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Ultimo Aggiornamento: 19/10/2015 04:06
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06/03/2009 22:08
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Dal blog di Lella...

Curie e Curiali Spunta un Mister X in Vaticano. Un avvertimento del Papa

PRIMO PIANO

Di Andrea Bevilacqua

A volte l'annuario pontificio vaticano svela delle notizie inaspettate. L'edizione 2009, quella presentata in sala stampa vaticana lo scorso 28 febbraio ma ancora non disponibile nelle librerie adiacenti il Vaticano, ne aveva una di non poco conto, capace da sola di svelare quanto, nell'attuale segreteria di Stato vaticana si combatta sferrando colpi parecchio bassi.
Il caso “Williamson”, infatti, ha lasciato in eredità la sensazione che presto qualcosa cambierà nel dicastero che lavora a più stretto contatto col Papa. E l'odore di questi cambiamenti mette diversi monsignori in agitazione. In sostanza, scorrendo l'elenco dei dipendenti della segreteria di Stato riportati nell'annuario, sotto i nomi del cardinale Tarcisio Bertone, del sostituto Fernando Filoni e del segretario per i rapporti con gli Stati Dominique Mamberti, ci sono tre monsignori con incarichi speciali: Gabriele Giordano Caccia, Pietro Parolin, Carlo Maria Viganò e Paolo Sardi. E fin qui niente di strano. Bene, nell'edizione 2009, accanto a questi tre, ne è spuntato un quarto.
In Vaticano lo chiamano “Mister X”, non tanto perché non se ne conosca nome e cognome, ma perché non si sa come diavolo abbia fatto a finire in un posto di così prestigio senza di fatto alcun preavviso. Senza, cioè, che nessuno (o quasi) ne sapesse nulla.

“Mister X” si chiama Luciano Suriani e altri non è che colui che, soltanto un anno fa, era stato nominato da Benedetto XVI nunzio apostolico in Bolivia, con tanto di dignità di arcivescovo.

Prima di partire per il SudAmerica, era stato consigliere della nunziatura in Italia. Poi, d'un tratto, è tornato a casa. La domanda che tutti si fanno è: cosa ci fa Suriani in segreteria di Stato? O meglio: cosa ci fa sull'annuario pontificio sotto la voce “segreteria di Stato”, visto che ancora negli uffici della terza loggia papale non ha manifestato la sua presenza? La risposta è semplice, seppure non sia facile da spiegare. In sostanza, la segreteria di Stato non sta passando uno dei suoi momenti migliori. Da giorni si susseguono le voci dell'allontanamento di Caccia, Viganò e Sardi per incompatibilità con le idee lavorative di Bertone. E così, Filoni, per far sì che dopo l'allontanamento dei tre rimanga comunque qualcuno a lui vicino, ha pensato bene di far tornare dalla Bolivia monsignor Suriani, e di cominciare a fare inserire il suo nome sull'annuario pontificio in modo che, all'occorrenza, quando il primo dei tre verrà “promosso” altrove, un sostituto sia già bello e pronto c'è.

Bertone, occorre dirlo, non ne esce benissimo da questa storia. Più che altro perché si sta facendo un po' prendere in giro dai suoi vice che, in un modo o nell'altro, riescono sempre a prendere decisioni importanti senza che lui se ne renda del tutto conto.

Benedetto XVI nelle scelte che di governo che sarà chiamato a prendere a seguito del “caso Williamson” si giocherà buona parte del futuro del suo pontificato.
In Vaticano lo sanno tutti e cercano, in qualche modo, di far sì che queste scelte non vadano a ledere la propria personale posizione all'interno dell'organigramma.
Ma Ratzinger agirà autonomamente e non mancheranno grosse sorprese.

© Copyright Italia Oggi, 6 marzo 2009


Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
07/03/2009 01:40
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Benedetto XVI: le "Javieradas", un'opportunità per rafforzare la fede


Il Cardinal Bertone invia un messaggio a nome del Papa




di Inma Álvarez

PAMPLONA, venerdì, 6 marzo 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI esorta i fedeli che peregrinano quest'anno a Javier, luogo natale del santo spagnolo Francesco Saverio, patrono delle missioni, a far sì che queste giornate rappresentino un avvenimento di fede.

Lo afferma in un breve messaggio firmato dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, indirizzato all'Arcivescovo di Pamplona, monsignor Francisco Pérez González. Il testo completo è stato reso noto dalla rivista spagnola Ecclesia.

Il Papa esorta i pellegrini a Javier (nelle tradizionali "Javieradas" che si celebrano tutti gli anni ai primi di marzo e riuniscono migliaia di fedeli di tutta la Spagna) a "imitare questo grande missionario, che è andato per il mondo a seminare il Vangelo".

Le Giornate, aggiunge, devono essere viste "come un'opportunità per rafforzare la Fede, incrementare l'impegno a essere coerenti con essa in ogni momento e aumentare la generosità di annunciarla agli altri, come veri testimoni di Cristo di fronte al mondo di oggi".

Invocando l'intercessione della Vergine "perché prepari con la sua tenerezza materna il cuore di tutti i partecipanti a ricevere con gioia la grazia di Dio", il Papa imparte infine la benedizione apostolica ai pellegrini.

Le "Javieradas" sono due pellegrinaggi che si svolgono in due fine-settimana consecutivi nel contesto della Novena di Grazia dedicata a San Francesco Saverio. Quest'anno avranno luogo l'8 e il 15 marzo.

Il pellegrinaggio, che riunisce fedeli di tutto il Paese, inizia con una Via Crucis nel percorso che unisce le località di Sangüesa e Javier (8 chilometri) fino ad arrivare alla spianata del castello natale del santo, dove si celebra l'Eucaristia.

Quest'anno, l'Arcivescovo di Pamplona ha dedicato il suo tradizionale messaggio a sottolineare la somiglianza tra l'opera evangelizzatrice di San Francesco Saverio e quella di San Paolo, in occasione della celebrazione dell'Anno Paolino, e ha invitato i fedeli a "prendere sul serio la nuova evangelizzazione" proclamata dagli ultimi Pontefici.

Le "Javieradas" di quest'anno hanno per tema "Missionari come Paolo e Saverio: guai a me se non evangelizzo!" e riuniranno gruppi di famiglie, giovani e bambini, per i quali sono stati preparati atti religiosi e ludici speciali.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]



07/03/2009 15:59
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Giovani e speranza: l'editoriale di padre Lombardi

Con il suo Messaggio per la Giornata mondiale della gioventù del prossimo 5 aprile, che sarà vissuta a livello diocesano, Benedetto XVI ha sollevato la “questione della speranza”. Con esortazioni a non sprecare la propria vita in pratiche o obiettivi che possono bruciarla, il Papa ha esortato i giovani a riempirla incontrando Cristo, perché - ha detto - è “Lui che dà senso alla vita” ed apre il cuore ad una speranza forte e reale. Sul contenuto di questo Messaggio, la riflessione del nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, per il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano, "Octava dies":

Molto bello il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Gioventù di quest’anno, che si celebra a livello diocesano la Domenica delle Palme! Parla di speranza. Si ricollega naturalmente all’ultima enciclica di Papa Benedetto – intitolata appunto: “Spe salvi: cioè, nella speranza siamo salvati” -, ma si rivolge specificamente alle generazioni nuove, naturalmente aperte agli ideali, ai sogni, ai progetti, quelle che possono e devono trovare il modo di tradurre la speranza in segni concreti nel corso degli anni a venire. “La questione della speranza è al centro della nostra vita di esseri umani e della nostra missione di cristiani, soprattutto nell’epoca contemporanea” dice il Papa, e continua stimolando il senso di responsabilità dei giovani: “La giovinezza è il tempo in cui maturano scelte decisive per il resto della vita”.


Andare aldilà delle speranze piccole ed effimere per gettare il cuore verso la “grande speranza”, che dia senso all’esistenza, la speranza che si appoggia su Gesù Cristo e il suo Vangelo. Su questa base solida si può imparare ad essere pazienti e perseveranti, a smascherare la idolatria del denaro, della carriera e del successo, a mettere le capacità personali al servizio del bene comune, della verità, dell’amore per il prossimo.


La gioventù dovrebb’essere l’età della gioia; ma senza speranza non c’è possibilità di gioia. Il cristiano autentico invece – conclude il Papa – non è mai triste, anche se deve affrontare prove difficili, perché la presenza e l’amicizia di Gesù è il segreto della sua gioia e della sua pace. La Chiesa continua ad invitare la gioventù del mondo a guardare in avanti.


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07/03/2009 16:00
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Il cardinale Vallini: la visita del Papa in Campidoglio ha un alto valore simbolico


Lunedì prossimo 9 marzo Benedetto XVI si recherà in visita in Campidoglio. Il Papa sarà accolto poco prima delle 11.00 dal Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e terrà il suo discorso durante una seduta straordinaria del Consiglio comunale. Quindi saluterà i cittadini presenti in Piazza del Campidoglio dalla Loggia del Palazzo Senatorio. Subito dopo, la visita al vicino Monastero di Santa Francesca Romana a Tor de’ Specchi. Sul significato della visita del Papa in Campidoglio ascoltiamo il cardinale vicario Agostino Vallini, al microfono di Luca Collodi:

R. – Questi incontri del Santo Padre con il suo popolo certamente lo incoraggiano, lo sostengono. I romani vogliono molto bene al Papa e dunque ogni sua presenza, e soprattutto una iniziativa come questa – la visita in Campidoglio, che ha un alto valore simbolico – certamente è molto gradita.


D. – Cardinale Vallini, la Chiesa da sempre è una risorsa per Roma. Come può migliorare questo suo ruolo?


R. – La comunità cristiana è continuamente chiamata ad interrogarsi sul suo modo di vivere la comunione ecclesiale e la missione. Anche noi, adesso, stiamo avviando una riflessione che abbiamo chiamato “verifica” del cammino della Chiesa di Roma – cammino ricchissimo – di questi primi dieci anni dopo il Giubileo, la grande esperienza della Missione cittadina che lo preparò, e poi i programmi pastorali indetti dal cardinale Ruini … La Chiesa di Roma è – come la chiamò il cardinale Ruini – un laboratorio, è un cantiere aperto; un cantiere aperto di riflessione, di approfondimento, di esperienza pastorale, di grandi successi ma anche di problematiche che sfidano sempre a rivedere anche il nostro cammino. Io penso che l’esperienza ecclesiale di Roma sia una grandissima risorsa riconosciuta da tutti: questo ci dice anche della responsabilità che abbiamo. D’altra parte, il nostro non è un lavoro solo di organizzazione: è un’opera che il Signore conduce attraverso la Chiesa e il Signore è all’opera perché questa città che ha una grande funzione di esemplarità per il mondo intero – il suo vescovo è il Romano Pontefice, il Pastore universale della Chiesa – deve curare molto il suo crescere nell’esperienza del Signore che trasforma i cuori e insieme anche l’impegno della testimonianza, del servizio, della missione.


D. – Come sta cambiando la società romana?


R. – Tutti dicono – dalle analisi dei sociologi alle esperienze che facciamo – che indubbiamente Roma sta cambiando, continuerà a cambiare, è già molto cambiata rispetto a 10-15 anni fa. Il centro storico si svuota, la gente non ci abita, ma ci vive; nei grandi quartieri di periferia, le borgate, la gente ci abita ma non ci vive … Roma cambia ma anche la Chiesa fa un lavoro di riflessione, progettazione perché possa essere sempre adeguata alla missione che il Signore le affida.


D. – La speranza passa anche attraverso un atteggiamento missionario della Chiesa romana...


R. – Naturalmente. Il cuore della speranza cristiana è l’annuncio cristiano: viviamo il tempo della Quaresima, ci prepariamo a rivivere sacramentalmente il mistero della Pasqua … Tutto questo vuol dire che il Signore opera nella storia e la storia ha in sé le premesse per accogliere la grazia dello Spirito di Cristo risorto e superare le sue difficoltà, manifestando la novità della vita. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


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07/03/2009 16:01
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Conclusi in Vaticano gli esercizi spirituali. Il grazie del Papa al cardinale Arinze per la sua teologia concreta. Intervista con il porporato nigeriano


Si sono conclusi questa mattina in Vaticano gli esercizi spirituali per la Quaresima guidati dal cardinale Francis Arinze, nella Cappella Redemptoris Mater, alla presenza del Papa e della Curia Romana. Le meditazioni del prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino hanno avuto per tema “Il sacerdote incontra Gesù e lo segue”. A conclusione il Papa ha rivolto il suo caloroso grazie al porporato nigeriano. Il servizio di Sergio Centofanti.

(canto)


Con la celebrazione cantata delle Lodi e l’ultima meditazione del cardinale Arinze, centrata sulla visione cristiana della vita eterna, si è conclusa la settimana di esercizi spirituali iniziata domenica scorsa. Poi sono arrivati i ringraziamenti di Benedetto XVI:


“E’ una delle belle funzioni del Papa dire ‘grazie’. In questo momento vorrei, a nome di tutti noi e di tutti voi, di cuore dire grazie a lei, eminenza, per queste meditazioni che ci ha donato. Ci ha guidato, illuminato, aiutato a rinnovare il nostro sacerdozio. La sua non è stata un’acrobazia teologica. Non ci ha offerto acrobazie teologiche, ma ci ha dato una sana dottrina, il pane buono della nostra fede … la Parola di Dio che ci dà il vero nutrimento. La sua predicazione è stata permeata della Sacra Scrittura, con una grande familiarità con la Parola di Dio letta nel contesto della Chiesa viva, dai Padri fino al catechismo della Chiesa cattolica, sempre contestualizzata nella lettura, nella liturgia”.


Non “una teologia astratta”, dunque – ha aggiunto il Pontefice - ma una teologia “marcata da un sano realismo”:


“Ho ammirato e mi è piaciuta questa esperienza concreta dei suoi 50 anni di sacerdozio, dei quali lei ha parlato e alla luce dei quali ci ha aiutati a concretizzare la nostra fede. Ci ha detto parole giuste, concrete per la nostra vita, per il nostro comportamento da sacerdoti. E spero che molti leggeranno anche queste parole e le prendano a cuore”.


Il Papa ha quindi commentato il tema delle meditazioni iniziate sulla “sempre di nuovo affascinante, bella storia dei primi discepoli” che chiedono a Gesù: “Maestro, dove abiti?”. E il Signore che risponde: “Venite e vedrete!”:


“Per ‘vedere’ dobbiamo 'venire', dobbiamo camminare e seguire Gesù, che ci precede sempre. Solo camminando e seguendo Gesù possiamo anche vedere. Lei ci ha mostrato dove abita Gesù, dove è la sua dimora: nella sua Chiesa, nella sua Parola, nella Santissima Eucaristia. Grazie, eminenza, per questa sua guida. Con nuovo slancio e con nuova gioia intraprendiamo il cammino verso la Pasqua. Auguro a tutti voi buona Quaresima e buona Pasqua".


(canto)


Ma ascoltiamo adesso, sull’esperienza di questi esercizi spirituali, lo stesso cardinale Arinze, al microfono di Sergio Centofanti:

R. – L’esperienza è stata molto positiva: ho visto la comunità del Santo Padre e dei suoi più vicini collaboratori, che hanno formato una comunità di preghiera e di lavoro. Lavoro e preghiera fanno un tutt’uno. Vedere tutti che meditano, pregano, con Gesù in mezzo, l’adorazione eucaristica ogni giorno, e poi un tempo individuale per ognuno … il tutto in silenzio … E’ edificante ed è molto positivo per la Chiesa!


D. – Qual è stato il centro delle sue meditazioni? Cosa ha voluto dire al Papa e alla Curia?


R. – Che il sacerdote accetta l’invito di Gesù, lo incontra e segue Gesù. E come i primi apostoli sono rimasti con lui quel giorno e sono rimasti con lui tre anni, noi cerchiamo di restare con Gesù, in modo che tutta la nostra vita sia come la processione dell’offertorio. Quindi, Gesù al centro, il sacerdote che lo incontra e lo segue e lo trova. Trova Gesù credendo in lui, trova Gesù nella Chiesa, nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Trova Gesù nelle persone che servono nella Chiesa, trova Gesù nella gente che soffre: la gente che ha bisogno di giustizia, di pace, di solidarietà. Trova Gesù nella preghiera, trova Gesù nella Sacra Scrittura dove Gesù ci parla. E’ questo il centro delle riflessioni, con la Sacra Scrittura e la Liturgia come guide.


D. – Il Papa ha avuto per lei un caloroso ringraziamento …


R. – Veramente! Io naturalmente sono molto riconoscente al Santo Padre per questo; ho cercato di condividere quel mio Gesù – se io posso dire così – senza la pretesa di essere un grande professore, ma cercando, con la Sacra Scrittura come guida e la liturgia, di seguire Gesù e di condividere quello che potevo. Le parole del Santo Padre sono per me un grande incoraggiamento, e io ne faccio tesoro. E quando l’Osservatore Romano pubblicherà tutto, come lei può immaginare, io ne farò una bella copia!


D. – La ringrazio e buona Quaresima!


R. – Anche a lei e a tutti i nostri ascoltatori auguro tutte le grazie della Quaresima in preparazione della Pasqua!




www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=730&sett...

08/03/2009 01:36
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La meditazione finale
del cardinale Arinze
agli esercizi spirituali in Vaticano




Dimissioni: una parola che non devono aver paura di pronunciare i sacerdoti e i vescovi colpiti da una malattia che verosimilmente li terrà a lungo lontani dal loro ministero. Devono piuttosto lasciare il timone nelle mani più salde "di chi gode di maggiore salute", per non penalizzare la comunità che gli è affidata. Del resto, come si legge nel libro del Qoelet (3,2) "c'è un tempo per nascere e un tempo per morire". Un argomento molto realistico quello affrontato dal cardinale Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nel proporre - sabato mattina 7 marzo, nella cappella Redemptoris Mater - l'ultima meditazione per gli esercizi spirituali in Vaticano alla presenza di Benedetto XVI e della Curia Romana.
"Non arriva forse il momento in cui - ha detto il porporato - chi ha servito a lungo Dio e la Chiesa, e adesso non sta bene, deve chiedere di essere sollevato dalle grandi responsabilità per permettere a chi gode di maggiore salute di prendere il timone?". Non è forse anche un modo per permettere al malato di prepararsi meglio all'incontro con il Signore? "Senza dubbio - ha proseguito il porporato - le persone vicine al vescovo diocesano o al parroco che sono ammalati, esiteranno a pronunciare la parola dimissioni per non apparire ingrati, ma non dovrebbe essere forse l'ammalato stesso a sollevare la questione? In questo modo, sarebbe tutto più semplice, tenendo conto che il Codice di diritto canonico chiede e ammonisce di avere sempre in mente che la salvezza delle anime deve essere la legge suprema della Chiesa". Da qui l'invito a riflettere, prima che sopraggiunga la malattia, su come comportarsi in qualità di sacerdote o vescovo nel caso di malattia abbastanza lunga: "Cosa sarebbe meglio che facessi per il bene della parrocchia o della diocesi?".
Il porporato, affrontando poi con molto realismo il significato che assume, soprattutto per un vescovo o per un sacerdote, il periodo durante il quale, più o meno consapevolmente, ci si avvicina al tramonto dell'esistenza, ha invitato non solo a "prepararsi per tempo" ma anche a riflettere sull'atteggiamento che in tali circostanze egli deve tenere. In particolare il cardinale si è concentrato sul genere di omelia che un sacerdote o un vescovo malato, sono portati a tenere. "Qualcuno - ha ricordato in proposito - ha osservato che il servo di Dio Giovanni Paolo II ci ha insegnato più dalla sua sedia a rotelle che nelle 14 lettere ed encicliche. Certo, questo è un modo di dire, di sottolineare la sua completa accettazione della volontà di Dio, anche dopo tanti ricoveri in ospedale, interventi chirurgici, difficoltà anche nel camminare, e nel parlare. Si può dire che egli abbia vissuto in prima persona la lettera apostolica Salvifici doloris del 1984". "Non è superfluo ricordare al sacerdote o al vescovo - ha detto concludendo - ciò che sanno, cioè il senso cristiano della morte. Tale considerazione li aiuterà a vivere con più serenità i momenti finali della loro vita in questa valle di lacrime". La morte del cristiano "ha grande valore quando viene vissuta in unione con Cristo. Inoltre, la morte insegna a tutti in modo perentorio la necessità di lasciare tutto, di seguire Gesù".



(©L'Osservatore Romano - 8 marzo 2009)

08/03/2009 15:56
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Oggi la Chiesa ricorda San Giovanni di Dio, fondatore dell’ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli


Oggi, 8 marzo, la Chiesa ricorda San Giovanni di Dio, fondatore dell’Ordine ospedaliero dei “Fatebenefratelli” e patrono dei malati, degli operatori sanitari e degli ospedali. Sulla figura di questo Santo, esempio di disponibilità e apertura verso il prossimo, il servizio di Isabella Piro:

“Fate del bene, fratelli! Fate del bene a voi stessi!”. Diceva così San Giovanni di Dio, predicando il Vangelo per le strade. Una frase che diverrà poi il nome dell’Ordine Ospedaliero da lui fondato. Nato poco lontano da Lisbona nel 1495, Giovanni si trasferì successivamente in Spagna, passando dalla carriera militare alla professione di libraio. Particolarmente colpito da una predica di San Giovanni d’Avila, decise di seguire la vocazione religiosa. Poco dopo, fu ricoverato nell’ospedale di Granada, per presunti disturbi mentali legati al suo fervore religioso. Lì, in quella casa di cura, Giovanni conobbe la dura realtà degli ammalati, soli e abbandonati. Decise di consacrare la sua vita al servizio degli infermi. Nel 1539 fondò il suo primo ospedale proprio a Granada. Undici anni più tardi, Giovanni morì. Era l’8 marzo del 1550. Una data, quella dell’8 marzo, che coincide con la Festa della donna. Ma cosa lega San Giovanni di Dio al mondo femminile? Ci risponde padre Giancarlo Lapic, appartenente all’Ordine Ospedaliero dei Fatebenefratelli:

“Anzitutto, lui cercava di ridare la dignità a quelle donne che in quell’epoca vivevano con il disagio sia dei rapporti familiari sia dei rapporti sociali: le prostitute, le ragazze che accompagnava al matrimonio oppure le ragazze che accompagnava verso una vita conventuale, verso la consacrazione”.

Canonizzato nel 1690 da Alessandro VIII, San Giovanni di Dio fu proclamato patrono degli ospedalieri da Leone XIII. Egli, infatti, viene considerato il fondatore dell’ospedale in senso moderno:

“Ha suddiviso le patologie per evitare un ulteriore contagio, ad ogni malato ha dato un suo letto ed ha istituito un particolare approccio per coloro che venivano ricoverati: non più la ‘custodia’ dell’ammalato, ma tutto un percorso di aiuto e di accompagnamento nella sofferenza”.

La dignità della vita umana, dunque, ed il suo rispetto furono fondamentali per San Giovanni di Dio. Un insegnamento che permane ancora oggi, attraverso il suo carisma:

“Il carisma particolare di San Giovanni di Dio è il valore dell’accoglienza che l’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio vive nella sensibilità del mondo della sofferenza, delle persone bisognose, povere, in tutte le loro dimensioni, cercando sempre di ridare dignità alla persona secondo l’intenzione di Dio. San Giovanni di Dio si è talmente immedesimato nei sentimenti di Cristo che la gente che lo circondava, in tutto ciò che faceva vedeva la presenza di Dio. Perciò lo chiamava Giovanni di Dio”.

Oggi l’Ordine Ospedaliero “Fatebenefratelli” conta 300 strutture in 49 nazioni del mondo, tra cui Stati Uniti, Africa, India, Giappone, Israele e Nuova Zelanda. Ogni giorno, 40 mila collaboratori assistono in media 35 mila pazienti. E tutti tengono a mente due parole importanti per alleviare le sofferenze degli ammalati:
“Accoglienza ed ascolto. La cosa fondamentale è essere in grado di vedere il bisogno e già questa attitudine porta anche a rimediare. E credo che questo sia il primo e fondamentale passo”.


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Domani la visita del Papa in Campidoglio. Intervista con il sindaco di Roma, Gianni Alemanno


In Campidoglio si stanno ultimando i preparativi per accogliere domani Benedetto XVI. E’ un appuntamento importante e atteso che vedrà intervenire il Santo Padre nell’aula Giulio Cesare ad una seduta straordinaria del Consiglio capitolino, dedicata al tema del valore universale di “Roma, capitale del cattolicesimo e dei suoi valori”. Su questa visita si sofferma, al microfono di Luca Collodi, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno:

R. - C’è una certa emozione e anche un po’ di apprensione: sono 11 anni che il Santo Padre non viene in Campidoglio. Stiamo cercando di organizzare al meglio tutta la struttura, facendo in modo che questo sia veramente un profondo evento cittadino che coinvolga tutta la gente.


D. – Sindaco Alemanno, in occasione della visita del Papa, il Comune di Roma dedicherà a Benedetto XVI un centro sulla via Cassia per il recupero di ragazzi disagiati. Di che cosa si tratta?


R. - Si tratta di una struttura che deve diventare un grande centro di formazione che sarà proprio intitolato “Benedetto XVI” e che, sostanzialmente, rappresenta un luogo per dare un segnale rispetto a quel rischio educativo, a quel problema di formazione che c’è nei confronti di tutti i giovani sia italiani sia non italiani.


D. - Il Papa, capo della cristianità, viene a parlare in un consiglio comunale straordinario che è una realtà molto laica...


R. - Io ricordo le parole che furono pronunciate da Giovanni Paolo II quando venne in Campidoglio. Disse: qui si incontra la Roma religiosa e la Roma civile. Quindi, sostanzialmente, è un incontro che vede il suo punto di sintesi nell’attenzione al bene comune e nell’attenzione ai valori della persona umana. Su questo versante la sfida è aperta, innanzitutto per il mondo cattolico. Credo che i nostri valori possano dire tantissimo: sono discorsi universali che valgono per chiunque.


D. - Non è possibile anticipare il suo saluto ma c’è un’immagine, un concetto a cui lei tiene fortemente e che vuole comunicare in questo momento al Papa ma anche alla città...


R. - Il mio saluto ruoterà su tre parole: vita, accoglienza e speranza. Vorremmo che Roma fosse veramente la città della vita, perché si dia sostegno alla vita che nasce e alla vita in tutte le sue manifestazioni. Poi vorremmo che fosse la città dell’accoglienza. Infine, vorremmo sia la città della speranza, anche rispetto alla libertà religiosa. Lanceremo un messaggio di sostegno alla libertà religiosa perché la libertà religiosa è la libertà di avere speranze.(Montaggio a cura di Maria Brigini)


Lasciato il Campidoglio, il Santo Padre visiterà il Monastero delle Oblate di Santa Francesca Romana a Tor de’ Specchi. Sulla figura di questa Santa, chiamata dai romani 'Ceccolella', si sofferma al microfono di Luca Collodi la storica dell’arte Nicoletta Fattorosi Barnaba:


R. – Santa Francesca Romana è una Santa molto amata dai romani, protettrice del popolo romano perché durante il periodo del soggiorno avignonese – siamo nel 1300 – si è dedicata moltissimo ad aiutare gli ultimi. Quindi rimane, nella vita dei romani, come colei che aiutava sempre tutti. Fonda le Oblate minori a Tor de’ Specchi dove non vi entra perché rimane a casa a seguire il marito ed inventa una crema meravigliosa per alleviare le ferite del coniuge.

D. – Perché questo monastero si chiama Tor de’ Specchi e qual è la sua importanza storica?


R. – Questo complesso si è formato pian piano perché sono state comprate tutte le case vicine e si chiama Tor de’ Specchi perché ci sono delle finestre ovali. Ospita tutta la storia di Santa Francesca Romana con un ciclo di affreschi bellissimo, molto probabilmente della bottega di Antoniazzo Romano. Siamo intorno al 1400. Gli affreschi ci ricordano la storia della Santa che fu presa dal diavolo, trascinata fuori dalla finestra, presa per i capelli, ferita e schiaffeggiata. Ma Santa Francesca Romana non cedette mai perché riuscì sempre a vedere il suo angelo custode. Sotto gli affreschi le didascalie sono in romano del 1400. Quindi, non solo dal punto di vista pittorico ma anche linguistico, è un testamento bellissimo. Queste storie, per altro, sono state scritte dal suo padre confessore in romanesco. Quindi c’è anche il libro che ci attesta tutto quello che lei ha vissuto insieme al diavolo, che l’aveva presa veramente di mira. Questo complesso monastico è un tuffo nel passato, non soltanto storico-artistico ma anche spirituale. Questa Santa è riuscita ad avere sempre una freschezza di amore nei confronti di Dio. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


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All'Angelus Benedetto XVI annuncia che dall'8 al 15 maggio si recherà in pellegrinaggio in Terra Santa

All’Angelus Benedetto XVI ricorda l’odierna Giornata della donna e indica Madre Teresa come esempio e tante donne che “nel nascondimento” lavorano per il bene dell’umanità. Il Pontefice chiede anche preghiere per i suoi prossimi viaggi in Africa, dal 17 al 23 marzo, e in Terra Santa, dove si recherà dall’8 al 15 maggio. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Benedetto XVI ha annunciato che a maggio si recherà in pellegrinaggio nella terra di Gesù:


“Dall’8 al 15 maggio compirò un pellegrinaggio in Terra Santa per domandare al Signore, visitando i luoghi santificati dal suo passaggio terreno, il prezioso dono dell’unità e della pace per il Medio Oriente e per l’intera umanità. Sin d’ora conto sul sostegno spirituale di tutti voi, perché Iddio mi accompagni e ricolmi delle sue grazie quanti incontrerò sui miei passi”.


Accogliendo l'invito del re di Giordania, del presidente di Israele, del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese e dell'Assemblea degli ordinari cattolici - si legge nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede - Benedetto XVI “si recherà ad Amman, Gerusalemme, Betlemme e Nazareth”. Poco prima dell’annuncio del pellegrinaggio in Terra Santa, il Papa aveva ricordato l’altro viaggio apostolico che compirà prossimamente:


“La settimana ventura, dal 17 al 23 marzo, mi recherò in Africa, prima in Camerun e quindi in Angola, per manifestare la concreta vicinanza mia e della Chiesa ai cristiani e alle popolazioni di quel continente che mi è particolarmente caro”.


All’Angelus il Papa si è soffermato sull’episodio della Trasfigurazione, riproposto oggi, seconda domenica di Quaresima. Quando Gesù – ha detto il Santo Padre – portò con sé su un alto monte Pietro, Giacomo e Giovanni si “trasfigurò”: il suo volto e la sua persona apparvero luminosi, splendenti. La Trasfigurazione di Gesù – ha spiegato il Papa – è stata sostanzialmente un’esperienza di preghiera:


“La preghiera, infatti, raggiunge il suo culmine, e perciò diventa fonte di luce interiore, quando lo spirito dell’uomo aderisce a quello di Dio e le loro volontà si fondono quasi a formare un tutt’uno. Quando Gesù salì sul monte, si immerse nella contemplazione del disegno d’amore del Padre, che l’aveva mandato nel mondo per salvare l’umanità”.

Il Santo Padre ha quindi esortato a pregare, a dedicarsi all'ascolto della Parola, alla meditazione dei misteri di Cristo:


“Insieme con il digiuno e le opere della misericordia, la preghiera forma la struttura portante della nostra vita spirituale. Cari fratelli e sorelle, vi esorto a trovare in questo tempo di Quaresima prolungati momenti di silenzio, possibilmente di ritiro, per rivedere la propria vita alla luce del disegno d’amore del Padre celeste. Lasciatevi guidare in questo più intenso ascolto di Dio dalla Vergine Maria, maestra e modello di preghiera”.


Il pensiero del Papa è andato anche all’odierna Giornata della donna:


“La data odierna – 8 marzo – ci invita a riflettere sulla condizione della donna e a rinnovare l’impegno, perché sempre e dovunque ogni donna possa vivere e manifestare in pienezza le proprie capacità ottenendo pieno rispetto per la sua dignità”.


In tal senso – ha ricordato il Santo Padre - si sono espressi il Concilio Vaticano II e il magistero pontificio, in particolare la Lettera apostolica 'Mulieris dignitatem' del servo di Dio Giovanni Paolo II. Più degli stessi documenti, però, valgono le testimonianze dei Santi:


“…E la nostra epoca ha avuto quella di Madre Teresa di Calcutta: umile figlia dell’Albania, diventata, per la grazia di Dio, esempio a tutto il mondo nell’esercizio della carità e nel servizio alla promozione umana. Quante altre donne lavorano ogni giorno, nel nascondimento, per il bene dell’umanità e per il Regno di Dio! Assicuro oggi la mia preghiera per tutte le donne, perché siano sempre più rispettate nella loro dignità e valorizzate nelle loro positive potenzialità”.



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Si dimette il vescovo irlandese Magee, in Vaticano da Paolo VI a Wojtyla

Criticato per non essere intervenuto in casi di abusi commessi da preti della sua diocesi

Pedofilia, travolto dalle accuse si dimette il segretario di tre Papi

di PIETRO DEL RE

Segretario privato di ben tre papi, tra cui Giovanni Paolo II, il vescovo irlandese John Magee è stato costretto ieri a dimettersi, travolto da un'inchiesta su presunti casi di pedofilia. Magee, vescovo dal 1987 di Cloyne, nel sud dell'Irlanda, si è trovato al centro di uno scandalo scoppiato nella sua diocesi su presunti abusi sessuali su minori da parte di preti.
Negli ultimi anni, la Chiesa cattolica irlandese è stata sconvolta da diversi episodi di pedofilia ed accusata di aver coperto alcuni di questi casi. Più volte, le autorità ecclesiastiche si sarebbero limitate a spostare di parrocchia i preti accusati degli abusi dai minori.
Lo scorso dicembre, proprio il vescovo Magee fu criticato dal "Comitato nazionale per la salvaguardia dei bambini" per il caso di due preti della diocesi di Cloyne accusati di violenze su minori. Nei confronti di quei religiosi non era stata adottata nessuna sanzione ecclesiastica. Solo nel 2008, ventisei diocesi irlandesi hanno sporto cinquantasei denunce per abuso, una ventina delle quali coinvolgevano preti già deceduti. Un solo prete è stato incriminato. Queste ed altre vicende hanno seriamente intaccato l'autorità morale della Chiesa cattolica irlandese.
Lo scorso 4 febbraio il vescovo Magee avrebbe chiesto direttamente al papa Benedetto XVI di nominare un amministratore apostolico per gestire la diocesi fino a quando non sarà nominato un nuovo vicario. Per ricoprire questo ruolo, il Vaticano ha scelto l'arcivescovo Dermot Clifford. "La rapidità con cui il Santo padre ha preso questa decisione indica l'importanza che la Chiesa accorda alla salvaguardia dei bambini e quanto abbia a cuore i bisogni delle vittime", ha dichiarato il cardinale Sean Brady, primate d'Irlanda. Un prelato della diocesi di Cloyne ha detto che "questa nomina consentirà al vescovo Magee di cooperare pienamente con la commissione d'inchiesta voluta dal governo irlandese per far luce sugli abusi commessi sui bambini".
John Magee è nato nel 1936 in Irlanda ed è stato segretario privato di ben tre papi: Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. Nel 1982 papa Wojtyla lo nominò Maestro di cerimonie pontificie.

© Copyright Repubblica, 8 marzo 2009


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Nel dopoguerra due Pontefici, prima di Ratzinger, hanno fatto visita in Campidoglio

Solidarietà verso gli ultimi il messaggio dei Papi all'Urbe

Una visita a lungo attesa

Un legame di secoli. Antico come la storia della Chiesa di Roma. Domani Benedetto XVI attraverserà il Tevere e percorrerrà i tre chilometri fino al Campidoglio. Sono trascorsi undici anni dall'ultima volta che un successore di Pietro entrò nel Palazzo Senatorio. Era il 15 gennaio 1998, e Giovanni Paolo II, dopo aver visitato gran parte del Pianeta, a vent'anni dalla sua incoronazione, entrava nella Sala del Consiglio e parlava alla giunta e ai consiglieri capitolini. Sindaco era Rutelli, commissario straordinario per il Giubileo del 2000. E quella visita fu la consacrazione della missione giubilare e l'importanza del ruolo di Roma. Giovanni Paolo II lo disse senza perifrasi: «Roma si riflette nel Giubileo e il Giubileo fa riferimento alla realtà di Roma». Un appello alla solidarietà e all'uguaglianza quella del discorso di Papa Wojtyla. Un discorso rivolto agli amministratori capitolini perché Roma resti «faro di civiltà e fede». Il rapporto tra Giovanni Paolo II e Roma era già forte. Quella visita lo rese ancor più intenso. Ma il legame con i Papi è indissolubile e proprio Wojtyla lo ricordò in quell'occasione ripercorrendo le visite dei papi. Il suo ultimo predecessore, il Papa del Sorriso, Luciani, il Campidoglio lo vide dai piedi della scalinata: il 23 settembre 1978, unica uscita del pontificato breve, Giovanni Paolo I si fermò per cogliere il saluto del sindaco Argan e della Giunta. Wojtyla era molto legato all'Urbe. Gli studi teologici, le uscite segrete. Quella visita storica dell'aprile 1986 alla sinagoga di Roma e poi l'afflato che si generò con la gente durante le visite alle parrocchie alimentarono un affetto che dura ancora oggi. E come un «vecchio padre» esortò i romani «a fare più figli» e ancora in un'altra udienza esortò gli amministratori esortò ad aiutare i cittadini a superare «l'incertezza della disoccupazione». Un amore profondo che si espresse, quando già la malattia aggrediva il suo corpo nel febbraio 2004, rivolgendosi ai parroci romani con un romanesco «Damose da fà. Volemose bbene». In precedenza anche Paolo VI salì al colle capitolino. Era l'anno 1966. Il 16 aprile Montini fece visita in Campidoglio ma a differenza di Wojtyla e domani di Benedetto XVI non entrò nel Palazzo del potere politico. L'incontro tra Paolo VI e il sindaco Petrucci avvenne nei saloni dei Musei Capitolini. Il Papa ringraziò Roma dell'accoglienza data ai padri conciliari. Appena pochi giorni prima si era infatti concluso il Concilio Vaticano II. In quell'occasione, così lontana nel tempo, il Papa rivolse un accorato appello per una maggiore solidarietà umana. Un filo conduttore di tutti i pontefici che da Pastori di Roma sentono il dovere di sostenere il proprio gregge. «Siamo venuti per ripetere qui umili e grandi cose allo scopo di assicurare la Nostra comprensione per i molti e grossi problemi che assillanno la metropoli». Paolo VI ricordò anche il forte legame tra la Chiesa e Roma: «Senza nostalgia per il potere temporale». Così nel suo discorso fece riferimento al all'ultimo Papa Re, Pio IX, che in Campidoglio salì poco prima di Porta Pia per controllare i restauri del Tabularium. A sottolineare il distacco da quell'epoca, Papa Montini regalò alla città lo stendardo che fu di Cola di Rienzo. Quella di Paolo VI fu una visita contestata. Alla vigilia delle elezioni, parte della sinistra e dei radicali la considerarono uno spot a favore della Democrazia Cristana e di quel sindaco Arrigo Petrucci sotto inchiesta per un scandalo di gestione fondi. E domani sarà la volta di Benedetto XVI. Il Papa del Rione Borgo come qualcuno ama ricordare. Infatti Ratzinger abitò, prima di essere eletto, per quasi vent'anni appena fuori le Mura vaticane. Principe della Chiesa e insigne teologo ha sempre fatto vita di quartiere frequentando le antiche trattorie e passeggiando spesso per le stradine di Borgo soffermandosi a parlare con commercianti e semplici cittadini. Domani incontrerà il sindaco Alemanno. Si affaccerà sui Fori. Benedirà l'Urbe dalla scalinata michelangiolesca. Anche lui come Giovanni Paolo II presenzierà una seduta straordinaria del parlamento capitolino. Al sindaco Alemanno, alla giunta e ai consiglieri si rivolgerà da Vescovo della città. Chiederà più attenzione per i più deboli: «maggiore impegno per la solidarietà verso tutti i popoli» che vivono nella città che vide il martirio di Pietro. E come segno di questo bisogno di maggiore carità verso il prossimo, Papa Ratzinger visiterà il monastero delle suore Oblate a Tor de' Specchi dove visse Santa Francesca Romana: simbolo della generosità di chi dedicò la vita ai poveri.

© Copyright Il Tempo, 8 marzo 2009


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Benedetto XVI visita il Campidoglio e invita Roma alla solidarietà per superare la crisi e favorire l’integrazione. Il Comune intitola al Papa un centro per il recupero di giovani disagiati


Roma si riappropri delle sue “radici civili cristiane” se vuole “farsi promotrice di un nuovo umanesimo” che difenda la dignità di ogni uomo, lo aiuti a superare le attuali difficoltà socioeconomiche e contrasti la “povertà spirituale” che si respira negli ambienti più degradati. E’ la consegna ideale che Benedetto XVI lascia alla Città eterna, al termine di una importante mattinata che ha visto il Papa visitare il Campidoglio, sede del Comune capitolino. Il Pontefice - che ha toccato davanti al sindaco Gianni Alemanno e ai suoi collaboratori i temi “caldi” della crisi economica, dell’integrazione e della violenza urbana - ha poi rivolto un saluto alle persone radunatesi sin dal mattino, affacciandosi dal balconcino che dà sulla Piazza. Infine, si è recato per una breve visita al vicino Monastero delle Oblate di Santa Francesca Romana a Tor de' Specchi. La cronaca della visita in Campidoglio, nel servizio di Alessandro De Carolis:

Undici anni dopo l'ultima volta, un Papa ha nuovamente salito quella lieve gibbosità del terreno - 50 metri sul livello del mare - che per secoli ha simboleggiato, specie nel mondo antico, il fulcro civile, religioso e politico di Roma. Il Capitolium, il più piccolo e più importante dei sette Colli romani, ha visto Benedetto XVI seguire le orme di Paolo VI e Giovanni Paolo II che, prima di lui, erano saliti al Campidoglio e avevano preso, nel 1966 e nel 1998, la parola davanti alle autorità cittadine. Anche Benedetto XVI lo ha fatto, verso le 11.30 davanti al Consiglio comunale riunito in seduta straordinaria nell’Aula Giulio Cesare, e le sue parole hanno voluto essere, per esplicita ammissione del Papa, un incoraggiamento agli amministratori capitolini e un voler “condividere le attese e le speranze degli abitanti”, ascoltandone “le preoccupazioni e i problemi”. Ma anche un ribadire che - per continuare ad essere” faro di vita e di libertà, di civiltà morale e di sviluppo sostenibile” - Roma ha bisogno di rifarsi ai “valori perenni” del Vangelo:

“Nell’era post-moderna Roma deve riappropriarsi della sua anima più profonda, delle sue radici civili e cristiane, se vuole farsi promotrice di un nuovo umanesimo che ponga al centro la questione dell’uomo riconosciuto nella sua piena realtà. L’uomo, svincolato da Dio, resterebbe privo della propria vocazione trascendente. Il cristianesimo è portatore di un luminoso messaggio sulla verità dell'uomo, e la Chiesa, che di tale messaggio è depositaria, è consapevole della propria responsabilità nei confronti della cultura contemporanea”.

(suono tromba)

Qualche minuto prima delle 11, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha accolto il Pontefice all’entrata, nell'area Sisto IV, tra le ovazioni della folla e sotto lo sguardo dei circa 400 giornalisti accreditati. Benedetto XVI si è voltato più volte verso la gente assiepatasi nella piazza dove sorge la celebre statura equestre del Marco Aurelio, prima di entrare nel Palazzo Senatorio. Pochi minuti dopo, le telecamere lo hanno inquadrato affacciato al piccolo balcone dell’ufficio del sindaco, da dove si domina il panorama sul Foro Romano, illuminato dal sole.


Il cerimoniale successivo si è svolto come da programma: il saluto del Papa agli assessori e funzionari nella sala dell'Arazzo, quindi la firma del Libro d'oro degli ospiti nella Sala delle Bandiere. Un applauso ha accolto l’ingresso di Benedetto XVI nell’Aula consiliare, dove il Papa è stato salutato dal sindaco capitolino il quale, sottolineando la storicità della visita pontificia, ha insistito fra l’altro sul concetto di Roma come città dell’accoglienza. Un’apertura confermata anche dalla particolare decisione del Comune illustrata al Vescovo di Roma:

“In occasione di questa sua storica visita, quale piccolo ma significativo segno di tale sforzo, il Comune di Roma ha deciso di realizzare un polo di accoglienza e di formazione dedicato agli adolescenti, in particolare quelli disagiati e in difficoltà. In segno di omaggio nei suoi confronti l’amministrazione comunale ha scelto di intitolare questa iniziativa col suo nome ‘Centro Benedetto XVI’ (...) Si tratta di un piccolo contributo all’azione educativa a cui l’amministrazione comunale, la Chiesa cattolica con le sue istituzioni e molte associazioni di volontariato sono chiamate a offrire il proprio apporto, rendendo vivi i principi della sussidiarietà e della solidale cooperazione”.

Ringraziando il sindaco, Benedetto XVI si è addentrato nei mutamenti sociali registrati dal tessuto urbano della capitale, riconoscendo che il “cantiere” della Roma del Terzo millennio affronta da qualche decennio sfide “inedite”:

“Roma si è andata popolando di gente che proviene da altre nazioni e appartiene a culture e tradizioni religiose diverse, ed in conseguenza di ciò, ha ormai il volto di una Metropoli multietnica e multireligiosa, nella quale talvolta l’integrazione è faticosa e complessa. Da parte della comunità cattolica non verrà mai meno un convinto apporto per trovare modalità sempre più adatte alla tutela dei diritti fondamentali della persona nel rispetto della legalità. Sono anch’io persuaso, come Ella, Signor Sindaco, ha affermato, che, attingendo nuova linfa alle radici della sua storia plasmata dal diritto antico e dalla fede cristiana, Roma saprà trovare la forza per esigere da tutti il rispetto delle regole della convivenza civile e respingere ogni forma di intolleranza e discriminazione".

Una legalità messa in discussione da quegli “episodi di violenza” che, ha osservato il Papa, deplorati da tutti sono tuttavia il segno di “un disagio più profondo”:

“Sono il segno - direi - di una vera povertà spirituale che affligge il cuore dell’uomo contemporaneo. La eliminazione di Dio e della sua legge, come condizione della realizzazione della felicità dell’uomo, non ha affatto raggiunto il suo obbiettivo; al contrario, priva l’uomo delle certezze spirituali e della speranza necessarie per affrontare le difficoltà e le sfide quotidiane”.

Dunque, ha proseguito Benedetto XVI, l’attuale crisi economica, e le sue derive del precariato del lavoro e della povertà di tante persone, si batte con lo “sforzo concorde” delle istituzioni civili con le strutture caritative, molte delle quali gestite dalla Chiesa, e fra le quali il Pontefice ha compreso anche il nascente Centro a nord di Roma dedicatogli dal Comune:

“Le famiglie, la gioventù possono sperare in un avvenire migliore nella misura in cui l’individualismo lascerà spazio a sentimenti di fraterna collaborazione fra tutte le componenti della società civile e della comunità cristiana. Possa anche questa erigenda opera essere uno stimolo per Roma a realizzare un tessuto sociale di accoglienza e di rispetto, dove l’incontro tra la cultura e la fede, tra la vita sociale e la testimonianza religiosa cooperi a formare comunità veramente libere e animate da sentimenti di pace”.

Allo scambio de doni, oltre a una copia del “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa”, in segno di collaborazione con le istituzioni cittadine, Benedetto XVI ha consegnato al sindaco Alemanno una mappa monumentale di Roma. Da parte sua, il primo cittadino ha donato al Papa una medaglia d’oro - coniata in un unico esemplare per l’occasione - e ha scoperto una targa commemorativa della visita, apposta sulla parete dell’Aula Giulio Cesare.


Infine, come previsto, il Papa si è poi affacciato verso mezzogiorno dalla terrazza del Palazzo Senatorio per salutare la gente nella Piazza del Campidoglio, dove spiccavano gli striscioni di molte associazioni cattoliche e laiche. Le parole di Benedetto XVI, pronunciate con grande trasporto, sono state un inno alla bellezza di Roma e un omaggio al “cuore romano”, capace - ha affermato il Papa - di “generosità” e di “santità”. Anch’io, ha concluso, “sono diventato un po’ romano”, suscitando applausi che si sono intensificati al momento della sua frase di congedo:

“Cari amici, rientrando nelle vostre case, comunità e parrocchie, dite a quanti incontrerete che il Papa assicura a tutti la sua comprensione, la sua vicinanza spirituale (applausi) e la sua preghiera! (...) Grazie per la vostra presenza. Arrivederci. Buona settimana!”.


(Applausi)

Quelle di Benedetto XVI "sono affermazioni che incoraggiano il nostro impegno quotidiano accanto a chi è più in difficoltà nella nostra città, dai senza fissa dimora, agli anziani poveri, agli immigrati e agli zingari". Lo scrive in una nota il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, dopo la visita del Papa in Campidoglio. Ma molte sono state le reazioni di apprezzamento all'invito del Papa a trasformare la capitale in una città dell'integrazione etnica, culturale e religiosa. Analoga la posizione del Sir, l'agenzia dei vescovi italiani, per la quale quanto affermato dal Pontefice favorisce la formazione di "comunità veramente libere e animate da sentimenti di pace". Ma quanto rischia di chiudersi, Roma, in questo tempo di crisi? Alessandro Guarasci lo ha chiesto a mons. Guerino Di Tora, direttore della Caritas romana, presente in Campidoglio:

R. – Io immagino che ci possa essere questa tentazione di rinchiudersi, e quindi una città come Roma, accogliente di per sé, possa soprattutto nelle frange delle periferie avere questo senso di nuova difficoltà. E’ su questo che con le Caritas parrocchiali cerchiamo di lavorare, di creare veramente quel senso di maggiore apertura, di accoglienza, di collaborazione, di accettazione, di intercultura, di capire che insieme si può realizzare il superamento di questo momento di crisi.


D. – Dal Papa è sempre venuta una parola a favore dell’accoglienza. Questo quanto rafforza la vostra azione?


R. – Questo ci rafforza enormemente. Sapere che il nostro vescovo è di questa idea ci dà anche maggior forza e stimolo perché non è che operiamo da soli. La Caritas è proprio l’organismo della diocesi per queste realtà. Quindi, dobbiamo veramente essere in piena sintonia e comunione con quello che è l’indirizzo che ci dà il nostro vescovo.


D. – State in qualche modo percependo un maggior afflusso nei vostri centri, soprattutto per esempio del ceto medio? State percependo una certa difficoltà ad arrivare a fine mese? Come la percepite?


R. – Si taglia con mano. La percepiamo in vari modi. Anzitutto, la maggior presenza e richiesta nei centri parrocchiali di quelli che sono generi e alimenti di prima necessità. Si era passati dal famoso pacco, busta e così via alla richiesta unicamente di bollette, affitti. Si sta ritornando pienamente a questo. Ma ancora di più, la cosa si denota nella richiesta di famiglie di poter entrare a fare la spesa all’emporio, l’emporio della solidarietà. Siamo passati ormai a 800 famiglie e la richiesta è sempre maggiore. L’emporio è solo per le famiglie, non è per gente di strada o single, e la richiesta è sempre maggiore. Per cui si tocca con mano questo senso di difficoltà e su questo facciamo leva per l’impegno di tutta la comunità cristiana.







Benedetto XVI nel Monastero di Santa Francesca Romana a Tor de' Specchi


Dopo la visita al Campidoglio il Papa si è recato nel vicino Monastero delle Oblate di Santa Francesca Romana a Tor de’ Specchi. Nella Cappella del Coro si è svolto un breve momento di adorazione del Santissimo Sacramento e di venerazione del corpo di Santa Francesca Romana, di cui oggi ricorre la memoria liturgica. Quindi Benedetto XVI ha tenuto il suo discorso preceduto dal saluto di Madre Maria Camilla Rea, presidente del Monastero. Ce ne parla Sergio Centofanti.

Benedetto XVI rende omaggio alla “più romana delle Sante” mentre ancora è in corso il quarto centenario della sua canonizzazione. Parla della “totale dedizione a Dio e al prossimo” di Santa Francesca Romana, sposa, madre di tre figli e poi fondatrice delle Oblate di Tor de’ Specchi: tra il 1300 e il 1400 ha fatto scaturire un’originale esperienza in cui il silenzio e la preghiera sono strettamente uniti all’operosità:


“Contemplazione e azione, preghiera e servizio di carità, ideale monastico e impegno sociale: tutto questo ha trovato qui un ‘laboratorio’ ricco di frutti, in stretto legame con i monaci Olivetani di Santa Maria Nova. Il vero motore però di quanto qui si è compiuto nel corso del tempo è stato il cuore di Francesca, nel quale lo Spirito Santo riversò i suoi doni spirituali e al tempo stesso suscitò tante iniziative di bene”.


Il Monastero di Santa Francesca Romana – ha sottolineato il Papa – è caratterizzato da “un singolare equilibrio tra vita religiosa e vita laicale, tra vita nel mondo e fuori dal mondo” e “si trova nel cuore della città” quasi un “simbolo della necessità di riportare al centro della convivenza civile la dimensione spirituale, per dare senso pieno alle molteplici attività dell’essere umano”:


“Proprio in questa prospettiva, la vostra comunità, insieme con tutte le altre comunità di vita contemplativa, è chiamata ad essere una sorta di ‘polmone’ spirituale della società, perché a tutto il fare, a tutto l’attivismo di una città non venga a mancare il ‘respiro’ spirituale, il riferimento a Dio e al suo disegno di salvezza. È questo il servizio che rendono in particolare i monasteri, luoghi di silenzio e di meditazione della Parola divina, luoghi dove ci si preoccupa di tenere sempre la terra aperta verso il cielo”.


“Il vero edificio che Dio ama costruire è la vita dei santi” – ha proseguito il Papa – e “anche ai nostri giorni, Roma ha bisogno di donne … tutte di Dio e tutte del prossimo”:


“Donne capaci di raccoglimento e di servizio generoso e discreto; donne che sanno obbedire ai Pastori, ma anche sostenerli e stimolarli con i loro suggerimenti, maturati nel colloquio con Cristo e nell’esperienza diretta sul campo della carità, dell’assistenza ai malati, agli emarginati, ai minori in difficoltà. E’ il dono di una maternità che fa tutt’uno con l’oblazione religiosa, sul modello di Maria Santissima … Il cuore di Maria è il chiostro dove la Parola continua a parlare nel silenzio, e al tempo stesso è la fornace di una carità che spinge a gesti coraggiosi, come pure a una condivisione perseverante e nascosta”.




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10/03/2009 01:45
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La Santa Sede: occorre valorizzare il ruolo femminile nell'assistenza


Fornendo incentivi nei Paesi poveri per evitare l'emigrazione





di Roberta Sciamplicotti

NEW YORK, lunedì, 9 marzo 2009 (ZENIT.org).- La valorizzazione del ruolo delle donne nei compiti di assistenza e la presenza di incentivi che evitino la fuga dei cervelli dai Paesi in via di sviluppo sono tra gli elementi sottolineati dall'Arcivescovo Celestino Migliore intervenendo questo lunedì a New York presso il Consiglio Economico e Sociale alla 53ª sessione della Commissione sullo Status delle Donne.

Nel suo discorso durante la discussione su come implementare obiettivi strategici in settori che destano particolari preoccupazioni, soprattutto “sull'equa distribuzione delle responsabilità tra uomini e donne, inclusa l'assistenza nel contesto dell'Hiv/Aids”, il presule ha affermato che considerare l'assistenza un aspetto fondamentale della vita umana ha “implicazioni profonde”.

Essa, infatti, coinvolge “programmi, politiche e decisioni di budget, così come atteggiamenti personali e impegno per il benessere altrui”, e fa constatare che gli esseri umani “sono creature non solo autonome e uguali, ma anche interdipendenti, che nonostante il loro status sociale e lo stadio a cui si trova la loro vita possono aver bisogno di assistenza”.

Il superamento del dilemma tra autonomia e dipendenza “favorisce anche una nuova visione dell'opera di assistenza, che non può più essere attribuita solo a certi gruppi, come donne e immigrati, ma va anche divisa tra tutti gli uomini e tutte le donne, in casa come nel settore pubblico”.

In particolare, ha osservato l'Arcivescovo, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite , “è sempre più insostenibile che continuino a esistere atteggiamenti e luoghi – anche nell'assistenza sanitaria – in cui le donne sono discriminate e il loro contributo alla società viene sottovalutato solo perché sono donne”.

Allo stesso modo, “è inaccettabile il ricorso alla pressione sociale e culturale per mantenere la disuguaglianza dei sessi”.

Nel contesto della lotta all'Hiv/Aids, ha dichiarato monsignor Migliore, “rimangono essenziali le cure della comunità e il sostegno mondiale per quanti sono affetti da questa malattia”.

L'assistenza domiciliare, mezzo preferito di assistenza in molte situazioni sociali e culturali, è spesso più risolutiva a lungo termine quando viene effettuata all'interno delle comunità, perché quando molti membri di quest'ultima sono coinvolti nell'assistenza e nel sostegno è meno probabile che alla malattia si associ lo stigma.

Purtroppo, ha lamentato l'Arcivescovo, l'assistenza domiciliare e comunitaria “è ampiamente non riconosciuta, e molti assistenti affrontano situazioni finanziarie precarie”, visto che ricevono una minima parte dei fondi spesi ogni anno per assistere i malati ed effettuare ricerche sulla malattia.

Dato che gli studi hanno dimostrato che gli assistenti comunitari e domiciliari subiscono uno stress superiore rispetto al personale medico, “dovrebbe essere fornito un sostegno maggiore a queste persone, soprattutto se donne e anziani”.

Il presule ha anche sottolineato alcuni aspetti della globalizzazione dell'assistenza che stanno interessando in particolare le donne povere e immigrate. “In società caratterizzate da importanti trasformazioni demografiche, sistemi familiari, occupazionali e assistenziali inadeguati, le donne immigrate rispondono alla richiesta di assistenza nei confronti di bambini, malati, handicappati gravi e anziani”.

In molte parti del mondo, inoltre, “è emerso un vero mercato nel settore dell'assistenza domiciliare, in cui soprattutto le donne si trovano in situazioni di vulnerabilità a causa del mancata regolarizzazione, dell'isolamento sociale, di difficili condizioni di lavoro e a volte di sfruttamento di ogni tipo”.

In questo contesto, i Governi “dovrebbero riconoscere che il budget e l'organizzazione delle istituzioni pubbliche sono in qualche modo alleviati dall'assistenza familiare e quindi adottare leggi migratorie volte a favorire un'integrazione sociale e la piena protezione degli assistenti immigrati”.

Il “sostegno per un'adeguata formazione professionale che offra agli assistenti domiciliari una conoscenza di base della salute e della psicologia”, inoltre, “rivaluterebbe la loro inestimabile attività e la metterebbe al riparo da riprovevoli tentativi di sfruttamento”.

Il presule ha quindi sottolineato come i Paesi in via di sviluppo soffrano di una notevole fuga di cervelli che è necessario fermare fornendo incentivi che scoraggino dall'abbandonare il Paese d'origine e che in troppe culture l'assistenza è ancora una questione relegata alla sfera privata.

“L'assistenza deve diventare un aspetto fondamentale del dibattito pubblico e assumere una rilevanza tale da modellare la vita politica e dare agli uomini e alle donne la capacità di preoccuparsi di più dei bisogni altrui”, ha dichiarato.

In questo senso, ha concluso, l'assistenza ha “la capacità di creare un processo di democratizzazione della società e di promuovere una consapevolezza pubblica mirante alla giustizia sociale ed effettiva e alla solidarietà per tutti gli uomini e tutte le donne”.






10/03/2009 01:46
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La comunicazione della Chiesa nel mondo del digitale


Possibile uscita entro la fine del 2009 di un nuovo documento vaticano





CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 9 marzo 2009 (ZENIT.org).- Uscirà probabilmente entro la fine dell'anno il documento del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali sulle nuove sfide del sistema delle comunicazioni.

“L'Aetatis novae – ha riferito a 'L'Osservatore Romano', l'Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Dicastero vaticano – ha ormai 17 anni. Dunque, guardando ai passi giganteschi che ha fatto in questi anni il sistema delle comunicazioni sociali non potevamo non pensare ad un nuovo documento che, sulla dorsale dell'Inter mirifica, della Communio et progressio e della stessa Aetatis novae introducesse la comunicazione della Chiesa nel mondo del digitale”.

La prima tappa di questo processo è il Seminario apertosi il 9 marzo a Roma, nella sede del dicastero vaticano, e in corso fino a 13 di questo mese, che vede riuniti i Vescovi responsabili delle Comunicazioni Sociali nelle Conferenze per riflettere sul tema: “Nuove prospettive per la comunicazione ecclesiale”.

"È la prima volta – ha aggiunto l'Arcivescovo Celli – che si fa un seminario del genere. La Santa Sede ha invitato i responsabili delle comunicazioni sociali delle conferenze episcopali a riunirsi e a lavorare insieme”.

“E questo perché i Vescovi acquisiscano una conoscenza più approfondita dei media, prendano coscienza delle problematiche di carattere antropologico, umano, culturale emergenti con l'uso delle nuove tecnologie", ha spiegato.

"La Chiesa in sostanza – ha detto Celli – non guarda più alle nuove tecnologie solo come nuovi strumenti da usare, ma guarda ad essi ispiratori di una nuova cultura".

Le indicazioni emerse dal seminario saranno poi esaminate durante la Plenaria di ottobre e concorreranno a formare le linee del nuovo documento "che – ha auspicato l'Arcivescovo – potrebbe uscire entro la fine dell'anno".

Circa la proposta di convocare un Sinodo dei Vescovi proprio sul tema delle comunicazioni sociali, mons. Celli ha quindi detto: “Potrebbe essere una buona idea. Non si può mai sapere. Vedremo".

10/03/2009 16:48
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L'Adorazione eucaristica al centro della plenaria della Congregazione per il Culto Divino

La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha aperto stamattina in Vaticano la propria plenaria, dedicandola all’approfondimento dell’Adorazione eucaristica. L'assemblea si concluderà venerdì prossimo. Sui compiti del dicastero ascoltiamo il cardinale prefetto, Antonio Cañizares Llovera, al microfono di Fabio Colagrande:

R. - Las tareas fundamentales de la Congregación...
I compiti fondamentali della Congregazione sono quelli di aiutare il Papa in tutto quello che concerne il culto divino: che tutta la Chiesa viva lo spirito della liturgia, che effettivamente elevi a Dio questo culto in spirito e verità, che si esprime nella liturgia e soprattutto nell’Eucaristia.


D. - Perché questa plenaria della Congregazione si occuperà dell’Adorazione eucaristica?


R. - La liturgia es sobretodo adoración…
La liturgia è soprattutto adorazione. La Chiesa è opera di Dio, è azione di Dio, è riconoscimento di ciò che Dio fa in favore degli uomini. E l’adorazione che esprime la liturgia, soprattutto l’Eucaristia, che è il centro dell’adorazione, è il riconoscimento di Dio, riconoscimento che tutto viene da Lui, riconoscimento che tutto ciò che ci appartiene deve trovare Lui. In questo momento di forte secolarizzazione - nel quale si tende a dimenticare Dio, a ritenerlo non importante nella vita dell’uomo - è necessario ribadire che prima di tutto viene l’adorazione, cioè che la prima cosa è Dio. Questo è ciò che cambierà veramente la vita dei cristiani e la vita della Chiesa.


D. - Nel pensiero di Benedetto XVI, la liturgia rappresenta un elemento fondamentale per la vita della Chiesa. Perché secondo lei?


R. - Porque precisamente Dios es el centro...
Perché precisamente Dio è il centro di tutto. E quando si dimentica Dio, la Chiesa si converte in un’istituzione umana. La forza che sta nella Chiesa è attività di Dio: è Dio che ci crea, ci salva, ci redime. E’ Dio che ci offre la sua vita, perché noi viviamo a partire da essa. Dio ci ama perché noi ridoniamo amore e lo doniamo anche ai fratelli.


D. - Una volta il Papa ha affermato: la liturgia cristiana non è il ricordo di avvenimenti passati, ma l’attualizzazione di realtà invisibili che agiscono nella vita di ognuno. Cosa significa?


R. - Significa que la liturgia...
Significa che la liturgia non ci racconta cose che sono successe nel passato, ma è la manifestazione, al giorno d’oggi, della salvezza di Dio attraverso Gesù Cristo. E’ il sacrificio di Cristo sul Calvario che si fa realmente presente ai nostri giorni, con tutta la sua forza salvifica e rinnovatrice dell’uomo. E’ l’amore di Dio, che si fa presente in mezzo a noi, perché noi viviamo di questo stesso amore di Dio. (Traduzione di Anna Poce)


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10/03/2009 16:49
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Mons. Migliore: sottovalutato il ruolo delle donne nell’assistenza

“L'assistenza deve diventare un aspetto fondamentale del dibattito pubblico e assumere una rilevanza tale da modellare la vita politica e dare agli uomini e alle donne la capacità di preoccuparsi di più dei bisogni altrui”: lo ha sottolineato l’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU, intervenuto ieri nell’ambito della Commissione sulle donne, riunita a New York. Tema al centro dei lavori l’equa condivisione di responsabilità tra uomini e donne, in particolare nell’assistenza ai malati di AIDS. Il servizio di Roberta Gisotti:

Se l’assistenza - ha premesso l’arcivescovo Migliore, è “un aspetto fondamentale della vita umana” con “implicazioni profonde”, sul piano politico sociale, finanziario, e così anche sul piano personale e se tutti gli esseri umani sono “autonomi ed uguali” ma anche “creature interdipendenti”, bisognosi di cure al di là di status sociale ed età, questo induce a concepire l’assistenza non più limitata a certi gruppi, come donne e immigrati, ma partecipata e condivisa da tutti nelle famiglie e nel settore pubblico.


“Sempre più insostenibile - ha sottolineato il presule – è che continuino ad esistere atteggiamenti e luoghi, anche nell’assistenza sanitaria, dove le donne sono discriminate ed il loro contributo alla società è sottovalutato semplicemente perché sono donne”. E’ dunque “inaccettabile” – ha stigmatizzato il rappresentante della Santa Sede – “il ricorso a pressioni sociali e culturali per mantenere l’ineguaglianza dei sessi”.


Riguardo i malati di AIDS, mons. Migliore ha evidenziato in particolare l’assistenza comunitaria e domiciliare - preferibile in molti contesti sociali e culturali e che evita pure che alla malattia si associ lo stigma - ma purtroppo assai poco riconosciuta, cosicché molti operatori affrontano difficoltà finanziarie, ricevendo solo minima parte dei fondi spesi ogni anno per l’assistenza e la ricerca sull’AIDS. Al contrario – ha osservato il delegato vaticano – “dovrebbe essere fornito un maggior sostegno a queste persone, specie se donne ed anziani”, quando “studi hanno dimostrato che gli assistenti comunitari e domiciliari oggi subiscono uno stress superiore al personale medico”.
L’arcivescovo Migliore ha poi evidenziato come le donne povere e immigrate, a fronte di “sistemi familiari, occupazionali e assistenziali inadeguati” siano caricate di assistere “bambini, malati, handicappati gravi e anziani”. E come le donne in generale, nel mercato dell'assistenza domiciliare, siano più vulnerabili, a causa sovente “della mancata regolarizzazione, dell'isolamento sociale, di difficili condizioni di lavoro e a volte di sfruttamento di ogni tipo”. Per questo l’Osservatore della Santa Sede ha sollecitato gli Stati a riconoscere il ruolo dell'assistenza familiare, da cui sono sollevati anche finanziariamente e ad adottare leggi volte a favorire “l'integrazione sociale e la piena protezione degli assistenti immigrati”.
Il presule ha anche auspicato interventi a sostegno mirati nei Paesi in via di sviluppo, ad evitare la fuga dei cervelli verso Paesi più ricchi. Ha poi lamentato che in troppe culture l'assistenza è ancora una questione relegata alla sfera privata ed ha invitato a porre questo tema al centro del dibattito pubblico. Proprio attraverso l'assistenza - ha concluso il presule - si può creare “un processo di democratizzazione della società” e “promuovere una consapevolezza pubblica” che punti “alla giustizia sociale” e “alla solidarietà per tutti uomini e donne”.


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10/03/2009 19:12
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Dal blog di Lella...

Wagner si è dimesso e quelli che lo hanno diffamato gozzovigliano alla faccia di Roma

mar 10, 2009 Pensieri sparsi

di Paolo Rodari

Non voglio mettere in dubbio il sacro principio ben sancito in Lumen gentium della collegialità dei vescovi.

Vorrei però ricordare che la collegialità non esiste senza Pietro e che, dunque, Pietro ogni tanto andrebbe ascoltato.

La vicenda del vescovo ausiliare di Linz, Gerhard Wagner, in questo senso ha dell’incredibile. Tanto hanno fatto i vescovi austriaci (ma erano davvero tutti d’accordo?) che il presule s’è dovuto dimettere. E il Papa ha dovuto accettarne le dimissioni senza batter colpo.
Fin qui, ancora, ancora.
Uno potrebbe anche chiudere un occhio e dire: vabbé, l’hanno fatto dimettere, ci penserà lo Spirito Santo.
Ma è quanto accaduto dopo che non è ammissibile.
La cosa riguarda Josef Friedl, uno dei membri del collegio di decani diocesani che per primi insorsero contro la nomina di Wagner. Friedl, dopo essersi scagliato contro Wagner e la sua “troppa ortodossia”, ha pubblicamente ammesso in un incontro organizzato dal Partito dei Verdi di avere una compagna con la quale convive normalmente e ha pure dichiarato di rifiutare il celibato obbligatorio. Non solo, ha aggiunto che tale comportamento è pienamente conforme alla sua coscienza e che nessuno nella sua parrocchia di Ungenach ne fa problema.
Secondo un rapporto di Der Welt, parecchi altri decani della diocesi di Linz avrebbero ignorato l’obbligo di celibato.
Ora io dico: è possibile?
Wagner è costretto a dimettersi per delle dichiarazioni rese in passato un po’ oltre le righe, e altri (e cioè coloro che hanno spinto per le sue dimissioni) fanno ciò che vogliono.
A mio avviso, è un schifo.

Dal blog di Paolo Rodari

Sì, ha ragione! E' uno schifo!!!!
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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Il forte vento ha fatto volare la mozzetta del Pontefice. Anche piccoli rom degli insediamenti Casilino 900 e Tor di Quinto tra la folla

Festa tra fiori, striscioni e palloncini

DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO

Di questa giornata storica, come l’ha chiamata il sindaco, chissà se si ricorderà anche il vento che ha spazzato le nuvole rendendo il cielo terso e a un certo punto ha fatto volare anche la mozzetta del Papa co prendogli il volto, quando si è affaccia to dal balconcino della torre medieva le che guarda sui Fori. Resterà fissa ad ogni modo, a ricordarla, la lapide in marmo su cui campeggia una conchi glia, simbolo di unità e della continuità che fregia anche lo stemma pontificio di Benedetto XVI. La potranno vedere tutti i romani, quelli che verranno, nel l’austera aula Giulio Cesare da dove si governa Roma. Porta inciso con ele gante carattere 'bodoni': «A Sua San tità, Benedetto XVI, i cittadini romani, nel giorno di Santa Francesca Roma na, con l’impegno di fare Roma la ca pitale della vita e della solidarietà».
Una Roma un po’ infreddolita (pare che sulla piazza michelangiolesca del Cam pidoglio ci sia sempre un po’ più di ven to), ha accolto il Papa al suo arrivo. La città, per il tempo della visita, è stata blindata con misure straordinarie. I ro mani che lo hanno salutato al suo ar­rivo puntuale, anzi qualche minuto in anticipo sul cerimoniale, hanno fati cato non poco per superare ostacoli e barriere. Poi, però, hanno aspettato che si affacciasse dal balcone del Palazzo Senatorio che dà sulla piazza. Intorno a Marco Aurelio si è visto un giardino di fiori. Sono stati scelti quelli che ri chiamano i colori di Roma e del Vaticano: fiori rossi e gialli e poi altri gialli inframmezzati con i bianchi.
Molti striscioni danno il benve nuto al Papa, e ci sono anche sette palloncini bianchi a on deggiare nel vento che saranno liberati quando Benedetto XVI, dopo la visita, parte alla volta del Convento di Santa Romana. Tra i romani ci sono anche ade renti a diverse associazioni. Ci sono quelli della Comunità di Sant’Egidio, delle Acli (e si scopre che sono tutti di pendenti comunali che fanno parte dell’Associazione), poi i volontari del l’Unitalsi che accompagnano alcuni malati. Uno potrà apparire enigmatico. Dice: «Casilino 900 saluta il Santo Pa dre ». Casilino 900 è la sigla di una sof ferenza: quella del più grande insedia mento Rom della Capitale. Sono infat ti due bambini Rom a reggerlo mentre altri loro coetanei fanno festa e ap plaudono divertiti, quando i fedeli di Vitorchiano nelle pittoresche uniformi mandano al cielo gli squilli di tromba che salutano l’arrivo del Santo Padre.
E non sono i soli: accanto a loro ecco i ragazzi Rom di Tor di Quinto. Hanno anche una squadra di calcio e si fanno chiamare gli ' Ercolini', perché li ha aiutati in questa loro impresa, che nel la borgata è straordinaria come un mi racolo, don Giovanni D’Ercole. Li ac compagna Salvatore Puddeu, quel ra gazzo di Salerno che ha scelto di vive re in una baracca del campo per stare vicino ai questi bambini e aiutarli. An che Roma vuole aiutarli. Il sindaco Gianni Alemanno si è dimostrato sen sibile a questa emergenza e la giorna ta storica di ieri ha legato i Rom al Pa pa, con la decisione di dedicare il Cen tro del comune specializzato nella for mazione e nel recupero dei giovani in difficoltà e dei ragazzi Rom a Benedet to XVI. Nella piazza non hanno atteso invano, mentre nel palazzo del Campidoglio si svolgeva la riunione del consiglio in for ma solenne alla presenza del Pontefi ce. Il Papa, infatti, si è affacciato al bal cone e gli è piaciuto dirsi romano. Ci vis romanus sum, ma lo ha detto con le sue parole: «Vivendo a Roma da tan tissimi anni, ormai sono diventato un po’ romano; ma più romano mi sento come vescovo». Poi ha aggiunto, prima della benedizione: «Roma è bella per la generosità e la santità di tanti suoi fi gli» .
E così la gente a queste parole, quando i varchi sono stati aperti, è tor nata verso casa inorgoglita.

© Copyright Avvenire, 10 marzo 2009


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Da "Messainlatino.it"...

MARTEDÌ 10 MARZO 2009

Comunicato del Nunzio Apostolico in Svizzera

Il Nunzio, dopo avere insieme ai vescovi elvetici "deplorato gli errori" della Curia romana (v. il nostro post qui), deve aver ricevuto da quest'ultima un bel cicchetto ed ora, chissà quanto spontaneamente, stima opportuno redimersi con questo comunicato che traduciamo (grazie a Luisa per avercelo segnalato):


A seguito della dichiarazione della Conferenza episcopale svizzera il Nunzio Apostolico a Berna, Francesco Canalini, comunica:

"In occasione della manifestazione di domenica 8 marzo 2009 a Lucerna, dal titolo: "Resistere anziché andarsene: noi siamo una Chiesa aperta", la Nunziatura Apostolica in Svizzera dichiara:

Il fatto che diversi gruppi di cattolici tanto ‘conservatori’ quanto ‘liberali’ interpretino il Concilio Vaticano II come una rottura con la tradizione è motivo di molta pena e di una profonda sofferenza.
La formazione di gruppi di pressione che vogliono imporre pubblicamente la loro interpretazione concernente diversi punti della dottrina e della disciplina ecclesiastica non è in armonia con la vita della Chiesa cattolica.
Il Papa Benedetto XVI così come i suoi predecessori Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II sono – in senso alla Chiesa cattolica – i garanti della visione corretta e fedele del Concilio Vaticano II.
Nella situazione attuale, è più che mai urgente che i fedeli della Chiesa cattolica manifestino la loro piena fiducia al Santo Padre, preghino senza sosta per Lui (Atti, 12, 15) e vivano in comunione col successore di Pietro, al quale il Cristo Signore ha affidato la guida visibile della Sua Chiesa nel corso della storia (Mt 16,17-19)".


La manifestazione a Lucerna (nella foto a lato), cui il Nunzio reagisce, ha raccolto 1.500-2.000 persone che si sono raccolte dinanzi alla Chiesa dei Gesuiti ed hanno poi sfilato per la città. Lo scopo: protestare contro l’apertura del Papa ai lefebvriani e, più in generale, contro una Chiesa divenuta autoritaria e di spirito chiuso. Tra i partecipanti di spicco: l’inviato della Conferenza episcopale svizzera (eh sì, proprio così!), l’abate del monastero di Einsiedeln Martin Werlen, che ha ricevuto in dono una maglietta con lo slogan "la Chiesa si muove" e il cui discorso, molto applaudito, è stato su questo tenore: "Viviamo tempi molto duri. Restano molte cose da mettere in opera in relazione al Vaticano II".
Ancor più duro il cappuccino Anton Rotzetter, figura di punta della contestazione, che ha concionato la folla entusiasta esprimendo tutta la sua indignazione: "Benedetto XVI ha rimesso in questione le acquisizioni del Vaticano II. Eppure ci furono 4500 voti al Concilio Vaticano II per stabilire questi avanzamenti della Chiesa cattolica. Oggi, la revoca delle scomunica dei vescovi integristi è uno scandalo". E ancora: "No, il Concilio Vaticano II non è negoziabile, né la tolleranza, né la nuova liturgia, né l’ecumenismo, né il dialogo con gli Ebrei o con altre religioni"

[fonte: 24heures.ch]


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La denuncia del papà di Eluana. Padre Lombardi: la Santa Sede interviene con altre modalità

Il Vaticano su Barragán: parole personali

Gian Guido Vecchi

CITTÀ DEL VATICANO

C'è una cosa che accomuna le uscite recenti, seppure diversissime, di cardinali come Renato Raffaele Martino e Javier Lozano Barragán o dell'arcivescovo Agostino Marchetto.
Personalità autorevoli della Curia romana, amatissimi dai giornalisti perché disponibili a parlare senza veli e insieme capaci di diffondere ansia ai piani alti della Santa Sede: le loro parole, fatalmente, diventano all'istante la posizione del «Vaticano».
Il che costringe poi a spiegare che si tratta di posizioni «personali» magari «non in linea con la Segreteria di Stato». È successo anche con le parole sillabate a più riprese da Lozano Barragán su Eluana: «È un assassinio», «fermate quella mano assassina», «è inconcepibile uccidere così una persona», «che Dio li perdoni per quello che hanno fatto», e insomma tutto ciò che ha fatto dire a Beppino Englaro di voler denunciare il «ministro della Salute» vaticano.
Il cardinale aveva già replicato dopo che la Procura di Udine ha indagato il papà di Eluana: «In una conversazione con lui ha reagito in modo molto arrabbiato, dicendo che lo catalogavo come assassino, ma io dico solo che il Quinto comandamento dice di non uccidere e chi uccide una persona innocente commette un crimine. Se ha ammazzato lui la figlia è un omicida, se non l'ha ammazzata lui allora non lo è. Penso che non sia un ragionamento polemico, ma logico». Eppure non è così semplice, il che spiega il silenzio che nella Santa Sede ha accompagnato l'uscita di Beppino Englaro mentre il cardinale messicano era in viaggio per Monterrey. Un po' c'è il fatto che non esiste ancora una denuncia. E un po' che il caso Eluana è affidato alla Cei: fa testo ciò che dice il cardinale Angelo Bagnasco, non Lozano Barragán. Quando l'arcivescovo Marchetto attaccò il governo sul decreto anti-ronde, al portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, toccò chiarire che «la Santa Sede, quando intende esprimersi autorevolmente usa mezzi propri e modi consoni: comunicati, note, dichiarazioni. Ogni altro pronunciamento non ha lo stesso valore». E ancora: «Anche di recente si sono verificate attribuzioni non opportune». La cosa, si spiega in Vaticano, valeva pure per Lozano Barragán.
Il problema non è il giudizio sulla sospensione di alimentazione e idratazione: non si può, mai, la posizione della Chiesa è chiara e netta. Il problema è lo stile, che in questi casi diventa sostanza. Così le parole del cardinale messicano sono giudicate «personali », e quindi «non esprimono la linea della Santa Sede». Del resto la posizione del Vaticano, chiara sul principio, è sempre stata attenta a non usare espressioni offensive verso la famiglia. Nel pieno della polemica politica, si è arrivati ad accusare l'Osservatore romano di «tiepidezza». Ma il direttore Giovanni Maria Vian ha spiegato: «Abbiamo ritenuto che la via migliore fosse un cammino di attenzione vivissima e allo stesso tempo discreta. Le parole che più sono entrate nel cuore di tutti sono quelle del Papa, la sua delicatezza. Insieme a quelle del vescovo di Eluana, il cardinale Tettamanzi, di cui abbiamo pubblicato la bellissima lettera alle suore di Lecco: a loro che hanno cercato di rispettare fino all'ultimo la discrezione, il silenzio, il pudore».
E poi basterebbero gli ultimi interventi di Benedetto XVI, nettissimo nell'affermare che «l'eutanasia» è una «falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell'uomo», che «la vita dell'uomo non è un bene disponibile », e insieme attento al dolore di tutti: «Siamone certi: nessuna lacrima, né di chi soffre né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio».

© Copyright Corriere della sera, 9 marzo 2009


Comunque sia non si può negare che Eluana è stata uccisa...


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