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Ultimo Aggiornamento: 19/10/2015 04:06
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Dal blog di Lella...

Scomuniche

Ecco il catalogo degli anti-papi CASO LEFEBVRE.

La Chiesa cattolica convive da sempre con le ferite interne al suo corpo: scismi e esclusione dalla comunione. Da Fidel Castro a Milingo, dai vetero-cattolici ai sedevacantisti. Un numero considerevole, nessun teologo della Liberazione.

di Paolo Rodari

Quando il 19 aprile del 2005 Joseph Ratzinger venne eletto Papa, la Chiesa cattolica come da secoli a questa parte, viveva al suo interno diversi scismi, tutti (eccezion fatta per quello dei lefebvriani, che sta rientrando, e che comunque è semplicemente uno dei tanti) oggi ancora esistenti.
Al di là delle spaccature tra Chiesa cattolica e mondo protestante, diversi sono gli scismi verificatisi su alcuni aspetti particolari del cattolicesimo.
Come parecchie sono le persone incappate nella scomunica: un esempio eclatante degli ultimi anni è quello di Fidel Castro (il 3 gennaio 1962 venne scomunicato da Giovanni XXIII in linea con un decreto del 1949 di Pio XII che vietava ai cattolici di appoggiare «la dottrina del comunismo materialista e anticristiano»).
Ma occorre puntualizzare: mentre tutti gli scismatici sono scomunicati, non tutte le scomuniche dipendono da uno scisma. Si può essere, infatti, scomunicati perché si pratica un aborto, perché si è responsabili di apostasia, di eresia o, appunto, di scisma.
Partendo dagli scismi, c'è, innanzitutto, quello del movimento vetero-cattolico dell'Unione di Utrecht.
Di origine giansenista e settecentesco, è nato attorno al rifiuto del Concilio Vaticano I e, in particolare, del dogma dell'infallibilità del Papa proclamato nel dicembre 1869. Vi aderiscono "Chiese nazionali" che affermano una propria specificità nazionale ed etnica e che rifiutano la direzione della Santa Sede.
Non sono stati soltanto i lefebvriani a rifiutare il Vaticano II. Un'attività scismatica di carattere anti-Vaticano II ha avuto inizio nelle vicende della cosiddetta Petite Église: si tratta di un gruppo di movimenti che rifiutano il concordato fra la Santa Sede e Napoleone I del 1801 e la conseguente riorganizzazione delle diocesi francesi. Dopo il 1801 sono nate in tutto circa quindici petites églises indipendenti in Francia e in Belgio. A onor del vero molte di queste sono rientrate in seno a Roma, seppure ancora oggi rimangano alcune branche a Lione (trecento fedeli), Borgogna (trecento), Belgio (centocinquanta), Poitou (tremila).
Più affine a quello dei lefebvriani è, invece, il caso Milingo.

Il noto arcivescovo esorcista è stato scomunicato recentemente per un motivo analogo a quello per il quale vennero scomunicati i lefebvriani nel 1988: Milingo, infatti, presiedette a Washington una illecita ordinazione vescovile di quattro sacerdoti sposati.

Poi vi sono alcuni gruppi più "integralisti" chiamati anche sedevacantisti. Questi considerano la sede di Roma "vacante". Non riconoscono la "legittimità" dei Pontefici, i quali l'avrebbero perduta accettando riforme inammissibili e allontanandosi dalla verità cattolica.
Fenomeni simili ve ne sono stati parecchi negli anni successivi al Vaticano II. A partire dal 1842 ci fu il caso del parroco piemontese Francesco Antonio Grignaschi che dalla Valle Anzasca al Monferrato, circondato da diverse veggenti, si proclama messia e nuovo Cristo. Nel XX secolo ci fu invece la "Chiesa di Voltago", sorta dopo la condanna nel 1950 di un'apparizione mariana e di una spiritualità mariano-millenaristica nata nell'arcidiocesi di Milano e dotatasi, nel corso della sua esistenza (circa dieci anni), di incarnazioni di Cristo, della Madonna e anche di un Pontefice.
Diverse anche le chiese fondate da cosiddetti anti-Papi: un esempio è la chiesa fondata da Michel-Auguste-Marie Collin, un sacerdote lorenese che ricette nel 1950 straordinarie rivelazioni in cui Dio stesso - a suo dire - gli conferì un'autorità pari a quella del Papa.
Alla morte di Papa Giovanni XXIII Collin si nominò Papa col nome di Clemente XV. Sempre nell'elenco dei cosiddetti anti-Papi c'è il vescovo vietnamita Pierre-Martin Ngô-Dinh Thuc. Questi, alle origini negli anni Settanta, ordinò oltre cento vescovi illecitamente. È morto recentemente dopo però essere rientrato in comunione con Roma.

© Copyright Il Riformista, 28 gennaio 2009


Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
03/02/2009 01:51
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“Testimoniare la carità confidando nella Grazia di Dio”. Così il Papa ai religiosi, nella Festa della Presentazione di Gesù al Tempio, XIII Giornata della vita consacrata


La ricchezza della missione apostolica di San Paolo e la vita consacrata ispirata ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Sono i cardini del discorso di Benedetto XVI al termine della Messa, in San Pietro, per la Festa della Presentazione di Gesù al Tempio, XIII Giornata della vita consacrata. A presiedere la liturgia eucaristica, incastonata nella ricorrenza dell’Anno Paolino, il cardinale Franc Rodè, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, il quale nell’indirizzo di omaggio al Papa, ha sottolineato che: la testimonianza di Paolo di Tarso è guida di speranza. Massimiliano Menichetti



**********
La Basilica di San Pietro avvolta dal buio spezzato dalle candele che gradatamente si sono accese dando inizio alla Liturgia della Luce, poi la processione e l’avvio della Celebrazione per la Festa della Presentazione di Gesù al Tempio. Benedetto XVI, nel saluto per la XIII Giornata della vita consacrata, ha chiesto ai religiosi e religiose presenti in Basilica di portare nella Chiesa e nel mondo la luce di Dio ed ha indicato come prezioso testimone della sequela in Cristo, Paolo di Tarso, l’Apostolo delle Genti.

"Che cos’è infatti la vita consacrata se non un’imitazione radicale di Gesù, una totale “sequela” di Lui? Ebbene, in tutto ciò Paolo rappresenta una mediazione pedagogica sicura: imitarlo nel seguire Gesù, carissimi, è via privilegiata per corrispondere fino in fondo alla vostra vocazione di speciale consacrazione nella Chiesa"


Articolando la sostanza della vita consacrata ispirata ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza il Papa ha rimarcato come in San Paolo, che “ha donato il cuore al Signore in maniera indivisa”, sia presente la totale gratuità e concreta solidarietà verso i fratelli nel bisogno e che “accogliendo la chiamata di Dio alla castità”, “per poter servire con ancor più grande libertà e dedizione”, “egli offre un sicuro riferimento di condotta”, così come l’obbedienza ne ha animato, plasmato e consumato l’intera esistenza. Centrale, ha detto il Papa, anche un “altro aspetto della vita consacrata di Paolo” la missione, perché” Egli è tutto di Gesù per essere, come Gesù, di tutti”:


"A lui, così strettamente unito alla persona di Cristo, riconosciamo una profonda capacità di coniugare vita spirituale e azione missionaria; in lui le due dimensioni si richiamano reciprocamente. E così, possiamo dire che egli appartiene a quella schiera di “mistici costruttori”, la cui esistenza è insieme contemplativa ed attiva, aperta su Dio e sui fratelli per svolgere un efficace servizio al Vangelo"

Il Papa ha poi evidenziato “il coraggio dell’Apostolo” “nell’affrontare prove terribili, fino al martirio” e la “fiducia incrollabile in Cristo” .

"La sua esperienza spirituale ci appare così come la traduzione vissuta del mistero pasquale, che egli ha intensamente investigato ed annunciato come forma di vita del cristiano. Paolo vive per, con e in Cristo. «Sono stato crocifisso con Cristo – egli scrive -, e non vivo più io, ma Cristo vive in me »; e ancora: «per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno"


Quindi l’invito ad alimentare quotidianamente la Parola di Cristo, meditandola e “facendone la radice d’ogni azione e il criterio primo d’ogni scelta” ed ha augurato che l’Anno Paolino alimenti il proposito di accogliere la testimonianza di san Paolo.


"Egli vi aiuti inoltre a realizzare il vostro servizio apostolico nella e con la Chiesa con uno spirito di comunione senza riserve, facendo dono agli altri dei propri carismi, e testimoniando in primo luogo il carisma più grande che è la carità"

E prima di impartire la Benedizione apostolica ha ricordato che il fulcro della Liturgia esorta a guardare alla Vergine Maria, la “Consacrata” per eccellenza.

www.radiovaticana.org

03/02/2009 01:51
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Il Cardinale Bertone incontrerà Zapatero a Madrid


Nella sua visita del 4 al 5 febbraio in Spagna





CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 2 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Incontri con i rappresentanti politici della Spagna, in particolare con il Primo ministro José Luis Rodríguez Zapatero e l'approfondimento sui diritti umani caratterizzano la visita del Cardinale Tarcisio Bertone in Spagna.

Il porporato sarà a Madrid mercoledì e giovedì prossimi, per il suo undicesimo viaggio internazionale come Segretario di Stato di Benedetto XVI, il secondo del 2009 dopo quello in Messico.

Secondo quanto confermato da "L'Osservatore Romano", il Cardinale è atteso nella mattina del 4 febbraio a Madrid, dove sono in programma incontri con il Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione Miguel Angel Moratinos, con il primo Vicepresidente del Governo María Teresa De la Vega, e con il Presidente del Governo Rodríguez Zapatero.

Alle 13 il pranzo con il re Juan Carlos, alla presenza del Principe ereditario Felipe, del Presidente del Governo e del Ministro degli Esteri. Nel pomeriggio il Cardinale Bertone incontrerà Mariano Rajoy, Presidente del Partito popolare e leader dell'opposizione.

La giornata di giovedì 5 sarà dedicata alla Chiesa spagnola che lo ha invitato per celebrare il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: alle ore 12 è infatti previsto un intervento del Segretario di Stato nella sede della Conferenza episcopale sul tema “I diritti umani nel magistero di Benedetto XVI”, al quale farà seguito il pranzo con i Vescovi del Paese nella sede della nunziatura apostolica.


03/02/2009 16:31
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Un calice e una lettera del Papa per l’intronizzazione di Kirill: “Cattolici e ortodossi continuino a cooperare”



CITTA’ DEL VATICANO - Benedetto XVI ha fatto giungere al nuovo Patriarca russo Kirill un calice prezioso come dono per la sua intronizzazione e un messaggio che auspica possano ulteriormente rafforzasi i rapporti di "reciproca accoglienza e stima tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa Cattolica, sulla scia di quanto costruito con il Patriarca Alessio II". Nel testo, il Papa e' esplicito nel rammentare come gia' in passato, nella veste di presidente del Dipartimento delle Relazioni esterne della Chiesa ortodossa, Kirill abbia "svolto un ruolo importante nel forgiare un rinnovato rapporto tra le nostre Chiese: un rapporto basato sull'amicizia, la reciproca accettazione e il sincero dialogo, capace di affrontare le difficolta' del nostro cammino comune". Dunque, prosegue il Pontefice nel messaggio, "mia fervida speranza e’ che continueremo a cooperare per trovare modi per promuovere e rafforzare la comunione nel Corpo di Cristo". Ma la lettera di Benedetto XVI si sofferma anche sul dialogo ecumenico costruito nei decenni precedenti. Il nostro "amato fratello di venerata memoria, Sua Santita' Alessio II", si legge nella missiva, "ha lasciato nel suo popolo una profonda e duratura eredita' ecclesiale di rinnovamento e di sviluppo", grazie alla quale egli riusci’ a condurre la Chiesa ortodossa "fuori dal lungo periodo di difficolta' e di sofferenza, sotto un sistema totalitario e ateo, verso una nuova, attiva presenza di servizio nella societa' odierna". Il Patriarca Alessio II, osserva ancora il Papa, "ha lavorato assiduamente per l'unita' della Chiesa ortodossa russa e per la comunione con le altre Chiese ortodosse", mantenendo "uno spirito di apertura e di cooperazione con gli altri cristiani, e con la Chiesa cattolica in particolare, per la difesa dei valori cristiani in Europa e nel mondo". Sono certo - conclude Benedetto XVI rivolgendosi al Patriarca Kirill - “che Vostra Santita' continuera' a costruire su questa solida base, per il bene del vostro popolo e per il bene dei cristiani in tutto il mondo".

03/02/2009 16:32
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Da Petrus

Il Cardinale Bertone scrive ai Vescovi cinesi: “Siate coraggiosi nel restare fedeli alla Chiesa di Roma”

CITTA’ DEL VATICANO - Una lettera a tutti i vescovi cinesi in comunione con Roma e' stata inviata dal segretario di Stato Tarcisio Bertone per incoraggiarli a mantenersi fedeli all'impegno assunto e cioe' a non lasciarsi condizionare dall'Associazione Patriottica, l'organismo che il regime cinese aveva promosso per farne una sorta di chiesa nazionale legata al Partito Comunista e indipendente dalla Santa Sede. La lettera, datata aprile 2008, e' stata recapitata a circa 90 vescovi, sia a quelli non riconosciuti dal Governo (i cosidetti "vescovi sotterranei") che a quelli ordinati pubblicamente con l'accordo della Santa Sede o comunque da essa regolatizzati dopo l'ordinazione, ed ha impiegato mesi per essere recapitata a tutti. Alcuni di loro, rivela AsiaNews, l'agenzia del Pontificio Istituto MissionI Estere, "l'hanno ricevuta solo nel dicembre 2008". Nel testo, il Cardinale Bertone sottolinea "i principi fondamentali della fede cattolica" e ricorda il valore della comunione dei vescovi col Papa e fra di loro. Per questo Bertone, a nome del Pontefice, domanda a tutti i prelati di "esprimere con coraggio il vostro ufficio di pastori", promuovendo la natura cattolica della Chiesa e cercando di ottenere maggiore liberta' di attivita' dalle autorita' civili attraverso un dialogo diretto e rispettoso. Il porporato, inoltre, spinge i vescovi ad "agire insieme", richiedendo il diritto di incontrarsi come gruppo e di poter discutere in liberta' dei loro problemi, senza interventi esterni. E infine suggerisce ai pastori di trovare "una posizione corretta da adottare" all'Associazione Patriottica e all'idea della Chiesa indipendente e auto-gestita il cui superamento aveva chiesto Benedetto XVI nella lettera del 2007 ai cattolici cinesi. La nuova missiva, per la prima volta suggerisce la possibilita' che vescovi ufficiali e sotterranei si incontrino insieme; essa pero' evita di suggerire un atteggiamento comune da tenere verso l'Ap e i comitati dei rappresentati dei cattolici. La Lettera del Papa afferma che essi sono contrari alla dottrina cattolica, ma non domanda ai vescovi ufficiali di uscirne. Secondo AsiaNews, "fino ad ora i vescovi ufficiali hanno cercato di ignorare le pressioni dell'Associazione Patriottica, ma con poco frutto; allo stesso tempo alcuni vescovi sotterranei hanno tentato di farsi riconoscere dal governo senza iscriversi all'Ap, ma nessun governo locale ha accettato, riaffermando la centralita' dell'Ap nella politica governativa verso le religioni. Il problema diviene ancora piu' urgente - afferma l'agenzia del Pime - perche' sono in preparazione degli incontri a livello nazionale per votare il nuovo presidente dell'Associazione patriottica e il presidente del Consiglio dei vescovi cinesi che e' una specie di conferenza episcopale, che raduna solo i vescovi ufficiali, non riconosciuta dalla Santa Sede. L'elezione delle due cariche dovrebbe tenersi nel Congresso nazionale dei rappresentanti cattolici. Esso dovrebbe avvenire in questo periodo, dato che le due cariche sono vacanti da tempo: il vescovo patriottico Michele Fu Tieshan, eletto presidente dell'Ap nel '98, e' morto nel 2007; Monsignor Giuseppe Liu Yuanren, vescovo patriottico di Nanchino, eletto presidente del Consiglio dei vescovi nel 2004, e' morto nel 2005. La campagna di controllo sui vescovi, il costringerli a tutta la serie di convegni e sessioni politiche, le celebrazioni per i 50 anni delle auto-elezioni e auto-ordinazioni dei vescovi cinesi promosse dal Fronte Unito e dall'Ap sono una preparazione a piegare ogni ostacolo da parte dei vescovi ufficiali e a sottometterli alle tradizionali strutture di controllo". Per AsiaNews che apertamente contesta la linea filogovernativa del nuovo vescovo di Pechino Giuseppe Li Shan e gli contrappone la coerenza del vescovo di Hong Kong, il Cardinale Zen Ze Kiun, "il timore di molti cattolici, ufficiali e sotterranei, e' che mancando indicazioni piu' precise ed incisive da parte della Santa Sede, i vescovi ufficiali si lascino trasportare dagli eventi e da interpretazioni personali sulla Lettera del Papa, giungendo a compromessi".

03/02/2009 16:32
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Cardinale Vallini: contro le violenze, le leggi non bastano


“La 'cultura della violenza' ha radici più profonde”






ROMA, martedì, 3 febbraio 2009 (ZENIT.org).- In merito agli stupri avvenuti nei giorni scorsi e alle conseguenti aggressioni nei confronti di cittadini romani, il Cardinale Agostino Vallini, Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, ha espresso “sconcerto” e “dolore” precisando però che le sole leggi non bastano.

“Desidero esprimere vicinanza cordiale e sincera solidarietà alla vittime innocenti e alle loro famiglie, che non manco di affidare nella preghiera al Signore, perché doni ai morti la pace eterna e ai feriti la grazia di recuperare la salute e la serenità”, ha detto il porporato.

“Il mio pensiero – ha poi continuato – va anche alla forze dell’ordine e alla magistratura che perseguono gli autori di questi atti delittuosi, difendono lo stato di diritto e i valori irrinunciabili di una convivenza pacifica, fondata anzitutto sul rispetto e la tutela di ogni persona umana”.

“Tuttavia la coercizione non basta – ha sottolineato –. Sono del parere che la sicurezza non può essere garantita solo dalle leggi, che sono necessarie. La 'cultura della violenza' ha radici più profonde”.

“Una malintesa concezione delle libertà individuali, il relativismo esasperato che giunge a negare anche i diritti naturali, l’affievolimento o la perdita dei valori spirituali, la martellante informazione di comportamenti negativi, il degrado sociale e la condizione marginale di tante persone anche immigrate, costituiscono un humus sociale pericoloso”, ha quindi spiegato.

Per questo, ha aggiunto, l' “emergenza educativa” richiamata in più occasione da Benedetto XVI “è un autorevole invito di cui far tesoro”.

“Auspico infine un rinnovato impegno delle famiglie, della scuola, delle istituzioni civili, della comunità ecclesiale per il superamento di questo delicato momento e il progresso della civiltà della giustizia e dell’amore”, ha quindi concluso.

Il 13 gennaio scorso il Cardinale Agostino Vallini si era già incontrato con il Sindaco della capitale Gianni Alemanno per discutere di temi come il welfare, la cultura e l’attenzione alle emergenze sociali, affrontando anche la questione della riqualificazione delle periferie e dei campi nomadi

In quella occasione, si lesse in un comunicato diramato al termine dell'incontro, “è stata ribadita di comune accordo la disponibilità per una piena collaborazione nel monitoraggio del territorio per intercettare tutti quei bisogni ai quali si può dare congiuntamente una risposta efficace e concreta basandosi sul principio di sussidiarietà”.

Intanto, il 29 gennaio scorso il Consiglio comunale straordinario sulla violenza sulle donne ha approvato all’unanimità la delibera dalla Commissione delle Elette che prevede la costituzione di parte civile del Comune di Roma nei procedimenti giudiziari connessi con tutti i reati sessuali sulle donne.

Per l'occasione sono state sviluppate delle strategie ad hoc per far fronte a questa emergenza, che nel 2008, secondo alcuni dati della Questura di Roma, ha registrato circa 220 vittime di stupro.

Si è detto, infatti, che sarà rinnovato il servizio “H 24 Donna” per le vittime di violenza, potenziato il numero dei centri anti-violenza attivi sul territorio e creati di nuovi in collaborazione con i municipi per un primo contatto, accoglienza, ospitalità, consulenza psicologica, legale e medica e reinserimento sociale delle vittime.

Si realizzeranno la Sala Sistema Roma e il numero verde “Sos degrado e sicurezza” previsti dal “Patto per Roma sicura” firmato nell’agosto scorso e si istituirà un nucleo operativo della Polizia Municipale per prevenire, controllare e reprimere i reati di questo tipo.

Si aumenterà la sorveglianza delle zone isolate e si creerà un tavolo permanente anti-violenza sulle donne. Saranno installate colonnine SOS e 5.000 nuovi punti luce per 6,5 milioni di euro (500 entro il 2009) nelle aree a rischio.

Per le donne che viaggiano sole di notte sono previste tariffe scontate del 10% sui taxi e sugli autobus possibilità di effettuare fermate vicino alla propria abitazione.

03/02/2009 16:33
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Gli istituti superiori cattolici, “apostolato della speranza”


Intervento dell'Arcivescovo Marchetto a Washington




di Roberta Sciamplicotti


WASHINGTON, D.C., martedì, 3 febbraio 2009 (ZENIT.org).- In una società caratterizzata da una profonda “crisi di speranza”, le università e gli istituti superiori cattolici possono dare un importante contributo illuminando di speranza il compito educativo.

Lo ha affermato l'Arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenendo sabato all’Incontro Nazionale dell’Associazione degli Istituti Superiori e delle Università Cattoliche (ACCU) degli Stati Uniti, svoltosi a Washington fino a questo lunedì.

Il presule ha affrontato il tema “Catholic Higher Education: Hopeful Leadership and Unimagined Challenges” sottolineando che la speranza “è più di un semplice dono di Dio, è l'incontro con il Dio vivente nella persona di Gesù Cristo”.

“Il suo oggetto non è un'illusione, ma una realtà che Dio ha destinato per noi, la comunione con Se stesso”.

Secondo monsignor Marchetto, la società attuale sta attraversando una “crisi di speranza” che ha la sua fonte in una “versione secolare della speranza” stessa.

“Si potrebbe dire che è caratterizzata da una forma di individualismo post-moderno, rafforzato da una rivoluzione globale e assai rapida della mobilità e della comunicazione”, ha osservato.

Alla base di questo fenomeno c'è “l'esaltazione della ragione contro la fede”, che porta a far sì che “il divino sia sostituito dal sé”.

“Questo credo nel 'progresso', diciamo così, è un sostituto illuministico secolarizzato della credenza cristiana nella venuta del Regno di Dio, presentandoci un tipo di 'escatologia darwiniana'”, ha constatato.

Nonostante tutto, il presule ritiene che si stia arrivando “in modo lento ma sicuro a riconoscere che non tutto è 'progresso'”.

“Questa concezione di 'progresso' è presente nel nostro sistema educativo? – ha chiesto monsignor Marchetto –. Crediamo nella speranza, con segnali di speranza? I nostri giovani sono incoraggiati a sperare, a sperimentare la vera speranza?”.

“Il pericolo fondamentale – ha confessato – è che se non possiamo instillare autentica speranza la situazione può portare all'opposto, cioè alla disperazione”.

Di fronte a questo, “anziché appoggiarsi all'ottimismo secolare e scambiarlo per la realtà, dobbiamo riscoprire il vero significato e il vero valore della speranza religiosa”.

La difficile situazione attuale, del resto, “si basa anche su una crisi della fede e dell'accettazione della verità, senza cui non può esserci vera speranza”.

Secondo monsignor Marchetto, “è chiaro che Papa Benedetto considera l'università all'avanguardia nella restaurazione di un senso di speranza, non solo nei giovani, ma nel mondo in generale”.

Per quanti sono impegnati nell'istruzione e nella formazione dei giovani, ha affermato, “è un'autentica chiamata a promuovere un rapporto vero e intimo con Colui che è non solo la fonte di ogni speranza, ma la Speranza stessa, e visto che è amore è anche verità”.

Riferendosi soprattutto alla pastorale per gli studenti stranieri, il presule ha sottolineato come nel mondo contemporaneo si confonda spesso la nozione di assistenza e di ospitalità con quella di accoglienza. Quest'ultima, ha osservato, non si limita a fornire “qualcosa che è meramente funzionale”, ma “mostra una mente aperta e una prontezza pratica” ed è “un dono, una carisma che viene dallo Spirito Santo”.

Un aspetto importante dell'accoglienza, ha sottolineato monsignor Marchetto, è il dialogo.

“L'internazionalizzazione delle nostre università, favorita da una nuova globalizzazione, fornisce chiaramente alla Chiesa le nuove 'opportunità' di ascoltare e condividere le esperienze spirituali dei credenti di altre religioni”.

L'accoglienza che porta al dialogo con chi professa altri credo, “soprattutto quello islamico”, può essere “uno dei grandi segni e delle grandi opere della speranza”, sostiene.

Ciò che serve, ha osservato, è “una convinta volontà di un vero dialogo interreligioso”, che si manifesta in tre modi: “apprendimento reciproco, condivisione degli elementi distintivi della religione, crescita nel credo personale”.

Allo stesso modo, tre sono anche le sfide proposte dal presule al termine del suo discorso: “come preparare gli studenti che si recano all'estero a comprendere le diverse culture dell'accoglienza e dell'assistenza e a rispondere in modo adeguato”, “come introdurre, se non esiste già, nelle istituzioni la questione 'immigrazione' soprattutto riflettendo la dottrina sociale cattolica” e “come poter collegare i carismi dei fondatori e delle fondatrici alla missione e all'identità cattolica nel campo della migrazione, soprattutto nel caso degli studenti stranieri”.

03/02/2009 16:33
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Arcivescovo Celli: Dio ha un ruolo nella sfera mediatica


DALLAS (Texas, Stati Uniti), martedì, 3 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Dio ha un ruolo nei media e la Chiesa dovrebbe evangelizzare le anime attraverso tutti i mezzi di comunicazione moderni, sostiene il presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

L'Arcivescovo Claudio Maria Celli lo ha affermato intervenendo venerdì sul tema “Il ruolo delle comunicazioni di massa nell'evangelizzazione” durante una conferenza promossa dalla New Evangelization of America.

Il presidente del dicastero vaticano ha parlato della natura interrelazionale del Dio Trinitario come base teologica per comprendere l'importanza della comunicazione, sottolineando che quest'ultima “non è solo un'altra attività della Chiesa, ma la vera essenza della sua vita”.

“La comunicazione della buona novella dell'amore di Dio per tutti gli uomini, come espressa nella vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo, è ciò che unifica e dà senso a tutti gli altri aspetti della vita della Chiesa”, ha osservato.

Secondo il presule, senza comunicazione non c'è evangelizzazione e i media che stanno emergendo dovrebbero essere usati a tale scopo. Per questo, ha rimarcato l'importanza di essere preparati a livello sia tecnico che culturale.

Due chiavi

L'Arcivescovo ha spiegato che “ci sono due dimensioni di questa necessaria attenzione culturale: in primo luogo è importante che il comunicatore o l'evangelizzatore conosca la cultura generale del proprio pubblico – conoscerne le preoccupazioni, le paure e le speranze; in secondo luogo, deve avere familiarità con le specifiche sfide culturali presentate dall'ambiente dei nuovi media quando i cambiamenti della tecnologia hanno provocato modifiche significative nei trend di consumo dei media stessi”.

Il presule ha quindi espresso la propria speranza nei confronti del contesto culturale, visto che gli uomini sono creati a immagine di Dio, indipendentemente dal fatto che lo riconoscano.

“Essendo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, è radicato nella natura umana il desiderio di essere amati e di amare. Questa intuizione mi dà una fiducia assoluta nel fatto che il messaggio centrale del Vangelo continuerà a risuonare nel cuore degli uomini”.

“La nostra missione – ha aggiunto – è portare la buona novella dell'infinito amore di Dio per tutti ai nostri fratelli e alle nostre sorelle come il più grande servizio che possiamo fare loro”.

“La nostra evangelizzazione non riguarda mai l'aumento dei nostri numeri o una maggiore influenza, ma si preoccupa di liberare la gente dai falsi dei che possono invadere la sua esistenza in modo semplice e furtivo”.

Una voce del coro

Il presidente del dicastero vaticano ha sottolineato la necessità di “far fronte alla cultura mediatica specifica che sta nascendo nel contesto dell'attuale rivoluzione delle tecnologie della comunicazione”.

Per questo, ha parlato della sfida della Chiesa di “considerare come cercherà di comunicare il suo messaggio nella nuova cultura delle comunicazioni che sta emergendo”.

La logica delle comunicazioni, ha continuato, “è stata radicalmente modificata: l'attenzione sui media è stata sostituita da una concentrazione sul pubblico, che è sempre più autonomo e deliberativo nel suo consumo mediatico”.

L'Arcivescovo ha ricordato la necessità di studiare i nuovi modelli sull'uso dei media, il loro effetto sul pubblico e lo sviluppo di forme dialogiche o interattive di “insegnamento e presentazione”.

Le comunità e i network, osserva, sono formati attraverso Internet e creano un “continente digitale” in cui “quasi un terzo dell'umanità” si riunisce per “cercare informazioni, esprimere i propri punti di vista e crescere nella comprensione”.

“Dio e la religione non sono esclusi da questa sfera mediatica, anzi, hanno entrambi un nuovo ruolo sociale al suo interno e sono argomenti di dibattito in una sorta di 'ricerca di senso' globale”.

“La Chiesa è parte di questo coro, una voce tra le altre, che proclama l'immagine di Dio che il Signore Gesù Cristo ha rivelato nel Vangelo”.

Una strategia perfezionata

L'Arcivescovo Celli ha riconosciuto la presenza della Chiesa in questo “continente” attraverso i siti Internet delle organizzazioni e delle Diocesi cattoliche, i blog di sacerdoti e religiose e varie altre pagine web.

“Dobbiamo sviluppare una presenza più strategica e integrata”, ha commentato. “Dobbiamo assicurare una presentazione più efficace, articolata e coesa della Buona Novella. Bisogna promuovere la comunione tra le migliaia di iniziative che stanno già emergendo”.

“Ognuno ha il suo carisma specifico, ma ciascuno è chiamato a riflettere la missione universale della Chiesa”, ha constatato.

A questo proposito, ha ricordato un nuovo progetto sviluppato con il Pontificio Consiglio: un database delle radio e delle televisioni cattoliche a livello di diffusione e produzione, Intermirifica.net.

“Si spera anche di ampliare il database includendo liste di podcast cattolici, agenzie di notizie, giornali e dipartimenti di comunicazione delle università cattoliche”.

L'Arcivescovo ha concluso il suo intervento portando ad esempio San Paolo, “il cui impegno nella proclamazione della Buona Novella a tutti i popoli lo ha portato non solo a viaggiare instancabilmente, ma anche a sforzarsi in modo disinteressato a capire quanti voleva evangelizzare”.

“L'impegno a raggiungere gli altri richiede la volontà di cambiare per essere più chiari e testimoni più autentici della fede che proclamiamo”.



03/02/2009 16:34
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Il cardinale Cordes: il digiuno quaresimale rifiuta l’idolatria del corpo. Il direttore del Pam, Sheeran: in questa Quaresima scegliamo un mondo libero dalla fame


Il messaggio del Papa per la Quaresima è stato presentato stamani alla Sala Stampa della Santa Sede. Alla conferenza di presentazione, moderata da padre Federico Lombardi, sono intervenuti, tra gli altri, il cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, e la signora Josette Sheeran, direttore esecutivo del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite. Il servizio di Alessandro Gisotti:


“La Quaresima offre al cristiano un percorso spirituale e pratico per esercitare senza tagli e riserve l’offerta di noi stessi a Dio”. E’ quanto sottolineato dal cardinale Cordes che ha aggiunto: nel suo Messaggio, Benedetto XVI ci ricorda “il nostro impegno ad aprire il cuore e la mano a chi è nel bisogno”. Esortazione, ha aggiunto, ancor più urgente oggi in un periodo di crisi economica globale:

“Non possiamo semplicemente arrenderci alla miseria degli uomini; per quanto possiamo dobbiamo apporvi rimedio”.


Il porporato si è così soffermato sul tema del digiuno, centrale in questo messaggio del Papa. Ai nostri giorni, ha rilevato, si è diffusa una cura del corpo che rischia di diventare idolatria. Alcune statistiche sul mercato del “wellness”, del benessere, stanno lì a dimostrarlo:

“Il corpo insiste sempre più sui suoi diritti. Ma il suo desiderio di benessere e piacere forse riduce la libertà e non potrà poi più essere gestito dalla volontà dell’uomo. Il corpo diventa un tiranno”.

Il Messaggio quaresimale, ha spiegato, “si trova senza dubbio in una certa contraddizione” con questo trend sociale. Le parole del Papa sulla rinuncia, ha rilevato il cardinale Cordes, “ad un primo sguardo non favoriscono le inclinazioni profonde dell’uomo. Tuttavia mirano al suo bene”. Il capo dicastero ha così rammentato che anche in altre religioni, come il buddismo e l’Islam, il digiuno ha un ruolo fondamentale. Ma, ha spiegato, “la motivazione che induce le due religioni al digiuno è la lotta contro il potere della materia sull’uomo”:

"Il digiuno ha dunque una colorazione negativa; si tratta di liberarci dal peso che le cose create caricano su di noi. Ciò rischia però di isolare l’uomo, e dunque di chiuderlo e di ripiegarlo su se stesso. Per il cristiano invece il desiderio mistico non è mai la discesa nel proprio sé, ma la discesa nella profondità della fede, dove incontra Dio".

La parola del Papa, ha detto ancora, non vuole semplicemente aggiungere un’altra iniziativa umanitaria a quelle dei nostri giorni. Il digiuno deve avere per i fedeli un significato cristiano, “deve fare spazio per l’offerta di sé a Dio, poiché solo Lui è, in fin dei conti, la felicità a cui aneliamo”. Dal canto suo la signora Sheeran ha ringraziato il Papa per il sostegno che la Chiesa dà alle attività del Programma Alimentare Mondiale:

"I met Pope Benedikt XVI and was deeply moved…"
“Ho incontrato Papa Benedetto XVI – ha detto il direttore del Pam – e sono stata profondamente commossa dal suo impegno e compassione per gli affamati del mondo”. L’incoraggiamento del Papa al digiuno, ha aggiunto, “ci aiuta anche a ricordare che la fame è in crescita ovunque”. Ed ha riferito un dato drammatico: oggi, un bambino muore di fame ogni sei secondi. Ha così passato in rassegna una serie di progetti in diversi Paesi, dall’Afghanistan al Senegal, a Gaza dove il Pam sta combattendo contro la piaga della fame. Ed ha ricordato che l’agenzia dell’Onu lavora con le Caritas locali nelle diocesi di 40 Paesi. Quindi ha spronato i governi nazionali ad impegnarsi di più:

At this time of trillion dollar financial rescue…
“In questa fase di misure di salvataggio finanziario da trilioni di dollari – è stato il suo richiamo – abbiamo bisogno di un salvataggio umano per combattere la fame”. In questa Quaresima, ha concluso, “scegliamo un mondo libero dalla fame”.


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03/02/2009 16:35
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Messaggio per la Quaresima. Il Papa invita a riscoprire il vero digiuno cristiano che apre a Dio e al prossimo: quanto si toglie a sé stessi si dia ai poveri


Il vero digiuno è finalizzato a non vivere più per se stessi ma ad aprire il cuore a Dio e al prossimo: è quanto afferma Benedetto XVI nel Messaggio per la Quaresima di quest’anno in cui invita a riscoprire questa antica pratica penitenziale. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il Papa esorta a riscoprire il valore e le ragioni profonde del digiuno cristiano. Non si tratta di una pratica moralistica, l’osservanza scrupolosa di una legge religiosa, con il cuore lontano da Dio, come facevano i farisei. Né si tratta di “una misura terapeutica per la cura del proprio corpo”, come impone una certa cultura “segnata dalla ricerca del benessere materiale”. “Digiunare – afferma il Papa - giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una ‘terapia’ per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio”. Infatti, come dice Gesù “rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati nel deserto … ‘non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’ (Mt 4,4). Il vero digiuno è dunque finalizzato a mangiare il ‘vero cibo’, che è fare la volontà del Padre”. Il digiuno del corpo si trasforma in “fame e sete di Dio”. E’ una forma di ascesi che aiuta “ad evitare il peccato e a crescere nell’intimità con il Signore” come indicava Sant’Agostino, “che ben conosceva le proprie inclinazioni negative” che definiva “nodo tortuoso e aggrovigliato”. Questa pratica ascetica diventa “un’arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali – sottolinea Benedetto XVI - aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d'origine, i cui effetti negativi investono l'intera personalità umana”. E’ quindi un invito alla sobrietà, come esorta un antico inno liturgico quaresimale: “Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti". Una forma di mortificazione del proprio egoismo che, nutrita di preghiera e seguita dall’elemosina, apre il cuore all’amore di Dio e del prossimo. Infatti, il digiuno non è fine sé stesso: è scegliere “liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri”. Così – rileva il Papa - “mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo”. Di qui l’appello alle parrocchie e alle comunità ecclesiali a “mantenere vivo” l’atteggiamento di “accoglienza e di attenzione verso i fratelli” promuovendo “speciali collette” in Quaresima, per dare ai poveri quanto è stato messo da parte grazie al digiuno.



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Dal blog di Lella...

LE IRONIE SUL PONTEFICE

La Littizzetto fa infuriare la Santa Sede

Nei Sacri Palazzi la «piega laicista» del servizio pubblico viene tenuta d’occhio nel momento di transizione delle nomine imminenti

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’ DEL VATICANO

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata, domenica sera, il monologo anti-Papa di Luciana Littizzetto a «Che tempo che fa», il programma di Rai 3 condotto da Fabio Fazio. Nei Sacri Palazzi la «piega laicista» del servizio pubblico viene tenuta d’occhio nel momento di transizione delle imminenti nomine e si auspica velatamente che la scelta per la poltrona-chiave di direttore generale cada su una «figura di garanzia» come Lorenza Lei, ex responsabile di Rai Giubileo. Nei prossimi giorni i media vaticani torneranno sulla funzione formativa della tv, intanto fa discutere l’attacco della Littizzetto a Benedetto XVI per la revoca della scomunica al vescovo negazionista Williamson.

«Come si fa a rimettere in circolazione un matto, uno totalmente fulminato che, malgrado tutte le prove e le testimonianze, nega l’Olocausto e poi mi dice di credere al Paradiso? - si è chiesta l’attrice. Ma non avete già perso abbastanza pecorelle per mettervi i lupi in casa? Tra un po’ restate solo voi. Dopo i musulmani, i gay, gli ebrei, Galileo, gli zingari, quali altre minoranze volete ancora perdere? Le pecorelle dovete ritrovarle, non smarrirle. Poi vi lamentate se le vocazioni dovete andarvele a cercare in Congo e tra le foche monache, che tanto sono già del ramo».

© Copyright La Stampa, 3 febbraio 2009


Simpatica l'attricetta...
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Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
04/02/2009 02:18
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Da Petrus

Cei, conferenza stampa di Monsignor Crociata: “Non ridurre i diritti degli immigrati, sì alle moschee”




CITTA’ DEL VATICANO - I vescovi italiani non vogliono entrare nel merito del decreto sulla sicurezza in discussione in Parlamento, ma ritengono che i diritti degli immigrati, a partire da quello del culto religioso ed anche della costruzione di nuove moschee, non possano essere ridotti per ''esigenze sociali''. A spiegare la posizione dell'episcopato italiano, e' stato il segretario generale della Cei, Monsignor Mariano Crociata (nella foto), che, in una conferenza stampa a Roma, ha condannato le aggressioni brutali di stranieri, frutto a suo avviso '' piu' del vuoto di valori'' e del ''malessere sociale'' che di una crescita della xenofobia in Italia. Nell'incontro con i giornalisti, a conclusione dei lavori del Consiglio episcopale permanente, il presule ha confermato la decisione dei vescovi di stanziare un fondo straordinario per aiutare le famiglie che si trovano sulla linea di confine della poverta' e che ora, con la crisi economica, non riescono piu' andare avanti se hanno un mutuo da pagare, anziani da accudire o disoccupati in casa. Tale fondo, da costruire tramite collette in tutta Italia, andra' ad aggiungersi al sostegno della Caritas e della Chiesa cattolica agli indigenti e alle iniziative di solidarieta' delle diocesi e della parrocchie. I termini organizzativi e le somme verranno definiti - ha spiegato Monsignor Crociata - nel prossimo Consiglio Permanente della Cei, prima dell'Assemblea generale di maggio. Sul fronte dell'immigrazione, il presule ha sottolineato come ci sia l'esigenza di coniugare ''accoglienza e legalita' ''. ''L'accoglienza - ha detto - deve avvenire nel rispetto delle leggi e della vita sociale e nazionale''. Tuttavia, ha precisato, ''l'accoglienza non puo' essere mai ridotta''. ''Una volta nel nostro territorio nazionale - ha aggiunto - gli immigrati sono persone da accogliere e i cui diritti fondamentali vanno difesi e rispettati''. Tra questi diritti vi e', ha indicato, ''la liberta' religiosa''. Rispondendo a una domanda sulla possibilita' di costruire nuove moschee in Italia, Monsignor Crociata, senza esitazioni, ha difeso il diritto ''a professare il proprio culto nelle forme che l'ordinamento democratico e costituzionale italiano prevede''. Tutto cio', ha specificato, in maniera ''proporzionata alle esigenze quantitative e qualitative'' di chi chiede la costruzione di nuovi luoghi sacri. Monsignor Crociata, alla sua prima conferenza stampa come segretario della Cei (ha sostituito Monsignor Giuseppe Betori, ora Arcivescovo di Firenze, ndr), ha evitato, con abilita', di farsi coinvolgere in domande troppo ''politiche'', come quella sulla riforma elettorale e lo sbarramento al 4%. Si e' limitato, dunque, ed esortare le forze politiche, di maggioranza e dell'opposizione, a ricercare un clima di collaborazione di fronte alla drammaticita' della crisi economica e delle sfide sociali e culturali.

04/02/2009 16:09
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Nota della Segreteria di Stato sulla revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità San Pio X e sulle dichiarazioni negazioniste di mons. Williamson


A seguito delle reazioni suscitate dal recente Decreto della Congregazione per i Vescovi, con cui si rimette la scomunica ai quattro presuli della Fraternità San Pio X, e in relazione alle dichiarazioni negazioniste o riduzioniste della Shoah da parte del vescovo Williamson della medesima Fraternità, la Segreteria di Stato ha diffuso una nota in merito. Ce ne parla Sergio Centofanti:

“Il Decreto della Congregazione per i Vescovi, datato 21 gennaio 2009 – sottolinea la nota - è stato un atto con cui il Santo Padre veniva benignamente incontro a reiterate richieste da parte del Superiore Generale della Fraternità San Pio X”. Il Papa “ha voluto togliere un impedimento che pregiudicava l’apertura di una porta al dialogo. Egli ora si attende che uguale disponibilità venga espressa dai quattro vescovi in totale adesione alla dottrina e alla disciplina della Chiesa. La gravissima pena della scomunica latae sententiae, in cui detti vescovi erano incorsi il 30 giugno 1988, dichiarata poi formalmente il 1° luglio dello stesso anno, era una conseguenza della loro ordinazione illegittima da parte di mons. Marcel Lefebvre. Lo scioglimento dalla scomunica – prosegue la Segreteria di Stato - ha liberato i quattro vescovi da una pena canonica gravissima, ma non ha cambiato la situazione giuridica della Fraternità San Pio X, che, al momento attuale, non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa Cattolica. Anche i quattro vescovi, benché sciolti dalla scomunica, non hanno una funzione canonica nella Chiesa e non esercitano lecitamente un ministero in essa”.


“Per un futuro riconoscimento della Fraternità San Pio X – aggiunge la nota - è condizione indispensabile il pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI. Come è già stato affermato nel Decreto del 21 gennaio 2009, la Santa Sede non mancherà, nei modi giudicati opportuni, di approfondire con gli interessati le questioni ancora aperte, così da poter giungere ad una piena e soddisfacente soluzione dei problemi che hanno dato origine a questa dolorosa frattura”.


Per quanto riguarda “le posizioni di mons. Williamson sulla Shoah” la nota afferma che “sono assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre, come Egli stesso ha rimarcato il 28 gennaio scorso quando, riferendosi a quell’efferato genocidio, ha ribadito la Sua piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza, e ha affermato che la memoria di quel terribile genocidio deve indurre ‘l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo’, aggiungendo che la Shoah resta ‘per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti’. Il Vescovo Williamson, per una ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa dovrà anche prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue posizioni riguardanti la Shoah, non conosciute dal Santo Padre nel momento della remissione della scomunica”.


“Il Santo Padre – conclude la nota della Segreteria di Stato - chiede l’accompagnamento della preghiera di tutti i fedeli, affinché il Signore illumini il cammino della Chiesa. Cresca l’impegno dei Pastori e di tutti i fedeli a sostegno della delicata e gravosa missione del Successore dell’Apostolo Pietro quale ‘custode dell’unità’ nella Chiesa”.


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Benedetto XVI conclude il ciclo di catechesi su San Paolo. Appello per lo Sri Lanka: si rispetti il diritto umanitario per i civili coinvolti nel conflitto


San Paolo è un “esempio apostolico” al quale attingere per il “ringiovanimento” della Chiesa e i suoi insegnamenti sono particolarmente preziosi anche in chiave ecumenica. Benedetto XVI ha concluso con queste considerazioni l’ultima udienza generale dedicata all’Apostolo delle Genti. Ma davanti alle migliaia di fedeli in Aula Paolo VI, il Papa ha anche levato un forte appello in favore dello Sri Lanka, invocando la pace e il rispetto del diritto umanitario per i civili coinvolti nel violento conflitto in corso nel Paese asiatico. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Venti catechesi - la prima il 2 luglio 2008 - per raccontare San Paolo, la sua umanità e la sua anima. E l’ultima pagina che Benedetto XVI presenta ai fedeli è il martirio dell’Apostolo, dove la fine è davvero un inizio e la figura di San Paolo, constata il Papa, “grandeggia ben al di là della sua vita e della sua morte”, arrivando a ispirare altri giganti della Chiesa, da Sant’Agostino a San Tommaso:


“Egli infatti ha lasciato una straordinaria eredità spirituale (...) E’ ovvio che i Padri della Chiesa e poi tutti i teologi si sono nutriti delle Lettere di san Paolo e della sua spiritualità. Egli è così rimasto nei secoli, fino ad oggi, il vero maestro e Apostolo delle genti”.


La prima testimonianza sulla fine di San Paolo, ha spiegato Benedetto XVI, risale alla fine del primo secolo, all’incirca 30 anni dopo la morte dell’Apostolo ad opera del vescovo di Roma, Clemente, che accenna al sacrificio di Paolo e a quello, successivo, di Pietro. Analogamente Eusebio di Cesarea, nel IV secolo, cita i “trofei” dei due apostoli, cioè i monumenti sepolcrali che ancora oggi, ha detto il Pontefice, “veneriamo dopo due millenni negli stessi luoghi”: in Vaticano per San Pietro e nella Basilica sulla Via Ostiense per San Paolo:


“È interessante rilevare che i due grandi Apostoli sono menzionati insieme. Anche se nessuna fonte antica parla di un loro contemporaneo ministero a Roma, la successiva coscienza cristiana, sulla base del loro comune seppellimento nella capitale dell'impero, li assocerà anche come fondatori della Chiesa di Roma”.


La descrizione del martirio paolino, ha proseguito Benedetto XVI, si trova negli “Atti di Paolo”. Il documento è del II secolo e attribuisce all’imperatore Nerone la sentenza di morte per decapitazione, avvenuta secondo la tradizione alle Acquae Salviae sulla Via Laurentina, oggi conosciuta con il nome di “Tre Fontane”. Scomparso l’Apostolo, resta immortale il suo insegnamento, come dimostra - ha osservato il Papa - l’immediata influenza che le sue Lettere ebbero nella prima comunità cristiana:


“Importante è constatare soprattutto che ben presto le Lettere di san Paolo entrano nella liturgia, dove la struttura profeta-apostolo-Vangelo è determinante per la forma della liturgia della Parola. Così, grazie a questa 'presenza' nella liturgia della Chiesa, il pensiero dell’Apostolo diventa da subito nutrimento spirituale dei fedeli di tutti i tempi”.


Un grande studioso di Paolo fu Lutero. La sua interpretazione degli scritti paolini, poi corretta dal Concilio di Trento, è alla base della spiritualità protestante. In proposito, Benedetto XVI ha riscontrato un aspetto importante per la vita della Chiesa:


“Nel progresso dell'esegesi, soprattutto negli ultimi duecento anni, crescono anche le convergenze tra esegesi cattolica ed esegesi protestante realizzando così un notevole consenso proprio nel punto che fu all’origine del massimo dissenso storico. Quindi una grande speranza per la causa dell'ecumenismo, così centrale per il Concilio Vaticano II”.

“In buona sostanza”, ha terminato il Papa, ricordando i numerosi movimenti religiosi sorti negli ultimi secoli che si rifanno al nome di Paolo:


“In buona sostanza, resta luminosa davanti a noi la figura di un apostolo e di un pensatore cristiano estremamente fecondo e profondo, dal cui accostamento ciascuno può trarre giovamento (...) Attingere a lui, tanto al suo esempio apostolico quanto alla sua dottrina, sarà quindi uno stimolo, se non una garanzia, per il consolidamento dell’identità cristiana di ciascuno di noi e per il ringiovanimento dell’intera Chiesa”.

L’udienza generale è stata conclusa con una pubblica manifestazione di preoccupazione di Benedetto XVI per il conflitto in Sri Lanka, entrato da giorni in quella che appare la sanguinosa stretta finale. Il Papa ha chiesto il silenzio delle armi e una nuova riconciliazione, insieme con il rispetto del diritto umanitario:


“Le notizie dell’incrudelirsi del conflitto e del crescente numero di vittime innocenti mi inducono a rivolgere un pressante appello ai combattenti affinché rispettino il diritto umanitario e la libertà di movimento della popolazione, facciano il possibile per garantire l’assistenza ai feriti e la sicurezza dei civili e consentano il soddisfacimento delle loro urgenti necessità alimentari e mediche. La Vergine Santa di Matuu, molto venerata dai cattolici ed anche dagli appartenenti ad altre religioni, affretti il giorno della pace e della riconciliazione in quel caro Paese”.



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Il Patriarca Kirill auspica un maggiore dialogo con i cattolici



MOSCA, mercoledì, 4 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, successore di Alessio II, spera in un maggiore dialogo tra la Chiesa ortodossa russa e quella cattolica romana.

Incontrando lunedì la delegazione cattolica ufficiale che ha partecipato alla cerimonia della sua intronizzazione, avvenuta il 1° febbraio, il Patriarca ha “espresso la speranza che i rapporti tra le due Chiese si sviluppino ulteriormente in un'atmosfera di fiducia e cooperazione reciproca, in primo luogo nel difendere e affermare i valori cristiani tradizionali in Europa e nel mondo”, ha reso noto il sito web del Patriarcato di Mosca, come riporta l'agenzia russa Interfax.


Secondo il Patriarca, il fatto che le posizioni di cattolici e ortodossi concordino su molti aspetti della vita della società attuale potrebbe rappresentare un'ottima base per questa interazione.

La delegazione cattolica era composta dal Cardinale Water Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, dal segretario del dicastero, monsignor Brian Farrell, L.C., da monsignor Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa, da monsignor Paolo Pezzi, Arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, e dal sacerdote gesuita Milan Žust.

Il Cardinale Kasper ha consegnato al nuovo Patriarca un messaggio di Benedetto XVI nel quale il Papa sottolinea il ruolo di Kirill – a lungo presidente del Dipartimento per le Relazioni Esterne del Patriarcato – nel “forgiare un nuovo rapporto tra le nostre Chiese, una relazione basata sull'amicizia, l'accettazione reciproca e il dialogo sincero” e confessa di nutrire “grandi speranze” nel fatto che le due Chiese continueranno “a cooperare per trovare modi per promuovere e rafforzare la comunione nel Corpo di Cristo”.

Il porporato ha offerto al Patriarca anche un dono del Papa, una calice come simbolo del desiderio di raggiungere la piena comunione.

Improbabile l'incontro nel 2009

Secondo il Patriarcato di Mosca, è improbabile che durante il 2009 avvenga l'incontro tra Benedetto XVI e Kirill auspicato da più parti.

“E' possibile raggiungere un accordo [tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica romana], ma ci vorrà del tempo”, ha affermato all'emittente radiofonica Finam l'Arciprete Vsevolod Chaplin, viceresponsabile del Dipartimento per le Relazioni Esterne.

L'Arciprete ha affermato di non aver mai “escluso questo incontro”, perché non ci sono “ostacoli di principio”, ma ha confessato che i fedeli ortodossi provano “dolore e preoccupazione” per l'attività missionaria della Chiesa cattolica.

“Il Patriarca, come il Papa, mette al primo posto non i sentimenti umani ma la preservazione del credo, dell'unità e della pace nella sua Chiesa”, ha aggiunto.

Per questo, precisa, il potere di Kirill, “nonostante la sua proiezione esterna, è ristretto da una serie di fattori, in primo luogo l'opinione dei fedeli, del clero e dei Vescovi”.

Tre incontri

Il Metropolita Kirill di Smolensk e Kaliningrad e Papa Benedetto XVI si sono incontrati tre volte, la prima delle quali il 25 aprile 2005, il giorno dopo la Messa di insediamento del Pontefice. In quell'occasione, Kirill ha sottolineato la necessità di cooperazione da parte delle due Chiese per difendere i valori cristiani nell'Europa attuale.

Il 18 maggio 2006 Kirill si è recato a Roma per benedire la nuova chiesa del Patriarcato di Mosca, situata poco lontano dalla Basilica di San Pietro. Dopo aver incontrato Benedetto XVI, ha affermato di aver avuto con lui “una conversazione molto importante sulle prospettive dello sviluppo delle nostre relazioni” e che è giunto “il momento per le nostre Chiese di lavorare insieme, in primo luogo per conservare il cristianesimo in Europa”.

L'ultimo incontro è del 7 dicembre 2007, quando Kirill ha visitato nuovamente il Vaticano.

04/02/2009 16:11
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Nelle librerie la Bibbia, Edizioni San Paolo, con la nuova versione ufficilae della Cei. Intervista con mons. Ravasi


E’ nelle librerie “La Bibbia Via, Verità e Vita”, Edizioni San Paolo, che presenta il testo delle Sacre Scritture nella nuova versione ufficiale della Conferenza episcopale italiana. L’opera, oltre alle correzioni del testo precedente del 1974, contiene anche un accuratissimo apparato di note e spiegazioni. A firmare l’introduzione generale e a supervisionare il lavoro sull’Antico Testamento è stato l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. La parte dell’introduzione e delle note al Nuovo Testamento è stata invece curata da mons. Bruno Maggioni, docente alla Facoltà teologica di Milano e all’Università Cattolica. Su questa nuova opera Fabio Colagrande ha intervistato lo stesso mons. Ravasi:

R. - La Bibbia è sempre quella. Nella sua matrice, però ha bisogno di almeno due sussidi fondamentali che l’accompagnano: da un lato ha bisogno, innanzitutto, della traduzione. Sembra una banalità, ma la traduzione è una cosa fondamentale, dato che non tutti riescono a leggere l’originale nelle tre lingue fondamentali – che sono l’ebraico, il greco, soprattutto per il Nuovo Testamento, e poi la piccola parte in aramaico -; quindi, la traduzione dev’essere ininterrottamente rifatta, perché la lingua muta, ed anche perché non si può soltanto trasferire materialmente un testo da una lingua all’altra, bisogna anche riuscire a renderne – come si suol dire – “l’equivalenza formale”, cioè anche il contenuto in maniera corretta. Dall’altra parte, però, dobbiamo anche ricordare che esiste un altro sussidio fondamentale, che è quello della tradizione; io intendo tradizione nel senso più lato del termine, non solo la traduzione ma anche la tradizione, cioè l’interpretazione del testo. E l’interpretazione vuol dire, prima di tutto, risalire alle origini per riuscire a capirne i contenuti fondamentali, e dall’altra parte dall’origine venire alla periferia – cioè ai nostri giorni – per trasmettere quel messaggio, in modo comprensibile, all’uomo di oggi, ma anche, per il credente, perché esso sia lampada per i suoi passi nel cammino della vita. E’ per questo che la tradizione ha anche una dimensione ecclesiale.


D. – Ci sono alcune nuove traduzioni di passi celebri della Bibbia che meritano di essere citate…


R. – Se prendiamo come punto di riferimento il testo attuale, la traduzione ufficiale della Conferenza episcopale italiana - che viene adottato un po’ da tutte le nuove Bibbie che vengono presentate, coi nuovi commenti - possiamo far notare che sono state considerate soprattutto due dimensioni, due aspetti. Innanzitutto, da un lato si è cercato di rendere stilisticamente più fluido il testo, si è cercato in qualche caso di adottare una traduzione che fosse letterale quando e se necessaria, in altri casi un po’ più libera per rendere meglio il valore; si è anche però operato in modo tale da correggere alcune imperfezioni che avevano le edizioni precedenti, anche ritoccare – coi contributi dell’esegesi – alcuni punti significativi. Faccio solo un esempio, ribadito spessissimo: noi lasciamo ancora il Padre Nostro, nella liturgia, nella sua formula tradizionale, e quindi abbiamo ancora quell’espressione che tante volte suscita qualche difficoltà, “non ci indurre in tentazione”. Ora, la nuova versione della Cei ha, per esempio, “non abbandonarci nella tentazione”, che alla fine è il significato più profondo dell’espressione, anche se letteralmente la traduzione “non ci indurre in tentazione” è corretta.


D. – Questa nuova edizione della Bibbia ha anche un apparato di note, di spiegazioni e di commenti al testo…


R. – La Bibbia che è stata proposta adesso dalle Edizioni San Paolo ha avuto un titolo sulla base di una celebre frase del Vangelo di Giovanni, pronunciata da Cristo, “Io sono la Via, la Verità e la Vita”, e le dimensioni sono appunto queste tre: la via, innanzitutto, sarebbero le note di tipo teologico-pastorale, che indicano il significato profondo – magari di un brano -, il suo incidere anche nell’interno dell’esistenza quotidiana del credente, o comunque anche nell’interno della cultura. Il secondo termine, verità, sono le note più specificamente esegetiche, cioè che cercano di spiegare il senso originario del testo, soprattutto in alcuni nodi piuttosto ardui per l’espressione semitica usata per la concezione che è presente nel testo biblico, dato appunto che la rivelazione biblica è una rivelazione storica – quindi legata ad una cultura, a un tempo, ad un linguaggio, a uno spazio, ad espressioni che sono datate anche. Terzo elemento è vita: si indica come vita la liturgia. E difatti ci sono delle note che ricordano che alcuni testi – molti testi biblici – vengono letti anche nella liturgia, dove acquistano un colore ed un sapore differente; per esempio, pensiamo la grande sapienza divina che è celebrata nella Bibbia – e che è la sapienza di Dio – diventa, nella teologia, anche la rappresentazione del Cristo stesso, Verbo di Dio, la sapienza di Dio incarnata. Però diventa, nella liturgia, ad esempio, la celebrazione di Maria. E’ un assedio, tra virgolette, al testo, da più punti di vista.


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BENEDETTO XVI, SEGNO DI CONTRADDIZIONE

(02/02/2009) - Benedetto XVI è destinato ad essere segno di contraddizione. Prima con gli islamici. Tutti ricorderanno la lectio magistralis all’Università di Ratisbona quando il 12 settembre 2007 aveva fatto la seguente citazione che recitava “mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”, ad esempio, è presentata come pronunciata da Manuele il Paleologo non più “in un modo sorprendentemente brusco, al punto che ci stupisce”, ma “brusco al punto da essere per noi inaccettabile”. Occupandosi della lezione di Ratisbona, i media hanno dato notevole risalto alla frase contestata, spesso senza preoccuparsi di contestualizzarla nel ben più ampio discorso papale. Le reazioni sono risultate disomogenee, sia nel mondo islamico sia in quello cristiano. Nel primo caso si è passati dall'indignazione delle maggiori cariche civili e religiose degli stati a prevalenza musulmana con aspre proteste di piazza annesse (a volte anche decisamente offensive), fino ad arrivare a minacce di morte nei confronti di Benedetto XVI da parte di gruppi estremisti quali ad esempioo al-Qa?ida, ?Iraq al-Jihadiyya (Iraq jihadista) o Jaysh al-Mujahidin (Esercito dei Mujahidin). Nel mondo islamico si sono verificati inoltre diversi assalti e incendi a chiese e luoghi di culto cattolici. Anche l'omicidio della suora italiana Leonella Sgorbati, operante a Mogadiscio da molti anni, probabilmente legato alla lezione di Ratisbona, ha contribuito a far esprimere "vivo rammarico" a Benedetto XVI, durante l'Angelus domenicale, in merito alla situazione globale che si era creata.
« Il mio era un invito al dialogo franco e sincero. [...] Spero che questo valga a placare gli animi »

(Benedetto XVI, 17 settembre 2006)


Tale espressione di rammarico è stata da molti paesi accettata, mentre permangono ancora situazioni di paesi più intransigenti, i quali si attendono vere e proprie scuse formali.Tra coloro che hanno accettato immediatamente l'invito al dialogo del Papa vi è Il presidente dell'Iran, Mahmoud Ahmadinejad, che il 19 settembre 2006, esprimendo "rispetto per il Papa" e, suggerendo che le parole del Papa siano state "modificate" ha dichiarato, riguardo al modo nel quale i media hanno riferito del discorso del Pontefice:

« Non c'è dubbio che ci sia chi ha diffuso informazioni scorrette »

(Mahmoud Ahmadinejad)


Ahmadinejad ha però colto l'occasione di sottolineare come, malgrado i valori cristiani contengano un ripudio della violenza, «tutte le guerre del XX secolo sono state provocate da nazioni europee e dagli Stati Uniti». La posizione del Presidente iraniano ha di fatto smentito una dichiarazione di tutt'altro tenore rilasciata il giorno prima da Ali Khamenei, supremo leader iraniano, che aveva accusato il Papa di esser parte di una «crociata condotta dagli USA e dai sionisti». Dopo le polemiche con l’Islam ora tocca agli Ebrei, anche qui egli è segno di contraddizione. A Castel Gandolfo tra papa Benedetto XVI e il direttore dell'emittente polacca Radio Maryja Tadeusz Rydzyk. «Siamo scioccati - si legge in una nota del Congresso ebraico europeo - dall'apprendere che Papa benedetto XVI ha concesso nella sua residenza estiva un'udienza privata al direttore della radio polacca antisemita Radio Maryja». Il Congresso - che riunisce le comunità ebraiche di tutta Europa e a cui aderisce anche l'Unione delle comunità ebraiche italiane - sottolinea come «le affermazioni antisemitiche di Tadeusz Rydzyk sono state largamente trasmesse attraverso la sua radio». Per questo il Congresso ebraico «è stupito dal fatto che Papa Benedetto XVI abbia concesso udienza privata e la benedizione ad un uomo e a un'istituzione che hanno macchiato l'immagine della Chiesa polacca». Con Benedetto XVI, la Chiesa sta cancellando i suoi ultimi "cinquanta anni di storia" nel dialogo tra ebraismo e cattolicesimo: a lanciare la critica è il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, che - in un editoriale per il mensile dei gesuiti "Popoli", ha spiegato i motivi che hanno portato il rabbinato italiano a non partecipare alla prossima Giornata sull'ebraismo, indetta per il 17 gennaio dalla Conferenza espiscopale. Il rabbino di Venezia ricorda innanzitutto la decisione di Benedetto XVI di reintrodurre, con il messale pre-conciliare, la preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei. Il rabbinato italiano - riferisce Richetti - ha chiesto spiegazioni ed un ripensamento: con risposte ufficiose, "una risposta della Conferenza episcopale, sia pure sollecitata, è mancata", e la Chiesa - afferma l'esponente ebraico - ha fatto presente che "gli ebrei non hanno niente da temere", in quanto "la speranza espressa dalla preghiera 'Pro Judaeis' è 'puramente escatologica', è una speranza relativa alla 'fine dei tempi' e non invita a fare proselitismo attivo". "Queste risposte - osserva tuttavia Richetti - non hanno affatto accontentato il Rabbinato italiano. Se io ritengo, sia pure in chiave escatologica, che il mio vicino debba diventare come me per essere degno di salvezza, non rispetto la sua identità. Non si tratta, quindi, di ipersensibilità: si tratta del più banale senso del rispetto dovuto all'altro come creatura di Dio". "Se a ciò aggiungiamo - aggiunge Richetti - le più recenti prese di posizione del Papa in merito al dialogo, definito inutile perchè in ogni caso va testimoniata la superiorità della fede cristiana, è evidente che stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa". Poi la conclusione, durissima: "In quest'ottica, l'interruzione della collaborazione tra ebraismo italiano e Chiesa è la logica conseguenza del pensiero ecclesiastico espresso dalla sua somma autorità". (13 gennaio 2009). Anche il rabbino di francia critica Benedetto XVI il 31 gennaio 2009. Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, 56 anni, eletto nel giugno del 2008, in un'intervista al quotidiano Le Monde, muove serie critiche nei confronti del Papa Benedetto XVI riguardo il perdono dei quattro vescovi seguaci di Lefebvre. Come reagisce all'annuncio di Papa Benedetto XVI di aver tolto la scomunica ai quattro vescovi fondamentalisti, uno dei quali, il Vescovo Williamson, mantiene la sua posizione negazionista? L'annuncio mi ha fatto molto male come ebreo e come attivista del dialogo tra le religioni. Negare l'Olocausto è un insulto alla memoria dei sei milioni di ebrei morti nei campi. I commenti del Vescovo Williamson sono spregevoli. In Francia e in Germania, sono puniti dalla legge. Una volta passato lo shock, ho sentito le condanne dei miei amici cristiani. "Queste parole non sono quelle di un cristiano", come ha detto l'Arcivescovo di Lione Barbarin. Tuttavia, oggi ho molte domande senza risposta. Come può il Papa ignorare il rifiuto del vescovo Williamson? Se la revoca della scomunica è un invito alla riconciliazione, come ci si può riconciliare con colui che si è escluso dal cristianesimo con le sue stesse parole? Come si può dialogare con chi vede la negazione della Shoah un parere personale? E cosa accadrà se i quattro vescovi che non sono più scomunicati continueranno a rifiutare il Concilio Vaticano II e "Nostra Aetate" (la dichiarazione adottata nel 1965 dal Concilio Vaticano II che afferma il legame storico tra ebraismo e cristianesimo)? Si tratta di questioni che riguardano me. Come molti cristiani ed ebrei, mi aspetto una risposta chiara. Il rabbinato d'Israele il 28 gennaio 2009 ha rotto indefinitamente i rapporti ufficiali con il Vaticano in seguito alla revoca della scomunica del vescovo lefevbriano Richard Williamson, che nega la Shoah. Lo scrive il Jerusalem Post, aggiungendo che il rabbinato ha anche cancellato un incontro fissato a Roma il 2-4 marzo con la Commissione della Santa Sede per i rapporti con gli ebrei. In una lettera indirizzata al presidente della Commissione, cardinale Walter Kasper, il direttore generale del rabbinato Oded Weiner scrive che "senza scuse pubbliche e una ritrattazione, sarà difficile continuare il dialogo", si legge sul sito del Jerusalem Post. Secondo una fonte del rabbinato , la lettera è giunta alla stampa israeliana prima di essere ricevuta in Vaticano e ciò potrebbe ulteriormente complicare i rapporti fra il rabbinato e la chiesa cattolica.. Sempre fedele all'insegnamento dei documenti conciliari, il Papa ha ricordato la dichiarazione Nostra Aetate, che ha precisato «l'atteggiamento della Comunità ecclesiale nei confronti delle religioni non cristiane», riaffermando il rapporto speciale che i cristiani hanno con gli ebrei, la stima verso i musulmani e i membri delle altre religioni, confermando «lo spirito di fraternità universale che bandisce qualsiasi discriminazione o persecuzione religiosa». Il rapporto con la comunità ebraica vive un periodo di crisi all'indomani della remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, concessa il 21 gennaio 2009. Pochi giorni dopo, mons. Richard Williamson (uno dei quattro) ha pubblicamente professato una posizione negazionista sulla Shoah, in ragione della quale il rabbinato d'Israele a dichiarare di voler interrompere i rapporti col Vaticano. Le scuse del priore della Fraternità sacerdotale San Pio X, mons. Bernard Fellay, non sono bastate a placare la polemica, soprattutto perché indirizzate al Papa e non alla comunità ebraica: Fellay nel suo comunicato comunque dichiarava che: «Le affermazioni di monsignor Williamson non riflettono in nessun caso la posizione della nostra Fraternità. Perciò io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche». Sollecitato da più parti, lo stesso Pontefice nell'udienza generale del 28 gennaio 2009 ha espresso parole chiare volte a contestare ogni forma di negazionismo della Shoah e a esprimere piena solidarietà agli ebrei hanno mostrato la precisa ed esplicita volontà della Chiesa nel voler coninuare il dialogo: «In questi giorni nei quali ricordiamo la Shoah, mi ritornano alla memoria le immagini raccolte nelle mie ripetute visite ad Auschwitz, uno dei lager nei quali si è consumato l’eccidio efferato di milioni di ebrei, vittime innocenti di un cieco odio razziale e religioso. Mentre rinnovo con affetto l’espressione della mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza, auspico che la memoria della Shoah induca l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo. La Shoah sia per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo. [...] La Shoah insegni sia alle vecchie sia alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell’ascolto e del dialogo, dell’amore e del perdono conduce i popoli, le culture e le religioni del mondo all’auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità. Mai più la violenza umili la dignità dell’uomo! Nella stessa occasione il Pontefice ha esplicitato chiaramente che la remissione della scomunica ai quattro vescovi scismatici è stata compiuta come «atto di paterna misericordia» e che egli auspicava che a questo gesto facesse séguito «il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II. Sui temi della morale cattolica Benedetto XVI è segno di contraddizione al punto che è contestato da laicisti, gay, lesbiche e anticlericali. Egli prima come Prefetto della Congregazione della dottrina della Fede e poi come Successore di Pietro ribadisce:


Il 23 luglio 1992 la Congregazione per la Dottrina della fede guidata dall'allora cardinale Ratzinger, pubblicò un documento dal titolo Alcune considerazioni concernenti la Risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali. Il 29 novembre 2005 il Vaticano approvò definitivamente il documento con cui la Chiesa cattolica vieta l'accesso ai seminari a tutte le persone che «praticano l'omosessualità», hanno «tendenze omosessuali profondamente radicate» o che sostengono «la cosiddetta cultura gay» («Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l'espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un'adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere state chiaramente superate almeno tre anni prima dell'Ordinazione diaconale»). Nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, Benedetto XVI ribadì il no agli atti che vanno contro la morale sessuale cattolica: stupro, prostituzione, pornografia, fornicazione, adulterio, atti omosessuali, masturbazione e contraccezione, nonché qualsiasi pratica sessuale che «si proponga come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione». Tali atti vengono definiti come i «principali peccati contro la castità». Benedetto XVI invitò tutti gli individui ad accettare la propria identità sessuale, ricordando però che «Dio ha creato l'uomo maschio e femmina». Vengono considerati contro la morale cattolica anche inseminazione e fecondazione artificiale perché «dissociano la procreazione dall'atto con cui gli sposi si donano mutualmente, instaurando così un dominio della tecnica sull'origine e sul destino della persona umana». Il 1° dicembre 2005, in occasione della XVIII Giornata Mondiale per la Lotta all'AIDS, Benedetto XVI sostenne che la strategia da seguire nella lotta all'AIDS dev’essere basata «su continenza, promozione della fedeltà nel matrimonio, importanza della vita familiare, educazione, assistenza ai poveri», non menzionando l'uso del preservativo, condannato, come detto, dalla Chiesa cattolica. L'11 maggio 2006, rivolgendosi ai partecipanti ad un congresso internazionale dell'"Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia", riaffermò che la «differenza sessuale» di un uomo e una donna «ha come fine un'unione aperta alla trasmissione della vita» e invitò «ad evitare la confusione tra il matrimonio e altre unioni basate su un amore debole. Solo l'amore tra uomo e donna è capace di costruire una società casa di tutti gli uomini». Il 19 maggio 2006, con un comunicato della Santa Sede, sancì l'imposizione del ritiro a vita privata per padre Marcial Maciel, fondatore della congregazione religiosa dei Legionari di Cristo, accusato di abusi sessuali da parte di ex preti, già espulsi dalla congregazione (i presunti abusi risalirebbero agli anni cinquanta). William Joseph Levada, successore di Ratzinger a prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, tenendo conto sia dell'età avanzata del reverendo Maciel sia della sua salute cagionevole, decise di rinunciare al processo canonico e di invitare Maciel ad una vita riservata di preghiera e di penitenza, rinunciando ad ogni ministero pubblico. Ratzinger, continuando a seguire il caso anche dopo l'elezione papale, approvò le decisioni di Levada, confermando comunque la sua stima alla congregazione «indipendentemente dalla persona del fondatore».

PACS E MATRIMONIO - «Penso in particolare – dice Benedetto XVI- a quel terreno assai sensibile, e decisivo per la formazione e la felicità delle persone come per il futuro della società, che è rappresentato dalla famiglia». Duplice l'impegno: «Da una parte - è sempre il resoconto del Servizio informazione religiosa - sono quanto mai opportuni tutti quei provvedimenti che possono essere di sostegno alle giovani coppie nel formare una famiglia e alla famiglia stessa nella generazione ed educazione dei figli: al riguardo vengono subito alla mente problemi come quelli dei costi degli alloggi, degli asili-nido e delle scuole materne per i bambini più piccoli. Dall'altra parte, è un grave errore oscurare il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio, attribuendo ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei quali non vi è, in realtà, alcuna effettiva esigenza sociale».



PILLOLA ABORTIVA - «Uguale attenzione ed impegno- prosegue Benedetto XVI- richiede la tutela della vita umana nascente: occorre aver cura che non manchino di concreti aiuti le gestanti che si trovano in condizioni di difficoltà ed evitare di introdurre farmaci che nascondano in qualche modo la gravità dell’aborto, come scelta contro la vita».



Aborto. Nel cuore dell'Europa, "culla dei diritti umani", il Papa ha ribadito che l'aborto "non può essere considerato un diritto umano" perché "è il suo contrario: una profonda ferita sociale". "Mi appello - ha spiegato - ai responsabili della politica, affinché non permettano che i figli vengano considerati come casi di malattia né che venga di fatto abolita la qualifica di ingiustizia attribuita dall'ordinamento giuridico all'aborto". Parole gravi, per richiamare ognuno alle sue responsabilità, Chiesa compresa: "Io stesso - ha aggiunto - non chiudo gli occhi davanti ai problemi e ai conflitti di molte donne e mi rendo conto che la credibilità del nostro discorso dipende anche da quel che la Chiesa stessa fa per venire in aiuto alle donne in difficoltà".



Eutanasia. Annessa alla Germania nazista, l'Austria condivise le sue leggi sull'eutanasia, e oggi il Papa lancia con forza l'allarme perché quello spettro non torni a presentarsi. "Una grande preoccupazione costituisce per me il dibattito sul cosiddetto 'attivo aiuto a morire - ha detto - c'è da temere che un giorno possa essere esercitata una pressione non dichiarata o anche esplicita sulle persone gravemente malate o anziane, perché chiedano la morte o se la diano da sé". (7 settembre 2007) "L'eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell'uomo", ha detto il Pontefice durante l'Angelus davanti ai fedeli riuniti in piazza San Pietro. L'eutanasia è un tema in primo piano da tempo in Italia, in seguito al caso di Eluana Englaro, la donna, da 17 anni in stato vegetativo permanente, al centro di una polemica politica che ha sinora impedito di attuare quanto richiesto dal padre, interromperle l'alimentazione artificiale, malgrado le sentenze che sinora hanno dato ragione alla sua battaglia legale.(1 febbraio 2009).

Come si vede, Benedetto XVi è segno di contraddizione. E’stato accusato di essere antisemita, ma poi i suoi discorsi contro l’olocausto e l’antisemitismo hanno messo a tacere tutti. E’ stato accusato di essere contro l’Islam ma dopo che ha dichiarato di essere “ vivamente rammaricato per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso all'Università di Ratisbona, ritenuto offensivo per la sensibilita dei credenti musulmani» Ma Benedetto XVI è sempre stato fedele all'insegnamento dei documenti conciliari, ricordando la dichiarazione Nostra Aetate, che ha precisato «l'atteggiamento della Comunità ecclesiale nei confronti delle religioni non cristiane», riaffermando il rapporto speciale che i cristiani hanno con gli ebrei, la stima verso i musulmani e i membri delle altre religioni, confermando «lo spirito di fraternità universale che bandisce qualsiasi discriminazione o persecuzione religiosa».E in seguito alla pubblicazione su un quotidiano conservatore danese di alcune caricature di Maometto, il Papa affermò: «Dio punirà chi sparge sangue in suo nome» e condannò le reazioni violente che si ebbero alla pubblicazione delle «vignette blasfeme» ed espresse solidarietà al mondo musulmano ribadendo l'invito al rispetto di tutte le religioni. E durante la visita in Germania del settembre 2006, Benedetto XVI lanciò un monito all'"Occidente laico" che, escludendo Dio, spaventerebbe le altre culture dell'Asia e dell'Africa: «La vera minaccia per la loro identità non viene vista nella fede cristiana, ma nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio morale per i futuri successi della ricerca». Sull'"Islam fondamentalista" disse: «La guerra santa è contraria alla natura di Dio». Sulla morale cristiana egli non può deflettere dal Decalogo e dalle Otto Beatitudini. Benedetto XVI sa bene che è impopolare quando propone i valori non negoziabili (tutela della vita in tutte le sue fasi, famiglia fondata sul matrimonio e libertà educativa per i genitori ad educare i propri figli). Non accetta mediazioni perché significherebbe riconoscere il relativismo, la laicità e il diritto naturale. Ma è consapevole che essendo un Successore degli Apostoli è tenuto ad annunciare il Vangelo a tutti fino agli estremi confini della terra. E la morale che propone al popolo di Dio discende dal Libro della Bibbia, che è Parola di Dio. E lui cha ha scelto il motto nel suo stemma di “cooperatore della verità”, lavorerà per proporre a tutti i credenti la verità. E se qualcuno lo contesta lo ha già messo nel conto. A Benedetto XVI non interessa fare il pieno dei consensi, ma che i suoi fedeli mettano in pratica gli insegnamento di Cristo di cui lui è Vicario sulla terra. Poi, se alla Sapienza di Roma, lo contestano apertamente significa che sta lavorando bene come operaio nella vigna del Signore. E, pertanto, non si cura di loro.

Alberto Giannino
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Lettera a Joseph Ratzinger

Forse è arrivato il momento per la visita del Papa in Israele

di Yasha Reibman

Chi ritiene che il rapporto tra cattolicesimo ed ebraismo sia una priorità strategica, chi di fronte al fondamentalismo, alla persecuzione dei cristiani nei paesi islamici e alla minaccia di distruzione di Israele pensa che ebrei e cristiani debbano essere ancora più alleati in nome della libertà religiosa e difendere così anche i musulmani moderati, chi pensa che questa linea sia la strada che proprio papa Ratzinger intende seguire, non può non fermarsi a riflettere sui numerosi incidenti avvenuti in questi mesi tra Vaticano ed ebrei. Il processo di beatificazione di Pio XII, il papa accusato di aver taciuto davanti alla Shoah, ma di aver permesso che molti ebrei venissero salvati nei monasteri (e anche il pontifice su cui incombe l’ombra dell’accusa dei salvacondotti vaticani che consentirono a numerosi nazisti di rifugiarsi in Sud America); le parole del cardinale Renato Raffaele Martino, per anni rappresentante del Vaticano presso le Nazioni Unite, il quale, durante l’ultima guerra per fermare i missili di Hamas su Israele, ha paragonato Gaza a un campo di concentramento; poi lo scontro sul reinserimento della possibilità di celebrare la Messa in latino, inclusa la preghiera del Venerdì Santo che contiene l’auspicio della conversione degli ebrei; infine la cancellazione della scomunica dei vescovi lefebvriani e le parole di monsignor Richard Williamson, che ha negato l’esistenza delle camere a gas.
Le reazioni imbarazzate dei rappresentanti della fraternità sacerdotale di San Pio X, che hanno definito le parole di Williamson «inopportune», e le loro inadeguate scuse rivolte al Papa, senza neanche una parola sulla Shoah o sugli ebrei, hanno costretto lo stesso Benedetto XVI a intervenire in prima persona. Molti commentatori ritengono che tutto questo sia il frutto di cattivi consiglieri che starebbero remando contro l’operato del Papa. A volte comunque le azioni valgono più delle parole. Nonostante i numerosi inviti, il Papa finora non ha visitato la sinagoga di Roma e non è andato in Israele. Potrebbe essere l’ora di fare il check in. Magari volando El Al, gli aerei con la stella di Davide sulle ali.

© Copyright Tempi, 3 febbraio 2009


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Chi comanda (davvero) in Vaticano

di Carlo Marroni

I sussurri dei corridoi dei Sacri Palazzi ormai superano le alte mura di cinta. Le tempeste esterne cui è sottoposta sempre più spesso la Chiesa di Benedetto XVI rendono più chiaro un problema di gestione, di "governance debole", che in molti tra gli altri prelati giudicano sempre più evidente. Mentre negli ultimi anni di Giovanni Paolo II si avvertivano vuoti nella catena di comando, oggi il problema sembra opposto: ci sono troppe catene che s'intrecciano sotto il Sacro Soglio, creando talvolta una certa confusione che può sfociare in crisi esterne.

Il caso dei lefebvriani - che invece di sgonfiarsi sembra destinato a un'escalation - ne è l'emblema, e fa venire allo scoperto i critici. Se il cardinale delegato all'unità dei cristiani e ai rapporti con l'ebraismo Walter Kasper - che ratzingeriano organico non è mai stato ma è pur sempre un tedesco - denuncia la cattiva gestione da parte della Curia (e non certo la decisione del Papa) del caso del vescovo negazionista Williamson, allora c'è davvero un problema al di là della Porta Sant'Anna.

Teologi e canonisti alla guida della Chiesa

Ma la domanda allora è: chi, sotto Ratzinger, comanda in Vaticano? Bisogna partire da un dato: questo pontificato ha per la prima volta da un secolo e mezzo un Papa e un segretario di Stato (il "primo ministro" che guida il Governo della Santa Sede) che non provengono dalla carriera diplomatica. Ratzinger è un teologo e il cardinale Tarcisio Bertone un canonista.
Ratzinger non ama la gestione e per quanto possibile la delega all'attivissimo Bertone, che da quando è stato nominato il 15 settembre 2006 al posto di Angelo Sodano ha promosso un vasto cambiamento ai vertici della Curia. La formazione del salesiano Bertone lo ha portato a dare spazio a chi come lui viene dal mondo dei canonisti: dall'arcivescovo (e futuro cardinale) Angelo Amato, alla guida della cause dei Santi, a un altro salesiano, il cardinale Raffaele Farina alla Biblioteca, fino al cardinale Agostino Vallini al posto di Camillo Ruini al Vicariato di Roma.

Il peso ridotto dei diplomatici

Insomma, i diplomatici hanno subìto uno scarto rispetto al passato e i nuovi "numeri due" della Segreteria, il sostituto Fernando Filoni e il "ministro" degli Esteri, Dominique Mamberti, pur essendo personaggi-chiave restano in ombra rispetto ai loro predecessori. Al livello inferiore i motori sono i monsignori Gabriele Caccia e Pier Parolin, i due sottosegretari che hanno in mano i principali dossier, abilissimi diplomatici. Quindi Bertone si avvale di tutte le esperienze - in particolare dentro la Segreteria di Stato vengono segnalati in crescita i monsignori Ettore Balestrero e Antonio Guido Filippazzi - ma ha un metodo decisionale che differisce dalle consuetudini dei predecessori. E sulla vicenda Williamson è stato notato il suo superiore e di certo abile distacco (oggi per esempio è in Spagna e nei giorni scorsi era in Messico). Così tutto è avvenuto a livelli decisionali immediatamente inferiori.

I retroscena della questione lefebvriana

Dopo il Motu Proprio del 2007 sulla cosiddetta Messa in latino, che avviò il riavvicinamento con i lefebvriani scomunicati - nel 1988 Ratzinger non fu d'accordo con la scomunica, spinta da Sodano e da Achille Silvestrini, allora ministro degli Esteri - voleva arrivare a una piena riconciliazione formale e voleva far coincidere l'evento con la giornata dell'unità dei cristiani. A spingere per una rapida decisione è stato soprattutto il cardinale colombiano Dario Castrillon Hoyos, dal 2006 a capo del'Ecclesia Dei, l'organismo creato da Wojtyla all'indomani della scomunica per cercare vie al perdono.
Castrillon - molto sensibile a organismi forti nel mondo ispano-americano come Opus Dei e Legionari di Cristo - ha così gestito in buona parte la stesura del decreto che poi è stato firmato - pare senza entusiasmo - da Giovanni Battista Re, capo del dicastero dei Vescovi, esponente di spicco della Segreteria di Stato dell'era di Giovanni Paolo II, e senza coinvolgere il capo dei Testi legislativi, l'arcivescovo Francesco Coccopalmerio, milanese di formazione martiniana. Un percorso, quindi, che ha visto non tutti concordi. Anzi. La vecchia guardia progressista era quantomeno cauta, visto che le posizioni dei lefebvriani erano ben note, sia riguardo al Concilio sia su altri fronti, a partire dal dialogo con gli ebrei. Poi l'incidente dell'intervista.

Qualcuno, magari della vecchia guardia wojtyliana, vicino agli ancora potenti Sodano e Ruini, ha teso una trappola? Difficile affermarlo. Da ieri circola l'indiscrezione di un dossier che gira dentro il Vaticano, in cui si afferma che la diffusione della sconcertante intervista che nega la Shoah sarebbe stata pilotata da ambienti (compresa la massoneria francese) che volevano mettere in difficoltà il Papa. Una fonte afferma che nessuno dentro le mura vaticane sapeva dell'intervista, custodita da qualche organizzazione ebraica che (legittimamente) monitora tutto ciò che esce sulla stampa mondiale e che l'ha tirata fuori alla vigilia del decreto.

Una governance da riequilibrare

In ogni caso, quella di Williamson è la prova di una governance che per qualcuno deve essere riequilibrata, come rileva anche Famiglia Cristiana nell'ultimo editoriale. Un altro caso portato ad esempio è quello della mancata visita del Papa all'Università La Sapienza di un anno fa. In quella vicenda fu chiaro che dentro il Vaticano c'erano due anime: chi voleva gestire la trattativa senza strappi e chi, nella destra ecclesiale, spingeva per addossare al Governo di centro-sinistra la responsabilità delle proteste. Sappiamo com'è andata.
L'altro incidente fu il discorso di Ratisbona il 12 settembre 2006: forse complice il cambio della guardia alla Segreteria di Stato (ma pare che Sodano avesse avvertito dei rischi) il discorso di Ratzinger fu interpretato come un attacco all'Islam, provocando problemi con il mondo musulmano che ancora oggi via via riaffiorano. Il Papa voleva dire l'opposto di quello che fu percepito al momento, ma si sa che nella società della comunicazione, tutti – e soprattutto questo vale per chi svolge un servizio per sua stessa definizione "universale" – sanno che un discorso vale per come viene recepito e non per le intenzioni di chi lo ha pronunciato.

Conservatori contro progressisti

Sulla sfondo resta dentro la Chiesa tutta, al di là delle appartenenze ai filoni canonista e diplomatico, la storica dicotomia tra progressisti e conservatori con al centro il dibatto sul Concilio, quanto mai vivo dopo il caso dei lefebvriani, e le varie questioni sul tappeto, dagli immigrati alle moschee. I progressisti innalzano sempre il vessillo del cardinale Carlo Maria Martini - eredità oggi raccolta da Dionigi Tettamanzi - mentre quelli che vengono indicati come esponenti della "linea dura" sono qua e là identificati in gruppi sparsi tra Curia (da poco è stato nominato al Culto divino lo spagnolo Antonio Canizares, detto anche il "piccolo Ratzinger") ed episcopato, come il bolognese Carlo Caffarra o il torinese Severino Poletto.

© Copyright Il Sole 24 Ore, 4 febbraio 2009


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Da Zapatero ‘ramoscello d’ulivo’ al Pontefice: “Lo aspettiamo in Spagna nel 2010”



CITTA’ DEL VATICANO - Un incontro di circa 70 minuti, completamente soli (senza neppure gli interpreti), caratterizzato da un clima "molto cordiale", con una "disposizione al dialogo costruttivo" anche sui temi su cui non c'è coincidenza di vedute, come aborto, educazione civica o riforma della legge sulla libertà religiosa. Così fonti della presidenza del governo spagnolo hanno descritto la riunione bilaterale tra il premier José Luis Zapatero e il Cardinale Segretario di Stato del Vaticano, Tarcisio Bertone, in viaggio a Madrid. Durante l'incontro, secondo quanto hanno riferito le fonti ad Apcom, Zapatero ha invitato Bertone a trasmettere a Papa Benedetto XVI l'invito a partecipare alle celebrazioni per la festa di Santiago Apostolo a Santiago de Compostela, in occasione dell'Anno Santo Compostelano del 2010. Se il Papa accettasse l'invito, si tratterebbe della seconda visita in Spagna dopo quella del 2006 a Valencia, dove però il clima con Zapatero fu molto freddo e i contatti si limitarono a una fugace stretta di mano. Zapatero ha dunque teso un piccolo 'ramoscello d'ulivo' al Pontefice e ha mostrato la disposizione del governo spagnolo a una relazione più distesa e cordiale: ha anche invitato lo stesso Bertone a partecipare al secondo foro dell'Alleanza delle Civilizzazioni', un'iniziativa congiunta Spagna-Turchia-Onu, che si terrà ad aprile a Istanbul. Buona parte del colloquio, poi, è stata dedicata alla preparazione della Giornata mondiale della Gioventù che si terrà nel 2011 a Madrid e su cui il premier socialista ha informato Bertone dell'imminente creazione di un comitato organizzatore. Altri temi del dialogo sono stati la crisi economica e le sue ripercussioni sociali, anche e soprattutto nei Paesi del terzo mondo: Zapatero ha ribadito l'impegno della Spagna a combattere la fame nel mondo e ha ricordato lo stanziamento di un miliardo su 5 anni fatto la settimana scorsa nella Riunione di alto livello dell'Onu a Madrid sulla sicurezza alimentare. E' toccato invece alla vicepremier Maria Teresa Fernandez de la Vega trattare con Bertone i temi più spinosi, su cui le differenze sono state comunque registrate nel "pieno rispetto reciproco".


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