Google+
 

Discorsi, omelie, udienze, angelus e altri documenti

Ultimo Aggiornamento: 02/03/2013 17:43
Autore
Stampa | Notifica email    
04/04/2009 15:53
OFFLINE
Post: 9.426
Post: 671
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
LE UDIENZE

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in Udienza:

Em.mo Card. Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti;

Em.mo Card. Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica;

Em.mo Card. Giovanni Lajolo, Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

Il Papa riceve questa mattina in Udienza:

Em.mo Card. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura;

S.E. Mons. Mario Zenari, Arcivescovo tit. di Zuglio, Nunzio Apostolico in Siria.

Il Santo Padre riceve questo pomeriggio in Udienza:

Em.mo Card. Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.




RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA DEL VESCOVO DI CHANTHABURI (THAILANDIA) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Chanthaburi (Thailandia), presentata da S.E. Mons. Lawrence Thienchai Samanchit, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Chanthaburi (Thailandia) il Rev.do Silvio Siripong Charatsri, Vicario Generale di Ratchaburi.

Rev.do Silvio Siripong Charatsri

Il Rev.do Silvio Siripong Charatsri è nato il 10 dicembre 1959 a Ban Nok Kwaek, nella Diocesi di Ratchaburi. Ha studiato presso il Seminario Minore diocesano e ha frequentato le classi elementari e superiori a Ratchaburi. Ha poi frequentato il Seminario Maggiore Nazionale ‘Lux Mundi’ a Sampran (Bangkok), completando gli studi filosofici e teologici. È stato ordinato sacerdote il 19 maggio 1987 ed incardinato nella Diocesi di Ratchaburi.

Dopo l’Ordinazione, ha svolto i seguenti incarichi: 1987-1988: Vicario parrocchiale della Chiesa del Sacro Cuore, Watplunh, Ratchaburi; 1989-1991: Vice-rettore del Seminario Minore diocesano a Ratchaburi; 1991-1992: Diploma in Studi Pastorali a Manila (EAPI), nelle Filippine;

1992-1995: Rettore del Seminario Minore diocesano a Ratchaburi; 1996-1998: Parroco della Chiesa di San Giovanni Bosco, Ratchaburi; 1998-2000: Studi per la Licenza in Teologia presso l’Angelicum, a Roma; 2001-2005: Vice-rettore del Seminario Maggiore ‘Lux Mundi’ a Sampran;

dal 2006: Vicario Generale di Ratchaburi, Rettore della Scuola diocesana a Ratchabri, Parroco della Chiesa di San Giovanni Bosco.



RINUNCIA DEL VESCOVO DI POONA (INDIA) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Poona (India), presentata da S.E. Mons. Valerian D’Souza, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Poona (India) S.E. Mons. Thomas Dabre, finora Vescovo della diocesi di Vasai (India).



RINUNCIA DEL VICARIO APOSTOLICO DI BOMADI (NIGERIA) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Bomadi (Nigeria), presentata da S.E. Mons. Joseph O. Egerega, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vicario Apostolico di Bomadi (Nigeria) S.E. Mons. Hyacinth Oroko Egbebo, finora Vescovo titolare di Lacubaza e Ausiliare del medesimo Vicariato Apostolico.



NOMINA DEL VESCOVO DI WEETEBULA (INDONESIA)

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Weetebula (Indonesia) il Rev.do P. Edmund Woga, C.Ss.R., Amministratore della medesima diocesi.

Rev.do P. Edmund Woga, C.Ss.R.

Il Rev.do P. Edmund Woga, C.Ss.R., è nato il 17 novembre 1950 a Hewokloang, nella Diocesi di Maumere (Flores). È entrato nel Seminario Minore St. John Berchmans di Mataloko, Flores, e quindi dai Redentoristi a Sumba, proseguendo poi gli studi filosofici e teologici nel Seminario Maggiore di Kentungan, Yogyakarta (1971-1977).

È stato ordinato sacerdote il 29 novembre 1977 ed incardinato nella Diocesi di Weetebula. Successivamente è entrato nei Redentoristi (1980) ed ha emesso i voti perpetui nel 1985.

Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti ministeri: 1978:Direttore del Religion Teachers’ Training Institute, Waingapu; 1978-1979: Parroco della Parrocchia St.Clemens, Katikuloku; 1979-1982: Direttore del Pada Dita Borading, Waingapu; 1982-1984: Studi per la Licenza in Missiologia a Sankt Augustin, Germania; 1985: Ritorno per la preparazione per i voti perpetui a Sumba; 1986-1992: Studi per la Laurea in Teologia Fondamentale a Monaco, Germania; 1993-2002: Professore di Missiologia presso la Wedhabakti Theological Faculty, Yogyakarta; 2002-2008: Superiore Provinciale dei Redentoristi in Indonesia con sede a Sumba Occidentale; dal 2008: Amministratore diocesano di Weetebula.



NOMINA DEL VESCOVO DI MURANGA (KENYA)

Il Papa ha nominato Vescovo di Muranga (Kenya) il Rev.do James Wainaina Kungu, del clero di Nyahururu, Rettore del Seminario Maggiore del Cristo Re, nell’arcidiocesi di Nyeri.

Rev.do James Wainaina Kungu

Il Rev.do James Wainaina Kungu è nato il 23 dicembre 1956 a Ngenya, nella parrocchia di North Kinangop nell’Arcidiocesi di Nyeri, ora territorio della Diocesi di Nyahururu. Ha studiato la Filosofia presso il Seminario Maggiore St. Augustine (1978-1980) e la Teologia presso il Seminario St. Thomas Aquinas di Nairobi (1980-1984).

E’ stato ordinato sacerdote il 13 dicembre 1984 per l’Arcidiocesi di Nyeri ed è stato poi incardinato nella Diocesi di Nyahururu al momento della sua erezione, nel 2002.

Dopo l’Ordinazione, ha svolto i seguenti incarichi: 1984-1986: Docente al Seminario Minore di St. Paul a Nyeri; 1986-1996: Amministratore finanziario dell’Arcidiocesi di Nyeri; 1996-2001: Studi per la Licenza in Teologia presso l’Università Pontificia di Sant’Anselmo a Padova; 2002-2003: Professore di Liturgia presso il Seminario Maggiore Cristo Re; dal 2003: Rettore del Seminario Maggiore Cristo Re di Nyeri.



NOMINA DEL PRESIDENTE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DI TEOLOGIA

Il Santo Padre ha nominato Presidente della Pontificia Accademia di Teologia il Rev.do Don Manlio Sodi, S.D.B., Professore Ordinario presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Salesiana e finora Membro Ordinario della medesima Accademia.



NOMINA DELL’INVIATO SPECIALE ALLE CELEBRAZIONI DEL XVII CENTENARIO DEL MARTIRIO DEL VESCOVO SAN QUIRINO (KRK, CROAZIA, 4 GIUGNO 2009)

Il Papa ha nominato l’Em.mo Card. Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagreb, Suo Inviato Speciale alle celebrazioni del XVII centenario del martirio del Vescovo San Quirino, che avranno luogo a Krk (Croazia) il 4 giugno 2009.



NOMINA DELL’INVIATO SPECIALE A PRESIEDERE L’ELEZIONE DEL NUOVO MINISTRO GENERALE DELL’ORDINE FRANCESCANO DEI FRATI MINORI (ASSISI, 4 GIUGNO 2009)

Il Santo Padre ha nominato l’Em.mo Card. José Saraiva Martins, C.M.F., Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi, Suo Inviato Speciale a presiedere l’elezione del nuovo Ministro Generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori. La cerimonia avrà luogo ad Assisi (Italia) il 4 giugno 2009, in occasione del Capitolo Generale del medesimo Ordine.

05/04/2009 16:22
OFFLINE
Post: 9.439
Post: 676
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI presiede, in Piazza San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Il Papa benedice le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebra la Santa Messa della Passione del Signore.

Alla celebrazione prendono parte giovani di Roma e di altre Diocesi, in occasione della ricorrenza diocesana della XXIV Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente" (1 Tm 4, 10).

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Marco:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

cari giovani!

Insieme con una schiera crescente di pellegrini, Gesù era salito a Gerusalemme per la Pasqua. Nell’ultima tappa del cammino, vicino a Gerico, Egli aveva guarito il cieco Bartimeo che lo aveva invocato come Figlio di Davide, chiedendo pietà. Ora – essendo ormai capace di vedere – con gratitudine si era inserito nel gruppo dei pellegrini. Quando, alle porte di Gerusalemme, Gesù sale sopra un asino, l’animale simbolo della regalità davidica, tra i pellegrini scoppia spontaneamente la gioiosa certezza: È Lui, il Figlio di Davide! Salutano perciò Gesù con l’acclamazione messianica: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore", e aggiungono: "Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!" (Mc 11, 9s). Non sappiamo che cosa precisamente i pellegrini entusiasti immaginavano fosse il Regno di Davide che viene. Ma noi, abbiamo veramente compreso il messaggio di Gesù, Figlio di Davide? Abbiamo capito che cosa sia il Regno di cui Egli ha parlato nell’interrogatorio davanti a Pilato? Comprendiamo che cosa significhi che questo Regno non è di questo mondo? O desidereremmo forse che invece sia di questo mondo?

San Giovanni, nel suo Vangelo, dopo il racconto dell’ingresso in Gerusalemme, riporta una serie di parole di Gesù, nelle quali Egli spiega l’essenziale di questo nuovo genere di Regno. A una prima lettura di questi testi possiamo distinguere tre immagini diverse del Regno nelle quali, sempre in modo diverso, si rispecchia lo stesso mistero. Giovanni racconta innanzitutto che, tra i pellegrini che durante la festa "volevano adorare Dio", c’erano anche alcuni Greci (cfr 12, 20). Facciamo attenzione al fatto che il vero obiettivo di questi pellegrini era di adorare Dio. Questo corrisponde perfettamente a ciò che Gesù dice in occasione della purificazione del Tempio: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni" (Mc 11, 17). Il vero scopo del pellegrinaggio deve essere quello di incontrare Dio; di adorarlo e così mettere nell’ordine giusto la relazione di fondo della nostra vita. I Greci sono persone alla ricerca di Dio, con la loro vita sono in cammino verso Dio. Ora, per il tramite di due Apostoli di lingua greca, Filippo ed Andrea, fanno giungere al Signore la richiesta: "Vogliamo vedere Gesù" (Gv 12, 21). Una parola grande. Cari amici, per questo ci siamo riuniti qui: Vogliamo vedere Gesù. A questo scopo, l’anno scorso, migliaia di giovani sono andati a Sydney. Certo, avranno avuto molteplici attese per questo pellegrinaggio. Ma l’obiettivo essenziale era questo: Vogliamo vedere Gesù.

Riguardo a questa richiesta, in quell’ora che cosa ha detto e fatto Gesù? Dal Vangelo non risulta chiaramente se ci sia stato un incontro tra quei Greci e Gesù. Lo sguardo di Gesù va molto più in là. Il nucleo della sua risposta alla richiesta di quelle persone è: "Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24). Ciò significa: non ha importanza ora un colloquio più o meno breve con alcune poche persone, che poi ritornano a casa. Come chicco di grano morto e risorto verrò, in modo totalmente nuovo e al di là dei limiti del momento, incontro al mondo e ai Greci. Mediante la risurrezione Gesù oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo. Come Risorto, Egli è in cammino verso la vastità del mondo e della storia. Sì, come Risorto va dai Greci e parla con loro, si mostra loro così che essi, i lontani, diventano vicini e proprio nella loro lingua, nella loro cultura, la sua parola viene portata avanti in modo nuovo e compresa in modo nuovo – viene il suo Regno. Possiamo così riconoscere due caratteristiche essenziali di questo Regno. La prima è che questo Regno passa attraverso la croce. Poiché Gesù si dona totalmente, può come Risorto appartenere a tutti e rendersi presente a tutti. Nella santa Eucaristia riceviamo il frutto del chicco di grano morto, la moltiplicazione dei pani che prosegue sino alla fine del mondo e in tutti i tempi. La seconda caratteristica dice: il suo Regno è universale. Si adempie l’antica speranza di Israele: questa regalità di Davide non conosce più frontiere. Si estende "da mare a mare" – come dice il profeta Zaccaria (9, 10) – cioè abbraccia tutto il mondo. Questo, però, è possibile solo perché non è una regalità di un potere politico, ma si basa unicamente sulla libera adesione dell’amore – un amore che, da parte sua, risponde all’amore di Gesù Cristo che si è donato per tutti. Penso che dobbiamo imparare sempre di nuovo ambedue le cose – innanzitutto l’universalità, la cattolicità. Essa significa che nessuno può porre come assoluto se stesso, la sua cultura, il suo tempo e il suo mondo. Ciò richiede che tutti ci accogliamo a vicenda, rinunciando a qualcosa di nostro. L’universalità include il mistero della croce – il superamento di se stessi, l’obbedienza verso la comune parola di Gesù Cristo nella comune Chiesa. L’universalità è sempre un superamento di se stessi, rinuncia a qualcosa di personale. L’universalità e la croce vanno insieme. Solo così si crea la pace.

La parola circa il chicco di grano morto fa ancora parte della risposta di Gesù ai Greci, è la sua risposta. Poi, però, Egli formula ancora una volta la legge fondamentale dell’esistenza umana: "Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna" (Gv 12, 25). Chi vuole avere la sua vita per sé, vivere solo per se stesso, stringere tutto a sé e sfruttarne tutte le possibilità – proprio costui perde la vita. Essa diventa noiosa e vuota. Soltanto nell’abbandono di se stessi, soltanto nel dono disinteressato dell’io in favore del tu, soltanto nel "sì" alla vita più grande, propria di Dio, anche la nostra vita diventa ampia e grande. Così questo principio fondamentale, che il Signore stabilisce, in ultima analisi è semplicemente identico al principio dell’amore. L’amore, infatti, significa lasciare se stessi, donarsi, non voler possedere se stessi, ma diventare liberi da sé: non ripiegarsi su se stessi – cosa sarà di me –, ma guardare avanti, verso l’altro – verso Dio e verso gli uomini che Egli mi manda. E questo principio dell’amore, che definisce il cammino dell’uomo, è ancora una volta identico al mistero della croce, al mistero di morte e risurrezione che incontriamo in Cristo. Cari amici, è forse relativamente facile accettare questo come grande visione fondamentale della vita. Nella realtà concreta, però, non si tratta di semplicemente riconoscere un principio, ma di vivere la sua verità, la verità della croce e della risurrezione. E per questo, di nuovo, non basta un’unica grande decisione. È sicuramente importante osare una volta la grande decisione fondamentale, osare il grande "sì", che il Signore ci chiede in un certo momento della nostra vita. Ma il grande "sì" del momento decisivo nella nostra vita – il "sì" alla verità che il Signore ci mette davanti – deve poi essere quotidianamente riconquistato nelle situazioni di tutti i giorni in cui, sempre di nuovo, dobbiamo abbandonare il nostro io, metterci a disposizione, quando in fondo vorremmo invece aggrapparci al nostro io. Ad una vita retta appartiene anche il sacrificio, la rinuncia. Chi promette una vita senza questo sempre nuovo dono di sé, inganna la gente. Non esiste una vita riuscita senza sacrificio. Se getto uno sguardo retrospettivo sulla mia vita personale, devo dire che proprio i momenti in cui ho detto "sì" ad una rinuncia sono stati i momenti grandi ed importanti della mia vita.

Infine, san Giovanni ha accolto, nella sua composizione delle parole del Signore per la "Domenica delle Palme", anche una forma modificata della preghiera di Gesù nell’Orto degli Ulivi. C’è innanzitutto l’affermazione: "L’anima mia è turbata" (12, 27). Qui appare lo spavento di Gesù, illustrato ampiamente dagli altri tre evangelisti – il suo spavento davanti al potere della morte, davanti a tutto l’abisso del male che Egli vede e nel quale deve discendere. Il Signore soffre le nostre angosce insieme con noi, ci accompagna attraverso l’ultima angoscia fino alla luce. Poi seguono in Giovanni le due domande di Gesù. La prima, espressa solo condizionatamente: "Che cosa dirò – Padre, salvami da quest’ora?" (12, 27). Come essere umano, anche Gesù si sente spinto a chiedere che gli sia risparmiato il terrore della passione. Anche noi possiamo pregare in questo modo. Anche noi possiamo lamentarci davanti al Signore come Giobbe, presentargli tutte le nostre domande che, di fronte all’ingiustizia nel mondo e alla difficoltà del nostro stesso io, emergono in noi. Davanti a Lui non dobbiamo rifugiarci in pie frasi, in un mondo fittizio. Pregare significa sempre anche lottare con Dio, e come Giacobbe possiamo dirGli: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!" (Gen 32, 27). Ma poi viene la seconda domanda di Gesù: "Glorifica il tuo nome!" (Gv 12, 28). Nei sinottici, questa domanda suona così: "Non sia fatta la mia, ma la tua volontà!" (Lc 22, 42). Alla fine la gloria di Dio, la sua signoria, la sua volontà è sempre più importante e più vera che il mio pensiero e la mia volontà. Ed è questo l’essenziale nella nostra preghiera e nella nostra vita: apprendere questo ordine giusto della realtà, accettarlo intimamente; confidare in Dio e credere che Egli sta facendo la cosa giusta; che la sua volontà è la verità e l’amore; che la mia vita diventa buona se imparo ad aderire a quest’ordine. Vita, morte e risurrezione di Gesù sono per noi la garanzia che possiamo veramente fidarci di Dio. È in questo modo che si realizza il suo Regno.

Cari amici! Alla fine di questa Liturgia, i giovani dell’Australia consegneranno la Croce della Giornata Mondiale della Gioventù ai loro coetanei della Spagna. La Croce è in cammino da un lato del mondo all’altro, da mare a mare. E noi la accompagniamo. Progrediamo con essa sulla sua strada e troviamo così la nostra strada. Quando tocchiamo la Croce, anzi, quando la portiamo, tocchiamo il mistero di Dio, il mistero di Gesù Cristo. Il mistero che Dio ha tanto amato il mondo – noi – da dare il Figlio unigenito per noi (cfr Gv 3, 16). Tocchiamo il mistero meraviglioso dell’amore di Dio, l’unica verità realmente redentrice. Ma tocchiamo anche la legge fondamentale, la norma costitutiva della nostra vita, cioè il fatto che senza il "sì" alla Croce, senza il camminare in comunione con Cristo giorno per giorno, la vita non può riuscire. Quanto più per amore della grande verità e del grande amore – per amore della verità e dell’amore di Dio – possiamo fare anche qualche rinuncia, tanto più grande e più ricca diventa la vita. Chi vuole riservare la sua vita per se stesso, la perde. Chi dona la sua vita – quotidianamente nei piccoli gesti, che fanno parte della grande decisione – questi la trova. È questa la verità esigente, ma anche profondamente bella e liberatrice, nella quale vogliamo passo passo entrare durante il cammino della Croce attraverso i continenti. Voglia il Signore benedire questo cammino. Amen.





LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS

Al termine della solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI recita l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PAROLE DEL SANTO PADRE

Ieri, 4 aprile, è stata celebrata la IV Giornata indetta dall’ONU per la sensibilizzazione sul problema delle mine antipersona. A dieci anni dall’entrata in vigore della Convenzione per la messa al bando di questi ordigni, e dopo la recente apertura alla firma della Convenzione per l’interdizione delle munizioni a grappolo, desidero incoraggiare i Paesi che non lo hanno ancora fatto a firmare senza indugio questi importanti strumenti del diritto internazionale umanitario, ai quali la Santa Sede ha dato da sempre il proprio appoggio. Esprimo altresì il mio sostegno a qualsiasi misura intesa a garantire la necessaria assistenza alle vittime di tali armi devastanti.

Vorrei inoltre ricordare con grande pena i nostri fratelli e sorelle africani, che pochi giorni fa hanno trovato la morte nel Mare Mediterraneo, mentre cercavano di raggiungere l’Europa. Non possiamo rassegnarci a tali tragedie, che purtroppo si ripetono da tempo! Le dimensioni del fenomeno rendono sempre più urgenti strategie coordinate tra Unione Europea e Stati africani, come pure l’adozione di adeguate misure di carattere umanitario, per impedire che questi migranti ricorrano a trafficanti senza scrupoli. Mentre prego per le vittime, perché il Signore le accolga nella sua pace, vorrei osservare che questo problema, ulteriormente aggravato dalla crisi globale, troverà soluzione solo quando le popolazioni africane, con l’aiuto della comunità internazionale, potranno affrancarsi dalla miseria e dalle guerre.

Rivolgo ora un saluto particolare ai 150 delegati – vescovi, sacerdoti e laici – che nei giorni scorsi hanno partecipato all’incontro internazionale sulle Giornate Mondiali della Gioventù, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici. Comincia così il cammino di preparazione verso il prossimo raduno mondiale dei giovani, che avrà luogo nell’agosto 2011 a Madrid e per il quale ho già indicato il tema: "Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede (cfr Col 2,7)". Come è tradizione, i giovani australiani consegneranno tra poco ai giovani spagnoli la Croce delle Giornate Mondiali della Gioventù, la "croce pellegrina", che reca a tutti i giovani della terra il messaggio dell’amore di Cristo. Questo "passaggio di testimone" assume un valore altamente simbolico, con cui esprimiamo immensa gratitudine a Dio per i doni ricevuti nel grande incontro di Sydney e per quelli che vorrà concederci in quello di Madrid. Domani la Croce, accompagnata dall’Icona della Vergine Maria, partirà per la capitale spagnola, e là sarà presente alla grande processione del Venerdì Santo. In seguito inizierà un lungo pellegrinaggio che, attraverso le Diocesi della Spagna, la riporterà a Madrid nell’estate 2011. Possano questa Croce e questa Icona di Maria essere per tutti segno dell’amore invincibile di Cristo e della sua e nostra Madre!

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors here this Palm Sunday, when we recall the humble entry into Jerusalem of Jesus, our King and Messiah. With vivid memories of my visit to Sydney for World Youth Day, I greet Cardinal George Pell, Archbishop of Sydney, and Bishops Anthony Fisher and Julian Porteous, Auxiliary Bishops of Sydney, who are here together with a large group of young Australians in order to consign to their counterparts from Madrid the World Youth Day Cross and Icon of Our Lady. May the great events of Holy Week strengthen your faith and inspire you to be humble witnesses of charity. Upon each of you present and your families, I invoke God’s blessings of peace and wisdom.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular al Cardenal Antonio María Rouco Varela, Arzobispo de Madrid, y a los numerosos jóvenes venidos a recoger la Cruz para la Jornada Mundial de la Juventud del año dos mil once, en Madrid. Hoy, que hemos acompañado con el júbilo de los ramos a Jesús en su entrada en Jerusalén, invito a todos a llevarlo muy dentro del corazón, para reconocerlo también en el árbol salvador de la cruz y celebrar así con inmenso gozo la gloria de su resurrección. Feliz Domingo. Feliz Semana Santa.

Je suis heureux de vous accueillir, chers jeunes francophones. La Semaine Sainte nous permet de contempler le Christ souffrant. Accompagnons-le, pas à pas, dans son combat qui nous libère de l’esclavage, de la détresse et de la mort, et qui nous conduit à la liberté, à la joie et à la Vie. Soyez autour de vous des signes d’espérance ! Stimulez vos amis afin qu’ils suivent le Christ ! Que le Seigneur vous accompagne tout au long de cette Semaine Sainte !

Einen frohen Gruß richte ich an die deutschsprachigen Pilger. Besonders begrüße ich die vielen jungen Menschen, die zur Übergabe des Weltjugendtagskreuzes gekommen sind. Zu Beginn der Liturgie des heutigen Palmsonntags haben wir, wie einst die Einwohner von Jerusalem, Jesus Christus einen feierlichen Einzug bereitet. Begleiten wir ihn auch auf dem Weg seines Leidens. Am Kreuz zeigt er uns seine grenzenlose Liebe, die alles auf sich nimmt. Dieses Zeichen der Hoffnung führe uns zu einer Erneuerung des Herzens, um wahrhaft Zeugen seiner Güte und seines Heils zu sein. Euch allen wünsche ich eine gesegnete Karwoche!

Queridos jovens de língua portuguesa, alegro-me convosco porque pusestes a vossa esperança no Deus vivo, em Cristo ressuscitado. Se vos alimentardes de Cristo e viverdes imersos n’Ele, não podereis deixar de falar d’Ele, de O dar a conhecer aos vossos amigos. Habitados por Cristo, espalhai esta esperança ao vosso redor. Ide e acendei a esperança. Acompanho-vos a todos com a minha oração e a minha Bênção.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do polskiej młodzieży. Podczas gdy wasi rówieśnicy z Australii przekazują krzyż młodym Hiszpanom, modlę się, aby ten znak miłości Chrystusa był drogi młodym ludziom na całym świecie. Niech dla was wszystkich będzie punktem odniesienia w dniach szczęśliwych i w godzinach próby. Bożej miłości was zawierzam i z serca błogosławię.

[Un cordiale saluto rivolgo alla gioventù polacca. Mentre i vostri coetanei dall’Australia consegnano la croce ai giovani spagnoli, prego, che questo segno dell’amore di Cristo sia caro ai giovani in tutto il mondo. Per voi tutti sia il punto di riferimento nei giorni felici e nelle ore di prova. Vi affido all’amore di Dio e vi benedico di cuore.]

Pozdravljam maturante iz Škofijske klasične gimnazije v Šentvidu in vse slovenske romarje! Želim vam, da bi doživeto obhajali velikonočne praznike in da bi vedno bolj zoreli tudi v ljubezni in zvestobi do Vstalega Odrešenika. Naj bo z vami moj blagoslov!

[Saluto i maturandi del Liceo Classico Diocesano di Šentvid e tutti i pellegrini sloveni! Vi auguro cordialmente di celebrare con viva partecipazione la Santa Pasqua e di maturare sempre di più anche nell’amore e nella fedeltà al Redentore Risorto! Vi accompagni la mia Benedizione!]

Saluto infine con affetto i pellegrini italiani, in modo particolare i gruppi giovanili. Auguro a tutti di prepararsi alla prossima Pasqua alla scuola dell’apostolo Paolo, accogliendo pienamente la grazia di Cristo. Ed ora accompagniamo con la preghiera il passaggio della Croce.

Passaggio della Croce e dell’Icona

Ed ora ci rivolgiamo con fiducia alla Vergine Maria, perché vegli sempre sul cammino dei giovani e ci aiuti tutti a vivere bene la Settimana Santa.

Angelus Domini…

06/04/2009 17:06
OFFLINE
Post: 9.447
Post: 680
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
RINUNCE E NOMINE


RINUNCIA DEL VESCOVO DI KALAMAZOO (U.S.A.) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Kalamazoo (U.S.A.), presentata da S.E. Mons. James A. Murray, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Kalamazoo (U.S.A.) S.E. Mons. Paul J. Bradley, finora Vescovo titolare di Afufenia ed Ausiliare della diocesi di Pittsburgh.

S.E. Mons. Paul J. Bradley

S.E. Mons. Paul J. Bradley è nato il 18 ottobre 1945 a McKeesport, Pennsylvania, nella diocesi di Pittsburgh. Dopo gli studi elementari presso la "Saint Cecilia School", ha frequentato per tutto il curriculum seminaristico gli Istituti della "Saint Meinrad Abbey" nell’Indiana, dalle scuole superiori agli studi teologici. Ha conseguito la Licenza in Teologia all’Istituto teologico di Meinrad e la Licenza in Scienze Sociali all’Università di Pittsburgh.

E’ stato ordinato sacerdote per la diocesi di Pittsbugh il 1° maggio 1971.

In tale diocesi ha ricoperto i seguenti incarichi: Vice-Parroco della "Saint Sebastian Parish" a Ross Township (1971-1977); Vice-Parroco della "Saint Paul Parish" a Butler (1977-1982); Vice-Parroco della "Saint Kieran Parish" a Lawrenceville (1982-1983); Direttore dell’Ufficio della Famiglia (1983-1988); Segretario per i Servizi Umani (1988-1995); Parroco della "Saint Sebastian Parish" a Ross Township (1994-2001); Rettore della Cattedrale di San Paolo (2001-2004); Vicario Generale e Segretario Generale (dal 2003 al presente).

Inoltre, è stato Membro del "Priest Personnel Board", del Consiglio Presbiterale, del Collegio dei Consultori e del "Priesthood Candidate Admission Board"; Difensore del vincolo e Giudice presso il Tribunale Diocesano; e Decano e Direttore dell’ufficio per la pastorale dei giovani decanato nord-occidentale.

Nominato Vescovo titolare di Afufenia e Vescovo Ausiliare di Pittsburgh il 16 dicembre 2004, è stato consacrato il 2 febbraio 2005.

Dopo il trasferimento di S.E. Mons. Donald W. Wuerl all’arcidiocesi di Washington, il 16 maggio 2006, S.E. Mons. Bradley è stato eletto Amministratore Diocesano fino alla nomina dell’attuale Vescovo di Pittsburgh, S.E. Mons. David A. Zubik, nel 18 luglio 2007.


06/04/2009 17:07
OFFLINE
Post: 9.448
Post: 681
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
INCONTRO CON I GIOVANI DELL’ARCIDIOCESI DI MADRID (SPAGNA) VENUTI A ROMA PER LA CONSEGNA DELLA CROCE PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2011

Alle ore 11 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i giovani dell’Arcidiocesi di Madrid (Spagna) venuti a Roma per la consegna della Croce per la Giornata Mondiale della Gioventù 2011.

Dopo il saluto dell’Arcivescovo di Madrid, Em.mo Card. Antonio María Rouco Varela, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Queridos amigos

Es para mí un gran gozo recibir en esta audiencia a un grupo tan numeroso, venido de Madrid y de España para recoger la Cruz de los jóvenes que recorrerá diversas ciudades hasta la Jornada Mundial de la Juventud, en Madrid el año dos mil once. Saludo cordialmente al Señor Cardenal Arzobispo de Madrid, Antonio María Rouco Varela, que preside esta peregrinación, al coordinador general de la Jornada, su obispo auxiliar, Monseñor César Augusto Franco Martínez, y a los demás obispos, a los sacerdotes y catequistas que han querido estar aquí. Os saludo con afecto especialmente a vosotros, queridos jóvenes, que, al tomar la cruz, confesáis vuestra fe en Aquel que os ama sin medida, el Señor Jesús, cuyo misterio pascual celebraremos en estos días santos. Como he dicho en otra ocasión, «la fe, a su modo, necesita ver y tocar. El encuentro con la cruz, que se toca y se lleva, se transforma en un encuentro interior con Aquel que en la cruz murió por nosotros. El encuentro con la cruz suscita en lo más íntimo de los jóvenes el recuerdo del Dios que quiso hacerse hombre y sufrir con nosotros» (A los miembros de la Curia romana, 22 diciembre 2008). Me alegra saber que esta cruz que habéis recibido la llevaréis en procesión el Viernes Santo por las calles de Madrid para que sea aclamada y venerada.

Os animo, por tanto, a descubrir en la Cruz la medida infinita del amor de Cristo, y poder decir así, como san Pablo: «vivo en la fe del Hijo de Dios, que me amó hasta entregarse por mí» (Ga 2,20). Sí, queridos jóvenes, Cristo se ha entregado por cada uno de vosotros y os ama de modo único y personal. Responded vosotros al amor de Cristo ofreciéndole vuestra vida con amor. De este modo, la preparación de la Jornada Mundial de la Juventud, cuyos trabajos habéis comenzado con mucha ilusión y entrega, serán recompensados con el fruto que pretenden estas Jornadas: renovar y fortalecer la experiencia del encuentro con Cristo muerto y resucitado por nosotros.

Id tras las huellas de Cristo. Él es vuestra meta, vuestro camino y también vuestro premio. En el lema que he escogido para la Jornada de Madrid, el apóstol Pablo invita a caminar, «arraigados y edificados en Cristo, firmes en la fe» (Col 2,7). La vida es un camino, ciertamente. Pero no es un camino incierto y sin destino fijo, sino que conduce a Cristo, meta de la vida humana y de la historia. Por este camino llegaréis a encontraros con Aquel que, entregando su vida por amor, os abre las puertas de la vida eterna. Os invito, pues, a formaros en la fe que da sentido a vuestra vida y a fortalecer vuestras convicciones, para poder así permanecer firmes en las dificultades de cada día. Os exhorto, además, a que, en el camino hacia Cristo, sepáis atraer a vuestros jóvenes amigos, compañeros de estudio y de trabajo, para que también ellos lo conozcan y lo confiesen como Señor de sus vidas. Para ello, dejad que la fuerza de lo Alto que está dentro de vosotros, el Espíritu Santo, se manifieste con su inmenso atractivo. Los jóvenes de hoy necesitan descubrir la vida nueva que viene de Dios, saciarse de la verdad que tiene su fuente en Cristo muerto y resucitado y que la Iglesia ha recibido como un tesoro para todos los hombres.

Queridos jóvenes, este tiempo de preparación a la Jornada de Madrid es una ocasión extraordinaria para experimentar además la gracia de pertenecer a la Iglesia, Cuerpo de Cristo. Las Jornadas de la Juventud manifiestan el dinamismo de la Iglesia y su eterna juventud. Quien ama a Cristo, ama a la Iglesia con una misma pasión, pues ella nos permite vivir en una relación estrecha con el Señor. Por ello, cultivad las iniciativas que permitan a los jóvenes sentirse miembros de la Iglesia, en plena comunión con sus pastores y con el Sucesor de Pedro. Orad en común, abriendo las puertas de vuestras parroquias, asociaciones y movimientos para que todos puedan sentirse en la Iglesia como en su propia casa, en la que son amados con el mismo amor de Dios. Celebrad y vivid vuestra fe con inmensa alegría, que es el don del Espíritu. Así, vuestros corazones y los de vuestros amigos se prepararán para celebrar la gran fiesta que es la Jornada de la Juventud y todos experimentaremos una nueva epifanía de la juventud de la Iglesia.

En estos días tan hermosos de la Semana Santa, que ayer iniciamos, os aliento a contemplar a Cristo en los misterios de su pasión, muerte y resurrección. En ellos hallaréis lo que supera toda sabiduría y conocimiento, es decir, el amor de Dios manifestado en Cristo. Aprended de Él, que no vino «a ser servido sino a servir y a dar su vida en rescate por muchos» (Mc 10,45). Éste es el estilo del amor de Cristo, marcado con el signo de la cruz gloriosa, en la que Cristo es exaltado, a la vista de todos, con el corazón abierto, para que el mundo pueda mirar y ver, a través de su perfecta humanidad, el amor que nos salva. La cruz se convierte así en el signo mismo de la vida, pues en ella Cristo vence el pecado y la muerte mediante la total entrega de sí mismo. Por eso, hemos de abrazar y adorar la cruz del Señor, hacerla nuestra, aceptar su peso como el Cireneo para participar en lo único que puede redimir a toda la humanidad (cf. Col 1,24). En el bautismo habéis sido marcados con la cruz de Cristo y le pertenecéis totalmente. Haceos cada vez más dignos de ella y jamás os avergoncéis de este signo supremo del amor.

Con esta actitud profundamente cristiana, llevaréis adelante los trabajos de preparación para la Jornada Mundial de la Juventud con éxito y fecundidad, porque, según dice san Pablo, todo lo podemos en Aquel que nos da la fuerza (Cf. Flp 4,13). Y en Cristo crucificado se nos ha manifestado la fuerza y la sabiduría de Dios (cf. 1 Co 1,24). Dejaos invadir de esta fuerza y sabiduría, comunicadla a los demás y, bajo la protección de la Santísima Virgen María, preparad con dedicación y gozo la Jornada de la Juventud que hará de Madrid un lugar radiante de fe y vida, donde jóvenes de todo el mundo festejen con entusiasmo a Cristo.

Llevad mi afectuoso saludo a vuestras familias y a los amigos y compañeros que no han podido venir hoy, y a los que también bendigo de corazón.

Felices fiestas de Pascua.

Muchas gracias.

07/04/2009 01:45
OFFLINE
Post: 9.456
Post: 684
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
Il Papa ai giovani madrileni venuti per la Croce della GMG


ROMA, lunedì, 6 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI nel ricevere in udienza i giovani dell’Arcidiocesi di Madrid venuti a Roma per la consegna della Croce per la Giornata Mondiale della Gioventù 2011.

* * *

Cari amici,

È per me una grande gioia ricevere in questa udienza un gruppo tanto numeroso, venuto da Madrid e dalla Spagna, per ricevere la croce dei giovani che percorrerà diverse città fino alla Giornata Mondiale della Gioventù, a Madrid nel 2011. Saluto cordialmente il signor cardinale arcivescovo di Madrid, Antonio María Rouco Varela, che presiede questo pellegrinaggio, il coordinatore generale della Giornata, il suo vescovo ausiliare, monsignor César Augusto Franco Martínez, e gli altri vescovi, sacerdoti e catechisti che hanno voluto essere qui. Saluto con affetto soprattutto voi, cari giovani, che, prendendo la croce, professate la vostra fede in Colui che vi ama infinitamente, il Signore Gesù, il cui mistero pasquale celebreremo in questi giorni santi. Come ho detto in un'altra occasione, «la fede, a modo suo, ha bisogno del vedere e del toccare. L'incontro con la croce, che viene toccata e portata, diventa un incontro interiore con Colui che sulla croce è morto per noi. L'incontro con la croce suscita nell'intimo dei giovani la memoria di quel Dio che ha voluto farsi uomo e soffrire con noi» (Ai membri della Curia Romana, 22 dicembre 2008). Mi rallegra sapere che questa croce che avete ricevuto la porterete in processione il Venerdì Santo per le strade di Madrid perché sia acclamata e venerata.

Vi incoraggio, pertanto, a scoprire nella croce la misura infinita dell'amore di Cristo, e poter così dire, come san Paolo: «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2, 20). Sì, cari giovani, Cristo si è donato per ognuno di voi e vi ama in modo unico e personale. Rispondete all'amore di Cristo offrendogli la vostra vita con amore. In tal modo, la preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù, i cui lavori avete iniziato con grande speranza e dedizione, sarà ricompensata con il frutto che queste Giornate intendono recare: rinnovare e rafforzare l'esperienza dell'incontro con Cristo morto e risorto per noi.

Seguite le orme di Cristo! Egli è la vostra meta, il vostro cammino e anche il vostro premio. Nel motto che ho scelto per la Giornata di Madrid, l'apostolo Paolo invita a camminare «radicati e costruiti in Cristo, saldi nella fede» (cfr. Col 2, 7). La vita è un cammino, indubbiamente. Non è però un cammino incerto e senza destinazione precisa, bensì conduce a Cristo, meta della vita umana e della storia. Lungo questo cammino riuscirete a incontrare Colui che, offrendo la propria vita per amore, vi apre le porte della vita eterna. Vi invito, pertanto, a formarvi nella fede che dà senso alla vostra vita, e a rafforzare le vostre convinzioni, per poter così restare saldi nelle difficoltà di ogni giorno. Vi esorto, inoltre, affinché, nel cammino verso Cristo, sappiate attrarre i vostri giovani amici, compagni di studio e di lavoro, di modo che anch'essi lo conoscano e lo professino come Signore della loro vita. A tal fine, lasciate che la forza dall'Alto che è dentro di voi, lo Spirito Santo, si manifesti con la sua immensa attrattiva. I giovani di oggi hanno bisogno di scoprire la vita nuova che viene da Dio, di saziarsi della verità che ha la propria fonte in Cristo morto e risorto e che la Chiesa ha ricevuto come un tesoro per tutti gli uomini.

Cari giovani, questo tempo di preparazione alla Giornata di Madrid è un'occasione straordinaria per sperimentare anche la grazia di appartenere alla Chiesa, Corpo di Cristo. La Giornata della Gioventù manifesta il dinamismo della Chiesa e la sua eterna gioventù. Chi ama Cristo, ama la Chiesa con la stessa passione, poiché essa ci permette di vivere in un rapporto stretto con il Signore. Coltivate perciò le iniziative che permettono ai giovani di sentirsi membra della Chiesa, in piena comunione con i loro pastori e con il Successore di Pietro. Pregate comunitariamente, aprendo le porte delle vostre parrocchie, associazioni e movimenti affinché tutti possano sentirsi nella Chiesa come a casa propria, dove sono amati con lo stesso amore di Dio. Celebrate e vivete la vostra fede con immensa gioia, che è il dono dello Spirito. Così il vostro cuore e quello dei vostri amici si prepareranno per celebrare quella grande festa che è la Giornata Mondiale della Gioventù, e tutti vivremo una nuova epifania della giovinezza della Chiesa.

In questi giorni così belli della Settimana Santa, che abbiamo iniziato ieri, vi incoraggio a contemplare Cristo nei misteri della sua passione, morte e resurrezione. In essi troverete ciò che supera qualsiasi sapienza e conoscenza, ossia l'amore di Dio manifestato in Cristo. Imparate da Lui, che non è venuto «per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti» (Mc 10, 45). Questo è lo stile dell'amore di Cristo, marcato con il segno della croce gloriosa, sulla quale Cristo è esaltato, alla vista di tutti, con il cuore aperto, perché il mondo possa guardare e vedere, attraverso la sua perfetta umanità, l'amore che ci salva. La croce diviene così il segno stesso della vita, poiché in essa Cristo vince il peccato e la morte mediante il dono totale di se stesso. Per questo, dobbiamo abbracciare e adorare la croce del Signore, farla nostra, accettare il suo peso come il Cireneo, per partecipare all'unica realtà che può redimere tutta l'umanità (cfr. Col 1, 24). Nel battesimo siete stati segnati con la croce di Cristo e ora le appartenete totalmente. Divenitene sempre più degni e non vergognatevi mai di questo segno supremo dell'amore.

Con questo atteggiamento profondamente cristiano, porterete avanti i lavori di preparazione per la Giornata Mondiale della Gioventù con successo e fecondità, poiché, come dice san Paolo, tutto possiamo in Colui che ci dà la forza (cfr. Fil 4, 13) e in Cristo crocifisso si sono manifestate a noi la potenza e la sapienza di Dio (cfr. 1 Cor 1, 24). Lasciatevi pervadere da questa potenza e sapienza, comunicatela agli altri e, sotto la protezione della Santissima Vergine Maria, preparate con dedizione e gioia la Giornata Mondiale della Gioventù che farà di Madrid un luogo che irradierà fede e vita, dove i giovani di tutto il mondo festeggeranno con entusiasmo Cristo.

Portate il mio affettuoso saluto alle vostre famiglie e agli amici e compagni che non sono potuti venire oggi, che benedico di cuore.

Buona Pasqua!

Grazie.

[Traduzione del testo originale in spagnolo a cura de “L'Osservatore Romano”]


07/04/2009 15:43
OFFLINE
Post: 9.461
Post: 687
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
RINUNCE E NOMINE



NOMINA DEL VESCOVO DI BUXAR (INDIA)

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Buxar (India) il Rev.do Sebastian Kallupura (Senior), sacerdote del clero di Patna, Direttore del Bihar Social Forum.

Rev.do Sebastian Kallupura

Il Rev.do Sebastian Kallupura è nato il 14 luglio 1953 nello Stato del Kerala, da una famiglia di rito siro-malabarese. Ha compiuto i primi studi nel suo villaggio e a Palai. Successivamente ha frequentato il St. Joseph’s Seminary, Mangalore, il St. Albert’s College, Ranchi e il Papal Seminary a Pune. E’ stato ordinato il 14 maggio 1984 ed incardinato nell’Arcidiocesi di Patna.

Dopo l’Ordinazione ha ricoperto i seguenti incarichi: 1984-1985: Vicario parrocchiale presso la missione di Jahanabad; 1985-1986: Vicario parrocchiale a Mokama; 1986-1991: Incaricato della missione di Sikandra; 1991-1999: Parroco a Mokama; 1999-2000: Studi di Spiritualità presso l’Adhytma Vidya Pitham, a Bangalore; 2000-2002: Vice-economo e poi Economo dell’Arcidiocesi di Patna; 2002-2003: "DDC Course; dal 2003: Direttore del "Seva Kendra" Socio-Economic Development Centre dell’Arcidiocesi di Patna; dal 2008:Direttore del Bihar Social Forum.



NOMINA DI AUSILIARI DI QUÉBEC (CANADA)

Il Santo Padre ha nominato Vescovi Ausiliari dell’arcidiocesi di Québec (Canada):

- il Rev.do Paul Lortie, del clero della medesima arcidiocesi, finora Vicario episcopale dell’arcidiocesi di Québec, assegnandogli la sede titolare vescovile di Gerpiniana;

- il Rev.do Gérard Cyprien Lacroix, I.S.P.X., finora Superiore generale dell’Istituto Secolare Pio X, assegnandogli la sede titolare vescovile di Ilta.

Rev.do Paul Lortie

Il Rev.do Paul Lortie è nato a Beauport il 17 marzo 1944, nell’arcidiocesi di Québec. Dopo aver frequentato le scuole primarie, è entrato presso il Seminario "Sacré-Cœur de Saint-Victor de Beauce" dove ha svolto gli studi classici per poi passare al Seminario Maggiore di Québec per la Teologia. Ha conseguito la Licenza in Teologia presso l’Università di Laval. E’ stato ordinato sacerdote il 16 maggio 1970.

Dal 1970 al 1972 è stato nell’équipe del Seminario di Saint-Victor per poi iniziare gli studi a Parigi (Francia) presso l’ "Institut de Catéchèse" . Rientrato in Canada nel 1974 ha proseguito la sua formazione presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Laval conseguendo nel 1976 un "Certifié en études collégiales". Nominato Responsabile dell’Ufficio diocesano dell’Educazione ha svolto tale ministero fino al 1983, quando è divenuto Segretario Generale aggiunto per l’Educazione presso l’ Assemblea dei Vescovi del Québec.

Nel 1989 è stato scelto quale Direttore dell’Ufficio per la Pastorale delle Vocazioni e Membro del Comitato diocesano per il Diaconato e del Consiglio Presbiterale. Si sono aggiunti i compiti di Direttore dell’Ufficio diocesano delle Comunità Cristiane nel 1992 e Accompagnatore delle Vergini consacrate fino al 1994.

Nel 1995 è stato nominato Parroco nella "regione" di Notre-Dame de Portneuf et Des-Chambault e nel 1999 Parroco a Saint-Jean-Baptiste de Québec e Amministratore delle parrocchie di Saints-Martyrs-Canadiens e Notre-Dame-du-Chemin. Nel marzo del 2008 è stato eletto Vicario episcopale di quattro regioni pastorali: Aminate, Lotbinière-Bois-Francs, Chaudière e Rive-sud.

Rev.do Gérard Cyprien Lacroix, I.S.P.X.

Il Rev.do Gérard Cyprien Lacroix, I.S.P.X., è nato il 27 luglio 1957 a Saint-Hilaire de Dorset ed ha compiuto i suoi studi secondari e superiori presso la Trinty Hig Scholl e al Saint Anselme College di Manchester, New Hampshire.

In seguito ha svolto la sua formazione teologica presso l’Università di Laval, ottenendo il baccalaureato in Teologia e una "maitrise ès art". Nel 1975 è stato accolto presso l’ "Institut Séculier Pie X" emettendo i voti perpetui nel 1982.

Nel 1982 è diventato Segretario Generale dell’Istituto e dal 1985 Consigliere del Consiglio Generale. Dal 1985 al 1987 ha assunto l’incarico di Direttore Generale della "Maison du Renouveau" centro di formazione cristiana e spirituale del suddetto Istituto secolare. E’ stato ordinato sacerdote l’8 ottobre 1988 presso la parrocchia Notre-Dame-de-la-Recouvrance.

Dal 1990 al 2000 ha svolto la sua missione in Colombia dove ha aperto nuove case per l’Istituto stesso. Dal 2001 al 2004 è stato Direttore Generale dell’Istituto, incarico rinnovato per un quinquennio a partire dal 2005.



08/04/2009 16:36
OFFLINE
Post: 9.480
Post: 699
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
RINUNCE E NOMINE


NOMINA DEL VESCOVO DI TRIER (GERMANIA)

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Trier (Germania) S.E. Mons. Stephan Ackermann, finora Vescovo titolare di Sozopoli di Emimonto ed Ausiliare della medesima diocesi.

S.E. Mons. Stephan Ackermann

S.E. Mons. Stephan Ackermann è nato a Mayen (diocesi di Trier) il 20 marzo 1963. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici dapprima presso la Facoltà teologica di Trier e poi nella Pontificia Università Gregoriana come alunno del Pontificio Collegio Germanico-Ungarico.

E’ stato ordinato sacerdote il 10 ottobre 1987 a Roma per la diocesi di Trier.

Dal 1989 al 1991 ha ricoperto l’incarico di Vice parroco a Bad Breisig.

Dal 1991 al 1998 è stato Vicerettore del Seminario Maggiore di Trier e dal 1996 anche Vicario del Duomo di Trier. Durante tale periodo ha proseguito gli studi teologici, conseguendo nel 2001 il dottorato in teologia presso l’Alta Scuola Filosofico-Teologica di Frankfurt.

Nel 1999 è stato nominato Rettore della Casa di Studi per vocazioni adulte "St. Lambert" a Burg Lantershofen.

Il 14 marzo 2006 è stato eletto Vescovo titolare di Sozopoli di Emimonto ed Ausiliare del Vescovo di Trier. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 14 maggio 2006.



08/04/2009 16:37
OFFLINE
Post: 9.481
Post: 700
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
L’UDIENZA GENERALE


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato del Triduo Pasquale, culmine dell’itinerario quaresimale.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

la Settimana Santa, che per noi cristiani è la settimana più importante dell’anno, ci offre l’opportunità di immergerci negli eventi centrali della Redenzione, di rivivere il Mistero pasquale, il grande Mistero della fede. A partire da domani pomeriggio, con la Messa in Coena Domini, i solenni riti liturgici ci aiuteranno a meditare in maniera più viva la passione, la morte e la risurrezione del Signore nei giorni del Santo Triduo pasquale, fulcro dell'intero anno liturgico. Possa la grazia divina aprire i nostri cuori alla comprensione del dono inestimabile che è la salvezza ottenutaci dal sacrificio di Cristo. Questo dono immenso lo troviamo mirabilmente narrato in un celebre inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (cfr 2,6-11), che in Quaresima abbiamo più volte meditato. L’apostolo ripercorre, in modo tanto essenziale quanto efficace, tutto il mistero della storia della salvezza accennando alla superbia di Adamo che, pur non essendo Dio, voleva essere come Dio. E contrappone a questa superbia del primo uomo, che tutti noi sentiamo un po' nel nostro essere, l'umiltà del vero Figlio di Dio che, diventando uomo, non esitò a prendere su di sé tutte le debolezze dell'essere umano, eccetto il peccato, e si spinse fino alla profondità della morte. A questa discesa nell'ultima profondità della passione e della morte segue poi la sua esaltazione, la vera gloria, la gloria dell'amore che è andato fino alla fine. Ed è perciò giusto – come dice Paolo – che «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore!» (2, 10-11). San Paolo accenna, con queste parole, a una profezia di Isaia dove Dio dice: Io sono il Signore, ogni ginocchio si pieghi davanti a me nei cieli e nella terra (sfr Is 45, 23). Questo – dice Paolo – vale per Gesù Cristo. Lui realmente, nella sua umiltà, nella vera grandezza del suo amore, è il Signore del mondo e davanti a Lui realmente ogni ginocchio si piega.

Quanto meraviglioso, e insieme sorprendente, è questo mistero! Non possiamo mai sufficientemente meditare questa realtà. Gesù, pur essendo Dio, non volle fare delle sue prerogative divine un possesso esclusivo; non volle usare il suo essere Dio, la sua dignità gloriosa e la sua potenza, come strumento di trionfo e segno di distanza da noi. Al contrario, «svuotò se stesso» assumendo la misera e debole condizione umana - Paolo usa, a questo riguardo, un verbo greco assai pregnante per indicare la kénosis, questa discesa di Gesù. La forma (morphé) divina si nascose in Cristo sotto la forma umana, ossia sotto la nostra realtà segnata dalla sofferenza, dalla povertà, dai nostri limiti umani e dalla morte. La condivisione radicale e vera della nostra natura, condivisione in tutto fuorché nel peccato, lo condusse fino a quella frontiera che è il segno della nostra finitezza, la morte. Ma tutto ciò non è stato frutto di un meccanismo oscuro o di una cieca fatalità: fu piuttosto una sua libera scelta, per generosa adesione al disegno salvifico del Padre. E la morte a cui andò incontro – aggiunge Paolo - fu quella di croce, la più umiliante e degradante che si potesse immaginare. Tutto questo il Signore dell’universo lo ha compiuto per amore nostro: per amore ha voluto "svuotare se stesso" e farsi nostro fratello; per amore ha condiviso la nostra condizione, quella di ogni uomo e di ogni donna. Scrive in proposito un grande testimone della tradizione orientale, Teodoreto di Ciro: «Essendo Dio e Dio per natura e avendo l’uguaglianza con Dio, non ha ritenuto questo qualcosa di grande, come fanno coloro che hanno ricevuto qualche onore al di sopra dei loro meriti, ma nascondendo i suoi meriti, ha scelto l’umiltà più profonda e ha preso la forma di un essere umano» (Commento all’epistola ai Filippesi, 2,6-7).

Preludio al Triduo pasquale, che incomincerà domani – come dicevo - con i suggestivi riti pomeridiani del Giovedì Santo, è la solenne Messa Crismale, che nella mattinata il Vescovo celebra con il proprio presbiterio, e nel corso della quale insieme vengono rinnovate le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’ Ordinazione. E’ un gesto di grande valore, un’occasione quanto mai propizia in cui i sacerdoti ribadiscono la propria fedeltà a Cristo che li ha scelti come suoi ministri. Quest’incontro sacerdotale assume inoltre un significato particolare, perché è quasi una preparazione all’Anno Sacerdotale, che ho indetto in occasione del 150 anniversario della morte del Santo Curato d’Ars e che avrà inizio il prossimo 19 giugno. Sempre nella Messa Crismale verranno poi benedetti l’olio degli infermi e quello dei catecumeni, e sarà consacrato il Crisma. Riti questi con i quali sono simbolicamente significate la pienezza del Sacerdozio di Cristo e quella comunione ecclesiale che deve animare il popolo cristiano, radunato per il sacrificio eucaristico e vivificato nell’unità dal dono dello Spirito Santo.

Nella Messa del pomeriggio, chiamata in Coena Domini, la Chiesa commemora l’istituzione dell’Eucaristia, il Sacerdozio ministeriale ed il Comandamento nuovo della carità, lasciato da Gesù ai suoi discepoli. Di quanto avvenne nel Cenacolo, la vigilia della passione del Signore, san Paolo offre una delle più antiche testimonianze. «Il Signore Gesù, - egli scrive, all'inizio degli anni cinquanta, basandosi su un testo che ha ricevuto dall’ambiente del Signore stesso - nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e , dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,23-25). Parole cariche di mistero, che manifestano con chiarezza il volere di Cristo: sotto le specie del pane e del vino Egli si rende presente col suo corpo dato e col suo sangue versato. E’ il sacrificio della nuova e definitiva alleanza offerta a tutti, senza distinzione di razza e di cultura. E di questo rito sacramentale, che consegna alla Chiesa come prova suprema del suo amore, Gesù costituisce ministri i suoi discepoli e quanti ne proseguiranno il ministero nel corso dei secoli. Il Giovedì Santo costituisce pertanto un rinnovato invito a rendere grazie a Dio per il sommo dono dell’Eucaristia, da accogliere con devozione e da adorare con viva fede. Per questo, la Chiesa incoraggia, dopo la celebrazione della Santa Messa, a vegliare in presenza del Santissimo Sacramento, ricordando l’ora triste che Gesù passò in solitudine e preghiera nel Getsemani, prima di essere arrestato per poi venire condannato a morte.

E siamo così al Venerdì Santo, giorno della passione e della crocifissione del Signore. Ogni anno, ponendoci in silenzio di fronte a Gesù appeso al legno della croce, avvertiamo quanto siano piene di amore le parole da Lui pronunciate la vigilia, nel corso dell’Ultima Cena. "Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti" (cfr Mc 14,24). Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità. Come di fronte all’Eucaristia, così di fronte alla passione e morte di Gesù in Croce il mistero si fa insondabile per la ragione. Siamo posti davanti a qualcosa che umanamente potrebbe apparire assurdo: un Dio che non solo si fà uomo, con tutti i bisogni dell'uomo, non solo soffre per salvare l’uomo caricandosi di tutta la tragedia dell’umanità, ma muore per l’uomo.

La morte di Cristo richiama il cumulo di dolore e di mali che grava sull’umanità di ogni tempo: il peso schiacciante del nostro morire, l’odio e la violenza che ancora oggi insanguinano la terra. La passione del Signore continua nella sofferenze degli uomini. Come giustamente scrive Blaise Pascal, "Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo" (Pensieri, 553). Se il Venerdì Santo è giorno pieno di tristezza, è dunque al tempo stesso, giorno quanto mai propizio per ridestare la nostra fede, per rinsaldare la nostra speranza e il coraggio di portare ciascuno la nostra croce con umiltà, fiducia ed abbandono in Dio, certi del suo sostegno e della sua vittoria. Canta la liturgia di questo giorno: O Crux, ave, spes unica – Ave, o croce, unica speranza!" .

Questa speranza si alimenta nel grande silenzio del Sabato Santo, in attesa della risurrezione di Gesù. In questo giorno le Chiese sono spoglie e non sono previsti particolari riti liturgici. La Chiesa veglia in preghiera come Maria e insieme a Maria, condividendone gli stessi sentimenti di dolore e di fiducia in Dio. Giustamente si raccomanda di conservare durante tutta la giornata un clima orante, favorevole alla meditazione e alla riconciliazione; si incoraggiano i fedeli ad accostarsi al sacramento della Penitenza, per poter partecipare realmente rinnovati alle Feste Pasquali.

Il raccoglimento e il silenzio del Sabato Santo ci condurranno nella notte alla solenne Veglia Pasquale, "madre di tutte le veglie", quando proromperà in tutte le chiese e comunità il canto della gioia per la risurrezione di Cristo. Ancora una volta, verrà proclamata la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, e la Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore. Entreremo così nel clima della Pasqua di Risurrezione.

Cari fratelli e sorelle, disponiamoci a vivere intensamente il Triduo Santo, per essere sempre più profondamente partecipi del Mistero di Cristo. Ci accompagna in questo itinerario la Vergine Santa, che ha seguito in silenzio il Figlio Gesù fino al Calvario, prendendo parte con grande pena al suo sacrificio, cooperando così al mistero della Redenzione e divenendo Madre di tutti i credenti (cfr Gv 19,25-27). Insieme a Lei entreremo nel Cenacolo, resteremo ai piedi della Croce, veglieremo idealmente accanto al Cristo morto attendendo con speranza l’alba del giorno radioso della risurrezione. In questa prospettiva, formulo fin d’ora a tutti voi i più cordiali auguri di una lieta e santa Pasqua, insieme con le vostre famiglie, parrocchie e comunità.



SINTESI DELLA CATECHESI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Sintesi della catechesi in lingua francese

Chers Frères et Sœurs,

Au cours du Triduum pascal, la liturgie nous invite à méditer la passion, la mort et la résurrection du Seigneur. Les rites de la messe chrismale, célébrée demain matin, expriment la plénitude du Sacerdoce du Christ ainsi que la communion ecclésiale qui doit animer le peuple chrétien réuni pour le sacrifice eucharistique et vivifié dans l’unité par le don de l’Esprit Saint. Au cours de la messe du soir, l’Église commémore l’institution de l’Eucharistie, le sacerdoce ministériel et le commandement nouveau de la charité, laissés par Jésus à ses disciples. Cette célébration nous invite à rendre grâce à Dieu pour le don de l’Eucharistie, que nous devons accueillir avec dévotion et adorer avec foi. Commémorant la passion et la mort de Jésus en Croix, le Vendredi-Saint est un jour de tristesse, mais il est en même temps le moment propice pour réveiller notre foi, pour renforcer notre espérance et notre courage afin de porter notre croix avec humilité et confiance en Dieu, sûrs de son soutien et de sa victoire. Dans le grand silence du Samedi-Saint, l’Église veille en prière, partageant les sentiments de douleur et de confiance en Dieu de Marie. Ce recueillement nous conduira à la Veillée pascale, où éclatera la joie de Pâques. Alors sera proclamée la victoire de la lumière sur les ténèbres, de la vie sur la mort et l’Église se réjouira de sa rencontre avec son Seigneur.

Je salue avec joie les pèlerins francophones, particulièrement les jeunes du Foyer vocationnel Jean-Paul II de Vannes ainsi que ceux du Collège Saint-Joseph de Lectoure. Pour que les fêtes pascales portent un fruit abondant, laissez-vous accompagner par Marie dans l’attente de l’aube de la résurrection. À vous tous, à vos familles, à vos communautés, bonnes et saintes fêtes de Pâques !


○ Sintesi della catechesi in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

Tomorrow we begin the Holy Triduum, the heart of the entire liturgical year: a time when we immerse ourselves in the central events of our Redemption. The Chrism Mass serves as a prelude to these three days, as priests renew their promises to the Bishop, who then blesses the holy oils and consecrates the chrism signifying the gift of the Holy Spirit. At the Mass of the Lord’s Supper, we recall the institution of the Eucharist, the supreme sign of Christ’s love for us. As we venerate his Cross on Good Friday, we contemplate the full meaning of his words: "This is my blood of the covenant, which is poured out for many" (Mk 14:24). Holy Saturday finds us waiting in silent hope for the Easter Vigil, when every church will break forth in a song of joy at the Lord’s Resurrection. The celebration of the Paschal mystery recalls the depth of Christ’s love: he did not wish to exercise his divinity as an exclusive possession, a means of domination, or a sign of distance between him and us. Rather, "he emptied himself, taking the form of a servant" (Phil 2:7) by sharing fully in our human condition, even to the point of death: not a death imposed by blind chance or fate, but one freely chosen in obedience to the Father’s will for the salvation for all. May our fervent celebration of the Triduum draw us ever more deeply into Christ’s Paschal mystery!

I am pleased to greet the English-speaking pilgrims present at today’s Audience. May your visit to Rome during this Holy Week fill you with the peace, hope and joy of Christ Jesus!


○ Sintesi della catechesi in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern!

Die Karwoche ist für uns Christen die wichtigste Woche des Jahres. Sie gibt uns die Gelegenheit, die zentralen Ereignisse unserer Erlösung vertieft zu betrachten. Zu Beginn dieser Audienz haben wir die Verse des bekannten Hymnus aus dem Philipperbrief gehört. Da heißt es, daß Christus sich aus Liebe zu uns erniedrigt, ja gleichsam entleert hat, um mit dem Kreuzestod unsere Schuld auf sich zu nehmen und uns so den Weg zum Himmel zu eröffnen. Diese Intensität der Liebe wird am Gründonnerstag beim Letzten Abendmahl sichtbar. Der heilige Paulus gibt die Worte Jesu wieder, die er offenbar in mündlicher Überlieferung gehört hat: „Das ist mein Leib für euch. Tut dies zu meinem Gedächtnis! ... Dieser Kelch ist der Neue Bund in meinem Blut. Tut dies, sooft ihr daraus trinkt, zu meinem Gedächtnis!" (1 Kor 11,24-25). Christus will mit seinem Leib und Blut bei den Jüngern gegenwärtig sein. In dieser Opfergabe stiftet er einen neuen Bund, mit dem er allen Menschen, gleich welcher Nation und Kultur, nahe sein will. Der grausame Tod Christi, der den Karfreitag überschattet, lenkt unseren Blick auch auf all den Schmerz, den Haß und die Gewalt, unter denen die Welt bis heute leidet. Gerade da wird Christus, der diese zutiefst menschliche Erfahrung bis zum Äußersten mit uns geteilt hat, für uns zur Stütze und zur Quelle der Hoffnung. In dieser stillen Zuversicht gehen wir am Karsamstag der Osternacht entgegen, in der wir den Sieg der Auferstehung Christi über die Finsternis der Sünde und des Todes feiern.

Einen herzlichen Gruß richte ich an alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Bereiten wir unser Herz, um in diesen heiligen Kar- und Ostertagen in der Liturgie und in den Sakramenten – besonders auch in einer guten Osterbeichte – unserem Erlöser Jesus Christus zu begegnen. Nehmen wir uns Zeit für die Betrachtung der Passionsgeschichte in den Evangelien und gehen wir diesen Weg mit Maria, die sich ganz vom Leiden ihres Sohnes und von der Freude über seine Auferstehung erfüllen ließ. In diesem Sinne wünsche ich euch schon heute gesegnete Ostern.


○ Sintesi della catechesi in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

La Semana Santa, que para nosotros los cristianos es la semana más importante del año, nos ofrece la oportunidad de actualizar los misterios centrales de la Redención. Desde mañana por la tarde, con la Misa de la Cena del Señor, los solemnes ritos litúrgicos nos ayudarán a meditar de forma más viva la pasión, muerte y resurrección del Señor. La Misa crismal es como un preludio al Triduo pascual. En ella se bendice el óleo de los catecúmenos y de los enfermos y se consagra el Santo Crisma. Se renuevan también las promesas sacerdotales pronunciadas el día de la Ordenación. Esta celebración tiene este año un significado particular, pues será casi como una preparación al Año Sacerdotal, que he convocado con ocasión del ciento cincuenta aniversario de la muerte del Santo Cura de Ars, y que se inaugurará el próximo día diecinueve de junio. En estos días santos nos acompaña la Santísima Virgen. Con Ella entraremos en el cenáculo, permaneceremos junto a la Cruz y estaremos idealmente junto a Cristo muerto aguardando con esperanza la aurora del día glorioso de la Resurrección.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a las Hermanas de la Caridad Dominicas de la Presentación, a los grupos venidos de España, México, Puerto Rico y otros países latinoamericanos, así como a los participantes en el Congreso Universitario Internacional UNIV dos mil nueve, deseándoles que estos días en Roma les ayuden a renovar su amistad con Jesucristo y a seguirlo como Maestro de vida. Deseo a todos una feliz y santa Pascua, junto a vuestras familias, parroquias y comunidades. Muchas gracias.



SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Saluto in lingua portoghese

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente os estudantes brasileiros de Londrina e todos os participantes no encontro universitário internacional UNIV 2009, formulando os votos mais cordiais de uma feliz e santa Páscoa para cada um dos presentes, suas famílias e comunidades de estudo e de fé. Possam os dias do Tríduo Pascal fortalecer em todos a esperança e a coragem de levar a sua cruz com humildade, confiança e abandono em Deus, certos do seu apoio e da sua vitória. Com estes votos, dou-vos a minha Bênção Apostólica.


○ Saluto in lingua polacca

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Na progu świętego triduum paschalnego życzę, aby przeżywanie w wierze tajemnic męki, śmierci i zmartwychwstania Chrystusa pozwoliło wszystkim doświadczyć miłości Boga i budziło nadzieję na udział w Jego chwale. Błogosławionych świąt! Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

[Saluto cordialmente i polacchi. Alla soglia del Sacro Triduo pasquale auguro che il vivere nella fede i misteri della passione, della morte e della risurrezione di Cristo permetta a tutti di sperimentare l’amore di Dio e risvegli la speranza della partecipazione alla sua gloria. Buona Pasqua! Sia lodato Gesù Cristo.]


○ Saluto in lingua ungherese

Köszöntöm a magyar zarándokokat, különösen a pécsi és a szentmártoni csoport tagjait!

Ezekben a szent napokban megtapasztaljuk annak a szeretetnek a nagyságát, amelyben megmutatkozott Isten egyszülött Fia: szenvedésével, kereszthalálával és dicsőséges föltámadásával. Hittel és szeretettel adjunk hálát érte.

Dicsértessék a Jézus Krisztus!

[Saluto di cuore i pellegrini di lingua ungherese, specialmente i gruppi di Pécs e di Szentmárton!

In questi santi giorni sentite la grandezza dell’amore che ci ha mostrato il Figlio di Dio con la sua dolorosa passione, con la morte sulla croce e con la sua gloriosa risurrezione. Ringraziatelo con fede sicura e con amore fedele.

Sia lodato Gesù Cristo!]


○ Saluto in lingua croata

Najljepše pozdravljam sve hrvatske hodočasnike, posebno profesore i učenike iz Druge gimnazije iz Splita! Predragi, Isus nas je ljubio do kraja! Ovih će nam se dana pred očima ponovo ocrtati otajstvo razapete Ljubavi. Slijedite Gospodina predanim srcem i zahvalite mu pouzdanom vjerom i vjernom ljubavi, kako bi se u vama očitovala silna snaga Uskrsloga. Hvaljen Isus i Marija!

[Saluto di cuore tutti i pellegrini croati in modo particolare i professori e studenti del Secondo ginnasio di Split! Carissimi, Gesù ci amò sino alla fine! In questi giorni ai nostri occhi si rinnoverà il mistero dell’amore crocifisso. Seguite il Signore con cuore fiducioso e ringraziatelo con fede sicura e con amore fedele, affinché si manifesterà in voi la forza portentosa del Risorto. Siano lodati Gesù e Maria!]


○ Saluto in lingua italiana

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In primo luogo rinnovo la mia vicinanza spirituale alla cara comunità de L’Aquila e degli altri paesi, duramente colpiti dal violento fenomeno sismico dei giorni scorsi, che ha provocato numerose vittime, tanti feriti e ingenti danni materiali. La sollecitudine con cui Autorità, forze dell’ordine, volontari e altri operatori stanno soccorrendo questi nostri fratelli dimostra quanto sia importante la solidarietà per superare insieme prove così dolorose. Ancora una volta desidero dire a quelle care popolazioni che il Papa condivide la loro pena e le loro preoccupazioni. Carissimi, appena possibile spero di venire a trovarvi. Sappiate che il Papa prega per tutti, implorando la misericordia del Signore per i defunti, e per i familiari e i superstiti il conforto materno di Maria e il sostegno della speranza cristiana. Saluto poi i partecipanti al Convegno internazionale UNIV, promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei. Cari amici, vi esorto a rispondere con gioia alla chiamata del Signore per dare un senso pieno alla vostra vita: nello studio, nei rapporti con i colleghi, in famiglia e nella società. "Dal fatto che tu e io –diceva san Josémaria Escrivà– ci comportiamo come Dio vuole, non dimenticarlo, dipendono molte cose grandi" (Cammino, 755). Saluto i fedeli della parrocchia San Giovanni Battista, in Campagnano di Roma, e i dirigenti, gli insegnanti e i numerosi giovani studenti del Circolo didattico Don Milani, di Galatone. Auguro che la visita alle tombe degli Apostoli susciti in tutti il desiderio di servire sempre più generosamente Cristo e i fratelli.

Saluto i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani entreremo nel Sacro Triduo che ci farà rivivere i misteri centrali della nostra salvezza. Invito voi, cari giovani, a trarre dalla Croce la luce necessaria per camminare sulle orme del Redentore. Per voi, cari malati, la Passione del Signore, culminante nel trionfo della Pasqua, costituisca sempre sorgente di speranza. E voi, cari sposi novelli, vivendo il Mistero pasquale, fate della vostra esistenza diventi un dono reciproco.


09/04/2009 16:06
OFFLINE
Post: 9.508
Post: 711
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
RINUNCE E NOMINE


NOMINA DELL’AUSILIARE DI MANAGUA (NICARAGUA)

Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Managua (Nicaragua) il Rev.do Padre Silvio José Báez Ortega, O.C.D., finora Vice Preside della Pontificia Facoltà Teologica e Pontificio Istituto di Spiritualità "Teresianum" di Roma, assegnandogli la sede titolare Vescovile di Zica.

Rev.do Padre Silvio José Báez Ortega, O.C.D.

È nato a Masaya, arcidiocesi di Managua, il 29 aprile 1958.

Ha compiuto gli studi ecclesiastici di Filosofia e Teologia nell’Istituto Teologico dell’America Centrale a San José in Costa Rica. Ha ottenuto la Licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico di Roma e il Dottorato in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ha frequentato inoltre corsi di specializzazione in Geografia ed Archeologia Sacra presso l’École Biblique a Gerusalemme.

Ha ricevuto l'Ordinazione Sacerdotale il 15 gennaio 1984 a San Ramón, Alajuela (Costa Rica).

Ha quindi svolto i seguenti incarichi: Formatore nella Casa dei Carmelitani Scalzi in Guatemala, Viceparroco e Professore di Sacra Scrittura e Teologia Biblica presso l’Istituto Teologico dell’America Centrale in Costa Rica (1984), Professore di Sacra Scrittura nell’Università "Francisco Marroquín" di Guatemala (1989–1994), nell’Università "Rafael Landívar" di Guatemala (1989–1991) e nel Seminario Maggiore di La Asunción in Guatemala (1991–1992), Professore di Spiritualità Biblica nella Pontificia Università Urbaniana di Roma (2002) e, dal 1994, Professore di Sacra Scrittura nella Pontificia Facoltà Teologica e Pontificio Istituto di Spiritualità "Teresianum" di Roma. Dal 2006, Vice Preside della Pontificia Facoltà Teologica e Pontificio Istituto di Spiritualità "Teresianum" di Roma.


09/04/2009 16:07
OFFLINE
Post: 9.509
Post: 712
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

Il Santo Padre, accogliendo le istanze delle autorità civili e religiose, ha incaricato l’Em.mo Segretario di Stato, Card. Tarcisio Bertone, a presiedere venerdì 10 aprile il rito di suffragio per le vittime del terremoto che ha colpito il capoluogo abruzzese e le zone circostanti.

In considerazione dell’eccezionalità dell’evento la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha concesso l’indulto per la celebrazione di una Santa Messa di suffragio, nonostante, di norma, la liturgia del Venerdì Santo non preveda altri riti, eccetto quelli "In Passione Domini".

Quale segno di personale vicinanza del Papa a quanti soffrono a causa del terremoto, alle esequie parteciperà anche il Segretario Particolare Mons. Georg Gänswein.


09/04/2009 16:08
OFFLINE
Post: 9.510
Post: 713
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA

Alle ore 9.30 di oggi, ricorrenza del Giovedì Santo, il Papa presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali.

La Messa del Crisma è concelebrata dal Santo Padre Benedetto XVI con i Cardinali, i Vescovi e i Presbiteri - diocesani e religiosi - presenti a Roma.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.



Omelia di Benedetto XVI per la Messa del Crisma

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 9 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo giovedì da Benedetto XVI nel presiedere la Messa del Crisma nella Basilica di San Pietro.

Nel corso della celebrazione eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

Nel Cenacolo, la sera prima della sua passione, il Signore ha pregato per i suoi discepoli riuniti intorno a Lui, guardando al contempo in avanti alla comunità dei discepoli di tutti i secoli, a "quelli che crederanno in me mediante la loro parola" (Gv 17, 20). Nella preghiera per i discepoli di tutti i tempi Egli ha visto anche noi e ha pregato per noi. Ascoltiamo, che cosa chiede per i Dodici e per noi qui riuniti: "Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità" (17, 17ss). Il Signore chiede la nostra santificazione, la santificazione nella verità. E ci manda per continuare la sua stessa missione. Ma c’è in questa preghiera una parola che attira la nostra attenzione, ci sembra poco comprensibile. Gesù dice: "Per loro io consacro me stesso". Che cosa significa? Gesù non è forse di per sé "il Santo di Dio", come Pietro ha confessato nell’ora decisiva a Cafarnao (cfr Gv 6, 69)? Come può ora consacrare, cioè santificare se stesso?

Per comprendere questo dobbiamo soprattutto chiarire che cosa vogliono dire nella Bibbia le parole "santo" e "consacrare/santificare". "Santo" – con questa parola si descrive innanzitutto la natura di Dio stesso, il suo modo d’essere tutto particolare, divino, che a Lui solo è proprio. Egli solo è il vero e autentico Santo nel senso originario. Ogni altra santità deriva da Lui, è partecipazione al suo modo d’essere. Egli è la Luce purissima, la Verità e il Bene senza macchia. Consacrare qualcosa o qualcuno significa quindi dare la cosa o la persona in proprietà a Dio, toglierla dall’ambito di ciò che è nostro e immetterla nell’atmosfera sua, così che non appartenga più alle cose nostre, ma sia totalmente di Dio. Consacrazione è dunque un togliere dal mondo e un consegnare al Dio vivente. La cosa o la persona non appartiene più a noi, e neppure più a se stessa, ma viene immersa in Dio. Un tale privarsi di una cosa per consegnarla a Dio, lo chiamiamo poi anche sacrificio: questo non sarà più proprietà mia, ma proprietà di Lui. Nell’Antico Testamento, la consegna di una persona a Dio, cioè la sua "santificazione" si identifica con l’Ordinazione sacerdotale, e in questo modo si definisce anche in che cosa consista il sacerdozio: è un passaggio di proprietà, un essere tolto dal mondo e donato a Dio. Con ciò si evidenziano ora le due direzioni che fanno parte del processo della santificazione/consacrazione. È un uscire dai contesti della vita mondana – un "essere messi da parte" per Dio. Ma proprio per questo non è una segregazione. Essere consegnati a Dio significa piuttosto essere posti a rappresentare gli altri. Il sacerdote viene sottratto alle connessioni mondane e donato a Dio, e proprio così, a partire da Dio, è disponibile per gli altri, per tutti. Quando Gesù dice: "Io mi consacro", Egli si fa insieme sacerdote e vittima. Pertanto Bultmann ha ragione traducendo l’affermazione: "Io mi consacro" con "Io mi sacrifico". Comprendiamo ora che cosa avviene, quando Gesù dice: "Io mi consacro per loro"? È questo l’atto sacerdotale in cui Gesù – l’Uomo Gesù, che è una cosa sola col Figlio di Dio – si consegna al Padre per noi. È l’espressione del fatto che Egli è insieme sacerdote e vittima. Mi consacro – mi sacrifico: questa parola abissale, che ci lascia gettare uno sguardo nell’intimo del cuore di Gesù Cristo, dovrebbe sempre di nuovo essere oggetto della nostra riflessione. In essa è racchiuso tutto il mistero della nostra redenzione. E vi è contenuta anche l’origine del sacerdozio della Chiesa.

Solo adesso possiamo comprendere fino in fondo la preghiera, che il Signore ha presentato al Padre per i discepoli – per noi. "Consacrali nella verità": è questo l’inserimento degli apostoli nel sacerdozio di Gesù Cristo, l’istituzione del suo sacerdozio nuovo per la comunità dei fedeli di tutti i tempi. "Consacrali nella verità": è questa la vera preghiera di consacrazione per gli apostoli. Il Signore chiede che Dio stesso li attragga verso di sé, dentro la sua santità. Chiede che Egli li sottragga a se stessi e li prenda come sua proprietà, affinché, a partire da Lui, essi possano svolgere il servizio sacerdotale per il mondo. Questa preghiera di Gesù appare due volte in forma leggermente modificata. Dobbiamo ambedue le volte ascoltare con molta attenzione, per cominciare a capire almeno vagamente la cosa sublime che qui sta verificandosi. "Consacrali nella verità". Gesù aggiunge: "La tua parola è verità". I discepoli vengono quindi tirati nell’intimo di Dio mediante l’essere immersi nella parola di Dio. La parola di Dio è, per così dire, il lavacro che li purifica, il potere creatore che li trasforma nell’essere di Dio. E allora, come stanno le cose nella nostra vita? Siamo veramente pervasi dalla parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto non lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa parola al punto che essa realmente dà un’impronta alla nostra vita e forma il nostro pensiero? O non è piuttosto che il nostro pensiero sempre di nuovo si modella con tutto ciò che si dice e che si fa? Non sono forse assai spesso le opinioni predominanti i criteri secondo cui ci misuriamo? Non rimaniamo forse, in fin dei conti, nella superficialità di tutto ciò che, di solito, s’impone all’uomo di oggi? Ci lasciamo veramente purificare nel nostro intimo dalla parola di Dio? Friedrich Nietzsche ha dileggiato l’umiltà e l’obbedienza come virtù servili, mediante le quali gli uomini sarebbero stati repressi. Ha messo al loro posto la fierezza e la libertà assoluta dell’uomo. Orbene, esistono caricature di un’umiltà sbagliata e di una sottomissione sbagliata, che non vogliamo imitare. Ma esiste anche la superbia distruttiva e la presunzione, che disgregano ogni comunità e finiscono nella violenza. Sappiamo noi imparare da Cristo la retta umiltà, che corrisponde alla verità del nostro essere, e quell’obbedienza, che si sottomette alla verità, alla volontà di Dio? "Consacrali nella verità; la tua parola è verità": questa parola dell’inserimento nel sacerdozio illumina la nostra vita e ci chiama a diventare sempre di nuovo discepoli di quella verità, che si dischiude nella parola di Dio.

Credo che nell’interpretazione di questa frase possiamo fare ancora un passo ulteriore. Non ha forse Cristo detto di se stesso: "Io sono la verità" (cfr Gv 14, 6)? E non è forse Egli stesso la Parola vivente di Dio, alla quale si riferiscono tutte le altre singole parole? Consacrali nella verità – ciò vuol dire, dunque, nel più profondo: rendili una cosa sola con me, Cristo. Lègali a me. Tìrali dentro di me. E di fatto: esiste in ultima analisi solo un unico sacerdote della Nuova Alleanza, lo stesso Gesù Cristo. E il sacerdozio dei discepoli, pertanto, può essere solo partecipazione al sacerdozio di Gesù. Il nostro essere sacerdoti non è quindi altro che un nuovo modo di unificazione con Cristo. Sostanzialmente essa ci è stata donata per sempre nel Sacramento. Ma questo nuovo sigillo dell’essere può diventare per noi un giudizio di condanna, se la nostra vita non si sviluppa entrando nella verità del Sacramento. Le promesse che oggi rinnoviamo dicono a questo proposito che la nostra volontà deve essere così orientata: "Domino Iesu arctius coniungi et conformari, vobismetipsis abrenuntiantes". L’unirsi a Cristo suppone la rinuncia. Comporta che non vogliamo imporre la nostra strada e la nostra volontà; che non desideriamo diventare questo o quest’altro, ma ci abbandoniamo a Lui, ovunque e in qualunque modo Egli voglia servirsi di noi. "Vivo, tuttavia non vivo più io, ma Cristo vive in me", ha detto san Paolo a questo proposito (cfr Gal 2, 20). Nel "sì" dell’Ordinazione sacerdotale abbiamo fatto questa rinuncia fondamentale al voler essere autonomi, alla "autorealizzazione". Ma bisogna giorno per giorno adempiere questo grande "sì" nei molti piccoli "sì" e nelle piccole rinunce. Questo "sì" dei piccoli passi, che insieme costituiscono il grande "sì", potrà realizzarsi senza amarezza e senza autocommiserazione soltanto se Cristo è veramente il centro della nostra vita. Se entriamo in una vera familiarità con Lui. Allora, infatti, sperimentiamo in mezzo alle rinunce, che in un primo tempo possono causare dolore, la gioia crescente dell’amicizia con Lui, tutti i piccoli e a volte anche grandi segni del suo amore, che ci dona continuamente. "Chi perde se stesso, si trova". Se osiamo perdere noi stessi per il Signore, sperimentiamo quanto sia vera la sua parola.

Essere immersi nella Verità, in Cristo – di questo processo fa parte la preghiera, in cui ci esercitiamo nell’amicizia con Lui e impariamo a conoscerLo: il suo modo di essere, di pensare, di agire. Pregare è un camminare in comunione personale con Cristo, esponendo davanti a Lui la nostra vita quotidiana, le nostre riuscite e i nostri fallimenti, le nostre fatiche e le nostre gioie – è un semplice presentare noi stessi davanti a Lui. Ma affinché questo non diventi uno autocontemplarsi, è importante che impariamo continuamente a pregare pregando con la Chiesa. Celebrare l’Eucaristia vuol dire pregare. Celebriamo l’Eucaristia in modo giusto, se col nostro pensiero e col nostro essere entriamo nelle parole, che la Chiesa ci propone. In esse è presente la preghiera di tutte le generazioni, le quali ci prendono con sé sulla via verso il Signore. E come sacerdoti siamo nella Celebrazione eucaristica coloro che, con la loro preghiera, fanno strada alla preghiera dei fedeli di oggi. Se noi siamo interiormente uniti alle parole della preghiera, se da esse ci lasciamo guidare e trasformare, allora anche i fedeli trovano l’accesso a quelle parole. Allora tutti diventiamo veramente "un corpo solo e un’anima sola" con Cristo.

Essere immersi nella verità e così nella santità di Dio – ciò significa per noi anche accettare il carattere esigente della verità; contrapporsi nelle cose grandi come in quelle piccole alla menzogna, che in modo così svariato è presente nel mondo; accettare la fatica della verità, perché la sua gioia più profonda è presente in noi. Quando parliamo dell’essere consacrati nella verità, non dobbiamo neppure dimenticare che in Gesù Cristo verità e amore sono una cosa sola. Essere immersi in Lui significa essere immersi nella sua bontà, nell’amore vero. L’amore vero non è a buon mercato, può essere anche molto esigente. Oppone resistenza al male, per portare all’uomo il vero bene. Se diventiamo una cosa sola con Cristo, impariamo a riconoscerLo proprio nei sofferenti, nei poveri, nei piccoli di questo mondo; allora diventiamo persone che servono, che riconoscono i fratelli e le sorelle di Lui e in essi incontrano Lui stesso.

"Consacrali nella verità" – è questa la prima parte di quella parola di Gesù. Ma poi Egli aggiunge: "Io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati in verità" – cioè veramente (Gv 17, 19). Io penso che questa seconda parte abbia un suo specifico significato. Esistono nelle religioni del mondo molteplici modi rituali di "santificazione", di consacrazione di una persona umana. Ma tutti questi riti possono rimanere semplicemente una cosa formale. Cristo chiede per i discepoli la vera santificazione, che trasforma il loro essere, loro stessi; che non rimanga una forma rituale, ma sia un vero divenire proprietà del Dio santo. Potremmo anche dire: Cristo ha chiesto per noi il Sacramento che ci tocca nelle profondità del nostro essere. Ma ha anche pregato, affinché questa trasformazione giorno per giorno in noi si traduca in vita; affinché nel nostro quotidiano e nella nostra vita concreta di ogni giorno siamo veramente pervasi dalla luce di Dio.

Alla vigilia della mia Ordinazione sacerdotale, 58 anni fa, ho aperto la Sacra Scrittura, perché volevo ricevere ancora una parola del Signore per quel giorno e per il mio futuro cammino da sacerdote. Il mio sguardo cadde su questo brano: "Consacrali nella verità; la tua parola è verità". Allora seppi: il Signore sta parlando di me, e sta parlando a me. Precisamente la stessa cosa avverrà domani in me. In ultima analisi non veniamo consacrati mediante riti, anche se c’è bisogno di riti. Il lavacro, in cui il Signore ci immerge, è Lui stesso – la Verità in persona. Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi in Lui, nella Verità. Appartengo in un modo nuovo a Lui e così agli altri, "affinché venga il suo Regno". Cari amici, in questa ora del rinnovo delle promesse vogliamo pregare il Signore di farci diventare uomini di verità, uomini di amore, uomini di Dio. Preghiamolo di attirarci sempre più dentro di sé, affinché diventiamo veramente sacerdoti della Nuova Alleanza. Amen.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]

09/04/2009 16:08
OFFLINE
Post: 9.511
Post: 714
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
BENEDETTI DAL SANTO PADRE GLI OLI SANTI PER LA DIOCESI DELL’AQUILA

Nella monizione finale della messa crismale, celebrata questa mattina nella Basilica Vaticana, il Santo Padre ha aggiunto le seguenti parole:

Al nostro caro fratello, Mons. Giuseppe Molinari, Arcivescovo dell’Aquila, che a motivo dei gravissimi danni causati dal terremoto non potrà riunire il presbiterio diocesano per la celebrazione della Messa Crismale, desidero far pervenire questi santi oli in segno di profonda comunione e di vicinanza spirituale. Possano questi santi oli accompagnare il tempo della rinascita e della ricostruzione, sanando le ferite e sostenendo la speranza.



09/04/2009 20:32
OFFLINE
Post: 9.520
Post: 718
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
Omelia del Papa per la Santa Messa "nella Cena del Signore"


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 9 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo giovedì, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la concelebrazione della Santa Messa "nella Cena del Signore".

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Qui, pridie quam pro nostra omniumque salute pateretur, hoc est hodie, accepit panem: così diremo oggi nel Canone della Santa Messa. "Hoc est hodie" – la Liturgia del Giovedì Santo inserisce nel testo della preghiera la parola "oggi", sottolineando con ciò la dignità particolare di questa giornata. È stato "oggi" che Egli l’ha fatto: per sempre ha donato se stesso a noi nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Questo "oggi" è anzitutto il memoriale della Pasqua di allora. Tuttavia è di più. Con il Canone entriamo in questo "oggi". Il nostro oggi viene a contatto con il suo oggi. Egli fa questo adesso. Con la parola "oggi", la Liturgia della Chiesa vuole indurci a porre grande attenzione interiore al mistero di questa giornata, alle parole in cui esso si esprime. Cerchiamo dunque di ascoltare in modo nuovo il racconto dell’istituzione così come la Chiesa, in base alla Scrittura e contemplando il Signore stesso, lo ha formulato.

Come prima cosa ci colpirà che il racconto dell’istituzione non è una frase autonoma, ma comincia con un pronome relativo: qui pridie. Questo "qui" aggancia l’intero racconto alla precedente parola della preghiera, "… diventi per noi il corpo e il sangue del tuo amatissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo". In questo modo, il racconto dell’istituzione è connesso con la preghiera precedente, con l’intero Canone, e reso esso stesso preghiera. Non è affatto semplicemente un racconto qui inserito, e non si tratta neppure di parole autoritative a sé stanti, che magari interromperebbero la preghiera. È preghiera. E soltanto nella preghiera si realizza l’atto sacerdotale della consacrazione che diventa trasformazione, transustanziazione dei nostri doni di pane e vino in Corpo e Sangue di Cristo. Pregando in questo momento centrale, la Chiesa è in totale accordo con l’avvenimento nel Cenacolo, poiché l’agire di Gesù viene descritto con le parole: "gratias agens benedixit – rese grazie con la preghiera di benedizione". Con questa espressione, la Liturgia romana ha diviso in due parole ciò, che nell’ebraico berakha è una parola sola, nel greco invece appare nei due termini eucharistía ed eulogía. Il Signore ringrazia. Ringraziando riconosciamo che una certa cosa è dono che proviene da un altro. Il Signore ringrazia e con ciò restituisce a Dio il pane, "frutto della terra e del lavoro dell’uomo", per riceverlo nuovamente da Lui. Ringraziare diventa benedire. Ciò che è stato dato nelle mani di Dio, ritorna da Lui benedetto e trasformato. La Liturgia romana ha ragione nell’interpretare il nostro pregare in questo momento sacro mediante le parole: "offriamo", "supplichiamo", "chiediamo di accettare", "di benedire queste offerte". Tutto questo si nasconde nella parola "eucaristia"

C’è un’altra particolarità nel racconto dell’istituzione riportato nel Canone Romano, che vogliamo meditare in quest’ora. La Chiesa orante guarda alle mani e agli occhi del Signore. Vuole quasi osservarlo, vuole percepire il gesto del suo pregare e del suo agire in quell’ora singolare, incontrare la figura di Gesù, per così dire, anche attraverso i sensi. "Egli prese il pane nelle sue mani sante e venerabili…". Guardiamo a quelle mani con cui Egli ha guarito gli uomini; alle mani con cui ha benedetto i bambini; alle mani, che ha imposto agli uomini; alle mani, che sono state inchiodate alla Croce e che per sempre porteranno le stimmate come segni del suo amore pronto a morire. Ora siamo incaricati noi di fare ciò che Egli ha fatto: prendere nelle mani il pane perché mediante la preghiera eucaristica sia trasformato. Nell’Ordinazione sacerdotale, le nostre mani sono state unte, affinché diventino mani di benedizione. Preghiamo il Signore che le nostre mani servano sempre di più a portare la salvezza, a portare la benedizione, a rendere presente la sua bontà!

Dall’introduzione alla Preghiera sacerdotale di Gesù (cfr Gv 17, 1), il Canone prende le parole: "Alzando gli occhi al cielo a te, Dio Padre suo onnipotente…" Il Signore ci insegna ad alzare gli occhi e soprattutto il cuore. A sollevare lo sguardo, distogliendolo dalle cose del mondo, ad orientarci nella preghiera verso Dio e così a risollevarci. In un inno della preghiera delle ore chiediamo al Signore di custodire i nostri occhi, affinché non accolgano e lascino entrare in noi le "vanitates" – le vanità, le nullità, ciò che è solo apparenza. Preghiamo che attraverso gli occhi non entri in noi il male, falsificando e sporcando così il nostro essere. Ma vogliamo pregare soprattutto per avere occhi che vedano tutto ciò che è vero, luminoso e buono; affinché diventiamo capaci di vedere la presenza di Dio nel mondo. Preghiamo, affinché guardiamo il mondo con occhi di amore, con gli occhi di Gesù, riconoscendo così i fratelli e le sorelle, che hanno bisogno di noi, che sono in attesa della nostra parola e della nostra azione.

Benedicendo, il Signore spezza poi il pane e lo distribuisce ai discepoli. Lo spezzare il pane è il gesto del padre di famiglia che si preoccupa dei suoi e dà loro ciò di cui hanno bisogno per la vita. Ma è anche il gesto dell’ospitalità con cui lo straniero, l’ospite viene accolto nella famiglia e gli viene concessa una partecipazione alla sua vita. Dividere – con-dividere è unire. Mediante il condividere si crea comunione. Nel pane spezzato, il Signore distribuisce se stesso. Il gesto dello spezzare allude misteriosamente anche alla sua morte, all’amore sino alla morte. Egli distribuisce se stesso, il vero "pane per la vita del mondo" (cfr Gv 6, 51). Il nutrimento di cui l’uomo nel più profondo ha bisogno è la comunione con Dio stesso. Ringraziando e benedicendo, Gesù trasforma il pane, non dà più pane terreno, ma la comunione con se stesso. Questa trasformazione, però, vuol essere l’inizio della trasformazione del mondo. Affinché diventi un mondo di risurrezione, un mondo di Dio. Sì, si tratta di trasformazione. Dell’uomo nuovo e del mondo nuovo che prendono inizio nel pane consacrato, trasformato, transustanziato.

Abbiamo detto che lo spezzare il pane è un gesto di comunione, dell’unire attraverso il condividere. Così, nel gesto stesso è già accennata l’intima natura dell’Eucaristia: essa è agape, è amore reso corporeo. Nella parola "agape" i significati di Eucaristia e amore si compènetrano. Nel gesto di Gesù che spezza il pane, l’amore che si partecipa ha raggiunto la sua radicalità estrema: Gesù si lascia spezzare come pane vivo. Nel pane distribuito riconosciamo il mistero del chicco di grano, che muore e così porta frutto. Riconosciamo la nuova moltiplicazione dei pani, che deriva dal morire del chicco di grano e proseguirà sino alla fine del mondo. Allo stesso tempo vediamo che l’Eucaristia non può mai essere solo un’azione liturgica. È completa solo, se l’agape liturgica diventa amore nel quotidiano. Nel culto cristiano le due cose diventano una – l’essere gratificati dal Signore nell’atto cultuale e il culto dell’amore nei confronti del prossimo. Chiediamo in quest’ora al Signore la grazia di imparare a vivere sempre meglio il mistero dell’Eucaristia così che in questo modo prenda inizio la trasformazione del mondo. Dopo il pane, Gesù prende il calice del vino. Il Canone romano qualifica il calice, che il Signore dà ai discepoli, come "praeclarus calix" (come calice glorioso), alludendo con ciò al Salmo 23 [22], quel Salmo che parla di Dio come del Pastore potente e buono. Lì si legge: "Davanti a me tu prepari una mensa, sotto gli occhi dei miei nemici … Il mio calice trabocca" – calix praeclarus. Il Canone romano interpreta questa parola del Salmo come una profezia, che si adempie nell’Eucaristia: Sì, il Signore ci prepara la mensa in mezzo alle minacce di questo mondo, e ci dona il calice glorioso – il calice della grande gioia, della vera festa, alla quale tutti aneliamo – il calice colmo del vino del suo amore. Il calice significa le nozze: adesso è arrivata l’"ora", alla quale le nozze di Cana avevano alluso in modo misterioso. Sì, l’Eucaristia è più di un convito, è una festa di nozze. E queste nozze si fondono nell’autodonazione di Dio sino alla morte. Nelle parole dell’Ultima Cena di Gesù e nel Canone della Chiesa, il mistero solenne delle nozze si cela sotto l’espressione "novum Testamentum". Questo calice è il nuovo Testamento – "la nuova Alleanza nel mio sangue", come Paolo riferisce la parola di Gesù sul calice nella seconda lettura di oggi (1 Cor 11, 25). Il Canone romano aggiunge: "per la nuova ed eterna alleanza", per esprimere l’indissolubilità del legame nuziale di Dio con l’umanità. Il motivo per cui le antiche traduzioni della Bibbia non parlano di Alleanza, ma di Testamento, sta nel fatto che non sono due contraenti alla pari che qui si incontrano, ma entra in azione l’infinita distanza tra Dio e l’uomo. Ciò che noi chiamiamo nuova ed antica Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma mero dono di Dio che ci lascia in eredità il suo amore – se stesso. Certo, mediante questo dono del suo amore Egli, superando ogni distanza, ci rende poi veramente "partner" e si realizza il mistero nuziale dell’amore.

Per poter comprendere che cosa in profondità lì avviene, dobbiamo ascoltare ancora più attentamente le parole della Bibbia e il loro significato originario. Gli studiosi ci dicono che, nei tempi remoti di cui parlano le storie dei Padri di Israele, "ratificare un’alleanza" significa "entrare con altri in un legame basato sul sangue, ovvero accogliere l’altro nella propria federazione ed entrare così in una comunione di diritti l’uno con l’altro". In questo modo si crea una consanguineità reale benché non materiale. I partner diventano in qualche modo "fratelli della stessa carne e delle stesse ossa". L’alleanza opera un’insieme che significa pace (cfr ThWNT II 105 – 137). Possiamo adesso farci almeno un’idea di ciò che avvenne nell’ora dell’Ultima Cena e che, da allora, si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucaristia? Dio, il Dio vivente stabilisce con noi una comunione di pace, anzi, Egli crea una "consanguineità" tra sé e noi. Mediante l’incarnazione di Gesù, mediante il suo sangue versato siamo stati tirati dentro una consanguineità molto reale con Gesù e quindi con Dio stesso. Il sangue di Gesù è il suo amore, nel quale la vita divina e quella umana sono divenute una cosa sola. Preghiamo il Signore, affinché comprendiamo sempre di più la grandezza di questo mistero! Affinché esso sviluppi la sua forza trasformatrice nel nostro intimo, in modo che diventiamo veramente consanguinei di Gesù, pervasi dalla sua pace e così anche in comunione gli uni con gli altri.

Ora, però, emerge ancora un’altra domanda. Nel Cenacolo, Cristo dona ai discepoli il suo Corpo e il suo Sangue, cioè se stesso nella totalità della sua persona. Ma può farlo? È ancora fisicamente presente in mezzo a loro, sta di fronte a loro! La risposta è: in quell’ora Gesù realizza ciò che aveva annunciato precedentemente nel discorso sul Buon Pastore: "Nessuno mi toglie la mia vita: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo…" (Gv 10, 18). Nessuno può toglierGli la vita: Egli la dà per libera decisione. In quell’ora anticipa la crocifissione e la risurrezione. Ciò che là si realizzerà, per così dire, fisicamente in Lui, Egli lo compie già in anticipo nella libertà del suo amore. Egli dona la sua vita e la riprende nella risurrezione per poterla condividere per sempre.

Signore, oggi Tu ci doni la tua vita, ci doni te stesso. Pènetraci con il tuo amore. Facci vivere nel tuo "oggi". Rendici strumenti della tua pace! Amen.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]

10/04/2009 16:13
OFFLINE
Post: 9.530
Post: 723
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ALL’ARCIVESCOVO DE L’AQUILA IN OCCASIONE DEL RITO DI SUFFRAGIO PER LE VITTIME DEL TERREMOTO

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato all’Arcivescovo de L’Aquila, S.E. Mons. Giuseppe Molinari, di cui è stata data lettura da Mons. Georg Gänswein all’inizio del rito di suffragio per le vittime del terremoto:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Carissimo Arcivescovo Giuseppe Molinari

e a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle nel Signore,

In queste ore drammatiche in cui un’immane tragedia si è riversata su codesta terra, mi sento spiritualmente presente in mezzo a voi per condividere la vostra angoscia, implorare da Dio il riposo eterno per le vittime, la pronta ripresa per i feriti, per tutti il coraggio di continuare a sperare senza cedere allo sconforto. Ho chiesto al mio Segretario di Stato di venire a presiedere questa celebrazione liturgica straordinaria in cui la comunità cristiana si stringerà intorno ai propri defunti per dare loro l’estremo saluto. Affido a lui, e al mio segretario particolare, il compito di recarvi di persona l’espressione della mia accorata partecipazione al lutto di quanti piangono i loro cari travolti dalla sciagura.

In momenti come questi, fonte di luce e di speranza resta la fede, che proprio in questi giorni ci parla della sofferenza del Figlio di Dio fattosi uomo per noi: la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione siano per tutti sorgente di conforto ed aprano il cuore di ciascuno alla contemplazione di quella vita in cui "non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate" (Ap 21,4).

Sono certo che con l’impegno di tutti si può far fronte alle necessità più impellenti. La violenza del sisma ha creato situazioni di singolare difficoltà. Ho seguito gli sviluppi del devastante fenomeno tellurico dalla prima scossa di terremoto, che si è avvertita anche in Vaticano, ed ho notato con favore il manifestarsi di una crescente onda di solidarietà, grazie alla quale si sono venuti organizzando i primi soccorsi, in vista di un’azione sempre più incisiva sia dello Stato che delle istituzioni ecclesiali, come anche dei privati.

La Santa Sede intende fare la sua parte, unitamente alle parrocchie, agli istituti religiosi e alle aggregazioni laicali. Questo è il momento dell’impegno, in sintonia con gli organismi dello Stato, che già stanno lodevolmente operando. Solo la solidarietà può consentire di superare prove così dolorose.

Affido alla Vergine Santa persone e famiglie coinvolte in questa tragedia e, attraverso la sua materna intercessione, chiedo al Signore di asciugare ogni lacrima e di lenire ogni ferita, mentre invio a ciascuno una speciale, confortatrice Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 9 aprile 2009

BENEDICTUS PP. XVI


Al termine della lettura del Messaggio, Mons. Georg Gänswein ha comunicato che il Santo Padre Benedetto XVI ha donato il calice per la celebrazione dell’Eucaristia, come segno di una più intensa vicinanza al dolore e alla sofferenza dei terremotati.

11/04/2009 01:39
OFFLINE
Post: 9.537
Post: 727
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
Discorso del Papa al termine della Via Crucis al Colosseo

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 10 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nella notte di venerdì al termine della Via Crucis al Colosseo.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Al termine del drammatico racconto della Passione, l’evangelista san Marco annota: " Il centurione, che si trovava di fronte a lui avendolo visto spirare in quel modo disse: "Davvero quest’uomo era Figlio di Dio !" (Mc 15, 39). Non può non sorprenderci la professione di fede di questo soldato romano, che aveva assistito al succedersi delle varie fasi della crocifissione. Quando le tenebre della notte si apprestavano a scendere su quel Venerdì unico nella storia, quando ormai il sacrificio della Croce si era consumato e i presenti si affrettavano per poter celebrare regolarmente la Pasqua ebraica, le poche parole, carpite dalle labbra di un anonimo comandante della truppa romana, risuonarono nel silenzio dinanzi a quella morte molto singolare. Questo ufficiale della truppa romana, che aveva assistito all’esecuzione di uno dei tanti condannati alla pena capitale, seppe riconoscere in quell’Uomo crocifisso il Figlio di Dio, spirato nel più umiliante abbandono. La sua fine ignominiosa avrebbe dovuto segnare il trionfo definitivo dell’odio e della morte sull’amore e sulla vita. Ma così non fu! Sul Golgota si ergeva la Croce da cui pendeva un uomo ormai morto, ma quell’Uomo era il "Figlio di Dio", come ebbe a confessare il centurione - "vedendolo morire così", precisa l’evangelista.

La professione di fede di questo soldato ci viene riproposta ogni volta che riascoltiamo il racconto della Passione secondo san Marco. Questa sera anche noi, come lui, ci soffermiamo a fissare il volto esanime del Crocifisso, al termine di questa tradizionale Via Crucis, che ha riunito, grazie ai collegamenti radiotelevisivi, molta gente da ogni parte del mondo. Abbiamo rivissuto la vicenda tragica di un Uomo unico nella storia di tutti i tempi, che ha cambiato il mondo non uccidendo gli altri, ma lasciandosi uccidere appeso ad una croce. Quest’Uomo, apparentemente uno di noi, che mentre viene ucciso perdona i suoi carnefici, è il "Figlio di Dio", che - come ci ricorda l’apostolo Paolo - " non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce" (Fil 2,6-8).

La dolorosa passione del Signore Gesù non può non muovere a pietà anche i cuori più duri, poiché costituisce l’apice della rivelazione dell’amore di Dio per ciascuno di noi. Osserva san Giovanni: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). E’ per amore nostro che Cristo muore in croce! Lungo il corso dei millenni, schiere di uomini e donne si sono lasciati affascinare da questo mistero e hanno seguito Lui, facendo a loro volta, come Lui e grazie al suo aiuto, della propria vita un dono ai fratelli. Sono i santi ed i martiri, molti dei quali restano a noi sconosciuti. Anche in questo nostro tempo, quante persone, nel silenzio della loro quotidiana esistenza, uniscono i loro patimenti a quelli del Crocifisso e diventano apostoli di un vero rinnovamento spirituale e sociale! Cosa sarebbe l’uomo senza Cristo? Osserva sant’Agostino: "Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se Lui non fosse arrivato" ( Discorso 185,1). Perché allora non accoglierLo nella nostra vita?

Fermiamoci questa sera a contemplare il Suo volto sfigurato: è il volto dell’Uomo dei dolori, che si è fatto carico di tutte le nostre angosce mortali. Il suo volto si riflette in quello di ogni persona umiliata ed offesa, ammalata e sofferente, sola, abbandonata e disprezzata. Versando il suo sangue, Egli ci ha riscattati dalla schiavitù della morte, ha spezzato la solitudine delle nostre lacrime, è entrato in ogni nostra pena ed in ogni nostro affanno.

Fratelli e sorelle! Mentre svetta la Croce sul Golgota, lo sguardo della nostra fede si proietta verso l’alba del Giorno nuovo ed assaporiamo già la gioia e il fulgore della Pasqua. " Se siamo morti con Cristo, - scrive san Paolo - crediamo che anche vivremo con Lui" (Rm 6,8). Con questa certezza, continuiamo il nostro cammino. Domani, sabato, veglieremo e preghiamo insieme a Maria, la Vergine Addolorata, e pregiamo con tutti gli addolorati, preghiamo soprattutto con tutti i sofferenti della terra terremotata de L'Aquila. Preghiamo perché anche a loro, in questa notte oscura, appaia la stella della speranza, la luce del Signore risorto.

Fin d’ora auguro a tutti: Buona Pasqua nella luce del Signore risorto!


[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana. Con parole aggiunte a braccio a cura di ZENIT]

11/04/2009 16:04
OFFLINE
Post: 9.547
Post: 734
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
LETTERA DEL SANTO PADRE ALL’INVIATO SPECIALE ALLE CELEBRAZIONI DEL IX CENTENARIO DELLA MORTE DI SANT’ANSELMO (AOSTA, 19-26 APRILE 2009)

In data 21 febbraio 2009, il Santo Padre ha nominato l’Em.mo Card. Giacomo Biffi, Arcivescovo emerito di Bologna, Suo Inviato Speciale alle celebrazioni del IX centenario della morte di Sant’Anselmo, che si terranno ad Aosta (Italia) dal 19 al 26 aprile 2009.

Il Cardinale Inviato Speciale sarà accompagnato da una Missione composta da:

- Rev.mo Mons. Benoît Vouilloz, Prevosto emerito dei Canonici Regolari del Gran San Bernardo;

- Rev.do Sac. Roberto Mastacchi, Segretario particolare del Card. Biffi.

Pubblichiamo di seguito la Lettera del Santo Padre all’Em.mo Card. Giacomo Biffi:


LETTERA DEL SANTO PADRE

Venerabili Fratri Nostro

IACOBO S.R.E. Cardinali BIFFI

Archiepiscopo olim Metropolitae Bononiensi

De fide quaerente intellectum potissimum tractavit sanctus Anselmus Cantuariensis, magna peritia nexum inter fidem et rationem percipiens, argumentum videlicet quod aetate etiam nostra peculiari excellit pondere. Fidei quidem est inhaerens ut credens melius Eum cognoscere exoptet in quem suam reposuit fidem idque melius intelligere quod Ipse revelavit (cfr Catechismus Catholicae Ecclesiae, n. 158).

Sancti Anselmi, episcopi et Ecclesiae doctoris, scripta usque ad hoc tempus haud exiguam movent admirationem atque novae inquisitionis solidam constituunt inspirationem. Augustae Praetoriae praeclarus hic vir oriundus, in monasterio Beccensi in Normannia monachus et dein abbas effectus, omnes docet quemadmodum in via perfectionis sit procedendum.

Quandoquidem hoc anno nongentesimus praeterit anniversarius dies a morte huius illustris doctoris, qui insigni etiam sedi Cantuariensi praefuit, merito multa incepta suscipiuntur ut eius persona nec non philosophiae theologiaeque ratio altiore usque modo comprehendantur et divulgentur.

Animi Nostri cum delectamento nuper novimus dioecesim Augustanam praeclarum filium suum sollemni modo peregrinationibus, congressionibus ac praesertim singulari devotione celebraturam esse.

Huius ecclesialis communitatis Praesul, Venerabilis videlicet Frater Iosephus Anfossi, humanissime rogavit ut Nos quendam insignem Praelatum designaremus qui proximo mense Aprili Augustae Praetoriae celebrationi praeesset Eucharistiae atque verba spiritalis cohortationis omnibus adstantibus pronuntiaret. Iustae postulationi Nos adnuere volentes, ad Te, Venerabilis Frater Noster, decurrimus qui egregie metropolitanam Ecclesiam Bononiensem per semitas Evangelii duxisti, quique dignus Nobis omnino videris ad id munus fructuose explendum. Te igitur hisce Litteris Missum Extraordinarium Nostrum nominamus ad celebrationem nongentesimi anniversarii diei obitus sancti Anse1mi Cantuariensis, quae inter dies XIX et XXVI proximi mensis Aprilis Augustae Pretoriae sollemni modo agetur. De eminenti hoc Ecclesiae doctore loquens eiusque assidua navitate et pondere, omnes Eucharistiae participes adhortaberis ut Sacrarum Scripturarum verba meditantes atque Magisterii Ecclesiae documenta perscrutantes renovatis viribus novoque studio peculiarem dilectionem Christi et Evangelii demonstrent atque fidei zelo in vita cotidiana ferveant. Episcopum Augustanum ceterosque ibi adstantes sacros Praesules sacerdotes religiosos viros mulieresque et christifideles laicos Nostro salutabis nomine Nostramque iis ostendes benevolentiam.

Nosmet Ipsi Te, Venerabilis Frater Noster, in tua missione implenda precibus comitabimur Tibique Benedictionem Apostolicam libentes impertimur, signum Nostrae erga Te benevolentiae et caelestium donorum pignus, quam omnibus celebrationis participibus rite transmittes.

Ex Aedibus Vaticanis, die III mensis Februarii, anno MMIX, Pontificatus Nostri quarto.

BENEDICTUS PP. XVI

12/04/2009 01:35
OFFLINE
Post: 9.556
Post: 738
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
Omelia del Santo Padre per la Veglia Pasquale



Cari fratelli e sorelle!
San Marco ci racconta nel suo Vangelo che i discepoli, scendendo dal monte della Trasfigurazione, discutevano tra di loro su che cosa volesse dire “risorgere dai morti” (cfr Mc 9, 10). Prima il Signore aveva annunciato loro la sua passione e la risurrezione dopo tre giorni. Pietro aveva protestato contro l’annuncio della morte. Ma ora si domandavano che cosa potesse essere inteso con il termine “risurrezione”. Non succede forse la stessa cosa anche a noi? Il Natale, la nascita del Bambino divino ci è in qualche modo immediatamente comprensibile. Possiamo amare il Bambino, possiamo immaginare la notte di Betlemme, la gioia di Maria, la gioia di san Giuseppe e dei pastori e il giubilo degli angeli. Ma risurrezione – che cosa è? Non entra nell’ambito delle nostre esperienze, e così il messaggio spesso rimane, in qualche misura incompreso, una cosa del passato. La Chiesa cerca di condurci alla sua comprensione, traducendo questo avvenimento misterioso nel linguaggio dei simboli nei quali possiamo in qualche modo contemplare questo evento sconvolgente. Nella Veglia Pasquale ci indica il significato di questo giorno soprattutto mediante tre simboli: la luce, l’acqua e il canto nuovo – l’alleluia.

C’è innanzitutto la luce. La creazione di Dio – ne abbiamo appena ascoltato il racconto biblico – comincia con la parola: “Sia la luce!” (Gen 1, 3). Dove c’è la luce, nasce la vita, il caos può trasformarsi in cosmo. Nel messaggio biblico, la luce è l’immagine più immediata di Dio: Egli è interamente Luminosità, Vita, Verità, Luce. Nella Veglia Pasquale, la Chiesa legge il racconto della creazione come profezia. Nella risurrezione si verifica in modo più sublime ciò che questo testo descrive come l’inizio di tutte le cose. Dio dice nuovamente: “Sia la luce!”. La risurrezione di Gesù è un’eruzione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso è Luce, la Luce del mondo. Con la risurrezione il giorno di Dio entra nelle notti della storia. A partire dalla risurrezione, la luce di Dio si diffonde nel mondo e nella storia. Si fa giorno. Solo questa Luce – Gesù Cristo – è la luce vera, più del fenomeno fisico di luce. Egli è la Luce pura: Dio stesso, che fa nascere una nuova creazione in mezzo a quella antica, trasforma il caos in cosmo.

Cerchiamo di comprendere questo ancora un po’ meglio. Perché Cristo è Luce? Nell’Antico Testamento, la Torah era considerata come la luce proveniente da Dio per il mondo e per gli uomini. Essa separa nella creazione la luce dalle tenebre, cioè il bene dal male. Indica all’uomo la via giusta per vivere veramente. Gli indica il bene, gli mostra la verità e lo conduce verso l’amore, che è il suo contenuto più profondo. Essa è “lampada” per i passi e “luce” sul cammino (cfr Sal 119, 105). I cristiani, poi, sapevano: in Cristo è presente la Torah, la Parola di Dio è presente in Lui come Persona. La Parola di Dio è la vera Luce di cui l’uomo ha bisogno. Questa Parola è presente in Lui, nel Figlio. Il Salmo 19 aveva paragonato la Torah al sole che, sorgendo, manifesta la gloria di Dio visibilmente in tutto il mondo. I cristiani capiscono: sì, nella risurrezione il Figlio di Dio è sorto come Luce sul mondo. Cristo è la grande Luce dalla quale proviene ogni vita. Egli ci fa riconoscere la gloria di Dio da un confine all’altro della terra. Egli ci indica la strada. Egli è il giorno di Dio che ora, crescendo, si diffonde per tutta la terra. Adesso, vivendo con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce.

Nella Veglia Pasquale, la Chiesa rappresenta il mistero di luce del Cristo nel segno del cero pasquale, la cui fiamma è insieme luce e calore. Il simbolismo della luce è connesso con quello del fuoco: luminosità e calore, luminosità ed energia di trasformazione contenuta nel fuoco – verità e amore vanno insieme. Il cero pasquale arde e con ciò si consuma: croce e risurrezione sono inseparabili. Dalla croce, dall’autodonazione del Figlio nasce la luce, viene la vera luminosità nel mondo. Al cero pasquale noi tutti accendiamo le nostre candele, soprattutto quelle dei neobattezzati, ai quali in questo Sacramento la luce di Cristo viene calata nel profondo del cuore. La Chiesa antica ha qualificato il Battesimo come fotismos, come Sacramento dell’illuminazione, come una comunicazione di luce e l’ha collegato inscindibilmente con la risurrezione di Cristo. Nel Battesimo Dio dice al battezzando: “Sia la luce!”. Il battezzando viene introdotto entro la luce di Cristo. Cristo divide ora la luce dalle tenebre. In Lui riconosciamo che cosa è vero e che cosa è falso, che cosa è la luminosità e che cosa il buio. Con Lui sorge in noi la luce della verità e cominciamo a capire. Quando una volta Cristo vide la gente che era convenuta per ascoltarlo e aspettava da Lui un orientamento, ne sentì compassione, perché erano come pecore senza pastore (cfr Mc 6, 34). In mezzo alle correnti contrastanti del loro tempo non sapevano dove rivolgersi. Quanta compassione Egli deve sentire anche del nostro tempo – a causa di tutti i grandi discorsi dietro i quali si nasconde in realtà un grande disorientamento. Dove dobbiamo andare? Quali sono i valori, secondo cui possiamo regolarci? I valori secondo cui possiamo educare i giovani, senza dare loro delle norme che forse non resisteranno o esigere delle cose che forse non devono essere loro imposte? Egli è la Luce. La candela battesimale è il simbolo dell’illuminazione che nel Battesimo ci vien donata. Così in quest’ora anche san Paolo ci parla in modo molto immediato. Nella Lettera ai Filippesi dice che, in mezzo a una generazione tortuosa e stravolta, i cristiani dovrebbero risplendere come astri nel mondo (cfr Fil 2, 15). Preghiamo il Signore che il piccolo lume della candela, che Egli ha acceso in noi, la luce delicata della sua parola e del suo amore in mezzo alle confusioni di questo tempo non si spenga in noi, ma diventi sempre più grande e più luminosa. Affinché siamo con Lui persone del giorno, astri per il nostro tempo.

Il secondo simbolo della Veglia Pasquale – la notte del Battesimo – è l’acqua. Essa appare nella Sacra Scrittura, e quindi anche nella struttura interiore del Sacramento del Battesimo, in due significati opposti. C’è da una parte il mare che appare come il potere antagonista della vita sulla terra, come la sua continua minaccia, alla quale Dio, però, ha posto un limite. Per questo l’Apocalisse dice del mondo nuovo di Dio che lì il mare non ci sarà più (cfr 21, 1). È l’elemento della morte. E così diventa la rappresentazione simbolica della morte in croce di Gesù: Cristo è disceso nel mare, nelle acque della morte come Israele nel Mar Rosso. Risorto dalla morte, Egli ci dona la vita. Ciò significa che il Battesimo non è solo un lavacro, ma una nuova nascita: con Cristo quasi discendiamo nel mare della morte, per risalire come creature nuove.
L’altro modo in cui incontriamo l’acqua è come sorgente fresca, che dona la vita, o anche come il grande fiume da cui proviene la vita. Secondo l’ordinamento primitivo della Chiesa, il Battesimo doveva essere amministrato con acqua sorgiva fresca. Senza acqua non c’è vita. Colpisce quale importanza abbiano nella Sacra Scrittura i pozzi. Essi sono luoghi dove scaturisce la vita. Presso il pozzo di Giacobbe, Cristo annuncia alla Samaritana il pozzo nuovo, l’acqua della vita vera. Egli si manifesta a lei come il nuovo Giacobbe, quello definitivo, che apre all’umanità il pozzo che essa attende: quell’acqua che dona la vita che non s’esaurisce mai (cfr Gv 4, 5–15). San Giovanni ci racconta che un soldato con una lancia colpì il fianco di Gesù e che dal fianco aperto – dal suo cuore trafitto – uscì sangue e acqua (cfr Gv 19, 34). La Chiesa antica ne ha visto un simbolo per il Battesimo e l’Eucaristia che derivano dal cuore trafitto di Gesù. Nella morte Gesù è divenuto Egli stesso la sorgente. Il profeta Ezechiele in una visione aveva visto il Tempio nuovo dal quale scaturisce una sorgente che diventa un grande fiume che dona la vita (cfr Ez 47, 1–12) – in una Terra che sempre soffriva la siccità e la mancanza d’acqua, questa era una grande visione di speranza. La cristianità degli inizi capì: in Cristo questa visione si è realizzata. Egli è il vero, il vivente Tempio di Dio. E Lui è la sorgente di acqua viva. Da Lui sgorga il grande fiume che nel Battesimo fruttifica e rinnova il mondo; il grande fiume di acqua viva, il suo Vangelo che rende feconda la terra. In un discorso durante la Festa delle capanne, Gesù ha però profetizzato una cosa ancora più grande: “Chi crede in me … dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” (Gv 7, 38). Nel Battesimo il Signore fa di noi non solo persone di luce, ma anche sorgenti dalle quali scaturisce acqua viva. Noi tutti conosciamo persone simili che ci lasciano in qualche modo rinfrescati e rinnovati; persone che sono come una fonte di fresca acqua sorgiva. Non dobbiamo necessariamente pensare ai grandi come Agostino, Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, Madre Teresa di Calcutta e così via, persone attraverso le quali veramente fiumi di acqua viva sono entrati nella storia. Grazie a Dio, le troviamo continuamente anche nel nostro quotidiano: persone che sono una sorgente. Certo, conosciamo anche il contrario: persone dalle quali promana un’atmosfera come da uno stagno con acqua stantia o addirittura avvelenata. Chiediamo al Signore, che ci ha donato la grazia del Battesimo, di poter essere sempre sorgenti di acqua pura, fresca, zampillante dalla fonte della sua verità e del suo amore!

Il terzo grande simbolo della Veglia Pasquale è di natura tutta particolare; esso coinvolge l’uomo stesso. È il cantare il canto nuovo – l’alleluia. Quando un uomo sperimenta una grande gioia, non può tenerla per sé. Deve esprimerla, trasmetterla. Ma che cosa succede quando l’uomo viene toccato dalla luce della risurrezione e in questo modo viene a contatto con la Vita stessa, con la Verità e con l’Amore? Di ciò egli non può semplicemente parlare soltanto. Il parlare non basta più. Egli deve cantare. La prima menzione del cantare nella Bibbia, la troviamo dopo la traversata del Mar Rosso. Israele si è sollevato dalla schiavitù. È salito dalle profondità minacciose del mare. È come rinato. Vive ed è libero. La Bibbia descrive la reazione del popolo a questo grande evento del salvamento con la frase: “Il popolo credette nel Signore e in Mosè suo servo” (cfr Ex 14, 31). Ne segue poi la seconda reazione che, con una specie di necessità interiore, emerge dalla prima: “Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore…”. Nella Veglia Pasquale, anno per anno, noi cristiani intoniamo dopo la terza lettura questo canto, lo cantiamo come il nostro canto, perché anche noi mediante la potenza di Dio siamo stati tirati fuori dall’acqua e liberati alla vita vera.

Per la storia del canto di Mosè dopo la liberazione di Israele dall’Egitto e dopo la risalita dal Mar Rosso, c’è un parallelismo sorprendente nell’Apocalisse di san Giovanni. Prima dell’inizio degli ultimi sette flagelli imposti alla terra, appare al veggente qualcosa “come un mare di cristallo misto a fuoco; coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell’Agnello…” (Ap 15, 2s). Con questa immagine è descritta la situazione dei discepoli di Gesù Cristo in tutti i tempi, la situazione della Chiesa nella storia di questo mondo. Considerata umanamente, essa è in se stessa contraddittoria. Da una parte, la comunità si trova nell’Esodo, in mezzo al Mar Rosso. In un mare che, paradossalmente, è insieme ghiaccio e fuoco. E non deve forse la Chiesa, per così dire, camminare sempre sul mare, attraverso il fuoco e il freddo? Umanamente parlando, essa dovrebbe affondare. Ma, mentre cammina ancora in mezzo a questo Mar Rosso, essa canta – intona il canto di lode dei giusti: il canto di Mosè e dell’Agnello, in cui s’accordano l’Antica e la Nuova Alleanza. Mentre, tutto sommato, dovrebbe affondare, la Chiesa canta il canto di ringraziamento dei salvati. Essa sta sulle acque di morte della storia e tuttavia è già risorta. Cantando essa si aggrappa alla mano del Signore, che la tiene al di sopra delle acque. Ed essa sa che con ciò è sollevata fuori dalla forza di gravità della morte e del male – una forza dalla quale altrimenti non ci sarebbe via di scampo – sollevata e attirata dentro la nuova forza di gravità di Dio, della verità e dell’amore. Al momento si trova ancora tra i due campi gravitazionali. Ma da quando Cristo è risorto, la gravitazione dell’amore è più forte di quella dell’odio; la forza di gravità della vita è più forte di quella della morte. Non è forse questa veramente la situazione della Chiesa di tutti i tempi? Sempre c’è l’impressione che essa debba affondare, e sempre è già salvata. San Paolo ha illustrato questa situazione con le parole: “Siamo … come moribondi, e invece viviamo”, (2 Cor 6, 9). La mano salvifica del Signore ci sorregge, e così possiamo cantare già ora il canto dei salvati, il canto nuovo dei risorti: alleluia! Amen.


12/04/2009 16:34
OFFLINE
Post: 9.567
Post: 745
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
SANTA MESSA DEL GIORNO NELLA PASQUA DI RISURREZIONE

OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle,

"Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!" (1 Cor 5,7). Risuona in questo giorno l’esclamazione di san Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, tratta dalla prima Lettera ai Corinzi. È un testo che risale ad appena una ventina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù, eppure – come è tipico di certe espressioni paoline – contiene già, in una sintesi impressionante, la piena consapevolezza della novità cristiana. Il simbolo centrale della storia della salvezza – l’agnello pasquale – viene qui identificato in Gesù, chiamato appunto "nostra Pasqua". La Pasqua ebraica, memoriale della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, prevedeva ogni anno il rito dell’immolazione dell’agnello, un agnello per famiglia, secondo la prescrizione mosaica. Nella sua passione e morte, Gesù si rivela come l’Agnello di Dio "immolato" sulla croce per togliere i peccati del mondo. È stato ucciso proprio nell’ora in cui era consuetudine immolare gli agnelli nel Tempio di Gerusalemme. Il senso di questo suo sacrificio lo aveva anticipato egli stesso durante l’Ultima Cena, sostituendosi – sotto i segni del pane e del vino – ai cibi rituali del pasto nella Pasqua ebraica. Così possiamo dire veramente che Gesù ha portato a compimento la tradizione dell’antica Pasqua e l’ha trasformata nella sua Pasqua.

A partire da questo nuovo significato della festa pasquale si capisce anche l’interpretazione degli "azzimi" data da san Paolo. L’Apostolo si riferisce a un’antica usanza ebraica: quella secondo la quale, in occasione della Pasqua, bisognava eliminare dalla casa ogni più piccolo avanzo di pane lievitato. Ciò costituiva, da una parte, un ricordo di quanto accaduto agli antenati al momento della fuga dall’Egitto: uscendo in fretta dal paese, avevano portato con sé soltanto focacce non lievitate. Al tempo stesso, però, "gli azzimi" erano simbolo di purificazione: eliminare ciò che è vecchio per fare spazio al nuovo. Ora, spiega san Paolo, anche questa antica tradizione acquista un senso nuovo, a partire dal nuovo "esodo" appunto, che è il passaggio di Gesù dalla morte alla vita eterna. E poiché Cristo, come vero Agnello, ha sacrificato se stesso per noi, anche noi, suoi discepoli – grazie a Lui e per mezzo di Lui – possiamo e dobbiamo essere "pasta nuova", "azzimi", liberati da ogni residuo del vecchio fermento del peccato: niente più malizia e perversità nel nostro cuore.

"Celebriamo dunque la festa… con azzimi di sincerità e di verità". Quest’esortazione di san Paolo, che chiude la breve lettura che poco fa è stata proclamata, risuona ancor più forte nel contesto dell’Anno Paolino. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l’invito dell’Apostolo; apriamo l’animo a Cristo morto e risuscitato perchè ci rinnovi, perché elimini dal nostro cuore il veleno del peccato e della morte e vi infonda la linfa vitale dello Spirito Santo: la vita divina ed eterna. Nella sequenza pasquale, quasi rispondendo alle parole dell’Apostolo, abbiamo cantato: "Scimus Christum surrexisse a mortuis vere " - sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti". Sì! È proprio questo il nucleo fondamentale della nostra professione di fede; è questo il grido di vittoria che tutti oggi ci unisce. E se Gesù è risorto, e dunque è vivo, chi mai potrà separarci da lui? Chi mai potrà privarci del suo amore che ha vinto l’odio e ha sconfitto la morte?

L’annuncio della Pasqua si espanda nel mondo con il gioioso canto dell’Alleluia. Cantiamolo con le labbra, cantiamolo soprattutto con il cuore e con la vita, con uno stile di vita "azzimo", cioè semplice, umile, e fecondo di azioni buone. "Surrexit Christus spes mea: / precedet suos in Galileam – Cristo mia speranza è risorto e vi precede in Galilea". Il Risorto ci precede e ci accompagna per le strade del mondo. È Lui la nostra speranza, è Lui la pace vera del mondo. Amen!

12/04/2009 16:35
OFFLINE
Post: 9.568
Post: 746
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
MESSAGGIO PASQUALE DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE "URBI ET ORBI"

Alle ore 12, dal sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI rivolge ai fedeli presenti in Piazza San Pietro ed a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione il Messaggio che riportiamo di seguito:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!

Formulo di cuore a voi tutti l’augurio pasquale con le parole di sant’Agostino: "Resurrectio Domini, spes nostra – la risurrezione del Signore è la nostra speranza" (Agostino, Sermo 261, 1). Con questa affermazione, il grande Vescovo spiegava ai suoi fedeli che Gesù è risorto perché noi, pur destinati alla morte, non disperassimo, pensando che con la morte la vita sia totalmente finita; Cristo è risorto per darci la speranza (cfr ibid.).

In effetti, una delle domande che più angustiano l’esistenza dell’uomo è proprio questa: che cosa c’è dopo la morte? A quest’enigma la solennità odierna ci permette di rispondere che la morte non ha l’ultima parola, perché a trionfare alla fine è la Vita. E questa nostra certezza non si fonda su semplici ragionamenti umani, bensì su uno storico dato di fede: Gesù Cristo, crocifisso e sepolto, è risorto con il suo corpo glorioso. Gesù è risorto perché anche noi, credendo in Lui, possiamo avere la vita eterna. Quest’annuncio sta nel cuore del messaggio evangelico. Lo dichiara con vigore san Paolo: "Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede". E aggiunge: "Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini" (1 Cor 15,14.19). Dall’alba di Pasqua una nuova primavera di speranza investe il mondo; da quel giorno la nostra risurrezione è già cominciata, perché la Pasqua non segna semplicemente un momento della storia, ma l’avvio di una nuova condizione: Gesù è risorto non perché la sua memoria resti viva nel cuore dei suoi discepoli, bensì perché Egli stesso viva in noi e in Lui possiamo già gustare la gioia della vita eterna.

La risurrezione pertanto non è una teoria, ma una realtà storica rivelata dall’Uomo Gesù Cristo mediante la sua "pasqua", il suo "passaggio", che ha aperto una "nuova via" tra la terra e il Cielo (cfr Eb 10,20). Non è un mito né un sogno, non è una visione né un’utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile: Gesù di Nazaret, figlio di Maria, che al tramonto del Venerdì è stato deposto dalla croce e sepolto, ha lasciato vittorioso la tomba. Infatti all’alba del primo giorno dopo il sabato, Pietro e Giovanni hanno trovato la tomba vuota. Maddalena e le altre donne hanno incontrato Gesù risorto; lo hanno riconosciuto anche i due discepoli di Emmaus allo spezzare il pane; il Risorto è apparso agli Apostoli la sera nel Cenacolo e quindi a molti altri discepoli in Galilea.

L’annuncio della risurrezione del Signore illumina le zone buie del mondo in cui viviamo. Mi riferisco particolarmente al materialismo e al nichilismo, a quella visione del mondo che non sa trascendere ciò che è sperimentalmente constatabile, e ripiega sconsolata in un sentimento del nulla che sarebbe il definitivo approdo dell’esistenza umana. È un fatto che se Cristo non fosse risorto, il "vuoto" sarebbe destinato ad avere il sopravvento. Se togliamo Cristo e la sua risurrezione, non c’è scampo per l’uomo e ogni sua speranza rimane un’illusione. Ma proprio oggi prorompe con vigore l’annuncio della risurrezione del Signore, ed è risposta alla ricorrente domanda degli scettici, riportata anche dal libro di Qoèlet: "C’è forse qualcosa di cui si possa dire: / Ecco, questa è una novità?" (Qo 1,10). Sì, rispondiamo: nel mattino di Pasqua tutto si è rinnovato. "Mors et vita / duello conflixere mirando: dux vitae mortuus/ regnat vivus - Morte e vita si sono affrontate / in un prodigioso duello: / il Signore della vita era morto; / ma ora, vivo, trionfa. Questa è la novità! Una novità che cambia l’esistenza di chi l’accoglie, come avvenne nei santi. Così, ad esempio, è accaduto per san Paolo.

Più volte, nel contesto dell’Anno Paolino, abbiamo avuto modo di meditare sull’esperienza del grande Apostolo. Saulo di Tarso, l’accanito persecutore dei cristiani, sulla via di Damasco incontrò Cristo risorto e fu da Lui "conquistato". Il resto ci è noto. Avvenne in Paolo quel che più tardi egli scriverà ai cristiani di Corinto: "Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove" (2 Cor 5,17). Guardiamo a questo grande evangelizzatore, che con l’entusiasmo audace della sua azione apostolica, ha recato il Vangelo a tante popolazioni del mondo di allora. Il suo insegnamento e il suo esempio ci stimolino a ricercare il Signore Gesù. Ci incoraggino a fidarci di Lui, perché ormai il senso del nulla, che tende ad intossicare l’umanità, è stato sopraffatto dalla luce e dalla speranza che promanano dalla risurrezione. Ormai sono vere e reali le parole del Salmo: "Nemmeno le tenebre per te sono tenebre / e la notte è luminosa come il giorno" (139[138],12). Non è più il nulla che avvolge ogni cosa, ma la presenza amorosa di Dio. Addirittura il regno stesso della morte è stato liberato, perché anche negli "inferi" è arrivato il Verbo della vita, sospinto dal soffio dello Spirito (v. 8).

Se è vero che la morte non ha più potere sull’uomo e sul mondo, tuttavia rimangono ancora tanti, troppi segni del suo vecchio dominio. Se mediante la Pasqua, Cristo ha estirpato la radice del male, ha però bisogno di uomini e donne che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le sue stesse armi: le armi della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell’amore. E’ questo il messaggio che, in occasione del recente viaggio apostolico in Camerun e in Angola, ho inteso portare a tutto il Continente africano, che mi ha accolto con grande entusiasmo e disponibilità all’ascolto. L’Africa, infatti, soffre in modo smisurato per i crudeli e interminabili conflitti – spesso dimenticati – che lacerano e insanguinano diverse sue Nazioni e per il numero crescente di suoi figli e figlie che finiscono preda della fame, della povertà, della malattia. Il medesimo messaggio ripeterò con forza in Terrasanta, ove avrò la gioia di recarmi fra qualche settimana. La difficile ma indispensabile riconciliazione, che è premessa per un futuro di sicurezza comune e di pacifica convivenza, non potrà diventare realtà che grazie agli sforzi rinnovati, perseveranti e sinceri, per la composizione del conflitto israelo-palestinese. Dalla Terrasanta, poi, lo sguardo si allargherà sui Paesi limitrofi, sul Medio Oriente, sul mondo intero. In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di povertà antiche e nuove, di cambiamenti climatici preoccupanti, di violenze e miseria che costringono molti a lasciare la propria terra in cerca di una meno incerta sopravvivenza, di terrorismo sempre minaccioso, di paure crescenti di fronte all’incertezza del domani, è urgente riscoprire prospettive capaci di ridare speranza. Nessuno si tiri indietro in questa pacifica battaglia iniziata dalla Pasqua di Cristo, il Quale – lo ripeto – cerca uomini e donne che lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le sue stesse armi, quelle della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell’amore.

Resurrectio Domini, spes nostra! La risurrezione di Cristo è la nostra speranza! Questo la Chiesa proclama oggi con gioia: annuncia la speranza, che Dio ha reso salda e invincibile risuscitando Gesù Cristo dai morti; comunica la speranza, che essa porta nel cuore e vuole condividere con tutti, in ogni luogo, specialmente là dove i cristiani soffrono persecuzione a causa della loro fede e del loro impegno per la giustizia e la pace; invoca la speranza capace di suscitare il coraggio del bene anche e soprattutto quando costa. Oggi la Chiesa canta "il giorno che ha fatto il Signore" ed invita alla gioia. Oggi la Chiesa prega, invoca Maria, Stella della Speranza, perché guidi l’umanità verso il porto sicuro della salvezza che è il cuore di Cristo, la Vittima pasquale, l’Agnello che "ha redento il mondo", l’Innocente che "ha riconciliato noi peccatori col Padre". A Lui, Re vittorioso, a Lui crocifisso e risorto, noi gridiamo con gioia il nostro Alleluia !

12/04/2009 16:35
OFFLINE
Post: 9.569
Post: 747
Registrato il: 22/08/2006
Registrato il: 20/01/2009
Utente Comunità
Utente Senior
AUGURI DEL SANTO PADRE AI POPOLI E ALLE NAZIONI IN OCCASIONE DELLA SANTA PASQUA

Al termine del Messaggio pasquale e prima di impartire la Benedizione Urbi et Orbi ai fedeli radunati in Piazza San Pietro e a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia l’augurio di Pasqua in 63 lingue:


AUGURI DEL SANTO PADRE

A quanti mi ascoltano, rivolgo un cordiale augurio nelle diverse espressioni linguistiche:

italiano:
Buona Pasqua a voi, uomini e donne d’Italia, in particolare a quanti soffrono a causa del terremoto. Il Cristo risuscitato guidi tutti su sentieri di giustizia, di solidarietà e di pace e ispiri a ciascuno la saggezza e il coraggio necessari per proseguire uniti nella costruzione di un futuro aperto alla speranza.

francese:
Le Christ est ressuscité. Sainte fête de Pâques ! Que pour vous ce mystère soit source de bonheur et de paix profonde.

inglese:
May the grace and joy of the Risen Christ be with you all.

tedesco:
Euch allen ein gesegnetes und frohes Osterfest! Der Friede und die Freude des auferstandenen Herrn sei mit Euch.

spagnolo:
Os deseo a todos una buena y feliz fiesta de Pascua, con la paz y la alegría, la esperanza y el amor de Jesucristo Resucitado.

portoghese:
Uma Páscoa feliz com Cristo Ressuscitado.

neerlandese:
Zalig Pasen!
Ik wil mijn hartelijke dank tot uitdrukking brengen voor de fraaie bloemen uit Nederland voor de Paasmis op het Sint Pietersplein.
[Buona Pasqua!
Desidero esprimere la mia viva gratitudine per i bei fiori, provenienti dai Paesi Bassi, che adornano la Piazza S. Pietro in occasione della Santa Messa di Pasqua.]

lussemburghese:
Frou a geseent Ouschteren.

greco:
5D4FJ`H •
albanese:
Për shumë wjet Pashkët.

romeno:
Cristos a ínviat.

ungherese:
Krisztus feltamadott.

polacco:
Chrystus zmartwychwstał.

ceco:
Kristus vstal z mrtvých.

slovacco:
Radostné veľkonočné sviatky.

croato:
Sretan Uskrs!

sloveno:
Blagoslovljene velikonočne praznike.

serbo:
Христос васкрсе!

serbo-lusazio:
Chrystus z mortwych stanył.

bulgaro:
Христос възкресе

macedone:
Христос Воскресна.

bielorusso:
Christos uvaskrós.

russo:
Христос Воскресе.

mongolo:
ХРИСТИЙН ДАХИН АМИЛАЛЫН БАЯРЫН МЗНД ХУРГЗЕ!

ucraino:
Христос Воскрес.

lituano:
Linksmų Šventų Velykų.

lettone:
Priecīgas lieldienas.

estone:
Kristus on surnuist üles tyusnud.

svedese:
Glad Pàsk.

finlandese:
Siunattua Pääsiäistä.

irlandese:
Beannacht na Cāsga dhuibh go lēir.

romanès:
Lachi Patrači.

maltese:
L-Ghid it-tajjeb.

georgiano:


turco:
Paskalya bayramini kutlarim.

arabo:


etiopico-eritreo:


ebraico:


aramaico:


armeno:


suahili:
Heri na baraka zangu kwa sikukuu ja Pasaka kwenu wote.

kirundi e kinyarwanda:
Pasika Nziza, mwese.

malgascio:
Arahaba Tratry Ny Paka.

hindi:


tamil:


malayalam:


bengalese:


birmano:


urdu:


cinese:


giapponese:


coreano:


vietnamita:
Mù’ng lé phuc sinh.

singalese:


tailandese:


indonesiano:
Selamat Paskah.

cambogiano:


filippino:
Maligajang pagkabuhay ni Kristo.

maori:
Nga mihi o te Aranga ki a koutou.

samoano:
Ia manuia le Efeta.

esperanto:
Felician Paskon en Kristo resurektinta.

guaraní:
Ña nerenyhe vy’agui, Aleluya

latino:
Resurrectio Domini, spes nostra.


Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 15:09. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com