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L’atto d’accusa dello scrittore Vittorio Messori: “Dal mondo ebraico una inaccettabile ingerenza nelle vicende della Chiesa”



CITTA’ DEL VATICANO - "La revoca della scomunica e' un fatto interno alla Chiesa sul quale non riesco a capire perche' il mondo ebraico si senta in diritto di intervenire". Lo afferma in un'intervista al ‘Riformista’ Vittorio Messori, firma prestigiosa del ‘Corriere della Sera’ e coautore con Giovanni Paolo II di "Varcare le soglie della speranza" e con Joseph Ratzinger di "Rapporto sulla fede". "Mi appello - spiega Messori - ai principi del diritto internazionale secondo i quali ogni Stato e' sovrano al suo interno. Insomma, chiedo che ai cattolici venga lasciata la liberta' di lavorare in pace portando avanti le proprie azioni. Non mi sembra che il Vaticano si sia mai sentito in dovere di intervenire sulla nomina di un Gran Rabbino o su altre questioni interne al mondo ebraico. Sarebbe corretto, dunque, che gli ebrei avessero il medesimo atteggiamento nei confronti dei cattolici". Nell'intervista, Messori si sofferma poi sulle reazioni negative che si sono manifestate anche nel mondo cattolico al gesto di perdono compiuto ieri dal Papa ed anche sulla tiepidezza degli stessi perdonati, che ieri ringraziando il Pontefice hanno voluo ribadire le loro riserve sul Concilio. "I lefebvriani - ricorda l'editorialista del Corriere della Sera - sono un fenomeno tutto francese. Dietro i lefebvriani c'e' un intreccio di religione e politica che Ratzinger conosce bene ma che in Italia si fatica a comprendere appieno. Dietro c'e' la rivoluzione francese, la nostalgia monarchica, il gallicanesimo e il giansenismo. C'e' la legislazione religiosa di Petain, punto di riferimento dei lefebvriani. Insomma, e' un groviglio non affrontabile soltanto a livello teologico ma anche e soprattutto a livello di filosofia della storia. E' una visione delle cose, quella lefebvriana, una Veltanschaung, che poco ha a che vedere con quella cattolica". Per Messori, "il Papa adotta nei loro confronti una sorta di 'ecumenismo paziente'. Benedetto XVI e' buono e paziente. Conosce la storia dei lefebvriani e sa bene chi sono. Sa che, allo stesso modo della teologia della liberazione, anche la loro esperienza e' necessaria alla Chiesa: le ali estreme servono alla Chiesa perche' le permettono di rimanere nel centro, di continuare sulla strada dell''et-et'. E anche i lefebvriani conoscono bene Ratzinger e infatti lo temono". Tra l'altro, conclude lo scrittore cattolico, "fu proprio Ratzinger, quale consultore teologico del cardinale arcivescovo di Colonia Joseph Frings, a far si' che il Concilio andasse in altro modo. Ed e' principalmente questa l''onta' che i lefebvriani non hanno mai perdonato a Ratzinger. Questi era un conciliarista vero. Avverso all'ermeneutica dello Spirito del Concilio, ma aperto alle innovazioni portate dal Concilio stesso. E questa fedelta' al Vaticano II propria di Ratzinger e' invisa ai lefebvriani".


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