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Ultimo Aggiornamento: 24/09/2012 20:08
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23/07/2009 18:00
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Sarà il Vietnam la prima meta del Papa in Asia?

Paolo D'Andrea

Da quando anche i Papi viaggiano, le loro sortite al di fuori dei Palazzi vaticani non sono tutte uguali.
Alcuni viaggi papali segnano più di altri le traiettorie dei diversi pontificati.
I viaggi di Paolo VI in Terra Santa, in India e in Uganda, e quelli di Wojtyla in Polonia, Marocco e Siria sono diventati tappe importanti nella storia della Chiesa.
Papa Ratzinger, dal canto suo, ha compiuto realizzato viaggi importanti come quelli compiuti in Usa, in Francia e in Terra Santa.
Ma finora le sue visite sono state deformate dalle chiavi di lettura imposte dai media, che le hanno trasformate in altrettanti test della popolarità papale.
Come se Benedetto XVI fosse sempre da tenere sotto esame, per monitorare momento per momento la sua capacità di entrare in sintonia con le Chiese locali.
Adesso, quasi inaspettatamente, si apre per l’anziano Papa tedesco la chance di realizzare un viaggio da far invidia al suo predecessore polacco giramondo: sarà forse lui il primo Papa a volare in Vietnam in uno degli ultimi regimi comunisti sopravvissuti all’89.
Gli indizi convergenti che indicano il Vietnam come prima meta asiatica di Benedetto XVI continuano a aumentare, e rendono l’ipotesi quantomai verosimile.
L’agenzia di notizie web MissiOnLine, curata dai missionari del Pime, li ha raccolti e messi in fila. L’Asia è l’unico Continente che Ratzinger da Papa non ha ancora visitato. I vescovi vietnamiti, da poco venuti a Roma per le loro canoniche visite ad Limina Apostolorum, hanno portato al Papa l’invito “verbale” a visitare il paese: il cardinale di Hô Chi Minh Ville, Jean-Baptiste Pamh Minh Man, ha appena raccontato all’agenzia Ucanews che l’avance, ancora a livello informale, è giunta al Papa dai funzionari dell’Ufficio affari religiosi di Hanoi, attraverso l’arcivescovo di Hanoi Joseph Ngô Quang Kiêt.
Il porporato ha rivelato anche che il prossimo novembre una delegazione vietnamita si recherà in Vaticano per proseguire il dialogo per arrivare a allacciare relazioni diplomatiche in senso pieno tra Santa Sede e Hanoi.
A dicembre poi anche il presidente vietnamita Nguyen Minh Triet verrà in Italia per una visita ufficiale. E non mancherà certo di chiedere udienza al Papa, dopo l’incontro già avvenuto in Vaticano nel 2007 tra Benedetto XVI e il premier di Hanoi Nguyen Tan Dung. La Chiesa vietnamita, dal canto suo, fa tutto il possibile per favorire la visita papale: ha indetto un anno giubilare, che inizierà il prossimo novembre e si concluderà il 6 gennaio 2011, con il “pretesto” di celebrare i 350 anni dalla nascita dei primi due vicariati apostolici del paese e i 50 anni dall’istituzione della gerarchia cattolica nazionale.
Se la visita papale si realizzerà, di certo una delle tappe del viaggio sarà il santuario nazionale di La Vang, dove la Chiesa vietnamita ha già indetto un pellegrinaggio per il 6 gennaio 2011, a conclusione dell’anno giubilare.
Per cogliere l’importanza di un possibile viaggio papale in Vietnam, bisogna collocare tale eventualità nella storia complessa e controversa della Chiesa vietnamita e dei rapporti tra Vietnam e Vaticano.
Non è un caso che quella nazione del Sud-est asiatico sia rimasta – insieme a Russia e Cina – uno dei pochi «viaggi impossibili» anche per il globe-trotter Wojtyla. Le comunicazioni tra Vietnam del nord e Vaticano si erano interrotte già nel 1954, con l’instaurarsi del regime comunista. Lo stesso era accaduto per il sud del Paese dopo il 30 aprile del ’75, con la vittoriosa entrata dei vietcong a Saigon.
Ma in Vietnam, il tentativo di creare una Chiesa “di regime” non ha mostrato la pervicace tenacia registrata invece in Cina: il progetto di asservimento ha portato alla creazione del filogovernativo Comitato dei cattolici patriottici, che però non ha mai realizzato la sua pretesa di essere l’organo di guida “democreatica” della cattolicità vietnamita. La scarsità del suo consenso apparve con evidenza nel 1988, quando vi fu la canonizzazione dei 117 martiri vietnamiti, uccisi nelle pesecuzioni che avevano segnato l’evangelizzazione del Paese: in quell’occasione, il Comitato dei cattolici patriottici aveva sostenuto la campagna governativa di boicottaggio delle canonizzazioni, in cui i martiri erano presentati come agenti del colonialismo.
Mentre la maggioranza della popolazione, a partire ovviamente dai cattolici, mostrava di gradire l’omaggio reso dalla Chiesa a quei figli del popolo vietnamita.
L’inizio del disgelo, di cui ora si vedono i frutti, va collocato nel 1989, anno del primo viaggio compiuto ad Hanoi dal cardinale Roger Etchegaray. Da allora, per quindici volte, delegazioni vaticane si sono recate in Vietnam e con un lavoro paziente e silenzioso hanno contribuito a alleggerire nel tempo la cappa del controllo governativo sulla vita ecclesiale. La via del realismo flessibile finora ha dato frutti buoni per la comunità locale di cattolici (6 milioni di fedeli, il 7 per cento dela popolazione). Le nomine episcopali sono ancora soggette al placet del governo, ma negli ultimi tempi sono stati di fatto accantonati i vincoli che limitavano il numero di accessi ai seminari per i candidati al sacerdozio.
E da poco è stata anche rivitalizzata la Caritas vietnamita, che in un Paese in espansione colpito dalla crisi non ha certo difficoltà a trovare nuovi poveri da assistere e aiutare.
Il processo di distensione, lungo l’arco degli ultimi vent’anni, non è certo stato lineare e senza problemi. Il regime accolse con freddezza la scelta wojtyliana di creare cardinale Francesco Saverio Nguen Van Thuan, espulso dal paese nel 1988 dopo 13 anni di carcere. Negli ultimi due anni, alcuni settori della Chiesa cattolica hanno dato vita a vibranti proteste pubbliche reclamando la restituzione di beni ecclesiastici confiscati dal regime a partire dalla metà degli anni Cinquanta.
Al centro della contesa, in particolare, la sede dell’ex delegazione apostolica vaticana e i terreni della parrocchia di Thai Ha, a Hanoi. Tra il dicembre del 2007 e il gennaio 2008, a fiammate ricorrenti, migliaia di cattolici si sono radunati più volte vicino ai luoghi rivendicati, dando vita a manifestazioni religiose disperse in alcuni casi con la forza dalla polizia. A guidare la mobilitazione ci sono i redentoristi.
Ma tutta la Conferenza episcopale ha espresso più volte la sua solidarietà ai manifestanti. Nonostante le recenti controversie, il cardinale Pham Minh Man ha ribadito nell’intervista a Ucanews che «il clima egli ultimi anni è propizio per l’allacciamento di relazioni diplomatiche» tra Vietnam e Vaticano.
A questo riguardo, se certe indiscrezioni recenti saranno confermate, alcuni interrogativi si aprono proprio intorno alle scelte operate dalle cordate attualmente in ascesa nei Palazzi vaticani.
Negli ultimi anni, l’uomo chiave della ricucitura con il Vietnam è stato Pietro Parolin, vice-ministro degli esteri vaticano. «Vero sacerdote e vero diplomatico», così lo ha definito il vaticanista del Tg2 Lucio Brunelli, quello che ha raccontato a tutto il mondo per filo e per segno l’ultimo Conclave sulla rivista Limes.
Stimato per il suo equilibrio e il suo realismo dai diplomatici accreditati presso la Santa Sede, Parolin segue da anni con discrezione e senza protagonismi anche il complicato dossier cinese.
La cosa più ovvia, e più consona al sensus Ecclesiae, sarebbe stata quella di aspettare l’allacciamento delle relazioni diplomatiche tra Vaticano e Vietnam e inviare Parolin come nunzio ad Hanoi. Ma l’ipotesi non rientrava negli organigrammi perseguiti da tempo dalle conventicole dei nuovi rampanti “yuppies” vaticani, che da tempo sgomitano per guadagnarsi la stima dei superiori ultra-settantenni.
Così, come si dice da tempo nei corridoi vaticani, con tutta probabilità Parolin verrà “promosso” e dirottato altrove, ben lontano dal Vaticano: destinazione Caracas, nunzio in Venezuela, alle prese con quell’osso duro del compagno Hugo Chavez.

© Copyright Il Secolo d'Italia, 23 luglio 2009


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