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I lefebvriani

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2013 22:40
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30/01/2009 15:49
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Re:

Sihaya.b16247, 29/01/2009 22.52:

Stanno facendo un tale bombardamento mediatico, il più delle volte basato su interpretazioni "filtrate" se non deformate dei fatti piuttosto che sui fatti stessi, oltre che sulle parole del Papa, che Benedetto XVI davvero non riesce a lavorare serenamente: gli viene monitorato ogni singolo passo, vengono amplificate le reazioni ai suoi gesti e alle sue parole, e ogni pretesto è buono per attaccarlo.
Non si può andare avanti così!!! [SM=g7629]

Intanto i siti velatamente (Repubblica) o apertamente (Uaar) ostili pullulano dei commentini dei soloni di turno, che sparano cavolate senza sapere di che parlano.
E la gente non capisce niente e si attacca al primo luogo comune.
"Il Papa è reazionario"...

A questo si aggiunge la lotta interna ai vertici della Curia, che non è da sottovalutare, e che getta costantemente benzina sul fuoco, ed è più perfida dell'opposizione "laica".

Basta! [SM=g8126]

Alcuni dicono che senza di loro non sarebbe arrivato il Motu Proprio. Correggerei l’affermazione con: “Il Signore, per meritarci la grazia del Motu Proprio, ha versato nel calice del Suo Preziosissimo Sangue la 'goccia d’acqua' della sofferenza dei Tradizionalisti; di quelli legati alla Fraternità San Pio X e di quelli che, spesso emarginati nel lungo 'inverno liturgico' - in cui si è tollerato di tutto fuorché la Messa di San Pio V -, non di meno sono rimasti nella più perfetta obbedienza”

Quoto! Io voglio la messa di rito antico!!!

Staremo a vedere!

SEMPRE A FIANCO DI BENEDETTO XVI!!!



E sì, hai ragione!!!! Sono tre giorni che mi sto leggendo di tutto, di tutti i colori!!! E arrivo ad un punto in cui non ce la faccio più!!! [SM=g7953] Qua si tratta di un cocktail mediatico molto appettitoso che bisogna succhiare fino in fondo e si sa, gli avvoltoi mediatici vanno ghiotti!!!! [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707]
Questa è una tempesta che passerà... Il nostro B16 sa quello che fa ed io ho fiducia in lui!!! Voglio, prima di tutto, l'unità della Chiesa, poi possiamo pensare a cercare l'unità dei cristiani... Ma prima, cerchiamo di tenere la "casa" in ordine. Poi occupiamoci del resto!
[SM=j7798]

Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
30/01/2009 20:53
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Dal giornale argentino "La Nación"...

Silvina Premat

LA NACION

Después de haber negado el Holocausto, y generar un conflicto entre el Vaticano y la comunidad judía, el obispo lefebvrista Richard Williamson sería removido de su cargo al frente del seminario que ese grupo tradicionalista tiene en Moreno, provincia de Buenos Aires.

Así lo afirmaron a LA NACION algunos sacerdotes y allegados a monseñor Williamson, uno de los cuatro obispos cuya excomunión de la Iglesia fue levantada la semana pasada por el papa Benedicto XVI.

Las fuentes indicaron, también, que dentro de la comunidad lefebvrista hay quienes atribuyen la difusión de las polémicas declaraciones, que Williamson -de origen británico y residente en la Argentina desde hace varios años- hizo en noviembre pasado a un canal de televisión sueco, a una operación armada por algún sector del Vaticano contrario a la decisión tomada por el Papa.

Ayer, en el seminario de La Reja, el templo de estilo colonial permanecía cerrado, algo que, según los vecinos, no es habitual. "Cerraron las puertas desde que se conocieron las declaraciones del padre y empezaron a llegar los periodistas", dijo María, dueña de un almacén a pocos etros del seminario.

"Nosotros no somos antisemitas. Es más: mis padres tienen ascendencia judía", dijo un seminarista francés que, a media tarde de ayer, permitió que se tomaran fotos desde el exterior de la iglesia y se mostró inquieto por la presencia de la prensa. "El padre dijo que no daría entrevistas", informó. Ni él ni otros jóvenes que trasladaban muebles viejos en un carro y vestían como uniforme de trabajo desteñidas sotanas aceptaron dar más información.

Sin hablar hasta nuevo aviso El sucesor de monseñor Marcel Lefebvre y titular de la Fraternidad Sacerdotal San Pío X, monseñor Bernard Fellay, desautorizó a Williamson. En un comunicado difundido el martes, Fellay pide perdón "al Soberano Pontífice y a todos los hombres de buena voluntad por las consecuencias dramáticas de este acto", y afirma haber prohibido a este obispo, "hasta nueva orden, toda toma de posición pública sobre cuestiones políticas o históricas".

El paso siguiente podría ser la remoción del obispo de la dirección del seminario, cargo que ocupa desde 2003. ¿Lo hará? "No lo sé. Pero seguramente monseñor Williamson será obediente a cualquier decisión que Fellay tome sobre su futuro", dijo a LA NACION el superior para América latina de esa fraternidad, padre Christian Bouchacourt. En diálogo telefónico desde París, donde se encuentra de vacaciones, Bouchacourt también dijo que no comparte las afirmaciones de Williamson. "Nos duele mucho y no la compartimos. Además, se trata de una declaración privada que hizo en noviembre pasado en Alemania a un canal de televisión sueco y se difunde ahora para ensuciar nuestra fraternidad y el trabajo que hacemos", afirmó.

Quienes conocen a Williamson dicen que es dado a hacer comentarios y reflexiones en público sobre temas vinculados a la geopolítica más que a la teología, y que están al borde de causar polémicas. Consideraron los dichos de Williamson "una imprudencia muy grande", sobre un tema que, según afirman, no es grato a los allegados a la fraternidad.

"El padre de monseñor Lefebvre murió en un campo de concentración durante la ocupación alemana en Francia", recuerdan. "No le corresponde hablar de esos temas. Es un obispo", dicen, y dan por obvia su remoción en el cargo al frente del seminario y un largo tiempo de perfil muy bajo. "Jugó muy al borde de la red y perdió", grafican.

Sin embargo, aprecian la formación del obispo y cuentan que su mayor preocupación es la educación. De ahí que haya impreso al seminario un perfil académico de formación humanista. Estableció un curso anual de humanidades para jóvenes en el que se estudia bellas artes, liturgia, música, historia, latín y griego, entre otras materias.

Bouchacourt afirmó que Williamson "no tiene ningún vínculo con grupos antisemitas", y agregó: "Nosotros estamos al servicio de Dios y no estamos atados a los regímenes".

Hasta ayer, permanecía en silencio tras los muros del seminario donde la alegría por el levantamiento de las excomuniones se convirtió en preocupación por el futuro de su director.

El personaje
RICHARD WILLIAMSON
Obispo consagrado por lEFEBVRE
Edad : 68 años


[Modificato da Paparatzifan 30/01/2009 20:53]
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Le scuse di Williamson al Papa

Sua eminenza, nel mezzo di questa terribile tempesta sollevata da miei commenti imprudenti alla televisione svedese, la prego di accettare, con il dovuto rispetto, la mia sincera manifestazione di dolore per le innecessarie angosce e problemi che ho causato a Lei e al Santo Padre.

Per me quello che realmente ha importanza è la Verità Incarnata, e gli interessi della Sua unica vera Chiesa attraverso la quale, solamente, è possibile salvare le nostre anime e dare gloria eterna, a nostro modesto modo, al Dio onnipotente. Perciò faccio solo un commento, preso dal profeta Giona, I,12. "Prendetemi e gettatemi nel mare, così il mare si calmerà per voi: perché so che è a causa mia che questa grande tempesta ci ha colpito".

Per favore, accetti anche, e trasmetta al Santo Padre il mio sincero apprezzamento personale per il documento firmato mercoledì della scorsa settimana e reso pubblico il sabato successivo. Con la maggiore umiltà offrirò una messa per entrambi. Sinceramente suo in Cristo.

Richard Williamson, rivolto al card.Castillon Hoyos


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Lefebvriani, Williamson chiede perdono al Papa: «Imprudenti i miei commenti»

Il Vaticano: chi nega l'Olocausto nega Dio. La Nacion: Williamson verso la rimozione. Annullato raduno lefebvriani

ROMA (30 gennaio)

II vescovo lefebvriano Richard Williamson, al centro delle polemiche di questi giorni per le sue affermazioni negazioniste nei confronti della Shoah, ha chiesto il perdono del Papa.
La sua lettera, pubblicata dal sito web Panorama Catolicos International, è indirizzata al cardinale Dario Castrillon Hoyos, presidente della Pontificia commissione "Ecclesia Dei" e negoziatore tra il Vaticano e i lefebvriani.
«Nel mezzo di questa terribile tempesta sollevata da miei commenti imprudenti alla televisione svedese, la prego di accettare, con il dovuto rispetto, la mia sincera manifestazione di dolore per le innecessarie angosce e problemi che ho causato a Lei e al Santo Padre».

«Per me - prosegue la lettera - quello che realmente ha importanza è la Verità Incarnata, e gli interessi della Sua unica vera Chiesa attraverso la quale, solamente, è possibile salvare le nostre anime e dare gloria eterna, a nostro modesto modo, al Dio onnipotente. Perciò - faccio solo un commento, preso dal profeta Giona, I,12. "Prendetemi e gettatemi nel mare, così il mare si calmerà per voi: perchè so che a causa mia che questa grande tempesta ci ha colpito".
Per favore, accetti anche, e trasmetta al Santo Padre il mio sincero apprezzamento personale per il documento (di revoca della scomunica, ndr) firmato mercoledì 21 gennaio e reso pubblico il sabato successivo. Con la maggiore umiltà offrirò una messa per entrambi. Sinceramente suo in Cristo. Firmato Richard Williamson».


Annullato il raduno dei lefebvriani.

Tutto questo nel giorno in cui Padre Davide Pagliarani, responsabile per l'Italia della «Fraternità di San Pio X» ha deciso di annullare il raduno nazionale dei lefebvriani per evitare ulteriori polemiche e confusioni dopo le dichiarazioni sul Papa e sul Concilio vaticano II rilasciate dal priore di Rimini don Pierpaolo Petrucci.
La Fraternità - ha aggiunto - illustrerà la propria posizione con una nota ufficiale nei prossimi giorni e per il momento «mantiene il silenzio stampa». Il priore ultra tradizionalista di Rimini aveva detto ieri, durante un incontro con i giornalisti, che i lefebvriani non riconoscono le decisione del Concilio vaticano II ed aveva criticato la visita di Papa Ratzinger nella Moschea blu ad Istanbul.


Vaticano: chi nega l'Olocausto nega Dio.

«Chi nega il fatto della Shoah non sa nulla né del mistero di Dio, nè della Croce di Cristo. Tanto più è grave, quindi, se la negazione viene dalla bocca di un sacerdote o di un vescovo, cioè di un ministro cristiano, sia unito o no con la Chiesa cattolica». È questo il durissimo giudizio sulle affermazioni negazioniste espresso in un editoriale di padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, e diffuso dall'emittente radiofonica della Santa Sede.
Lombardi ha ricordato le parole del Papa pronunciate ad Auschwitz: «La Shoah induca l'umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell'uomo».


Williamson verso la rimozione.

Il vescovo lefebvriano negazionista Richard Williamson potrebbe «essere rimosso» dalla direzione del seminario che dal 2003 dirige in un monastero a Buenos Aires.
Lo riferisce la stampa argentina, legando la decisione alla presa di distanze da parte del superiore degli ultra-tradizionalisti, monsignor Bernard Fellay, che ha anche chiesto perdono al Papa per le dichiarazioni negazioniste sulla Shoah fatte dal vescovo britannico.

Secondo il quotidiano argentino La Nacion, la richiesta di "perdono" avanzata da Fellay al Papa potrebbe preludere alla rimozione di Williamson dalla direzione del seminario a Buenos Aires.
Il superiore per l'America Latina della Fraternità, padre Christian Bouchacourt, citato da La Nacion, avrebbe precisato di «non sapere» nulla al momento su tale possibilità, ma ha aggiunto di essere sicuro sul fatto che «Williamson obbedirà ogni decisione che Fellay voglia prendere sul suo futuro».

© Copyright Il Messaggero online


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Le sfide (incomprese) di Benedetto XVI

Gianteo Bordero

A sentire i suoi detrattori, revocando la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani Benedetto XVI avrebbe commesso due errori capitali: avrebbe, da un lato, infangato il giorno della memoria della Shoah riammettendo nella Chiesa un negazionista dell'Olocausto come monsignor Williamson e, dall'altro lato, avrebbe calpestato la ricorrenza dei cinquant'anni dell'indizione del Vaticano II da parte di Giovanni XXIII accogliendo nella comunione ecclesiale coloro che furono i contestatori più radicali del Concilio. Come si vede, si tratta di due temi altamente «infiammabili», il primo per la sua valenza storica e simbolica, il secondo per quella ecclesiale. Nell'un caso e nell'altro, però, l'accusa rivolta a Papa Ratzinger è sempre la stessa: riportare la Chiesa cattolica indietro nel tempo, vuoi all'antigiudaismo, vuoi all'antimodernismo. In sostanza: ai «tempi bui» del preconcilio. Lo affermano in maniera chiara tanto alcuni rappresentanti del mondo ebraico quanto alcuni teologi di orientamento progressista.

In realtà, le aspre critiche rivolte a Benedetto XVI nascono da una cattiva interpretazione del suo magistero, che viene ancora catalogato, da ampia parte della pubblicista laica e non solo, come «restauratore». Quello di Ratzinger sarebbe, insomma, un pontificato con lo sguardo tutto rivolto al passato, portatore di una prospettiva che nega il cammino compiuto dagli ultimi Papi nel dialogo con le altre religioni e con il mondo moderno. Un papato di retroguardia, dunque, che avrebbe come scopo principale quello di cancellare più o meno surrettiziamente le «conquiste» rese possibili dal Vaticano II, di soffocare lo «spirito del Concilio» e tutto ciò che esso ha rappresentato in questi ultimi decenni.

Coloro che sostengono questa lettura del pontificato ratzingeriano dimenticano di dire che fu proprio l'attuale Papa uno dei teologi più influenti durante le assise conciliari del 1963-1968. Al seguito del cardinale Frings, Joseph Ratzinger collaborò in maniera attiva all'elaborazione dei principali documenti del Vaticano II, fu considerato tra i più ferventi sostenitori del rinnovamento della Chiesa, attirando su di sé le severe critiche dei settori più «conservatori» dell'episcopato. Egli mai ha rinnegato la sua opera conciliare ed anzi la sua teologia successiva ha sviluppato quelle che erano le intuizioni e le idee originali, certo rimodulandole ma in nessun caso rovesciandole. Già negli ultimi anni del Vaticano II, però, Ratzinger si rese conto che il pericolo maggiore per le sorti stesse del Concilio era rappresentato dalla nascita di una vera e propria corrente ideologica, che leggeva l'evento conciliare come una «rifondazione» ab imis della Chiesa, e che, col furore tipico delle ideologie, spazzava via tutto ciò che non rientrava nei canoni dell'«aggiornamento» e dell'«ammodernamento». In questo modo, secondo lui, la ricchezza contenuta nei documenti prodotti dal Vaticano II sarebbe passata in secondo piano, soppiantata da una moda teologica parziale e settaria, che nulla di buono avrebbe portato al cammino della Chiesa (si veda, a tal proposito, Problemi e risultati del Concilio, Queriniana 1967).

Ratzinger vedeva giusto. Infatti l'ideologia prevalse sulla realtà. Le semplificazioni e gli schematismi ebbero la meglio sulla complessità dei problemi toccati dal Concilio. Tra questi problemi, due in particolare divennero oggetto di una propaganda a senso unico che finì col far perdere di vista la stessa lettera del Vaticano II: il rapporto con le altre religioni e il rinnovamento della liturgia. Per quanto riguarda il primo tema, si affermò l'idea di un dovere, da parte della Chiesa, di addivenire ad un dialogo specificamente religioso con le altre fedi, riconoscendo in ciascuna di elementi di verità sui quali costruire un cammino comune. Per quanto riguarda invece il secondo tema, si posero le premesse per una riforma liturgica che, di fatto, diede adito al pensiero che il rito preconciliare fosse ormai superato dal tempo, come se si trattasse di un vecchio mobile da mandare in soffitta. Nel primo caso, la conseguenza fu che si smarrì la consapevolezza dell'identità cattolica, della verità del cattolicesimo in quanto tale, incommensurabile con le altre religioni. Nel secondo caso, il risultato fu la banalizzazione della liturgia, la volgarizzazione non solo e non tanto della sua lingua, quanto della sua posizione all'interno dell'esperienza cristiana.

Non deve stupire, dunque, se oggi, divenuto Papa, Joseph Ratzinger tenti, proprio su questi aspetti, di fare chiarezza, rimediando non a errori del Vaticano II, quanto agli esiti negativi delle mode teologiche che hanno mitizzato il Concilio, trasformandolo in una sorta di entità metafisica sciolta dai suoi legami con la realtà concreta e con la storia.

Sul primo punto (i rapporti con le altre religioni) egli già parlò chiaro da cardinale, con la Dominus Jesus del 2000, in cui ribadiva, da prefetto dell'ex Sant'Uffizio, l'unicità del cristianesimo, il suo essere «vera religione», l'originalità della sua «pretesa». Da Papa, poi, ha fatto emanare dalla Congregazione per la Dottrina della Fede le Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, dove si ribadisce che la Chiesa cattolica «è l'unica Chiesa di Cristo». Sul secondo punto (la liturgia), come noto, con il motu proprio Summorum pontificum ha precisato che il rito antico non è mai stato abrogato e che esso rappresenta la forma straordinaria dell'unica liturgia cattolica.

Ma è proprio attorno a questi temi che sono anche fioccate, in questi anni di pontificato ratzingeriano, le contestazioni più aspre a Papa Benedetto: sulla questione dei rapporti con le altre religioni monoteistiche come non ricordare il clamore suscitato dal discorso di Ratisbona, le accuse di intolleranza, la «scomunica» dell'intellighenzia laicista e politicamente corretta? E sul nodo della «liberalizzazione» del rito preconciliare come dimenticare la levata di scudi di molti tra gli stessi sacerdoti e vescovi, con forme di dissenso pubblico quale il rifiuto di soddisfare la richiesta di gruppi di fedeli che chiedevano la messa di San Pio V? Oggi i due aspetti sembrano saldarsi dopo la decisione di Benedetto XVI di revocare la scomunica ai vescovi lefebvriani, non soltanto per le dichiarazioni negazioniste di monsignor Williamson e per la scelta di riammettere nella Chiesa i seguaci del tradizionalista scismatico, ma anche e soprattutto perché la critica di Lefebvre al Vaticano II riguardava proprio, in special modo, i rapporti con il popolo ebraico (la dichiarazione Nostra Aetate) e la liturgia.

Durante l'udienza generale di ieri, il Papa è intervenuto su questi argomenti: per quanto riguarda le relazioni con gli ebrei, ha rinnovato «con affetto la mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza», auspicando che «la Shoah sia per tutti monito contro l'oblio, contro la negazione o il riduzionismo», confermando in questo modo sia le sue riflessioni teologiche sul popolo ebraico contenute in molti suoi libri, sia le parole pronunciate nel suo viaggio ad Auschwitz nel 2006.
Sulla revoca della scomunica ai lefebvriani, invece, ha ricordato che «in occasione della solenne inaugurazione del mio pontificato dicevo che è "esplicito" compito del Pastore "la chiamata all'unità"... Proprio in adempimento di questo servizio all'unità, che qualifica in modo specifico il mio ministero di successore di Pietro, ho deciso giorni fa di concedere la remissione della scomunica in cui erano incorsi i quattro vescovi ordinati nel 1988 da monsignor Lefebvre senza mandato pontificio». E ha concluso auspicando che al suo gesto «faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell'autorità del Papa e del Concilio Vaticano II».

Le parole di Benedetto XVI, che peraltro giungono dopo quelle del superiore generale dei lefebvriani, monsignor Fellay («le affermazioni di monsignor Williamson non riflettono in nessun caso la posizione della nostra Fraternità»), sono state ben accolte dal mondo ebraico. Il direttore generale del rabbinato d'Israele, Oded Wiener, le ha definite «un grande passo avanti, molto importante per noi e per il mondo intero»; e il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, le ha accolte come «necessarie e benvenute: contribuiscono a chiarire molti equivoci sia sul negazionismo sia sul rispetto del Concilio». Il caso diplomatico, quindi, pare avviarsi alla conclusione.

Quella che rimane aperta è invece la sfida del pontificato ratzingeriano, coraggiosamente determinato a sanare quelle ferite che l'ideologia del Concilio come «discontinuità e rottura» ha aperto, tanto nella Chiesa quanto nell'opinione pubblica mondiale.

Come si vede dai fatti di questi giorni, si tratta di una sfida difficile, che deve sciogliere ancora tante incrostazioni che hanno impedito e impediscono tuttora una corretta comprensione della Chiesa, della sua storia e del suo annuncio.

© Copyright Ragionpolitica, 29 gennaio 2009


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NON FERMATE COLUI CHE E' STATO SCELTO PER RISANARE LE DECENNALI FERITE INFERTE ALLA SANTA MADRE CHIESA!!!!

W BXVI!!!!!
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venerdì 30 gennaio 2009

Mons. Barreiro: "i lefebvriani non dovranno ingoiare il Concilio"

Il titolo di questo post è tratto da un lungo e interessantissimo articolo di Brian Mershon, in The Remnant. Pubblichiamo di seguito, e per riassunto, un excerptum dell’articolo.

Fonti vaticane indicano che la piena regolarizzazione della Fraternità potrebbe avvenire già il 2 febbraio 2009, Festa della Purificazione di Nostra Signora e Candelora; il che, se fosse vero, sarebbe un regalo di Natale per la Chiesa e specialmente per i tradizionalisti cattolici di tutto il mondo [per il calendario tradizionale, ricordiamo, fino al 2 febbraio siamo ancora in periodo natalizio. Che si possa arrivare alla regolarizzazione così presto ci sembra francamente inverosimile: è appena stata concessa la seconda condizione preliminare, la revoca delle scomuniche, che secondo la Fraternità avrebbe dovuto precedere, insieme alla liberalizzazione della Messa tridentina, l’inizio di colloqui "teologici" che, secondo il vescovo Tissier de Mallerais, sarebbero durati anche trent’anni. Che bastino solo dieci giorni...]
Mons. Ignacio Barreiro, non ha confermato la data del 2 febbraio, ma ha detto che una fonte curiale gli ha detto che stanno al momento lavorando solo sugli accorgimenti pratici per una Fraternità di S. Pio X pienamente regolarizzata.
La soluzione finale "non potrà dipendere dalla volontà del singolo vescovo diocesano", ha detto mons. Barreiro, considerando le lunghe sofferenze che molti tradizionalisti hanno sperimentato dai vescovi per quasi 20 sotto l’indulto Ecclesia Dei Adflicta.
"Loro certamente hanno bisogno di avere garanzie che dove attualmente sono, non possano essere disturbati dal vescovo locale", ha detto Barreiro, rilevando che le cappelle della Fraternità sono in tutto il mondo, e descrivendole come parrocchie di fatto. Barreiro giustamente ha aggiunto che i vescovi della Fraternità non accetterebbero molto probabilmente alcuna soluzione che comportasse una giurisdizione del locale Ordinario territoriale.
In effetti, una resistenza specifica è prevalente nelle morenti chiese di Francia, con i loro vescovi e preti. Con la regolarizzazione finale, Mons. Barreiro ha detto, "più di un terzo di tutti i seminaristi i Francia saranno in seminari tradizionali". Questi includono la Fraternità S. Pio X, la Fraternità S. Pietro, l’Istituto del Buon Pastore e l’Istituto di Cristo Re, insieme ad altri minori gruppi sacerdotali tradizionalisti.
"Io mi aspetto che qualche struttura come una Amministrazione Apostolica universale possa essere l’unica soluzione", ha detto mons. Barreiro, pur avvertendo di non avere accesso diretto a dettagli specifici.
Parecchi articoli sull’annullamento delle scomuniche della Fraternità contengono in questi giorni specifici commenti di vescovi che insistono sulla necessità che i vescovi della Fraternità aderiscano esplicitamente in qualche modo al Concilio Vaticano II. Comunque, Mons. Barreiro ritiene che sia sufficiente un esplicito riconoscimento dell’autorità del S. Padre e del magistero della Chiesa.
"Non sarà loro richiesto di accettare il Concilio" dice mons. Barreiro, "Non c’è niente di dogmatico concernente fede e morale nei documenti del Concilio. Molti hanno elevato il Concilio come se fosse un superdogma quando, in realtà non fu dogmatico per niente".

Le prospettive di Mons. Barreiro e Fellay trovano corripondenza con l’allocuzione del Card. Ratzinger ai Vescovi del Cile nel 1988:

Certamente, c’è una mentalità ristretta che isola il Vaticano II e che ha provocato questa opposizione. Ci sono molti aspetti che danno l’impressione che, dal Vaticano II in poi, tutto sia stato cambiato, e che quanto lo ha preceduto non abbia valore o, al massimo, abbia valore solo nella luce del Vaticano II. Il Concilio Vaticano Secondo non è stato trattato come parte dell’intera Tradizione vivente della Chiesa, ma come una fine della Tradizione, una nuova partenza da zero. La verità è che questo particolare Concilio non ha definito alcun dogma, e deliberatamente scelse di rimanere su un livello modesto, come un concilio meramente pastorale; e nondimeno molti lo trattano come se esso si fosse considerato come una sorta di superdogma, che porta via l’importanza di tutto il resto.
Questa idea è resa più forte dalle cose che stanno accadendo. Quanto prima era considerato più sacro – la forma in cui la liturgia era stata trasmessa – improvvisamente appare la più proibita di tutte le cose, la sola cosa che può essere proibita in sicurezza. E’ intollerabile criticare decisione che sono state prese dopo il Concilio; ma dall’altra parte, se le persone
mettono in questione le antiche regole, o persino le grandi verità della Fede – per esempio, la virginità corporale di Maria, la resurrezione corporea di Gesù, l’immortalità dell’anima, ecc. – nessuno si lamenta o lo fa con la più grande moderazione.

Nella lettera ai Vescovi di Papa Benedetto che accompagna il motu proprio, il Papa scrisse quanto segue che, a ben vedere, è un importante ma trascurata parte del documento. Parte di questo testo corrisponde significativamente al citato documento ai vescovi cileni:

Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.

Nel muoverci speditamente verso la piena regolarizzazione canonica della Fraternità, in qualsiasi forma ciò avvenga, notiamo che il precedente è già stato dato, recentemente, dall’Istituto del Buon Pastore, ai cui preti è stato concesso di continuare a lavorare sui punti teologici discussi dei documenti del Concilio Vaticano II, in buona fede ed evitando pubblici rancori, nel cuore della Chiesa.
In altri termini, non ci sarà richiesta per la leadership lefebvriana di accettare il "Decreto sulle Comunicazioni Sociali" come un documento infallibile e dogmatico.
E, nonostante le ruminazioni di certi vescovi, cardinali (come il Card. Kasper), preti, nemmeno sarà richiesto di accettare il Decreto sull’Ecumenismo, la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa, Nostra Aetate o perfino Lumen Gentium e Dei Verbum come dichiarazioni dogmatiche che possono stare in piedi da sole senza essere lette alla luce della Tradizione.
Il Papa lo ha reso chiaro nel suo discorso del 22 dicembre 2005. La "ermeneutica della continuità" non consente di interpretare il Concilio in alcun altro modo che "alla luce della Tradizione". E certo, i tradizionalisti non dovrebbero esagerare il grado di autorità vincolante che assiste i documenti conciliari. Se c’è errore o imprecisione allora ci può e deve essere correzione. E noi ora abbiamo un papa che è in grado di disporre quella correzione. Su quali basi può un cattolico tradizionale obiettare a ciò? Speculazione teologica su punti discussi e oscuri in uno spirito di carità e senza polemiche e rancori aiuterà le future generazioni a comprendere la verità cattolica.
Preghiamo che i teologi, preti e vescovi della S. Pio X, come quelli dell’Istituto del Buon Pastore, della S. Pietro e di Cristo Re, esercitino influenza considerevole in questo campo. E se ci fossero punti nel Concilio che non possono essere interpretati alla luce della Trazione, allora, ovviamente, dovranno essere esposti ed espunti. Di nuovo, su quali basi un cattolico tradizionale potrebbe obbiettare?


[Modificato da Paparatzifan 30/01/2009 21:56]
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Re: Da "Messainlatino.it"...

Paparatzifan, 30/01/2009 21.54:


venerdì 30 gennaio 2009

Mons. Barreiro: "i lefebvriani non dovranno ingoiare il Concilio"

Il titolo di questo post è tratto da un lungo e interessantissimo articolo di Brian Mershon, in The Remnant. Pubblichiamo di seguito, e per riassunto, un excerptum dell’articolo.

Fonti vaticane indicano che la piena regolarizzazione della Fraternità potrebbe avvenire già il 2 febbraio 2009, Festa della Purificazione di Nostra Signora e Candelora; il che, se fosse vero, sarebbe un regalo di Natale per la Chiesa e specialmente per i tradizionalisti cattolici di tutto il mondo [per il calendario tradizionale, ricordiamo, fino al 2 febbraio siamo ancora in periodo natalizio. Che si possa arrivare alla regolarizzazione così presto ci sembra francamente inverosimile: è appena stata concessa la seconda condizione preliminare, la revoca delle scomuniche, che secondo la Fraternità avrebbe dovuto precedere, insieme alla liberalizzazione della Messa tridentina, l’inizio di colloqui "teologici" che, secondo il vescovo Tissier de Mallerais, sarebbero durati anche trent’anni. Che bastino solo dieci giorni...]
Mons. Ignacio Barreiro, non ha confermato la data del 2 febbraio, ma ha detto che una fonte curiale gli ha detto che stanno al momento lavorando solo sugli accorgimenti pratici per una Fraternità di S. Pio X pienamente regolarizzata.
La soluzione finale "non potrà dipendere dalla volontà del singolo vescovo diocesano", ha detto mons. Barreiro, considerando le lunghe sofferenze che molti tradizionalisti hanno sperimentato dai vescovi per quasi 20 sotto l’indulto Ecclesia Dei Adflicta.
"Loro certamente hanno bisogno di avere garanzie che dove attualmente sono, non possano essere disturbati dal vescovo locale", ha detto Barreiro, rilevando che le cappelle della Fraternità sono in tutto il mondo, e descrivendole come parrocchie di fatto. Barreiro giustamente ha aggiunto che i vescovi della Fraternità non accetterebbero molto probabilmente alcuna soluzione che comportasse una giurisdizione del locale Ordinario territoriale.
In effetti, una resistenza specifica è prevalente nelle morenti chiese di Francia, con i loro vescovi e preti. Con la regolarizzazione finale, Mons. Barreiro ha detto, "più di un terzo di tutti i seminaristi i Francia saranno in seminari tradizionali". Questi includono la Fraternità S. Pio X, la Fraternità S. Pietro, l’Istituto del Buon Pastore e l’Istituto di Cristo Re, insieme ad altri minori gruppi sacerdotali tradizionalisti.
"Io mi aspetto che qualche struttura come una Amministrazione Apostolica universale possa essere l’unica soluzione", ha detto mons. Barreiro, pur avvertendo di non avere accesso diretto a dettagli specifici.
Parecchi articoli sull’annullamento delle scomuniche della Fraternità contengono in questi giorni specifici commenti di vescovi che insistono sulla necessità che i vescovi della Fraternità aderiscano esplicitamente in qualche modo al Concilio Vaticano II. Comunque, Mons. Barreiro ritiene che sia sufficiente un esplicito riconoscimento dell’autorità del S. Padre e del magistero della Chiesa.
"Non sarà loro richiesto di accettare il Concilio" dice mons. Barreiro, "Non c’è niente di dogmatico concernente fede e morale nei documenti del Concilio. Molti hanno elevato il Concilio come se fosse un superdogma quando, in realtà non fu dogmatico per niente".

Le prospettive di Mons. Barreiro e Fellay trovano corripondenza con l’allocuzione del Card. Ratzinger ai Vescovi del Cile nel 1988:

Certamente, c’è una mentalità ristretta che isola il Vaticano II e che ha provocato questa opposizione. Ci sono molti aspetti che danno l’impressione che, dal Vaticano II in poi, tutto sia stato cambiato, e che quanto lo ha preceduto non abbia valore o, al massimo, abbia valore solo nella luce del Vaticano II. Il Concilio Vaticano Secondo non è stato trattato come parte dell’intera Tradizione vivente della Chiesa, ma come una fine della Tradizione, una nuova partenza da zero. La verità è che questo particolare Concilio non ha definito alcun dogma, e deliberatamente scelse di rimanere su un livello modesto, come un concilio meramente pastorale; e nondimeno molti lo trattano come se esso si fosse considerato come una sorta di superdogma, che porta via l’importanza di tutto il resto.
Questa idea è resa più forte dalle cose che stanno accadendo. Quanto prima era considerato più sacro – la forma in cui la liturgia era stata trasmessa – improvvisamente appare la più proibita di tutte le cose, la sola cosa che può essere proibita in sicurezza. E’ intollerabile criticare decisione che sono state prese dopo il Concilio; ma dall’altra parte, se le persone
mettono in questione le antiche regole, o persino le grandi verità della Fede – per esempio, la virginità corporale di Maria, la resurrezione corporea di Gesù, l’immortalità dell’anima, ecc. – nessuno si lamenta o lo fa con la più grande moderazione.

Nella lettera ai Vescovi di Papa Benedetto che accompagna il motu proprio, il Papa scrisse quanto segue che, a ben vedere, è un importante ma trascurata parte del documento. Parte di questo testo corrisponde significativamente al citato documento ai vescovi cileni:

Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.

Nel muoverci speditamente verso la piena regolarizzazione canonica della Fraternità, in qualsiasi forma ciò avvenga, notiamo che il precedente è già stato dato, recentemente, dall’Istituto del Buon Pastore, ai cui preti è stato concesso di continuare a lavorare sui punti teologici discussi dei documenti del Concilio Vaticano II, in buona fede ed evitando pubblici rancori, nel cuore della Chiesa.
In altri termini, non ci sarà richiesta per la leadership lefebvriana di accettare il "Decreto sulle Comunicazioni Sociali" come un documento infallibile e dogmatico.
E, nonostante le ruminazioni di certi vescovi, cardinali (come il Card. Kasper), preti, nemmeno sarà richiesto di accettare il Decreto sull’Ecumenismo, la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa, Nostra Aetate o perfino Lumen Gentium e Dei Verbum come dichiarazioni dogmatiche che possono stare in piedi da sole senza essere lette alla luce della Tradizione.
Il Papa lo ha reso chiaro nel suo discorso del 22 dicembre 2005. La "ermeneutica della continuità" non consente di interpretare il Concilio in alcun altro modo che "alla luce della Tradizione". E certo, i tradizionalisti non dovrebbero esagerare il grado di autorità vincolante che assiste i documenti conciliari. Se c’è errore o imprecisione allora ci può e deve essere correzione. E noi ora abbiamo un papa che è in grado di disporre quella correzione. Su quali basi può un cattolico tradizionale obiettare a ciò? Speculazione teologica su punti discussi e oscuri in uno spirito di carità e senza polemiche e rancori aiuterà le future generazioni a comprendere la verità cattolica.
Preghiamo che i teologi, preti e vescovi della S. Pio X, come quelli dell’Istituto del Buon Pastore, della S. Pietro e di Cristo Re, esercitino influenza considerevole in questo campo. E se ci fossero punti nel Concilio che non possono essere interpretati alla luce della Trazione, allora, ovviamente, dovranno essere esposti ed espunti. Di nuovo, su quali basi un cattolico tradizionale potrebbe obbiettare?






Concordo, il Concilio non è una specie di Bibbia sulla quale bisogna fare un giuramento! Adesso abbiamo un Papa che conosce tutti i particolari e che può aiutarci a comprendere qual'è il posto che occupa il Concilio nel Magistero della Chiesa.

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La teologia e il magistero di Ratzinger sono quanto di più vicino al cuore del giudaismo

Al direttore - Trovo che la polemica intorno al ritiro della scomunica ai lefebvriani stia assumendo contorni inquietanti. Non dimentichiamo che Benedetto XVI è quel raffinatissimo uomo di scienza e di fede che nei suoi libri prima di diventare Papa affermava che è per misterioso disegno di Dio se il popolo di Israele non ha riconosciuto Cristo, disegno che i credenti cristiani devono rispettare e che verrà svelato solo alla fine dei tempi. Ricordo che quando lo lessi rimasi sbalordita dal profondissimo rispetto che egli nutre per i fratelli maggiori dei cristiani, e la trovai una delle dichiarazioni d’affetto in assoluto più toccanti e trasparenti rivolte al popolo ebraico. Ricordo anche che, secondo Joseph Ratzinger, la figura di Cristo è la congiunzione tra il Popolo eletto e il mondo, nel senso che la sua venuta si è resa necessaria affinché anche un non ebreo potesse salvarsi: “Un non ebreo poteva trovare posto soltanto ai margini di questa religione, rimanere ‘proselito’, poiché l’appartenenza piena era legata alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. (…) Una piena universalità non era possibile, poiché non era possibile un’appartenenza piena.
A questo livello è stato il cristianesimo a praticare per primo una breccia, ad ‘abbattere il muro’ (Ef 2,14)” (Fede, verità, tolleranza, p.162). Chiunque abbia letto anche una minima parte di quanto ha scritto Papa Benedetto non si sognerebbe neppure di coinvolgerlo in polemiche che possono essere anche molto offensive. Il suo gesto verso gli scismatici appartiene a un piano differente, che è quello della misericordia, e che non ha nulla a che vedere con la “tolleranza” verso affermazioni personali di alcuno.

Non parlo naturalmente del Foglio, ma altri zelanti quotidiani dovrebbero pulire due volte la penna, prima di permettersi di chiamare in causa il Santo Padre. Così come certi lettori dovrebbero leggere di più, prima di fare certe allusioni.

Alessia Affinito, via Web

Lo stato di inimicizia verso la chiesa e il Papa regnante, coltivato da osservatori e personalità che rivendicano una inesistente laicità culturale e civile, è dimostrato dall’elemento assurdo rilevato in questa bella lettera: accusare Ratzinger di tolleranza verso l’antigiudaismo è da mestatori o da ignoranti. Punto.

Giuliano Ferrara

© Copyright Il Foglio, 30 gennaio 2009


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Il Papa parla chiaro, il Vaticano non sempre

Forse lo Stato del Vaticano dovrà registrare uffici e meccanismi che regolano i suoi rapporti con i media.

Dovrà anche migliorare le comunicazioni e il flusso delle informazioni fra le sue nunziature, la Segreteria di Stato e le varie congregazioni (il nunzio in Svezia non sapeva o non ha avvertito in tempo Roma dell'incresciosa intervista di monsignor Williamson?).
Dovrà farlo per non esporre ulteriormente il Papa a polemiche logoranti. Ma non si può dire che ieri Benedetto XVI non sia stato chiaro: sulle intenzioni e il significato della revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e sul negazionismo di uno di loro.

Non ha chiesto scusa, non si è battuto il petto, per spiegarsi ha ribadito.

Quanto ai lefebvriani, ha ricordato la sua omelia programmatica di inizio pontificato, quando disse che è «esplicito compito del Pastore la chiamata all'unità». Per questo motivo, e in «adempimento a questo servizio» «ho deciso giorni fa di concedere la remissione della scomunica», dopo che «ripetutamente» i beneficiari gli avevano «manifestato la loro viva sofferenza per la situazione», chiarendo che aspetta adesso «ulteriori passi» fino al «vero riconoscimento del magistero e dell'autorità del Papa e del Concilio Vaticano II (Nostra Aetate compresa, ndr)», solo allora si potrà parlare di «piena comunione» della Fraternità San Pio X con Roma.
Quanto alla Shoah, ha ricordato le sue «ripetute» visite ad Auschwitz, «l'eccidio efferato di milioni di ebrei» smentendo le cifre di Williamson («trecentomila»), ha condannato «l'oblio, la negazione o il riduzionismo» della Shoah, la cui memoria ci insegna invece che «solo il faticoso cammino dell'ascolto e del dialogo, dell'amore e del perdono conduce i popoli, le culture e le religioni del mondo all'auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità». Benedetto XVI si è infine implicato in prima persona: «Rinnovo con affetto l'espressione della mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza».

La formula usata è una delicatezza di Papa Ratzinger il quale sa che quella del suo predecessore, «fratelli maggiori», pur dettata dai medesimi sentimenti, non è molto gradita agli ebrei, per i quali (il riferimento è al rapporto fra Esaù e suo fratello Giacobbe) Dio avrebbe una predilezione per il fratello minore.

© Copyright Il Riformista, 29 gennaio 2009


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Monde & Vie a Mons. Bernard Fellay

Vi anticipiamo una nostra traduzione dalla prestigiosa rivista francese nell’interesse dei lettori italiani.

Monde & Vie n° 806 - 31 janvier 2009 - page 17

Intervista con Mons. Bernard Fellay raccolta da Olivier Figueras

E’ indubbio che il Superiore Generale della Fraternità San Pio X è assorbito da moltissimi impegni in questo momento. Nella breve intervista che ci ha concesso, di passaggio a Parigi, il suo telefono non cessava di squillare. Ma ci ha fatto partecipi dell’essenziale che dobbiamo sapere per capire quali saranno gli avvenimenti prossimi. Un reintegro pieno ed intero della FSSPX sembra ormai a portata di mano.

- Vi aspettavate, Monsignore, che le scomuniche venissero tolte ?

Si, l’aspettavo dal 2005, dopo la prima lettera con la nostra richiesta di remissione della scomunica indirizzata a Roma su consiglio del Vaticano stesso. Era chiaro che non veniva chiesta una domanda da parte nostra per poi rifiutarla. [....] In questi ultimi mesi, specialmente dopo l’ultimatum, si era però piuttosto freddi al riguardo. Poi il 15 novembre, ho scritto la lettera citata sia nel Decreto che nella mia lettera ai fedeli…

- Il decreto è un segno della volontà del Papa?

In primo luogo credo nell’intervento della Santa Vergine. Eccone il segno manifesto e la risposta immediata. Ero infatti deciso di andare a Roma per portare il risultato del “bouquet” di rosari che lanciammo da Lourdes con questa intenzione esplicita ma ricevetti da Roma l’invito ad aspettare.

- La contentezza che oggi dichiarate viene forse sminuita dal resto del percorso ancora da fare?

E’ ancora troppo presto per dirlo. Si tratta di un atto di grande importanza per il quale noi siamo profondamente riconoscenti, ma al momento è ancora difficile darne una valutazione. Non riusciamo ancora a vedere chiaramente tutte le implicazioni. C’è ancora molto lavoro da fare ma in noi c’è una grande speranza nella restaurazione della Chiesa.

- A quando risale questo cambiamento nelle vostre relazioni con Roma?

Certamente col Papa attuale. Ho, prima di tutto, invocato la Vergine ma, dal punto di vista umano non dobbiamo aver paura di attribuire a Benedetto XVI quanto avvenuto. E’ l’inizio di qualcosa che era già cominciato con il Motu proprio. Penso che il Santo Padre apprezzi il lavoro che noi stiamo facendo.

- In questa storia alcuni pensano che siate partiti troppo tardi. Credete oggi che altri, in particolare all’interno della Fraternità San Pio X, possano ritenere che invece sia troppo presto?

Non mi sento di escludere nulla ma, in ogni caso, se ci saranno rotture, ritengo ragionevolmente che saranno insignificanti.

- Ritenete che la vostra situazione sarà presto regolamentata anche sul piano pratico?

Fino ad ora la nostra linea di percorso è stata quella di chiarire innanzitutto i problemi dottrinali – anche se non si tratta di chiarire assolutamente tutto, bensì di ottenere una chiarificazione sufficiente – altrimenti c’è il rischio di fare le cose a metà. O che tutto questo finisca male.

- Pensate dunque che i contatti si andranno a intensificare?

Questo è lo scopo, come ho ben chiarito a Roma dicendo che la situazione così come la proponiamo è certamente provvisoria ma che è allo stesso tempo pacificante e che permetterà, lentamente, re intensificare il collante tra tutte le anime di buona volontà. Tutto ciò avverrà gradualmente. E dipenderà ovviamente dalle reazioni dell’altra parte. Ma non ci sono « a priori », unico « a priori » è quello della Verità e della Carità.

© Copyright Messainlatino


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Lefebvriani incorreggibili «Le camere a gas? Servono per disinfettare»

di Andrea Tornielli

Dopo Williamson, don Abrahamowicz. Per il primo le camere a gas non esistevano, per il secondo è certo soltanto che siano state usate «per disinfettare».
Non c’è limite al peggio, nelle dichiarazioni di membri della Fraternità San Pio X, dopo la rovente polemica che nei giorni scorsi ha portato una profonda crisi nei rapporti tra Santa Sede e mondo ebraico, la cui portata ormai assomiglia ai fraintendimenti del discorso di Ratisbona.
Nel caso di ieri, poi, la strumentalizzazione è palese, perché il sacerdote Floriano Abrahamowicz, di origini ebraiche, responsabile lefebvriano, non ha rilanciato le posizioni di Williamson.
Sul Giornale di ieri, avevamo già riferito della posizione frondista di questo prete, il quale ha respinto al mittente la revoca della scomunica (che peraltro non lo riguardava) e si è collocato su posizioni antagoniste alla stessa Fraternità, mostrando quanto indisciplinato sia il mondo ultratradizionalista, sempre pronto a denunciare la mancanza di disciplina nella Chiesa cattolica postconciliare, ma composto da religiosi che di obbedire hanno poca voglia.
Abrahamowicz, che il 15 settembre 2007 celebrò messa in rito antico a Lanzago di Silea per il leader della Lega Nord Umberto Bossi, è stato intervistato da «La Tribuna di Treviso».
Ha detto: «È veramente impossibile per un cristiano cattolico essere antisemita. Io stesso ho, da parte paterna, origini ebraiche. Anche il mio cognome lo suggerisce. Tutta questa polemica è una potentissima strumentalizzazione in funzione anti-Vaticano. Williamson ha semplicemente espresso il suo dubbio e la sua negazione non tanto dell’Olocausto, ma dell’aspetto tecnico delle camere a gas».
Su queste ultime e il loro utilizzo, Abrahamowicz ha aggiunto: «Non lo so davvero. Io so che le camere a gas sono esistite almeno per disinfettare, ma non so dirle se abbiano fatto morti oppure no, perché non ho approfondito la questione».
Ma ha pure detto di non voler mettere «in dubbio i numeri». «Le vittime - ha aggiunto – potevano essere anche più di 6 milioni. Anche nel mondo ebraico le cifre hanno un valore simbolico. Papa Ratzinger dice che anche una sola persona uccisa ingiustamente è troppo, è come dire che uno è uguale a 6 milioni. Andare a parlare di cifre non cambia niente rispetto all’essenza del genocidio, che è sempre un’esagerazione».
Nell’omelia tenuta domenica, il sacerdote ha attaccato duramente Benedetto XVI dandogli dello scomunicato: «Il mandante dell’ingiurioso decreto di “revoca” è Joseph Ratzinger, il quale continua imperterrito nell’ecumenismo modernista del Concilio Vaticano II, incorrendo nella scomunica di San Pio X. Uno scomunicato revoca una censura inesistente!».
E a rinfocolare le polemiche arrivano anche le parole del lefebvriano don Pierpaolo Petrucci, priore del Priorato di Rimini della Fraternità di San Pio X: «Rimanemmo choccati per la preghiera che Benedetto XVI fece nella Moschea blu di Istanbul durante il suo viaggio in Turchia, con l’imam e rivolti verso la Mecca».

© Copyright Il Giornale, 30 gennaio 2009


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Paparatzifan, 30/01/2009 22.26:


Lefebvriani incorreggibili «Le camere a gas? Servono per disinfettare»

di Andrea Tornielli

Nell’omelia tenuta domenica, il sacerdote ha attaccato duramente Benedetto XVI dandogli dello scomunicato: «Il mandante dell’ingiurioso decreto di “revoca” è Joseph Ratzinger, il quale continua imperterrito nell’ecumenismo modernista del Concilio Vaticano II, incorrendo nella scomunica di San Pio X. Uno scomunicato revoca una censura inesistente!».

© Copyright Il Giornale, 30 gennaio 2009





E' incredibile la mancanza di vergogna di questo prete! [SM=g8115]

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Castrillón Hoyos Il «mediatore» con la fraternità Pio X

«Contatti solo con Fellay Quell'intervista ci era ignota»

Il cardinale La piena comunione arriverà, nelle nostre conversazioni il leader ha riconosciuto teologicamente il Concilio

CITTÀ DEL VATICANO

«Guardi, noi eravamo in dialogo con le autorità della fraternità Pio X. Abbiamo sempre parlato con monsignor Fellay, il superiore. E fino all'ultimo momento di tale dialogo non abbiamo saputo assolutamente niente di questo Williamson, non se ne è mai parlato, penso proprio che nessuno ne fosse a conoscenza».
Il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei», ha condotto le trattative con i lefebvriani verso la revoca della scomunica.
Il giorno prima che fosse resa pubblica, sabato scorso, nelle agenzie internazionali sono rimbalzate le parole e poi il video dell'intervista tv nella quale il vescovo antisemita negava l'esistenza delle camere a gas e della Shoah. Molti si sono chiesti perché non si sia fatto qualcosa, «congelato» il provvedimento o altro. Ma a quel punto, dice il cardinale, era già tutto fatto: «Quando ho consegnato il decreto firmato a monsignor Fellay non sapevamo niente dell'intervista, era stato giorni prima».
E a quel punto? «Evidentemente, a quel punto, il decreto era già in mano agli interessati. Preferisco non entrare nei dettagli, perché vanno al di là delle mie competenze. Ma noi abbiamo fatto quello che si doveva fare». Di una cosa è certo: «La piena comunione arriverà.
Nelle nostre conversazioni, monsignor Fellay ha riconosciuto il Concilio Vaticano II, lo ha riconosciuto teologicamente.
Restano solo alcune difficoltà... ».
Magari sulla Nostra Aetate, la dichiarazione che ha rappresentato una svolta nel rapporto con gli ebrei? «No, quello non è un problema. Si tratta di discutere aspetti come l'ecumenismo, la libertà di coscienza...».
Meno male che nel frattempo ha parlato il Papa: «Le parole del Santo Padre hanno messo in chiaro il pensiero della Chiesa anche rispetto a quel crimine orrendo che è la Shoah».
G. G. V.

© Copyright Corriere della sera, 29 gennaio 2009


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IL VESCOVO WILLIAMSON E ODIOSO PER SUOI ODIOSSISSIMI OPINIONI SULL'OLOCAUSTO, MA FORSE SI VEDE UN PO' PIU DELLA SUA PERSONALITA - PER MALO E PER BENE - NEL SUO BLOG SETTIMANALE CHE HO SCOPERTO SOLTANTO IERI.

QUI E L'ENTRATA CON LA SUA LETTERA AL CARDINALE CASTRILLON...



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Re:

TERESA BENEDETTA, 31/01/2009 18.05:


IL VESCOVO WILLIAMSON E ODIOSO PER SUOI ODIOSSISSIMI OPINIONI SULL'OLOCAUSTO, MA FORSE SI VEDE UN PO' PIU DELLA SUA PERSONALITA - PER MALO E PER BENE - NEL SUO BLOG SETTIMANALE CHE HO SCOPERTO SOLTANTO IERI.

QUI E L'ENTRATA CON LA SUA LETTERA AL CARDINALE CASTRILLON...






Lui ha chiesto perdono... Si è pentito... Magari facessero così quelli che si sono permessi in questi giorni di offendere il Papa! [SM=g7953]


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C'è chi vuole dividere ciò che Benedetto XVI unisce

di Gianteo Bordero

E' vero quello che oggi in tanti dicono: monsignor Marcel Lefebvre, ordinando nel 1988 quattro vescovi senza la necessaria autorizzazione papale e incorrendo così nella scomunica latae sententiae, inferse una profonda ferita all'unità della Chiesa, l'amore alla quale richiederebbe la disponibilità ad obbedire al vicario di Cristo sacrificando magari la rivendicazione delle proprie personali idee.
Idee di cui, invece, Lefebvre e i suoi seguaci hanno fatto una bandiera, talvolta trasformandole in una vera e propria «ideologia» ecclesiale pregiudizialmente contraria a tutto ciò che in qualche modo potesse essere collegato alle parole «Concilio», «aggiornamento», «modernità».

Ma è vero, allo stesso modo, che Lefebvre non fu scomunicato da Papa Giovanni Paolo II a causa delle sue idee. Neppure quelle riguardanti il Vaticano II.

Oggi tutti coloro che soffiano sul fuoco della polemica dopo la decisione di Benedetto XVI di revocare la scomunica ai vescovi ordinati dal monsignore scismatico, questo dimenticano di dirlo e di ricordarlo, come se niente fosse.

Così mestano nel torbido, lasciando intendere che siano le personali opinioni dei lefebvriani a tenerli fuori dalla comunione ecclesiale. Anzi. Molti di coloro che, dalle pagine dei giornali e dagli schermi televisivi, confondono deliberatamente le idee dei lettori e dei telespettatori su questa vicenda, quasi godono nel ribadire che la piena riammissione della Fraternità San Pio X non è ancora avvenuta, che sono ancora molti i passi da fare (come se il ritiro della scomunica da parte del Papa fosse un fatto di poco conto), e a sostegno delle loro tesi portano sorridenti le dichiarazioni sulla Shoah prima di monsignor Williamson e ora, in mancanza d'altro, di qualche sacerdote lefebvriano.

Spulciano negli archivi e nelle emeroteche, su Google e su YouTube, per cercare altri documenti, altre prove che mostrino in maniera inconfutabile l'errore del pontefice regnante.

Concediamo per un attimo quello che quello che gli intellettuali e i vaticanisti progressisti, martiniani e dossettiani lasciano intendere, e cioè che la rottura dell'unità della Chiesa sia avvenuta a causa delle idee anticonciliari dei lefebvriani, e non dell'ordinazione episcopale, sia vero. E quindi poniamo come criterio per essere scomunicati la difformità dai documenti del Vaticano II.

Sono così sicuri, questi Torquemada dei tempi moderni, che in un caso del genere loro uscirebbero indenni dalle grinfie della nuova Inquisizione «conciliarmente corretta»?

Ad esempio, sono così sicuri che la loro simpatia per la Messa pop, quella che in teoria avrebbe dovuto avvicinare gli uomini alla Chiesa e che invece ha allontanato i cristiani dalle chiese, trovi conferma nel dettato del Vaticano II? Ad esempio, ancora, sono sicuri che le loro aperture a tutto ciò che sa di moderno, anche in tema di famiglia, procreazione, sessualità abbia un qualche fondamento nelle Costituzioni conciliari? Perché si aggrappano ad ogni pie' sospinto allo «spirito del Concilio» e ne dimenticano la lettera?

Forse perché lo «spirito» lo si può immaginare come si vuole ed invece la «lettera» è stampata e lapidaria? Parafrasando il famoso detto latino, potremmo dire che per i più ferventi critici della decisione di Benedetto XVI valga la regola: «Spiritus volat, scripta manent». E, ovviamente, loro stanno dalla parte dello «spiritus».

Per fortuna loro, e grazie a Dio, non pioverà sul loro capo nessuna scomunica, perché il criterio adottato dalla Chiesa non è il loro criterio, tant'è vero che il Papa, prima della revoca, non ha chiesto ai vescovi lefebvriani alcun giuramento pubblico e formale di fedeltà al Concilio. Il criterio usato da Benedetto XVI è stato invece quello del perdono in funzione della piena unità tra le membra del corpo mistico di Cristo. E sorprende che intellettuali, commentatori e giornalisti che da sempre salutano, senza risparmiare l'entusiasmo e la retorica, le «aperture» dei predecessori di Ratzinger a chi sta fuori dalla Chiesa, oggi facciano il diavolo a quattro per una «apertura» ancora più grande, il cui frutto potrebbe essere la fine di uno scisma.

Forse perché si tratta di una «apertura» alla parte sbagliata, alla parte più «impresentabile» di coloro che sono extra Ecclesiam, alla parte che da quarant'anni neppure andrebbe nominata in ossequio al decoro teologico e all'«ecclesialmente corretto».

E' davvero un modo singolare di ragionare e di pensare la Chiesa, questo. Un modo settario e ideologico tanto quanto lo è quello dei lefebvriani. Con la differenza che questi ultimi vengono quotidianamente attaccati, criticati e «scomunicati» a mezzo stampa o tv, mentre i loro inquisitori godono di buona stampa, impazzano su giornali, radio e teleschermi senza che nessuno (o quasi) alzi la voce nei loro confronti.

Con l'aggravante che, mentre il superiore generale della San Pio X ha manifestato al pontefice la volontà di poter rientrare in comunione con Roma, esprimendo dolore per la divisione, loro tutto fanno fuorché mostrarsi dispiaciuti per le ricadute delle loro idee sul popolo credente e sull'opinione pubblica.

Papa Benedetto, uomo saggio e misericordioso, se ne sta fuori da questa contesa ed esercita su un altro piano la sua missione: non quello dell'affermazione di un'ideologia ecclesiale, di un proprio punto di vista, per quanto teologicamente geniale, ma quello della risposta alla missione assegnata da Gesù a San Pietro: riunire (e non dividere) il gregge di Cristo. E, se necessario, andare alla ricerca della pecora smarrita.

© Copyright Ragionpolitica, 31 gennaio 2009




Che dire... BRAVISSIMO!!!!! [SM=g8021] [SM=g8021] [SM=g8021] [SM=g8021] [SM=g8021] [SM=g8021] [SM=g8021] [SM=g8021] [SM=g8021]
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LEFEBVRIANI: MINISTRO ISRAELE MINACCIA ROTTURA CON VATICANO

Le dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano Richard Williamson potrebbero condurre ad una rottura dei rapporti diplomatici tra Israele ed il Vaticano.
Ad evocare questa possibilita' sul settimanale 'Der Spiegel' e' il ministro israeliano per le questioni religiose, Jizchak Cohen, il quale raccomanda di "interrompere completamente i rapporti con un'istituzione di cui fanno parte negazionisti dell'Olocausto ed antisemiti". In un'intervista al settimanale di Amburgo, il vice presidente della Comunita' ebraica tedesca, Salomon Korn, giudica la decisione del Papa di revocare la scomunica al vescovo Williamson "un ritorno ai secoli passati", per aver "reso presentabile un negazionista dell'Olocausto".
Korn giudica l'atto del Papa "imperdonabile", poiche' con esso Benedetto XVI "mette in discussione la riconciliazione con gli ebrei, portata avanti dal suo predecessore".
Durissimo anche il commento sulla revoca della scomunica a Williamson da parte di Israel Meir Lau, ex rabbino capo di Israele e sopravvissuto al campo di concentramento di Buchenwald. "Come puo' un tale negazionista - spiega - ottenere la protezione e la riabilitazione dal capo della Chiesa cattolica?".


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Paparatzifan, 31/01/2009 21.22:


LEFEBVRIANI: MINISTRO ISRAELE MINACCIA ROTTURA CON VATICANO

Le dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano Richard Williamson potrebbero condurre ad una rottura dei rapporti diplomatici tra Israele ed il Vaticano.
Ad evocare questa possibilita' sul settimanale 'Der Spiegel' e' il ministro israeliano per le questioni religiose, Jizchak Cohen, il quale raccomanda di "interrompere completamente i rapporti con un'istituzione di cui fanno parte negazionisti dell'Olocausto ed antisemiti". In un'intervista al settimanale di Amburgo, il vice presidente della Comunita' ebraica tedesca, Salomon Korn, giudica la decisione del Papa di revocare la scomunica al vescovo Williamson "un ritorno ai secoli passati", per aver "reso presentabile un negazionista dell'Olocausto".
Korn giudica l'atto del Papa "imperdonabile", poiche' con esso Benedetto XVI "mette in discussione la riconciliazione con gli ebrei, portata avanti dal suo predecessore".
Durissimo anche il commento sulla revoca della scomunica a Williamson da parte di Israel Meir Lau, ex rabbino capo di Israele e sopravvissuto al campo di concentramento di Buchenwald. "Come puo' un tale negazionista - spiega - ottenere la protezione e la riabilitazione dal capo della Chiesa cattolica?".






Ma avete capito o no qual'è la missione del Papa? [SM=g7629] [SM=g7629] [SM=g7629] [SM=g7629] [SM=g7629] E mi sono incavolata!!!! [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707]
Ve lo spiego: andare in cerca delle pecorelle perdute, appunto, in questo caso i lefevbriani! E voi, siete pure delle pecorelle perdute però vi rifiutate di accettare il Messia! Allora a cosa serve la riconciliazione con gli ebrei? Dobbiamo perdere i lefebvriani per farvi un piacere a voi?
[SM=g7629] [SM=g8115] [SM=g8115] [SM=g8115] [SM=g8115] [SM=g8115] [SM=g8115] [SM=g8115]

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Negatori della Shoah con artigli di carta

di Franco Cardini

Le esternazioni di monsignor Williamson, immediatamente stigmatizzate con fermezza sia dalla Santa Sede, sia dalla stessa comunità lefebvriana di cui egli fa parte, hanno ovviamente ricondotto in primo piano le polemiche relative ai cosiddetti «revisionismo» e «negazionismo».
Al riguardo, le voci che si sono levate sono state particolarmente severe. La deputata Fiamma Nirenstein ha affermato che «il negazionismo copre un antisemitismo genocida» che «non è più un vezzo da intellettuali, ma una minaccia guidata in primis dall’Iran di Ahmadinejad (che sta costruendo l’atomica)», e che «vuole distruggere il popolo ebraico» (in «Liberal» del 29.1). Da parte sua Gad Lerner ha chiamato in causa, a proposito di Williamson, l’intera Chiesa cattolica che si ostina a distinguere tra l’antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo nazista, sottolineando come il vescovo tradizionalista sia «il prodotto degenere di una corrente di pensiero più vasta» («la Repubblica», 29.1).
Sono solo due voci, che cito non solo perché appartengono a due ebrei, ma anche perché si tratta di miei vecchi amici personali. Dissento quindi da loro totalmente, ma cordialmente.

E noto con dispiacere che i cattolici hanno detto cose ancora più gravi e più inesatte, fino a giungere a conclusioni deliranti: un vescovo tedesco ha potuto spingersi fino ad accusare il collega Williamson di «blasfemia».

Ora, che un prelato esprima pareri storici impegnativi e lo faccia molto alla leggera, è un conto (difatti il Vaticano gli ha opportunamente imposto di tacere); che così facendo addirittura bestemmi, è comunque improponibile.
Voglio dire che non bisogna perdere la calma. Ormai da anni assistiamo a una pericolosa confusione di piani e di giudizi. Le parole «revisionismo» e «negazionismo» sono divenute due deterrenti, usando i quali si sono addirittura messi insieme personaggi molto eterogenei tra loro: quali Ernst Nolte, uno storico illustre; David Irving, personalità strana e inquietante ma studioso di valore e autore si ricerche apprezzate (attualmente è in prigione in Austria per un delitto d’opinione); e tipi come Robert Faurisson, che possono essere anche sospettati di monomanìa ma ha fatto sul sistema concentrazionario nazista rilievi interessanti, per quanto inquinati poi da una poco coerente assoluzione globale dell’hitlerismo dall’accusa di genocidio.
Ora, debbono esser chiare alcune cose.
Primo: la shoah è una realtà immensa, spaventosa e incontrovertibile, comprovata da documenti e testimonianze che possono senza dubbio venir riconsiderati e all’interno dei quali possono anche trovarsi errori e perfino falsificazioni, che tuttavia non sposterebbero praticamente di nulla le enormi responsabilità di chi tali delitti concepì e attuò e di chi ne fu esecutore o complice.
Secondo: la shoah può e dev’essere oggetto di studio attento e spregiudicato come qualunque altro avvenimento storico; e se nel corso delle ricerche avvenga d’imbattersi in errori, falsificazioni, valutazioni inesatte sul numero delle vittime o altro, è dovere degli studiosi segnalarlo e della società civile accogliere criticamente tali rilievi.
Terzo: dando per scontato che qualche fanatico antisemita possa travestirsi da studioso per screditare la causa ebraica o quella israeliana togliendo credito alla shoah, la comunità dei ricercatori professionisti ha tutti gli strumenti per smascherarlo.
Quarto: premesso il punto precedente, nessuno può essere autorizzato a istituire un processo alle intenzioni contro chi s’impegni nello studio della shoah dando per scontato che questo o quell’eventuale ridimensionamento di alcuni episodi che la riguardano sia frutto di disonestà e di preconcetto antisemitismo. Quinto: è inaccettabile, nonostante sia già accaduto in alcuni paesi, che si stabilisca per legge un’interpretazione «canonica» e «definitiva» della storia, dichiarando crimine qualunque deroga da essa; ciò corrisponde a un intollerabile attentato alla libertà di pensiero (in seguito a queste leggi aberranti si sono arrestati in Austria David Irving e in Germania non solo il sessantasettenne Ernst Zuendel, ma perfino la sua legale, avvocatessa Sylvia Stolz).

Ma a questo punto si profila una realtà allarmante. Lo si chiami come si vuole, ormai il «revisionismo» sta facendo breccia; cresce il numero di chi non osa ammetterlo, ma viene impressionato e turbato da certe argomentazioni. E sapete perché? Per il fatto che se ne perseguitano i sostenitori e che li si condanna senza dar loro il diritto di parlare e senza controbattere.

Ma in questo modo si crea nell’opinione pubblica la crescente sensazione che se ne abbia paura, e che essi stiano dicendo cose vere: e questo sì può costituire la premessa a una nuova ondata di pregiudizio antisemita.

Io credo che «revisionismo» e «negazionismo» siano tigri di carta.

A me non interessa che il vescovo Williamson subisca sanzioni o condanne. Desidero che mi dimostri quanto afferma con prove documentarie certe, se può. Lo faccia davanti a una commissione di esperti scelta con criteri sicuri. O taccia e si vergogni. Questo è il solo modo per cancellare per sempre i calunniatori della shoah. Israele e il mondo ebraico hanno tutto l’interesse a imporre questo confronto: che sarebbe, anche massmedialmente, un formidabile spettacolo. Che cosa stiamo aspettando?

© Copyright Gazzetta del Mezzogiorno, 31 gennaio 2009


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01/02/2009 17:36
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LEFEBVRE: "FAZ" DIFENDE IL PAPA

A difendere il Papa e' un fondo dell'edizione domenicale della 'Frankfurter Allgemeine Zeitung' in cui si avanza l'ipotesi di una campagna mediatica nei confronti di Benedetto XVI. Sotto il titolo "Der Grundzufriedene", 'perfettamente soddisfatto', il giornale di Francoforte scrive che le polemiche scatenate negli ultimi giorni "devono avere a che fare con il fatto che Joseph Ratzinger e' soprattutto questo: un cattolico profondamente soddisfatto.
Nell'Europa intellettuale questo atteggiamento e' piuttosto raro, ma se esiste, viene tenuto quasi sempre nascosto". Con una tale attitudine di Papa Ratzinger, sostiene la 'Faz', "si attira su di se' le frecce come San Sebastiano. Cattolico e anche soddisfatto di esserlo. Che provocazione".
La conclusione del giornale e' che "rileva che le affermazioni degne di maledizione di un emarginato come Williamson, che non e' ancora nemmeno accettato come vescovo, abbiamo prodotto una campagna contro il Papa e l'accusa di antisemitismo nei confronti della guida della Chiesa romana.
Drammatica enfatizzazione dei media o piccolo Kulturkampf*?

© Copyright AGI

*Il Kulturkampf (in italiano: battaglia culturale o, in un senso più aggressivo, battaglia di civiltà) è il nome con il quale fu definita la accesa lotta politica e culturale che vide coinvolti la Chiesa cattolica e gli Stati tedeschi nel periodo che va dalla fine del Concilio Vaticano I (1867-1870) ai primi decenni successivi alla fondazione dell’Impero tedesco (1871-1919). Più specificatamente, con il termine si riassume anche tutta la legislazione anticuriale e anticlericale posta in essere dal governo tedesco in quegli anni.


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