portano ancora oggi sul loro corpo i segni di ventisette anni di guerra - che ha provocato oltre mezzo milione di vittime - e dello strazio causato dalle oltre dodici milioni di mine antiuomo sparse sul territorio del Paese. Ha parlato a coloro che non hanno il necessario per nutrirsi e a quei bambini raccolti tra i rifiuti di Leixeira dai salesiani e accuditi nel centro dove si insegna a fare il pane.
Il Papa è andato tra loro per mostrare quel Dio che cercano. Eccola la "forza dinamica del futuro", quella che si trova dentro ciascun uomo. "Gesù - ha ricordato ai giovani dell'Africa che tanta dimestichezza hanno con la sofferenza - non lascia mai senza risposte, ma bisogna saperle trovare in se stessi", perché "il rinnovamento inizia dentro: riceverete una forza dall'Alto".
Si è intrattenuto a lungo con una rappresentanza dei giovani saliti sul palco, è rimasto in mezzo a loro sfidando un caldo torrido e un'afa soffocante per quasi due ore. Ed è uscito dallo stadio con la gioia. Solo a tarda sera quella gioia si è trasformata per lui in mestizia, e sofferta preghiera.
In questa tragedia ci sono molte analogie con quanto accadde a Kinshasa il 4 maggio 1980. Allora affollamento e disorganizzazione nei pressi della cancellata che immetteva nella piazza del Popolo causarono la morte di 9 persone e il ferimento di altre 78. Anche a Giovanni Paolo ii la notizia giunse solo dieci ore più tardi, al suo rientro in nunziatura.
Qui a Luanda nessun notiziario, televisivo o radiofonico, pubblico o privato, ha dato la notizia. La televisione pubblica angolana, la Tpa, ha trasmesso in diretta ogni movimento del Papa da quando è giunto in Angola, ha prolungato sempre le trasmissioni sulla visita, anche diverse ore dopo la conclusione degli avvenimenti. Eppure né sabato né domenica ha dato la notizia. Il primo a dirlo al Paese è stato in pratica il Papa la domenica successiva, iniziando la celebrazione della messa a Cimangola con una preghiera per le vittime.
Per le due ragazze morte allo stadio neanche una parola nei telegiornali e radiogiornali della sera. Stesso copione per i quotidiani del giorno dopo, se si eccettua un trafiletto in ultima pagina pubblicato dal "Jornal de Angola". Anche questo è il dramma dell'Africa.

(©L'Osservatore Romano - 23-24 marzo 2009)


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Il Papa in Africa, un bilancio di due viaggi

di Andrea Tornielli

Visitando l’Africa, nei suoi sei giorni di permanenza nel Continente nero, Benedetto XVI ha compiuto due viaggi.
Due viaggi molto diversi tra di loro.
Il primo è quello reale, segnato dal contatto con le folle del Camerun e dell’Angola, dai temi che il Papa ha trattato nei discorsi e nelle omelie, dall’impatto con le contraddizioni di due capitali dove ricchezza e povertà estreme convivono fianco a fianco.
L’altro viaggio è quello virtuale, quello su cui si sono accapigliati commentatori, burocrati e sondaggisti occidentali, che hanno accusato Ratzinger di irresponsabilità per aver detto ciò che tutti dovrebbero ormai riconoscere e che è attestato da studi scientifici: la distribuzione di preservativi non è il metodo efficace per combattere la diffusione dell’Aids in questi Paesi. Per tre giorni, nei Paesi europei così come negli Stati Uniti, mentre il Papa parlava di povertà, sviluppo, diritti umani, si è discusso di profilattici.
Per poi passare, durante i successivi tre giorni, a parlare di aborto terapeutico, sulla base di una frase pronunciata da Benedetto XVI in un discorso forte sui mali che affliggono l’Africa.

La macchina mediatico-politica, una volta messa in moto, non si è più fermata.

E così in Francia, dove impallinare il Pontefice sembra diventato ultimamente uno sport nazionale, si sono fatti sondaggi e sondaggini per dimostrare che almeno metà dei cattolici del Paese chiedono a Ratzinger di dimettersi. La sensazione, leggendo dichiarazioni di alcuni ministri e dei loro portavoce, è che per la prima volta dopo molto tempo, il Papa non sia più circondato da quel rispetto attribuito a una personalità super partes, ma sia considerato un capo partito, sottoposto al tiro incrociato delle quotidiane dichiarazioni tipiche del «pastone» politico. C’è chi lo invita al silenzio, chi lo invita a lasciare, chi gli spiega cosa dire e come dirlo.
Così, sedici discorsi pronunciati in terra africana, si sono ridotti a due-frasi-due, la prima delle quali peraltro pronunciata in modo estemporaneo durante la conferenza stampa tenuta sull’aereo.

L’impressione è che Benedetto XVI non sia eccessivamente preoccupato di questa crescente ostilità. Mai come in questi giorni si è colta l’enorme distanza tra viaggio reale e viaggio virtuale.

E se è vero che la critica montante presso certe burocrazie occidentali non ha precedenti recenti, bisognerà pure ricordare che critiche ferocissime vennero mosse a Giovanni Paolo II nei primi anni del suo pontificato. Così come va richiamata alla memoria la sofferenza e l’isolamento di Paolo VI, nel momento in cui prese decisioni coraggiose come l’Humanae vitae, divenendo segno di contraddizione.
Che cosa resta, dunque, del viaggio di Benedetto in Camerun e Angola? Prima ancora e più ancora dei messaggi lanciati dal Papa per la lotta alla povertà, per la dignità della donna, per un’economia che non sia disumana, per l’educazione e lo sviluppo, resta una presenza e una straordinaria corrente di simpatia umana, che ha avuto il suo culmine in Angola.
Tanta gente semplice e straordinaria, ha trascorso ore ed ore sotto il sole per salutare non Joseph Ratzinger, ma il successore di Pietro, venuto fino a qui per confermare i fratelli nella fede.
E in Paesi travagliati da tragiche guerre intestine, abusi, soprusi, miserie, violenze, l’abbraccio di Pietro, il suo sorriso e la sua vicinanza hanno contato di più di mille discorsi.

Dal blog di Andrea Tornielli


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PAPA/ 1. Il viaggio reale in Africa, oltre le cronache dei media

John L. Allen
martedì 24 marzo 2009

Credo di non aver mai seguito una visita del Papa dove la distanza tra le percezioni interne ed esterne sia stata così ampia: è quasi come se il Papa avesse fatto due viaggi separati in Camerun, uno quello riportato a livello internazionale, l’altro quello vissuto realmente dagli africani.

Negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo, la copertura è stata a “tutto preservativo, per tutto il tempo”, innescata dalle osservazioni di Benedetto sull’aereo riguardo al fatto che i preservativi non sono il modo corretto di combattere l’Aids.

Invece, in Africa la visita del Papa è stata un successo e una larga folla è accorsa a vedere il Papa. Benedetto stesso sembra essere stato travolto dall’entusiasmo.

Per due volte si è riferito all’Africa come al “continente della speranza” e, a un certo punto, questo raffinato teologo ha perfino riflettuto ad alta voce su una nuova esplosione di energie intellettuali in Africa, che potrebbe portare a una versione del ventunesimo secolo della famosa scuola di Alessandria, che diede personalità alla Chiesa primitiva quali Clemente e Origene.
Per quanto possa sembrare irragionevole agli occidentali, è difficile trovare in Camerun qualcuno che consideri particolarmente importante la questione dei preservativi, a parte giornalisti, missionari o impiegati di Ong stranieri. I locali hanno opinioni ovviamente differenziate sull’efficacia dei preservativi nella lotta all’Aids, ma non considerano questo l’elemento dominante l’avvenimento.

Al dunque: vista dall’estero, la visita del Papa è stata centrata sui preservativi, localmente, è stata sentita come una celebrazione del cattolicesimo africano. Di seguito, una esperienza surreale che sottolinea questa divergenza.

Martedì, ho preparato un articolo sull’indiretto, ma evidente, rimprovero al presidente del Camerun, Paul Biva, già seminarista cattolico, che ha tentato ripetutamente di avvolgersi nella bandiera del Papa durante la visita di Benedetto. Manifesti in giro per Yaoundè dichiaravano una “comunione perfetta” tra i due ed erano stati distribuiti camicie e vestiti con le foto di Biva e Benedetto. Biva è, comunque, un tipico uomo forte africano, al potere in Camerun dal 1982 con un misto di repressioni occasionali e di corruzione continua.
Benedetto non ha voluto imbarazzare l’ospite, ma non ha lasciato neppure che foto e manifesti implicassero la sua approvazione. Così, senza citare Biva direttamente, ha detto in modo chiaro che i cristiani devono prendere posizione contro “la corruzione e gli abusi del potere”. Questo è stato sufficiente a creare un’onda d’urto in tutto il Camerun ed è sembrato rinvigorire i leader della Chiesa locale.

Il mattino dopo, il Cardinale Christian Tumi, unico Cardinale del Camerun, ha chiesto pubblicamente a Biva di non candidarsi alle elezioni fissate per il 2011, una cosa che prima nessuno avrebbe osato fare.

Stavo descrivendo questo nel mio articolo, quando ho dovuto interrompermi per un’intervista con la CNN International sul primo giorno della visita…. intervista interamente dedicata alla controversia sui preservativi. Sinceramente, mi sono domandato se stavamo parlando dello stesso evento.
Detto questo, vorrei chiarire la questione. Questo distacco di percezione non è esclusivamente, o perfino primariamente, colpa dei media. Il giornalista della Tv francese che in aereo ha posto la domanda sui preservativi era entro i limiti della correttezza: l’Aids è un problema grave ed è corretto interrogare su questo punto il Papa, in occasione della sua prima visita al continente che più è colpito da questo flagello. Una volta posta la domanda, la palla era a Benedetto e buona parte di quello che è successo dopo è derivante dalla sua risposta.
Con questo, non sto prendendo posizione sulla sostanza della risposta del Papa, che ha ripetuto l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione e in accordo con l’opinione di quasi tutti i vescovi africani da me intervistati, secondo i quali il preservativo dà alla loro gente un falso senso di invulnerabilità, spingendoli così a una condotta sessuale più a rischio. Questa opinione può essere discussa, ma non si può accusare il Papa di seguire le indicazioni dei suoi vescovi in loco (tanto più che, normalmente, i Papi vengono accusati proprio di non ascoltare i vescovi locali).
Il punto è se quello era il momento e il luogo giusto di dire queste cose, sapendo che ciò avrebbe messo in ombra il messaggio vero che Benedetto stava portando all’Africa (non è la prima volta: in volo verso il Brasile nel 2007, rispose a una domanda circa la scomunica dei politici che sostengono il diritto all’aborto, compromettendo l’effetto del primo giorno della sua prima visita in America Latina).
Si tratta di un problema ben noto a chi è abituato alle telecamere e che deve vedersela con una domanda che non porta a nulla di buono. Benedetto avrebbe potuto dire qualcosa tipo: “Naturalmente la Chiesa è profondamente coinvolta con il problema Aids, il che spiega perché un quarto di tutti i malati di Aids nel mondo è curato in ospedali e altre strutture cattoliche. Per quanto riguarda i preservativi, il nostro insegnamento è ben conosciuto, ma questo non è il momento per discuterne. Invece, vorrei focalizzarmi sul mio messaggio di speranza per i popoli africani” e così via.
Sarebbe probabilmente finita con: “Benedetto ha ignorato la domanda sui preservativi”, senza sollevare nessun putiferio. Qualcuno, speranzoso, potrebbe dire che la sceneggiata sui preservativi ha almeno attirato l’attenzione del mondo sulla visita in Africa, ma non è così, perché l’Africa è diventata lo sfondo di un altro round della guerra culturale in Occidente.
Rimane comunque il fatto che queste discussioni hanno lasciato un’impressione fortemente distorta degli scopi e dei contenuti della visita del Papa in Camerun. Se la prima regola per valutare un evento è di capire cosa è realmente successo, il trarre conclusioni dal viaggio africano di Benedetto richiede molto di più che non seguire i sussulti del dibattito sui preservativi.

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Monsignor Marini loda la bellezza delle cerimonie africane
Il maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie sul viaggio del Papa


CITTA' DEL VATICANO, martedì, 24 marzo 2009 (ZENIT.org).- Nelle celebrazioni liturgiche africane si respira “il senso del sacro”, ha affermato mons. Guido Marini, maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, riferendosi al viaggio di Benedetto XVI in Africa, conclusosi questo lunedì.

Il presule ha sottolineato in un'intervista a “L'Osservatore Romano” il “clima di grande dignità” delle cerimonie africane vissute dal Papa in questi giorni, spiegando che “tutto vi ha contribuito: il canto, il silenzio, la parola, alcune gestualità tipiche della cultura africana, le espressioni di gioia contenuta e religiosa”.

“Sono stati incontri di preghiera molto intensi nei quali si è avuta la grazia di entrare nella bellezza del mistero di Dio e della Chiesa”, ha confessato.

Monsignor Marini ha spiegato che “si è lavorato a lungo e per tempo” perché le celebrazioni liturgiche potessero realizzarsi “nel migliore dei modi”.

“Prima, come di consueto per la preparazione dei viaggi – ha raccontato – , abbiamo avuto alcune riunioni a Roma con i responsabili liturgici locali; poi ci siamo recati sul posto per visitare i luoghi delle celebrazioni e portare avanti la preparazione avviata; infine, durante il viaggio papale, abbiamo fatto ancora qualche sopralluogo e le prove con tutti gli incaricati dei diversi servizi liturgici”.

La collaborazione, ha commentato, “è stata molto cordiale e generosa, e da parte dei responsabili locali per la liturgia vi è stata molta disponibilità a seguire le indicazioni ricevute e a definire insieme anche i dettagli”.

Secondo il presule, è possibile conciliare la necessità di rispettare i canoni della liturgia con la volontà degli africani di esprimere la loro fede secondo la cultura tradizionale, e si può fare innanzitutto partendo dalla “realtà più intima e vera della liturgia, il suo essere celebrazione del mistero del Signore, della sua morte e risurrezione per noi uomini e per la nostra salvezza, preghiera della Chiesa nella quale tutti entriamo in vista di una conversione vera della vita”.

“Quando le diverse espressioni culturali vengono messe al servizio di questa celebrazione è possibile che trovino adeguato spazio ed espressione nella liturgia”, ha osservato, senza però cambiarla.

“Perché la liturgia è un dono prezioso donato alla Chiesa – ha detto – e da essa vissuto nella continuità della sua tradizione, che non è modificabile soggettivamente e arbitrariamente”, ma che possono offrirle “una forma espressiva culturale, tipica e arricchente”.

Mons. Marini ha poi affermato che Benedetto XVI ha molto apprezzato le celebrazioni africane perché in esse “si è vissuto un intenso senso del sacro e del mistero”. “Grande è stato il raccoglimento, nonostante la grande folla di partecipanti” e “si è realizzata una fruttuosa compresenza di elementi tipici locali e di elementi universali”.

Per il maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, “la possibilità che la cultura africana possa trovare adeguata collocazione nella celebrazione dei misteri del Signore” è “senza dubbio di aiuto” anche nel tentativo di “superare il pericolo dell'adesione alle sette”.

“Non tutte le espressioni culturali sono compatibili con la liturgia della Chiesa: vi può essere la necessità di educazione e di purificazione”, ha riconosciuto monsignor Marini.

“È questo, d'altra parte, il cammino necessario di ogni cultura che si incontra con il Vangelo: ne rimane sanata e purificata e diventa capace di dargli una nuova espressione storica”, ha quindi concluso.



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L'Instrumentum laboris del Sinodo sull'Africa: l'impegno della Chiesa al fianco dei più poveri e le sfide del neocolonialismo


Dopo il viaggio del Papa in Camerun e Angola, la Chiesa è sempre più proiettata verso il Sinodo per l’Africa che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre in Vaticano. Il Papa, il 19 marzo scorso a Yaoundé, ha consegnato ufficialmente l’Instrumentum laboris ai presidenti delle Conferenze episcopali del continente. Benedetto XVI ha auspicato che i lavori dell’Assemblea sinodale possano far crescere la speranza per i popoli africani e dare nuovo slancio evangelico e missionario al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, secondo quanto propone il tema del Sinodo. Sui contenuti del documento di lavoro ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti.

L’Instrumentum laboris mette in evidenza le luci e le ombre dell’Africa sottolineando che “il bene che si fa è spesso più discreto ma più profondo del male bruciante e tragico riportato dai media”. Tra le evoluzioni positive segnala l’emancipazione dalle dittature e lo sviluppo “pur se timido di una cultura democratica” anche grazie all’importante e riconosciuto ruolo delle Commissioni ecclesiali giustizia e pace. C’è poi la crescita della cooperazione tra Paesi africani (Ua, Nepad, Maep) e, a livello spirituale, una grande sete di Dio che vede l’aumento dei battezzati e la crescita delle vocazioni sacerdotali e religiose, l’impegno dei catechisti, lo sviluppo di movimenti e associazioni di laici cattolici, con comunità ecclesiali molto vivaci. E poi ancora la diffusione delle università cattoliche e dei mass media d’ispirazione cristiana, soprattutto le radio. Per non parlare dell’impegno della Chiesa nel campo della sanità con centri e ospedali: in particolare contro l’Aids le strutture cattoliche coprono quasi il 30% del totale.

Di contro è forte la denuncia di quelle “forze internazionali” che sfruttano l’Africa: “fomentano le guerre con la vendita delle armi. Sostengono poteri politici irrispettosi dei diritti umani e dei principi democratici per assicurarsi, come contropartita, dei vantaggi economici”. “Le multinazionali continuano ad invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia d’ettari espropriando le popolazioni delle loro terre, con la complicità dei dirigenti africani” causando anche gravi danni all’ambiente.

Il documento denuncia anche le modalità degli aiuti internazionali che sono accompagnati “da condizioni inaccettabili” che indeboliscono ulteriormente le economie africane e aumentano il “divario tra ricchi e poveri”. Tutto questo mentre non vengono rispettate le promesse degli aiuti allo sviluppo, che continuano a diminuire. C’è poi il capitolo agricolo con l’ingiustizia subita dai contadini che sono costretti a vendere i propri prodotti a prezzi molto bassi. Denunciata anche la vasta propaganda degli Ogm che secondo alcuni dovrebbero garantire la sicurezza alimentare: è una tecnica invece – si legge – che “rischia di rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali rendendoli dipendenti dalle società produttrici di Ogm”.

“La globalizzazione” – da una parte “tende ad emarginare il continente africano”, dall’altra sta attuando “un processo organizzato di distruzione dell’identità africana” e dei suoi tipici valori “di rispetto degli anziani, della donna come madre, della cultura della solidarietà, dell’aiuto reciproco e dell’ospitalità, dell’unità, della vita” provocando “la destrutturazione del tessuto familiare” e della coesione sociale. “L’Africa è diventata vulnerabile di fronte all’invasione dei modelli delle potenze militari ed economiche” che stanno imponendo “un unico modello culturale e la negazione della vita” mentre “le società africane constatano, impotenti, la disgregazione delle loro culture”.

La Chiesa da parte sua vuole “far sentire il grido dei poveri” schiacciati dalla “neo-colonizzazione”, lotta contro le ingiustizie, la corruzione dilagante, lo sfruttamento e la violazione dei diritti dei bambini e delle donne. Si tratta di una “missione profetica … spesso …bloccata dalla pressione dei poteri” che utilizzano anche le sette cristiane per attaccare la Chiesa cattolica. Le sette infatti predicano spesso un Vangelo disimpegnato, disinteressandosi delle questioni sociali. Invece la Chiesa vuole essere “segno di contraddizione” e “voce di chi non ha voce” “risvegliando le coscienze cristiane alla difesa dei diritti umani”. L’Instrumentum laboris – di fronte a quanti sono interessati a far tacere la voce dei cattolici - esorta ad avere “coraggio profetico” sulla scia di quanto dice Gesù che prepara i discepoli “a vivere assieme a lui la persecuzione, gli insulti e ogni sorta d’infamia” per causa sua.

Il documento si conclude con una preghiera alla “Madre di Dio, Protettrice dell’Africa” perché attraverso di Lei i cristiani possano “essere testimoni del Signore Risorto” e diventare “sempre più sale della terra e luce del mondo”.

Sull’Instrumentum laboris ascoltiamo padre Giulio Albanese, missionario comboniano, direttore di Popoli e Missione, la rivista delle Pontificie Opere Missionarie, che ha seguito il Papa durante il suo viaggio in Africa. L’intervista è di Sergio Centofanti:

R. – Si tratta, a mio avviso, di uno strumento importantissimo, perché riesce davvero a coniugare quella che è la spiritualità cristiana, con quelle che sono le istanze della vita reale della gente. Ed è un’operazione estremamente importante, considerando - e questo il Papa lo ha sottolineato a chiare lettere - che i veri cambiamenti, prima ancora che avvenire e realizzarsi nella società in senso lato, devono avvenire nella comunità cristiana. E’ la comunità cristiana che, metabolizzando il Vangelo, attraverso l’inculturazione, poi deve essere sale della terra e luce per il mondo.

D. – Dal documento di lavoro emerge una grande vitalità della Chiesa in Africa...

R. – Sicuramente, basterebbe riflettere sulla straordinaria testimonianza sia del clero locale che di tanti religiosi e missionari che, in questi anni, soprattutto in alcuni scenari infuocati, sono stati davvero una sorta di forza di interposizione pacificatrice tra gli opposti schieramenti. Poi, poco importa che questo sia avvenuto in un contesto bellico e, o, nell’ambito di una baraccopoli alla periferia di questa o quella capitale. La Chiesa in questi anni, non ha svolto solo un’attività solidale, ma devo dire ha anche promosso la sussidiarietà, quel senso di corresponsabilità che deve essere sperimentato dai fedeli laici.

D. – Il documento è una forte denuncia di quelle potenze che sfruttano l’Africa...

R. – La percezione dei vescovi africani, ma anche di tanti missionari è che purtroppo l’Africa rappresenti ancora oggi un boccone prelibato. Sta di fatto che è un continente che galleggia sul petrolio, con immense risorse minerarie, e la questione di fondo è che l’Africa viene davvero sfruttata, è una terra di conquista. In fondo, il messaggio forte che si evince dall’Instrumentum laboris è che le Afriche – io preferirei parlare al plurale, essendo un grande continente, tre volte l’Europa – non sono povere, come dice qualcuno, ma semmai sono impoverite. Le Afriche non chiedono la beneficenza, per intenderci, la carità pelosa, ma invocano soprattutto giustizia. Di fatto, da una parte si dice “aiutiamo le Afriche ad uscire dal sottosviluppo”, ma la questione di fondo è che sono più i soldi che dalle Afriche vanno al nord del mondo, di quelli che dal nord del mondo giungono nelle Afriche.

D. – La Chiesa è impegnata per la giustizia, per la pace, al fianco dei più poveri, eppure l’Instrumentum laboris denuncia che è sottoposta a gravi attacchi. Chi è che vuol far tacere la voce della Chiesa?

R. – Diciamo che la presenza di tante comunità cristiane disseminate nel continente molte volte è una presenza scomoda. Ma per quale motivo? Perché queste comunità sostengono la gente e non è che si schierino con questo o quel potentato. Da questo punto di vista vi è una grande attenzione, proprio perché questa è insita nel magistero sociale della Chiesa, nei confronti dei diritti umani, della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Ora, siccome, purtroppo, l’abbiamo visto in più circostanze, a dettare le regole del gioco tante volte sono le oligarchie locali, gli interessi di parte, legati soprattutto al business delle materie prime, ecco che allora tante volte la presenza dei religiosi, dei missionari, in determinati contesti geostrategici, è davvero visto, non solo con sospetto, ma sono presenze davvero scomode che, molte volte, l’abbiamo visto, hanno determinato situazioni, fatti, episodi di vero e proprio martirio.

D. – L’Instrumentum vuole rilanciare la speranza in Africa...

R. – Sì, la speranza, che poi a pensarci bene è l’ottimismo di Dio. Insomma, capire e comprendere che, comunque, con tutti i problemi, le difficoltà, le questioni aperte che l’Africa si trascina dietro - quasi fossero una sorta di pesante fardello - bisogna guardare al futuro con speranza, perché la storia del continente africano è comunque storia di salvezza. Se manca questa prospettiva teologale, se manca questa prospettiva evangelica, non andiamo da nessuna parte, e questo il Papa l’ha fatto intendere chiaramente. I gesti di carità che si realizzano nell’ambito della comunità cristiana, ma anche nella sua azione evangelizzatrice ad extra, sono davvero segni di speranza, che fanno prefigurare davvero un futuro migliore.


www.radiovaticana.org





I vescovi del Camerun: gli africani hanno capito bene il messaggio del Papa, i media occidentali no


Un esempio di cattiva informazione che ha cercato di oscurare il significato autentico del viaggio del Papa in Africa: è quanto denunciano i vescovi del Camerun in un comunicato che torna sulle polemiche alimentate da alcuni media occidentali sulle parole di Benedetto XVI a proposito dell’uso dei preservativi per prevenire l’Aids. Il servizio di Alessandro Gisotti:

I media occidentali “hanno trascurato gli aspetti essenziali” del messaggio del Papa in Africa su povertà, riconciliazione, giustizia e pace: è quanto scrivono i vescovi del Camerun, che, in una nota, definiscono “molto grave” l’atteggiamento di alcuni mass media. In particolare, i presuli denunciano che la polemica sui preservativi ha oscurato il dramma di tanti africani che muoiono a causa di malattie, povertà e guerre fratricide. Né, lamenta l’episcopato del Camerun, si sono ricordati gli sforzi straordinari della Chiesa africana per debellare l’Aids. Un impegno che si concretizza nelle tante strutture cattoliche che accolgono e danno assistenza morale, medica e spirituale ai malati di Aids.


Se i media dell’occidente non hanno capito la portata del viaggio di Benedetto XVI in Africa, lo hanno invece compreso bene i camerunensi che, sottolinea il comunicato, hanno accolto il Papa con gioia ed entusiasmo. I fedeli africani sanno che il Santo Padre “mette l’uomo al centro delle sue preoccupazioni e richiama l’insegnamento di Cristo”. I vescovi ribadiscono, infine, che la Chiesa permette ad ognuno di valorizzare la propria dignità di figlio adottivo di Dio. E ricordano che, anche nella cura dei malati di Aids, la Chiesa cattolica porta uno sguardo nuovo sull’uomo e sul mondo.





Vescovo angolano: la visita del Papa è stata "molto positiva"


LUANDA, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il Vescovo di Cabinda, monsignor Filomeno Vieira Dias, ha definito "molto positiva" la visita di Benedetto XVI in Angola.

Secondo quanto riferisce l'Agenzia Ecclesia, il presule ha affermato questo martedì, durante un incontro con i giornalisti nel Centro Aníbal de Melo di Luanda, che la visita papale "ci aiuterà a riflettere su ciò che la Chiesa è chiamata a fare per raggiungere tutti coloro che sono emarginati, che non hanno ancora avuto l'opportunità di avere un contatto vivo con il Vangelo".

Circa l'incidente di sabato durante il quale sono morte due ragazze, il Vescovo ha spiegato che il gruppo papale non ha avuto "informazioni ufficiali" sulla questione, ma che non appena il Pontefice è venuto a conoscenza dell'accaduto "ha reagito immediatamente" e ha incaricato il Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, di accompagnare la cosa da vicino.

Monsignor Vieira Dias ha affermato che durante l'incontro che Benedetto XVI ha avuto venerdì con il Presidente della Repubblica, José Eduardo dos Santos, non è stata affrontata la questione dell'estensione dei segnali di Rádio Ecclesia, emittente cattolica angolana. (cfr. ZENIT, 19 marzo 2009).

26/03/2009 01:36
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Il Papa promuove un "cristianesimo africano", anche nella liturgia
Secondo "L'Osservatore Romano"


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI in Camerun e Angola è servita per promuovere la fisionomia di un "cristianesimo africano", spiega il quotidiano della Santa Sede, "L'Osservatore Romano", in un articolo pubblicato nell'edizione italiana di questo giovedì.

Compiendo un bilancio del primo viaggio in Africa di questo pontificato, l'analisi osserva che l'undicesima visita apostolica internazionale ha permesso di manifestare "l'apprezzamento del Pontefice per le manifestazioni culturali e liturgiche locali".

Secondo l'articolo, firmato da Mario Ponzi, giornalista del quotidiano vaticano, la visita ha avuto luogo in un momento in cui la Chiesa in Africa sta intensificando "un'attenta opera di inculturazione del Vangelo e di inserimento della espressività culturale tipica del continente nelle celebrazioni liturgiche".

"Durante il viaggio, in alcune occasioni gli africani hanno manifestato a Benedetto XVI il loro progredire su questa strada", constata "L'Osservatore Romano".

Il momento più importante in questo senso è stata la celebrazione della Messa nello stadio Amadou Ahidjo, a Yaoundé, per la consegna dell'"Instrumentum laboris", il documento di lavoro del prossimo Sinodo dei Vescovi africani, che si celebrerà a Roma a ottobre.

"Canti sacri ritmati dagli strumenti tradizionali delle tribù africane, intronizzazione del Vangelo su una portantina di legno, sorretta da giovani nei costumi tradizionali, preceduti e seguiti da due schiere di giovani che agitavano piume e rami di palmizi", spiega. "Ma sono stati soprattutto i canti, eseguiti coralmente dalle sessantamila persone presenti, a dare l'esatta dimensione di quanto gli africani abbiano bisogno di rimanere se stessi per ritrovarsi nella casa del Padre come nella loro casa".

Secondo il quotidiano, "incontrando questi popoli, appare aleatorio il concetto di civiltà e di cultura che abitualmente riferiamo al modello europeo o comunque occidentale. Quando il Papa parla di unicità della cultura africana, ne indica le radici nella dimensione spirituale".

"Nella visione africana del mondo, da sempre, il sacro occupa una posizione centrale - aggiunge -. La consapevolezza del legame tra il creatore e le creature è profonda".

"Ne derivano un grande rispetto per la vita, in tutte le sue manifestazioni, e uno spiccato senso della famiglia e della comunità. Il che spiega la stessa carica di affetto dimostrata al Pontefice in ogni istante della sua permanenza tra di loro".

Il Papa, afferma "L'Osservatore Romano", "ha giudicato con favore le manifestazioni della cultura africana proposte durante il suo viaggio".

"Ha solo raccomandato che non venga mai meno la solennità, l'integrità e la compostezza della celebrazione stessa", conclude.





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Il viaggio papale in Camerun e Angola

Una visita di fede amore e incoraggiamento

di Francis Arinze
Cardinale vescovo del titolo
della Chiesa suburbicaria di Velletri-Segni

Da molti punti di vista il viaggio a Yaoundé in Camerun e a Luanda in Angola di Benedetto XVI è stato una grande benedizione per questi due Paesi e per tutta l'Africa. Come quando un padre fa visita ai suoi figli, si è trattato di un incontro gioioso. La gioia delle persone è stata evidente e grande, a volte davvero straripante.
Grandi folle di persone giovani e anziane si sono accalcate lungo il percorso del Papa. Sembrava che nessuno fosse rimasto a casa. Quando la papamobile passava e le persone vedevano Benedetto XVI, i loro volti si accendevano per la gioia. Molte saltavano e danzavano. Alcune si abbracciavano.
Tanti giovani hanno cercato di correre dietro al corteo fino a quando non è stato più possibile seguirlo. Fuori da tutte le chiese gremite in cui si sono svolte le celebrazioni c'è sempre stata folla.
I partecipanti alla messa solenne a Yaoundé nello stadio Amadou Ahidjo il 19 marzo - solennità di san Giuseppe, onomastico del Papa - sono stati circa settantacinquemila, e a quella conclusiva nell'enorme spianata di Cimangola, a Luanda, più di un milione.
Il 18 marzo, per la celebrazione dei vespri, l'enorme cattedrale di Yaoundé era gremita soprattutto di sacerdoti e suore per rendere lode a Dio.
Nel corso delle due visite il successore di Pietro ha rafforzato i suoi fratelli vescovi, incontrando le Conferenze episcopali di entrambi i Paesi.
A Yaoundé il Papa ha presentato ai presidenti delle Conferenze episcopali di ogni Paese del continente l'Instrumentum laboris della prossima assemblea speciale per l'Africa - la seconda dopo quella del 1994 - del Sinodo dei vescovi, e a Luanda ha anche incontrato i vescovi dell'Imbisa, l'associazione interregionale dei vescovi dell'Africa meridionale. Questi incontri sono esercizi, effettivi e affettivi, di collegialità.
Benedetto XVI ha incoraggiato in un modo molto significativo i vari operatori ecclesiali - sacerdoti, diaconi, seminaristi, religiosi, uomini e donne, catechisti, membri di associazioni cattoliche e rappresentanti parrocchiali - in incontri che si sono svolti in chiese parrocchiali, e il Papa ha avuto una parola di apprezzamento per ogni categoria.
È stato un fatto davvero eccezionale che il Papa abbia dato grande visibilità internazionale all'Instrumentum laboris, il documento di lavoro del Sinodo per l'Africa che si svolgerà nel prossimo ottobre incontrando i membri del Consiglio speciale dell'organismo sinodale. Come qualcuno ha osservato, in questo modo l'assemblea è già cominciata.
E dal 1967, quando sono iniziate le assemblee del Sinodo dei vescovi, questo è il primo ad avere ricevuto tanta attenzione.
Benedetto XVI, in ogni incontro pubblico durante il viaggio africano, ha sottolineato l'importanza della giustizia, della riconciliazione e della pace. Tutti i continenti ne hanno bisogno, ma l'Africa anche più degli altri. Il Papa ha mostrato grande sensibilità verso quanti sono stati feriti dalle mine in Angola, i rifugiati, gli sfollati e le popolazioni alle quali è negato uno sviluppo adeguato. Ha lodato e incoraggiato le iniziative di riconciliazione e ha esortato il mondo a una maggiore solidarietà con l'Africa.
A centinaia di migliaia di giovani Benedetto XVI ha predicato speranza e disciplina perché si impegnino a costruire il loro futuro. In Africa, e in particolare in Angola e a Luanda, la maggior parte dei giovani ha meno di vent'anni.
Il Papa li ha ringraziati per averlo atteso per ore sotto il sole cocente nello stadio di Luanda dove gli hanno fatto festa con danze tradizionali.
Un momento molto bello e significativo del programma papale è stato l'incontro con le donne - tra le quali vi erano anche molte religiose - nella grande chiesa di Sant'Antonio, a Luanda, il 22 marzo. Due di esse lo hanno salutato con parole molto significative.
E nel discorso che ha loro rivolto Benedetto XVI è sembrato riecheggiare il messaggio che il concilio Vaticano II indirizzò alle donne l'8 dicembre 1965.
L'evento che mi ha commosso di più è stata la visita del Papa al Centro Cardinale Paul Emile Léger, a Yaoundé, il 19 marzo. Il centro è sorto per iniziativa del porporato canadese che - dopo avere rinunciato alla cura pastorale dell'arcidiocesi di Montréal per trascorrere il resto della sua vita in un umile bungalow a Yaoundé - ha edificato questo luogo di speranza per i bambini disabili, dove ogni persona umana è apprezzata, rispettata e amata. Il cardinale ha donato il centro al Governo del Camerun che ora lo gestisce, e il ministro per gli Affari sociali ha pronunciato un discorso che ha reso onore a lei stessa, al Governo di cui fa parte e all'Africa intera. Il Papa ha assicurato ai disabili e ai malati che non sono dimenticati, li ha toccati e benedetti, lodando l'impegno della Chiesa e dello Stato per i più deboli e i sofferenti. Come ha detto ai giornalisti durante il volo di ritorno, il 23 marzo, l'uomo diviene infatti più uomo grazie alla solidarietà con i sofferenti.
Dobbiamo rendere grazie alla divina provvidenza per questa visita papale in Africa perché ha permesso a Benedetto XVI di essere con i suoi figli africani, di vederli, ascoltarli, di celebrare e conversare con loro. Offrendo inoltre ai più stretti collaboratori del Papa l'occasione di conoscere da vicino la realtà africana. Tutto questo è molto importante per la Chiesa, in Africa e in tutto il mondo.

(©L'Osservatore Romano - 26 marzo 2009)


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Benedetto XVI in Africa, ingiustamente attaccato da media e Capi di Stato

Sandro Vigani

Benedetto XVI va in Africa, in viaggio pastorale.
Va in visita ad una Chiesa di antica origine, ma oggi giovane e vivace, dove centinaia di missionari europei hanno portato il seme del Vangelo.
Va in una regione del mondo dove la colonizzazione economica delle nazioni potenti continua a togliere il pane alle popolazioni indigene, le multinazionali depredano le ricchezze, le guerre tribali decimano le popolazioni e la corruzione dei governanti blocca lo sviluppo.
Benedetto XVI va in Africa a far visita ad una Chiesa schierata a favore dei poveri, impegnata in un'opera di promozione umana che non ha concorrenti. Una Chiesa che ha costruito ospedali, acquedotti, scuole, villaggi, coltivato terre, insegnato a lavorare. Una Chiesa che alza la voce senza paura contro i soprusi locali e e internazionali, contro la tirannia delle grandi potenze estere che non permettono all'Africa di crescere e il dispotismo dei capi politici interni. Lotta contro le guerre etniche, le malattie, la mancanza di cultura.... Il Papa va a visitare un Chiesa che ha pagato e continua ininterrottamente a pagare un tributo altissimo di sangue a causa della propria, pacifica testimonianza.

Il Papa mite alza la voce con coraggio contro il flagello della guerra, i frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche. Contro il neocolonialismo economico e lo sfruttamento. Invoca per le donne africane pari dignità a quella degli uomini. Chiede una società autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori.

Sull'aereo che lo porta in Africa Benedetto XVI dice, tra molte altre cose, quello che è da sempre il pensiero della Chiesa sulla sessualità. Dice che il preservativo non serve contro l'Aids: servono invece un'autentica prevenzione, un'educazione che parta da una visione completa ed unitaria della persona. Apriti cielo!
I massemedia trasformano il viaggio in Africa del Pontefice in una crociata contro il preservativo. Si scagliano con arroganza contro il Papa, lo insultano, lo ridicolizzano. Intervengono perfino due Stati, la Francia e la Germania, contro le parole di Benedetto XVI.

Fatto che, se fosse accaduto per un altro Capo di Stato, avrebbe provocato un grave incidente diplomatico con il conseguente ritiro degli ambasciatori.

In un'epoca dove ciascuno ormai può dire quel che vuole, si vorrebbe chiudere la bocca al Papa, sovrano di uno Stato libero ma soprattutto guida spirituale di più di un miliardo di persone del pianeta, cittadini che hanno la stessa dignità e il medesimo diritto di professare la propria fede di ogni altro uomo.

Dove è finita la tolleranza che un certo mondo laico tanto professa, fino ad accusare spesso la Chiesa di intolleranza? Non è che in questi attacchi al Pontefice che vanno ben la di là del legittimo dissenso, quel mondo più laicista che laico, nasconda il proprio imbarazzo di fronte ad un Papa mite, che non “buca il video” come il suo predecessore, ma come e più del suo predecessore raccoglie folle di uomini, donne, giovani ad ogni suo intervento pubblico?

© Copyright Gente Veneta, 24 marzo 2009


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AFRICA/CAMERUN - I Vescovi del Camerun esprimono il loro rammarico perché i media hanno dimenticato gli aspetti essenziali del messaggio africano del Santo Padre sulla povertà, sulla riconciliazione, sulla giustizia e la pace

Yaoundé (Agenzia Fides)

I Vescovi del Camerun sono “sbigottiti” per il modo con il quale la stampa ha parzialmente ripreso la risposta di Papa Benedetto XVI ad un giornalista sull'impegno della Chiesa nel combattere la diffusione dell'AIDS in Africa, che“occulta l'azione della Chiesa nella lotta all'AIDS e nel prendersi cura dei malati”.
“È soprattutto stupefacente” continua la nota della Conferenza Episcopale Camerunese inviata all'Agenzia Fides- che la stampa voglia far credere all'esistenza di un malcontento dell'opinione pubblica camerunese durante la visita del Santo Padre, come conseguenza delle sue dichiarazioni”.
“L'Episcopato camerunese sottolinea con forza che i camerunesi hanno accolto con gioia e entusiasmo Papa Benedetto XVI, confermando così la loro leggendaria ospitalità. Non nega la realtà dell'AIDS, né i suoi effetti devastanti sulle famiglie del Camerun”.
I Vescovi sottolineano che il “Santo Padre mette l'uomo al centro delle sue preoccupazioni e ricorda l'insegnamento di Cristo e della Chiesa”.
Questa preoccupazione è ben presente nella vita della Chiesa del Camerun, come dimostrato “dall'impegno della Chiesa cattolica accanto alle persone che convivono con il virus dell'AIDS, dall'assistenza alle persone sieropositive e ammalate che sono una delle priorità per la Chiesa cattolica”. Un impegno che mira a valorizzare “la dignità dei figli adottivi di Dio”, che ci “obbliga ad avere uno sguardo nuovo sull'altro e sul mondo. Al posto di cercare degli espedienti, la Chiesa propone all'uomo dei valori eterni”.
“La Chiesa cattolica è dunque impegnata quotidianamente nella lotta contro l'AIDS. Per questo ha creato delle strutture adatte per l'accoglienza, l'assistenza e la cura delle persone colpite dal virus HIV. Questa assistenza è allo stesso tempo, morale, psicologica, nutrizionale, medica e spirituale. Ecco il primo messaggio del Santo Padre sull'AIDS” affermano i Vescovi.
“Accanto a questa azione multiforme e costante- continua la dichiarazione- la Chiesa, forza morale, ha il dovere imperativo di ricordare ai cristiani che ogni pratica sessuale al di fuori del matrimonio e non ordinata è pericolosa e favorisce la diffusione dell'AIDS. Per questo la Chiesa predica l'astinenza ai celibi e la fedeltà coniugale in seno alla coppia. È il suo dovere e non può sottrarvisi. È questo il secondo messaggio del Santo Padre”.
Un messaggio articolato che è stato male interpretato, “di conseguenza i Vescovi del Camerun si rammaricano del fatto che i media, soprattutto occidentali, abbiano dimenticato gli altri aspetti nondimeno essenziali del messaggio africano del Santo Padre sulla povertà, sulla riconciliazione, sulla giustizia e la pace. Questo è molto grave, quando si conosce il numero di morti causati dalle altre malattie in Africa sulle quali non vi è alcuna pubblicità; quando si sa il numero di morti che causano in Africa le lotte fratricide, dovute all'ingiustizia e alla povertà”. (L.M.)

© Copyright (Agenzia Fides 25/3/2009 righe 34 parole 453)

Links:
Dichiarazione dei Vescovi del Camerun (in francese)
www.fides.org/fra/documents/D_claration_des_v_ques.doc


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