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Ultimo Aggiornamento: 02/03/2013 17:43
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2009


Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2009 sul tema "Gesù, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame" (Mt 4, 2):


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

All'inizio della Quaresima, che costituisce un cammino di più intenso allenamento spirituale, la Liturgia ci ripropone tre pratiche penitenziali molto care alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l'elemosina, il digiuno - per disporci a celebrare meglio la Pasqua e a fare così esperienza della potenza di Dio che, come ascolteremo nella Veglia pasquale, "sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace" (Preconio pasquale). Nel consueto mio Messaggio quaresimale, vorrei soffermarmi quest'anno a riflettere In particolare sul valore e sul senso del digiuno. La Quaresima infatti richiama alla mente i quaranta giorni di digiuno vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missione pubblica. Leggiamo nel Vangelo: "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame" (Mt 4,1-2). Come Mosè prima di ricevere le Tavole della Legge (cfr Es 34,28), come Elia prima di incontrare il Signore sul monte Oreb (cfr 1 Re 19,8), così Gesù pregando e digiunando si preparò alla sua missione, il cui inizio fu un duro scontro con il tentatore.

Possiamo domandarci quale valore e quale senso abbia per noi cristiani il privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro sostentamento. Le Sacre Scritture e tutta la tradizione cristiana insegnano che il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che ad esso induce. Per questo nella storia della salvezza ricorre più volte l'invito a digiunare. Già nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda all'uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire" (Gn 2,16-17). Commentando l'ingiunzione divina, san Basilio osserva che "il digiuno è stato ordinato in Paradiso", e "il primo comando in tal senso è stato dato ad Adamo". Egli pertanto conclude: "Il 'non devi mangiare' è, dunque, la legge del digiuno e dell'astinenza" (cfr Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98). Poiché tutti siamo appesantiti dal peccato e dalle sue conseguenze, il digiuno ci viene offerto come un mezzo per riannodare l'amicizia con il Signore. Così fece Esdra prima del viaggio di ritorno dall'esilio alla Terra Promessa, invitando il popolo riunito a digiunare "per umiliarci - disse - davanti al nostro Dio" (8,21). L'Onnipotente ascoltò la loro preghiera e assicurò il suo favore e la sua protezione. Altrettanto fecero gli abitanti di Ninive che, sensibili all'appello di Giona al pentimento, proclamarono, quale testimonianza della loro sincerità, un digiuno dicendo: "Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!" (3,9). Anche allora Dio vide le loro opere e li risparmiò.

Nel Nuovo Testamento, Gesù pone in luce la ragione profonda del digiuno, stigmatizzando l'atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le prescrizioni imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano da Dio. Il vero digiuno, ripete anche altrove il divino Maestro, è piuttosto compiere la volontà del Padre celeste, il quale "vede nel segreto, e ti ricompenserà" (Mt 6,18). Egli stesso ne dà l'esempio rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati nel deserto, che "non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Il vero digiuno è dunque finalizzato a mangiare il "vero cibo", che è fare la volontà del Padre (cfr Gv 4,34). Se pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore "di non mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male", con il digiuno il credente intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella sua bontà e misericordia.

Troviamo la pratica del digiuno molto presente nella prima comunità cristiana (cfr At 13,3; 14,22; 27,21; 2 Cor 6,5). Anche i Padri della Chiesa parlano della forza del digiuno, capace di tenere a freno il peccato, reprimere le bramosie del "vecchio Adamo", ed aprire nel cuore del credente la strada a Dio. Il digiuno è inoltre una pratica ricorrente e raccomandata dai santi di ogni epoca. Scrive san Pietro Crisologo: "Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno, perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica" (Sermo 43: PL 52, 320. 332).

Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po' della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una "terapia" per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio. Nella Costituzione apostolica Pænitemini del 1966, il Servo di Dio Paolo VI ravvisava la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a "non più vivere per se stesso, ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, e ... anche a vivere per i fratelli" (cfr Cap. I). La Quaresima potrebbe essere un'occasione opportuna per riprendere le norme contenute nella citata Costituzione apostolica, valorizzando il significato autentico e perenne di quest'antica pratica penitenziale, che può aiutarci a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all'amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo (cfr Mt 22,34-40).

La fedele pratica del digiuno contribuisce inoltre a conferire unità alla persona, corpo ed anima, aiutandola ad evitare il peccato e a crescere nell'intimità con il Signore. Sant'Agostino, che ben conosceva le proprie inclinazioni negative e le definiva "nodo tortuoso e aggrovigliato" (Confessioni, II, 10.18), nel suo trattato L'utilità del digiuno, scriveva: "Mi dò certo un supplizio, ma perché Egli mi perdoni; da me stesso mi castigo perché Egli mi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto della sua dolcezza" (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita un'interiore disposizione ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza. Con il digiuno e la preghiera permettiamo a Lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e sete di Dio.

Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. Nella sua Prima Lettera san Giovanni ammonisce: "Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio?" (3,17). Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (cfr Enc. Deus caritas est, 15). Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo. Proprio per mantenere vivo questo atteggiamento di accoglienza e di attenzione verso i fratelli, incoraggio le parrocchie ed ogni altra comunità ad intensificare in Quaresima la pratica del digiuno personale e comunitario, coltivando altresì l'ascolto della Parola di Dio, la preghiera e l'elemosina. Questo è stato, sin dall'inizio, lo stile della comunità cristiana, nella quale venivano fatte speciali collette (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), e i fedeli erano invitati a dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, era stato messo da parte (cfr Didascalia Ap., V, 20,18). Anche oggi tale pratica va riscoperta ed incoraggiata, soprattutto durante il tempo liturgico quaresimale.

Da quanto ho detto emerge con grande chiarezza che il digiuno rappresenta una pratica ascetica importante, un'arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d'origine, i cui effetti negativi investono l'intera personalità umana. Opportunamente esorta un antico inno liturgico quaresimale: "Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia - Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti".

Cari fratelli e sorelle, a ben vedere il digiuno ha come sua ultima finalità di aiutare ciascuno di noi, come scriveva il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, a fare di sé dono totale a Dio (cfr Enc. Veritatis splendor, 21). La Quaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni comunità cristiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per intensificare ciò che nutre l'anima aprendola all'amore di Dio e del prossimo. Penso in particolare ad un maggior impegno nella preghiera, nella lectio divina, nel ricorso al Sacramento della Riconciliazione e nell'attiva partecipazione all'Eucaristia, soprattutto alla Santa Messa domenicale. Con questa interiore disposizione entriamo nel clima penitenziale della Quaresima. Ci accompagni la Beata Vergine Maria, Causa nostrae laetitiae, e ci sostenga nello sforzo di liberare il nostro cuore dalla schiavitù del peccato per renderlo sempre più "tabernacolo vivente di Dio". Con questo augurio, mentre assicuro la mia preghiera perchè ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra un proficuo itinerario quaresimale, imparto di cuore a tutti la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 11 Dicembre 2008

BENEDICTUS PP. XVI



TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs !

Au commencement du Carême, qui constitue un chemin d’entraînement spirituel intense, la Liturgie nous propose à nouveau trois pratiques pénitentielles très chères à la tradition biblique et chrétienne – la prière, l’aumône et le jeûne – pour nous préparer à mieux célébrer la Pâque et faire ainsi l’expérience de la puissance de Dieu qui, comme nous l’entendrons au cours de la Veillée Pascale, « triomphe du mal, lave nos fautes, redonne l’innocence aux pécheurs, la joie aux affligés, dissipe la haine, nous apporte la paix et humilie l’orgueil du monde » (Annonce de la Pâque). En ce traditionnel Message du Carême, je souhaite cette année me pencher plus particulièrement sur la valeur et le sens du jeûne. Le Carême en effet nous rappelle les quarante jours de jeûne vécus par le Seigneur dans le désert, avant le commencement de sa mission publique. Nous lisons dans l’Evangile : « Jésus fut conduit au désert par l’Esprit pour être tenté par le démon. Après avoir jeûné quarante jours et quarante nuits, il eut faim » (Mt 4,1-2). Comme Moïse avant de recevoir les Tables de la Loi, (cf. Ex 34,28), comme Élie avant de rencontrer le Seigneur sur le mont Horeb (cf. 1 R 19,8), de même Jésus, en priant et en jeûnant, se prépare à sa mission, dont le début fut marqué par une dure confrontation avec le tentateur.

Nous pouvons nous demander quelle valeur et quel sens peuvent avoir pour nous, chrétiens, le fait de se priver de quelque chose qui serait bon en soi et utile pour notre subsistance. Les Saintes Écritures et toute la tradition chrétienne enseignent que le jeûne est d’un grand secours pour éviter le péché et tout ce qui conduit à lui. C’est pourquoi, dans l’histoire du salut, l’invitation à jeûner revient régulièrement. Déjà dans les premières pages de la Sainte Écriture, le Seigneur commande à l’homme de s’abstenir de manger du fruit défendu : « Tu pourras manger de tous les arbres du jardin, mais de l’arbre de la connaissance du bien et du mal, tu ne mangera pas, car le jour où tu en mangeras, certainement tu mourras. » (Gn 2,16-17). En commentant l’injonction divine, saint Basile observe que « le jeûne a été prescrit dans le paradis terrestre », et « ce premier précepte été donné à Adam ». Il conclut ainsi : « Cette défense – 'tu ne mangeras pas' – est une loi de jeûne et d’abstinence » (cf. Homélie sur le jeûne : PG 31, 163, 98). Parce que tous nous sommes appesantis par le péché et ses conséquences, le jeûne nous est offert comme un moyen pour renouer notre amitié avec le Seigneur. C’est ce que fit Esdras avant le voyage du retour de l’exil en Terre promise, quand il invita le peuple réuni à jeûner « pour s’humilier – dit-il – devant notre Dieu » (8,21). Le Tout Puissant écouta leur prière et les assura de sa faveur et de sa protection. Les habitants de Ninive en firent autant quand, sensibles à l’appel de Jonas à la repentance, ils proclamèrent, comme témoignage de leur sincérité, un jeûne en disant: « Qui sait si Dieu ne se ravisera pas et ne se repentira pas, s’il ne reviendra pas de l’ardeur de sa colère, en sorte que nous ne périssions point ? » (3,9). Là encore, Dieu vit leurs œuvres et les épargna.

Dans le Nouveau Testament, Jésus met en lumière la raison profonde du jeûne en stigmatisant l’attitude des pharisiens qui observaient avec scrupule les prescriptions imposées par la loi, alors que leurs cœurs étaient loin de Dieu. Le vrai jeûne, redit encore en d’autre lieux le divin Maître, consiste plutôt à faire la volonté du Père céleste, lequel « voit dans le secret et te récompensera » (Mt 6,18). Lui-même en donne l’exemple en répondant à Satan, au terme des quarante jours passés dans le désert : « Ce n’est pas de pain seul que vivra l’homme, mais de toute parole qui sort de la bouche de Dieu » (Mt 4,4). Le vrai jeûne a donc pour but de manger « la vraie nourriture », qui consiste à faire la volonté du Père (cf. Jn 4,34). Si donc Adam désobéit à l’ordre du Seigneur « de ne pas manger du fruit de l’arbre de la connaissance du bien et du mal », le croyant entend par le jeûne se soumettre à Dieu avec humilité, en se confiant à sa bonté et à sa miséricorde.

La pratique du jeûne est très présente dans la première communauté chrétienne (cf. Act 13,3; 14,22; 27,21; 2 Cor 6,5). Les Pères de l’Église aussi parlent de la force du jeûne, capable de mettre un frein au péché, de réprimer les désirs du « vieil homme », et d’ouvrir dans le cœur du croyant le chemin vers Dieu. Le jeûne est en outre une pratique récurrente des saints, qui le recommandent. Saint Pierre Chrysologue écrit : « Le jeûne est l’âme de la prière, la miséricorde est la vie du jeûne. Donc, celui qui prie doit jeûner ; celui qui jeûne doit avoir pitié ; qu’il écoute l’homme qui demande, et qui en demandant souhaite être écouté ; il se fait entendre de Dieu, celui qui ne refuse pas d’entendre lorsqu’on le supplie » (Sermo 43: PL 52, 320. 332).

De nos jours, la pratique du jeûne semble avoir perdu un peu de sa valeur spirituelle et, dans une culture marquée par la recherche du bien-être matériel, elle a plutôt pris la valeur d’une pratique thérapeutique pour le soin du corps. Le jeûne est sans nul doute utile au bien-être physique, mais pour les croyants, il est en premier lieu une « thérapie » pour soigner tout ce qui les empêche de se conformer à la volonté de Dieu. Dans la Constitution apostolique Pænitemini de 1966, le Serviteur de Dieu Paul VI reconnaissait la nécessité de remettre le jeûne dans le contexte de l’appel de tout chrétien à « ne plus vivre pour soi-même, mais pour Celui qui l’a aimé et s’est donné pour lui, et… aussi à vivre pour ses frères » (cf. Ch. I). Ce Carême pourrait être l’occasion de reprendre les normes contenues dans cette Constitution apostolique, et de remettre en valeur la signification authentique et permanente de l’antique pratique pénitentielle, capable de nous aider à mortifier notre égoïsme et à ouvrir nos cœurs à l’amour de Dieu et du prochain, premier et suprême commandement de la Loi nouvelle et résumé de tout l’Évangile (cf. Mt 22,34-40).

La pratique fidèle du jeûne contribue en outre à l’unification de la personne humaine, corps et âme, en l’aidant à éviter le péché et à croître dans l’intimité du Seigneur. Saint Augustin qui connaissait bien ses inclinations négatives et les définissait comme « des nœuds tortueux et emmêlés » (Confessions, II, 10.18), écrivait dans son traité sur L’utilité du jeûne : « Je m’afflige certes un supplice, mais pour qu’Il me pardonne ; je me châtie de moi-même pour qu’Il m’aide, pour plaire à ses yeux, pour arriver à la délectation de sa douceur » (Sermon 400, 3, 3: PL 40, 708). Se priver de nourriture matérielle qui alimente le corps facilite la disposition intérieur à l’écoute du Christ et à se nourrir de sa parole de salut. Avec le jeûne et la prière, nous Lui permettons de venir rassasier une faim plus profonde que nous expérimentons au plus intime de nous : la faim et la soif de Dieu.

En même temps, le jeûne nous aide à prendre conscience de la situation dans laquelle vivent tant de nos frères. Dans sa Première Lettre, saint Jean met en garde : « Si quelqu’un possède des richesses de ce monde et, voyant son frère dans la nécessité, lui ferme ses entrailles, comment l’amour de Dieu demeurerait-il en lui ? » (3,17). Jeûner volontairement nous aide à suivre l’exemple du Bon Samaritain, qui se penche et va au secours du frère qui souffre (cf. Deus caritas est, 15). En choisissant librement de se priver de quelque chose pour aider les autres, nous montrons de manière concrète que le prochain en difficulté ne nous est pas étranger. C’est précisément pour maintenir vivante cette attitude d’accueil et d’attention à l’égard de nos frères que j’encourage les paroisses et toutes les communautés à intensifier pendant le Carême la pratique du jeûne personnel et communautaire, en cultivant aussi l’écoute de la Parole de Dieu, la prière et l’aumône. Ceci a été, dès le début, une caractéristique de la vie des communautés chrétiennes où se faisaient des collectes spéciales (cf. 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), tandis que les fidèles étaient invités à donner aux pauvres ce qui, grâce au jeûne, avait été mis à part (cf. Didascalie Ap., V, 20,18). Même aujourd’hui, une telle pratique doit être redécouverte et encouragée, surtout pendant le temps liturgique du Carême.

Il ressort clairement de tout ce que je viens de dire, que le jeûne représente une pratique ascétique importante, une arme spirituelle pour lutter contre tous les attachements désordonnés. Se priver volontairement du plaisir de la nourriture et d’autres biens matériels, aide le disciple du Christ à contrôler les appétits de sa nature affaiblie par la faute originelle, et dont les effets négatifs investissent entièrement la personne humaine. Une hymne antique de la liturgie du Carême exhorte avec pertinence : « Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia – Nous utilisons plus sobrement les paroles, les nourritures, les boissons, le sommeil et les jeux, et avec plus d’attention, nous demeurons vigilants ».

Chers frères et sœurs, à bien regarder, le jeûne a comme ultime finalité d’aider chacun d’entre nous, comme l’écrivait le Serviteur de Dieu Jean-Paul II, à faire un don total de soi à Dieu (cf. Veritatis splendor, 21). Que le Carême soit donc mis en valeur dans toutes les familles et dans toutes les communautés chrétiennes, pour éloigner de tout ce qui distrait l’esprit et intensifier ce qui nourrit l’âme en l’ouvrant à l’amour de Dieu et du prochain. Je pense en particulier à un plus grand engagement dans la prière, la lectio divina, le recours au Sacrement de la Réconciliation et dans la participation active à l’Eucharistie, par dessus tout à la Messe dominicale. Avec cette disposition intérieure, nous entrons dans le climat de pénitence propre au Carême. Que la Bienheureuse Vierge Marie, Causa nostrae laetitiae nous accompagne et nous soutienne dans nos efforts pour libérer notre cœur de l’esclavage du péché et pour en faire toujours plus un « tabernacle vivant de Dieu ». En formulant ce souhait et en assurant de ma prière tous les croyants et chaque communauté ecclésiale afin que tous suivent avec profit l’itinéraire du Carême, j’accorde à tous et de tout cœur la Bénédiction Apostolique.

Du Vatican, le 11 décembre 2008

BENEDICTUS PP. XVI



TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters!

At the beginning of Lent, which constitutes an itinerary of more intense spiritual training, the Liturgy sets before us again three penitential practices that are very dear to the biblical and Christian tradition – prayer, almsgiving, fasting – to prepare us to better celebrate Easter and thus experience God’s power that, as we shall hear in the Paschal Vigil, "dispels all evil, washes guilt away, restores lost innocence, brings mourners joy, casts out hatred, brings us peace and humbles earthly pride" (Paschal Præconium). For this year’s Lenten Message, I wish to focus my reflections especially on the value and meaning of fasting. Indeed, Lent recalls the forty days of our Lord’s fasting in the desert, which He undertook before entering into His public ministry. We read in the Gospel: "Jesus was led up by the Spirit into the wilderness to be tempted by the devil. He fasted for forty days and forty nights, and afterwards he was hungry" (Mt 4,1-2). Like Moses, who fasted before receiving the tablets of the Law (cf. Ex 34,28) and Elijah’s fast before meeting the Lord on Mount Horeb (cf. 1 Kings 19,8), Jesus, too, through prayer and fasting, prepared Himself for the mission that lay before Him, marked at the start by a serious battle with the tempter.

We might wonder what value and meaning there is for us Christians in depriving ourselves of something that in itself is good and useful for our bodily sustenance. The Sacred Scriptures and the entire Christian tradition teach that fasting is a great help to avoid sin and all that leads to it. For this reason, the history of salvation is replete with occasions that invite fasting. In the very first pages of Sacred Scripture, the Lord commands man to abstain from partaking of the prohibited fruit: "You may freely eat of every tree of the garden; but of the tree of the knowledge of good and evil you shall not eat, for in the day that you eat of it you shall die" (Gn 2, 16-17). Commenting on the divine injunction, Saint Basil observes that "fasting was ordained in Paradise," and "the first commandment in this sense was delivered to Adam." He thus concludes: " ‘You shall not eat’ is a law of fasting and abstinence" (cf. Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98). Since all of us are weighed down by sin and its consequences, fasting is proposed to us as an instrument to restore friendship with God. Such was the case with Ezra, who, in preparation for the journey from exile back to the Promised Land, calls upon the assembled people to fast so that "we might humble ourselves before our God" (8,21). The Almighty heard their prayer and assured them of His favor and protection. In the same way, the people of Nineveh, responding to Jonah’s call to repentance, proclaimed a fast, as a sign of their sincerity, saying: "Who knows, God may yet repent and turn from his fierce anger, so that we perish not?" (3,9). In this instance, too, God saw their works and spared them.

In the New Testament, Jesus brings to light the profound motive for fasting, condemning the attitude of the Pharisees, who scrupulously observed the prescriptions of the law, but whose hearts were far from God. True fasting, as the divine Master repeats elsewhere, is rather to do the will of the Heavenly Father, who "sees in secret, and will reward you" (Mt 6,18). He Himself sets the example, answering Satan, at the end of the forty days spent in the desert that "man shall not live by bread alone, but by every word that proceeds from the mouth of God" (Mt 4,4). The true fast is thus directed to eating the "true food," which is to do the Father’s will (cf. Jn 4,34). If, therefore, Adam disobeyed the Lord’s command "of the tree of the knowledge of good and evil you shall not eat," the believer, through fasting, intends to submit himself humbly to God, trusting in His goodness and mercy.

The practice of fasting is very present in the first Christian community (cf. Acts 13,3; 14,22; 27,21; 2 Cor 6,5). The Church Fathers, too, speak of the force of fasting to bridle sin, especially the lusts of the "old Adam," and open in the heart of the believer a path to God. Moreover, fasting is a practice that is encountered frequently and recommended by the saints of every age. Saint Peter Chrysologus writes: "Fasting is the soul of prayer, mercy is the lifeblood of fasting. So if you pray, fast; if you fast, show mercy; if you want your petition to be heard, hear the petition of others. If you do not close your ear to others, you open God’s ear to yourself" (Sermo 43: PL 52, 320. 322).

In our own day, fasting seems to have lost something of its spiritual meaning, and has taken on, in a culture characterized by the search for material well-being, a therapeutic value for the care of one’s body. Fasting certainly bring benefits to physical well-being, but for believers, it is, in the first place, a "therapy" to heal all that prevents them from conformity to the will of God. In the Apostolic Constitution Pænitemini of 1966, the Servant of God Paul VI saw the need to present fasting within the call of every Christian to "no longer live for himself, but for Him who loves him and gave himself for him … he will also have to live for his brethren" (cf. Ch. I). Lent could be a propitious time to present again the norms contained in the Apostolic Constitution, so that the authentic and perennial significance of this long held practice may be rediscovered, and thus assist us to mortify our egoism and open our heart to love of God and neighbor, the first and greatest Commandment of the new Law and compendium of the entire Gospel (cf. Mt 22, 34-40).

The faithful practice of fasting contributes, moreover, to conferring unity to the whole person, body and soul, helping to avoid sin and grow in intimacy with the Lord. Saint Augustine, who knew all too well his own negative impulses, defining them as "twisted and tangled knottiness" (Confessions, II, 10.18), writes: "I will certainly impose privation, but it is so that he will forgive me, to be pleasing in his eyes, that I may enjoy his delightfulness" (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Denying material food, which nourishes our body, nurtures an interior disposition to listen to Christ and be fed by His saving word. Through fasting and praying, we allow Him to come and satisfy the deepest hunger that we experience in the depths of our being: the hunger and thirst for God.

At the same time, fasting is an aid to open our eyes to the situation in which so many of our brothers and sisters live. In his First Letter, Saint John admonishes: "If anyone has the world’s goods, and sees his brother in need, yet shuts up his bowels of compassion from him – how does the love of God abide in him?" (3,17). Voluntary fasting enables us to grow in the spirit of the Good Samaritan, who bends low and goes to the help of his suffering brother (cf. Encyclical Deus caritas est, 15). By freely embracing an act of self-denial for the sake of another, we make a statement that our brother or sister in need is not a stranger. It is precisely to keep alive this welcoming and attentive attitude towards our brothers and sisters that I encourage the parishes and every other community to intensify in Lent the custom of private and communal fasts, joined to the reading of the Word of God, prayer and almsgiving. From the beginning, this has been the hallmark of the Christian community, in which special collections were taken up (cf. 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), the faithful being invited to give to the poor what had been set aside from their fast (Didascalia Ap., V, 20,18). This practice needs to be rediscovered and encouraged again in our day, especially during the liturgical season of Lent.

From what I have said thus far, it seems abundantly clear that fasting represents an important ascetical practice, a spiritual arm to do battle against every possible disordered attachment to ourselves. Freely chosen detachment from the pleasure of food and other material goods helps the disciple of Christ to control the appetites of nature, weakened by original sin, whose negative effects impact the entire human person. Quite opportunely, an ancient hymn of the Lenten liturgy exhorts: "Utamur ergo parcius, / verbis cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia – Let us use sparingly words, food and drink, sleep and amusements. May we be more alert in the custody of our senses."

Dear brothers and sisters, it is good to see how the ultimate goal of fasting is to help each one of us, as the Servant of God Pope John Paul II wrote, to make the complete gift of self to God (cf. Encyclical Veritatis splendor, 21). May every family and Christian community use well this time of Lent, therefore, in order to cast aside all that distracts the spirit and grow in whatever nourishes the soul, moving it to love of God and neighbor. I am thinking especially of a greater commitment to prayer, lectio divina, recourse to the Sacrament of Reconciliation and active participation in the Eucharist, especially the Holy Sunday Mass. With this interior disposition, let us enter the penitential spirit of Lent. May the Blessed Virgin Mary, Causa nostrae laetitiae, accompany and support us in the effort to free our heart from slavery to sin, making it evermore a "living tabernacle of God." With these wishes, while assuring every believer and ecclesial community of my prayer for a fruitful Lenten journey, I cordially impart to all of you my Apostolic Blessing.

From the Vatican, 11 December 2008.

BENEDICTUS PP. XVI



TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern!

Zu Beginn der Fastenzeit, die ja ein Weg vertieften geistlichen Tuns ist, empfiehlt uns die Liturgie erneut drei Bußpraktiken, die der biblischen und christlichen Tradition sehr wichtig sind – das Gebet, das Almosengeben und das Fasten. Sie dienen der inneren Vorbereitung, damit das Osterfest besser begangen und so die Macht Gottes erfahren werden kann. Diese – so verkündigt es uns neu die Ostervigil – „nimmt den Frevel hinweg, reinigt von Schuld, gibt den Sündern die Unschuld, den Trauernden Freude. Weit vertreibt sie den Hass, sie einigt die Herzen und beugt die Gewalten" (Osterlob). In meiner diesjährigen Fastenbotschaft möchte ich besonders beim Wert und Sinn des Fastens verweilen. Die österliche Bußzeit ruft ja die vierzig Tage in Erinnerung, in denen der Herr vor dem Antritt seines öffentlichen Wirkens in der Wüste fastete. Im Evangelium lesen wir: „Jesus [wurde] vom Geist in die Wüste geführt, um vom Teufel versucht zu werden. Nachdem er vierzig Tage und vierzig Nächte gefastet hatte, bekam er Hunger" (Mt 4,1-2). Wie Mose vor dem Empfang der Gesetzestafeln (vgl. Ex 34,28), wie Elias vor der Begegnung mit dem Herrn auf dem Berg Horeb (vgl. 1 Kön 19,8), so bereitete sich auch Jesus durch Beten und Fasten auf seine Sendung vor, an deren Anfang eine harte Auseinandersetzung mit dem Versucher steht.

Wir können uns fragen, welchen Wert und Sinn es für uns Christen hat, sich etwas zu versagen, das an sich gut und zu unserem Unterhalt nützlich ist. Die Heilige Schrift und die ganze christliche Tradition lehren, dass das Fasten eine große Hilfe ist, die Sünde zu meiden sowie das, was zu ihr verleitet. Darum kehrt in der Heilsgeschichte die Aufforderung zum Fasten des öfteren wieder. Schon in den ersten Kapiteln der Bibel untersagt der Herr dem Menschen den Genuss der verbotenen Frucht: „Von allen Bäumen des Gartens darfst du essen. Von dem Baum der Erkenntnis des Guten und Bösen aber darfst du nicht essen. Denn am Tag, da du davon isst, musst du sicher sterben" (Gen 2,16-17). In einem Kommentar über das göttliche Gebot schreibt der heilige Basilius: „Das erste Fastengebot wurde im Paradies erlassen", und „im genannten Sinn empfing Adam das erste Gebot." Daraus folgert er: „Nicht zu essen, heisst also zu fasten und das Gesetz der Enthaltsamkeit zu beachten" (vgl. Sermo de ieiunio: PG 31, 163, 98). Da wir alle an der Sünde und ihren Folgen tragen, wird uns das Fasten als ein Mittel empfohlen, neu Freundschaft mit dem Herrn zu schliessen. So tat es Esra vor seiner Rückkehr aus dem Exil in das verheißene Land, als er das versammelte Volk zum Fasten aufrief, „damit wir", wie er sagte, „uns vor unserem Gott verdemütigen" (8,21). Der Allmächtige erhörte ihr Gebet und sicherte ihnen seine Huld und seinen Schutz zu. Gleiches vollzogen die Einwohner von Ninive, die auf Jonas Appell zur Umkehr hörten und als Zeugnis ihrer Aufrichtigkeit ein Fasten ausriefen. Dabei hofften sie: „Vielleicht reut es Gott noch einmal, und er lässt ab von seinem glühenden Zorn, so dass wir nicht zugrunde gehen" (3,9). Auch damals schaute Gott auf ihr Tun und verschonte sie.

Im Neuen Testament erhellt Jesus den tiefen Sinn des Fastens: Er geißelt die Pharisäer, die die vom Gesetz angeordneten Vorschriften in allen Einzelheiten beachteten, deren Herz jedoch weit von Gott entfernt war. Wie der göttliche Meister an anderer Stelle lehrt, besteht das wahre Fasten vielmehr darin, den Willen des himmlischen Vaters zu tun, „der ins Verborgene sieht" und „vergelten" wird (Mt 6,18). Jesus selbst bezeugt dies am Ende der vierzig Tage in der Wüste gegenüber dem Satan: „Nicht vom Brot allein lebt der Mensch, sondern von jedem Wort, das aus dem Mund Gottes kommt" (Mt 4,4). Das wahre Fasten richtet sich also auf das Essen der „wahren Nahrung", nämlich: den Willen des Vaters zu tun (vgl. Joh 4,34). Während also einst Adam Gottes Gebot übertrat, „von dem Baum der Erkenntnis des Guten und des Bösen" nicht essen zu dürfen, unterwirft sich nun der Gläubige durch das Fasten Gott in Demut, weil er auf dessen Güte und Barmherzigkeit vertraut.

In der christlichen Urgemeinde gehörte das Fasten zur festen Gewohnheit (vgl. Apg 13,3; 14,22; 27,21; 2 Kor 6,5). Auch die Kirchenväter sprechen von der Wirkkraft des Fastens: Es hält die Sünde in Zaum, dämpft die Begierden des „alten Adams", eröffnet Gott den Weg im Herzen des Gläubigen. Das Fasten ist zudem eine geläufige Übung, die die Heiligen jeder Zeit empfohlen haben. Der heilige Petrus Chrysologus schreibt: „Die Seele des Gebetes ist das Fasten, das Leben des Fastens ist die Barmherzigkeit (…) Wer also betet, der faste auch; wer fastet, übe auch Barmherzigkeit; wer selbst gehört werden will, der höre auf den Bittenden; wer sein Ohr dem Bittenden nicht verschließt, der findet Gehör bei Gott" (Sermo 43: PL 52, 320. 332).

In unseren Tagen scheint das Fasten an geistlicher Bedeutung verloren zu haben; eine Kultur, die von der Suche nach materiellem Wohlstand gekennzeichnet ist, gibt ihm eher den Wert einer therapeutischen Maßnahme zum Besten des Körpers. Fasten dient sicherlich der körperlichen Gesundheit; für die Gläubigen aber ist es in erster Linie eine „Therapie" zur Heilung all dessen, was sie hindert, Gottes Willen anzunehmen. In der Apostolischen Konstitution Pænitemini von 1966 ordnete der Diener Gottes Paul VI. das Fasten der Berufung eines jeden Christen zu, die darin besteht, „nicht mehr für sich selbst [zu] leben, sondern für den, der ihn liebte und sich selbst für ihn hingab, sowie (…) für die Brüder und Schwestern" (vgl. Kap. I). Die Fastenzeit könnte daher eine passende Gelegenheit sein, die Normen der eben erwähnten Konstitution wieder aufzugreifen und so die echte und dauernde Bedeutung dieser alten Bußpraxis aufzuwerten. Sie kann uns dazu verhelfen, unseren Egoismus zu bändigen und das Herz zu weiten für die Liebe zu Gott und zum Nächsten, für das erste und höchste Gebot des Neuen Gesetzes und die Summe des ganzen Evangeliums (Mt 22,34-40).

Unbeirrte Fastenpraxis trägt außerdem dazu bei, Leib und Seele der Person stärker zu vereinen, die Sünde zu meiden und in der Vertrautheit mit Gott zu wachsen. Der Heilige Augustinus, der seine bösen Neigungen gut kannte und sich danach sehnte, „diese mehrfach verschlungene und verwickelte Verknotung" möchte gelöst werden (Bekenntnisse, II, 10.18), schrieb in seiner Abhandlung über den Nutzen des Fastens: „Gewiss, ich töte mich ab, damit er mich schone; ich lege mir Züchtigungen auf, damit er mir zu Hilfe komme, damit ich Wohlgefallen finde in seinen Augen, damit ich ihm, dem Allmächtigen, Freude mache" (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Auf körperliche Speise zu verzichten, die den Leib nährt, fördert die innere Bereitschaft, auf Christus zu hören und sich mit seinem Heilswort zu sättigen. Unser Fasten und Gebet erlauben es ihm, den tiefliegenderen Hunger zu stillen, den wir in unserem Innersten empfinden: den Hunger und Durst nach Gott.

Zugleich lässt uns das Fasten ein wenig von der Situation erfahren, in der viele unserer Brüder leben. In seinem Ersten Brief mahnt der heilige Johannes: „Wenn jemand irdisches Vermögen besitzt, seinen Bruder Not leiden sieht und sein Herz vor ihm verschließt, wie kann in ihm die Gottesliebe bleiben?" (3,17). Freiwillig zu fasten verhilft uns dazu, den guten Samariter nachzuahmen, der sich hinneigt und sich des notleidenden Bruders annimmt (vgl. Enz. Deus caritas est, 15). Freiwilliger Verzicht zum Heil anderer bekundet, dass uns der bedürftige Nächste nicht fremd ist. Um Sensibilität und Fürsorge für die Brüder und Schwestern wach zu halten, ermutige ich die Pfarrgemeinden und jede Gemeinschaft, in der österlichen Bußzeit persönliches und gemeinschaftliches Fasten häufiger zu üben und sich zugleich dem Hören auf Gottes Wort, dem Gebet und der Wohltätigkeit zu widmen. Das war von Anfang an die Lebensart der christlichen Gemeinde, in der besondere Kollekten gehalten (vgl. 2 Kor 8-9; Röm 15,25-27), und die Gläubigen aufgefordert wurden, den Armen das zu geben, was sie dank des Fastens zur Seite gelegt hatten (vgl. Didascalia Ap., V, 20,18). Auch heute muss diese Praxis wiederentdeckt und gefördert werden, vor allem in der Fastenzeit.

Das bislang Gesagte überzeugt davon: Zu fasten ist eine wichtige Form der Askese, eine geistliche Waffe zur Bekämpfung jeder möglichen ungeordneten Anhänglichkeit an uns selbst. Freiwillig auf den Genuss von Nahrung und andere materielle Güter zu verzichten, hilft dem Jünger Christi, das Verlangen der durch die Ursünde geschwächten Natur im Zaum zu halten, deren negative Wirkungen den Menschen als ganzen treffen. Ein alter liturgischer Hymnus der Fastenzeit mahnt: „Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia – Lasst uns maßvoll Wort, Nahrung, Trank, Schlaf und Spiel gebrauchen und mit größerer Aufmerksamkeit wach bleiben".

Liebe Brüder und Schwestern, genau gesehen will – wie der Diener Gottes Papst Johannes Paul II. schrieb – das Fasten letztlich jedem dazu verhelfen, aus sich selbst eine Gabe an Gott zu machen (vgl. Veritatis splendor, 21). Die österliche Bußzeit werde daher in jeder Familie und in jeder christlichen Gemeinde genutzt, all das fernzuhalten, was den Geist ablenkt und all das zu fördern, was die Seele nährt und sie für die Gottes- und Nächstenliebe öffnet. Ich denke hier insbesondere an vermehrten Eifer im Gebet, in der lectio divina, im Empfang des Sakraments der Versöhnung und in der Mitfeier der Eucharistie, vor allem der Sonntagsmesse. Das ist die rechte seelische Bereitschaft, die österliche Bußzeit zu beginnen. Die selige Jungfrau Maria möge uns als Causa nostræ letitiæ – als Ursache unserer Freude – begleiten und uns in unserem Ringen mit der Sünde beistehen, damit unser Herz immer mehr zu einem „lebendigen Tabernakel Gottes" werde. Mit diesem Wunsch sichere ich mein Gebet zu, auf dass alle Gläubigen und jede kirchliche Gemeinschaft den Weg der Fastenzeit mit Gewinn gehen und erteile allen aus ganzem Herzen den Apostolischen Segen.

Aus dem Vatikan, 11 Dezember 2008

BENEDICTUS PP. XVI



TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

¡Queridos hermanos y hermanas!

Al comenzar la Cuaresma, un tiempo que constituye un camino de preparación espiritual más intenso, la Liturgia nos vuelve a proponer tres prácticas penitenciales a las que la tradición bíblica cristiana confiere un gran valor ! la oración, el ayuno y la limosna ! para disponernos a celebrar mejor la Pascua y, de este modo, hacer experiencia del poder de Dios que, como escucharemos en la Vigilia pascual, "ahuyenta los pecados, lava las culpas, devuelve la inocencia a los caídos, la alegría a los tristes, expulsa el odio, trae la concordia, doblega a los poderosos" (Pregón pascual). En mi acostumbrado Mensaje cuaresmal, este año deseo detenerme a reflexionar especialmente sobre el valor y el sentido del ayuno. En efecto, la Cuaresma nos recuerda los cuarenta días de ayuno que el Señor vivió en el desierto antes de emprender su misión pública. Leemos en el Evangelio: "Jesús fue llevado por el Espíritu al desierto para ser tentado por el diablo. Y después de hacer un ayuno durante cuarenta días y cuarenta noches, al fin sintió hambre" (Mt 4,1-2). Al igual que Moisés antes de recibir las Tablas de la Ley (cfr. Ex 34, 8), o que Elías antes de encontrar al Señor en el monte Horeb (cfr. 1R 19,8), Jesús orando y ayunando se preparó a su misión, cuyo inicio fue un duro enfrentamiento con el tentador.

Podemos preguntarnos qué valor y qué sentido tiene para nosotros, los cristianos, privarnos de algo que en sí mismo sería bueno y útil para nuestro sustento. Las Sagradas Escrituras y toda la tradición cristiana enseñan que el ayuno es una gran ayuda para evitar el pecado y todo lo que induce a él. Por esto, en la historia de la salvación encontramos en más de una ocasión la invitación a ayunar. Ya en las primeras páginas de la Sagrada Escritura el Señor impone al hombre que se abstenga de consumir el fruto prohibido: "De cualquier árbol del jardín puedes comer, mas del árbol de la ciencia del bien y del mal no comerás, porque el día que comieres de él, morirás sin remedio" (Gn 2, 16-17). Comentando la orden divina, San Basilio observa que "el ayuno ya existía en el paraíso", y "la primera orden en este sentido fue dada a Adán". Por lo tanto, concluye: "El ‘no debes comer’ es, pues, la ley del ayuno y de la abstinencia" (cfr. Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98). Puesto que el pecado y sus consecuencias nos oprimen a todos, el ayuno se nos ofrece como un medio para recuperar la amistad con el Señor. Es lo que hizo Esdras antes de su viaje de vuelta desde el exilio a la Tierra Prometida, invitando al pueblo reunido a ayunar "para humillarnos ! dijo ! delante de nuestro Dios" (8,21). El Todopoderoso escuchó su oración y aseguró su favor y su protección. Lo mismo hicieron los habitantes de Nínive que, sensibles al llamamiento de Jonás a que se arrepintieran, proclamaron, como testimonio de su sinceridad, un ayuno diciendo: "A ver si Dios se arrepiente y se compadece, se aplaca el ardor de su ira y no perecemos" (3,9). También en esa ocasión Dios vio sus obras y les perdonó.

En el Nuevo Testamento, Jesús indica la razón profunda del ayuno, estigmatizando la actitud de los fariseos, que observaban escrupulosamente las prescripciones que imponía la ley, pero su corazón estaba lejos de Dios. El verdadero ayuno, repite en otra ocasión el divino Maestro, consiste más bien en cumplir la voluntad del Padre celestial, que "ve en lo secreto y te recompensará" (Mt 6,18). Él mismo nos da ejemplo al responder a Satanás, al término de los 40 días pasados en el desierto, que "no solo de pan vive el hombre, sino de toda palabra que sale de la boca de Dios" (Mt 4,4). El verdadero ayuno, por consiguiente, tiene como finalidad comer el "alimento verdadero", que es hacer la voluntad del Padre (cfr. Jn 4,34). Si, por lo tanto, Adán desobedeció la orden del Señor de "no comer del árbol de la ciencia del bien y del mal", con el ayuno el creyente desea someterse humildemente a Dios, confiando en su bondad y misericordia.

La práctica del ayuno está muy presente en la primera comunidad cristiana (cfr. Hch 13,3; 14,22; 27,21; 2Co 6,5). También los Padres de la Iglesia hablan de la fuerza del ayuno, capaz de frenar el pecado, reprimir los deseos del "viejo Adán" y abrir en el corazón del creyente el camino hacia Dios. El ayuno es, además, una práctica recurrente y recomendada por los santos de todas las épocas. Escribe San Pedro Crisólogo: "El ayuno es el alma de la oración, y la misericordia es la vida del ayuno. Por tanto, quien ora, que ayune; quien ayuna, que se compadezca; que preste oídos a quien le suplica aquel que, al suplicar, desea que se le oiga, pues Dios presta oído a quien no cierra los suyos al que le súplica" (Sermo 43: PL 52, 320, 332).

En nuestros días, parece que la práctica del ayuno ha perdido un poco su valor espiritual y ha adquirido más bien, en una cultura marcada por la búsqueda del bienestar material, el valor de una medida terapéutica para el cuidado del propio cuerpo. Está claro que ayunar es bueno para el bienestar físico, pero para los creyentes es, en primer lugar, una "terapia" para curar todo lo que les impide conformarse a la voluntad de Dios. En la Constitución apostólica Pænitemini de 1966, el Siervo de Dios Pablo VI identificaba la necesidad de colocar el ayuno en el contexto de la llamada a todo cristiano a no "vivir para sí mismo, sino para aquél que lo amó y se entregó por él y a vivir también para los hermanos" (cfr. Cap. I). La Cuaresma podría ser una buena ocasión para retomar las normas contenidas en la citada Constitución apostólica, valorizando el significado auténtico y perenne de esta antigua práctica penitencial, que puede ayudarnos a mortificar nuestro egoísmo y a abrir el corazón al amor de Dios y del prójimo, primer y sumo mandamiento de la nueva ley y compendio de todo el Evangelio (cfr. Mt 22,34-40).

La práctica fiel del ayuno contribuye, además, a dar unidad a la persona, cuerpo y alma, ayudándola a evitar el pecado y a acrecer la intimidad con el Señor. San Agustín, que conocía bien sus propias inclinaciones negativas y las definía "retorcidísima y enredadísima complicación de nudos" (Confesiones, II, 10.18), en su tratado La utilidad del ayuno, escribía: "Yo sufro, es verdad, para que Él me perdone; yo me castigo para que Él me socorra, para que yo sea agradable a sus ojos, para gustar su dulzura" (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Privarse del alimento material que nutre el cuerpo facilita una disposición interior a escuchar a Cristo y a nutrirse de su palabra de salvación. Con el ayuno y la oración Le permitimos que venga a saciar el hambre más profunda que experimentamos en lo íntimo de nuestro corazón: el hambre y la sed de Dios.

Al mismo tiempo, el ayuno nos ayuda a tomar conciencia de la situación en la que viven muchos de nuestros hermanos. En su Primera carta San Juan nos pone en guardia: "Si alguno que posee bienes del mundo, ve a su hermano que está necesitado y le cierra sus entrañas, ¿cómo puede permanecer en él el amor de Dios?" (3,17). Ayunar por voluntad propia nos ayuda a cultivar el estilo del Buen Samaritano, que se inclina y socorre al hermano que sufre (cfr. Enc. Deus caritas est, 15). Al escoger libremente privarnos de algo para ayudar a los demás, demostramos concretamente que el prójimo que pasa dificultades no nos es extraño. Precisamente para mantener viva esta actitud de acogida y atención hacia los hermanos, animo a las parroquias y demás comunidades a intensificar durante la Cuaresma la práctica del ayuno personal y comunitario, cuidando asimismo la escucha de la Palabra de Dios, la oración y la limosna. Este fue, desde el principio, el estilo de la comunidad cristiana, en la que se hacían colectas especiales (cfr. 2Co 8-9; Rm 15, 25-27), y se invitaba a los fieles a dar a los pobres lo que, gracias al ayuno, se había recogido (cfr. Didascalia Ap., V, 20,18). También hoy hay que redescubrir esta práctica y promoverla, especialmente durante el tiempo litúrgico cuaresmal.

Lo que he dicho muestra con gran claridad que el ayuno representa una práctica ascética importante, un arma espiritual para luchar contra cualquier posible apego desordenado a nosotros mismos. Privarnos por voluntad propia del placer del alimento y de otros bienes materiales, ayuda al discípulo de Cristo a controlar los apetitos de la naturaleza debilitada por el pecado original, cuyos efectos negativos afectan a toda la personalidad humana. Oportunamente, un antiguo himno litúrgico cuaresmal exhorta: "Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia – Usemos de manera más sobria las palabras, los alimentos y bebidas, el sueño y los juegos, y permanezcamos vigilantes, con mayor atención".

Queridos hermanos y hermanas, bien mirado el ayuno tiene como último fin ayudarnos a cada uno de nosotros, como escribía el Siervo de Dios el Papa Juan Pablo II, a hacer don total de uno mismo a Dios (cfr. Enc. Veritatis Splendor, 21). Por lo tanto, que en cada familia y comunidad cristiana se valore la Cuaresma para alejar todo lo que distrae el espíritu y para intensificar lo que alimenta el alma y la abre al amor de Dios y del prójimo. Pienso, especialmente, en un mayor empeño en la oración, en la lectio divina, en el Sacramento de la Reconciliación y en la activa participación en la Eucaristía, sobre todo en la Santa Misa dominical. Con esta disposición interior entremos en el clima penitencial de la Cuaresma. Que nos acompañe la Beata Virgen María, Causa nostræ laetitiæ, y nos sostenga en el esfuerzo por liberar nuestro corazón de la esclavitud del pecado para que se convierta cada vez más en "tabernáculo viviente de Dios". Con este deseo, asegurando mis oraciones para que cada creyente y cada comunidad eclesial recorra un provechoso itinerario cuaresmal, os imparto de corazón a todos la Bendición Apostólica.

Vaticano, 11 de diciembre de 2008

BENEDICTUS PP. XVI



TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Queridos irmãos e irmãs!

No início da Quaresma, que constitui um caminho de treino espiritual mais intenso, a Liturgia propõe-nos três práticas penitenciais muito queridas à tradição bíblica e cristã – a oração, a esmola, o jejum – a fim de nos predispormos para celebrar melhor a Páscoa e deste modo fazer experiência do poder de Deus que, como ouviremos na Vigília pascal, «derrota o mal, lava as culpas, restitui a inocência aos pecadores, a alegria aos aflitos. Dissipa o ódio, domina a insensibilidade dos poderosos, promove a concórdia e a paz» (Hino pascal). Na habitual Mensagem quaresmal, gostaria de reflectir este ano em particular sobre o valor e o sentido do jejum. De facto a Quaresma traz à mente os quarenta dias de jejum vividos pelo Senhor no deserto antes de empreender a sua missão pública. Lemos no Evangelho: «O Espírito conduziu Jesus ao deserto a fim de ser tentado pelo demónio. Jejuou durante quarenta dias e quarenta noites e, por fim, teve fome» (Mt 4, 1-2). Como Moisés antes de receber as Tábuas da Lei (cf. Êx 34, 28), como Elias antes de encontrar o Senhor no monte Oreb (cf. 1 Rs 19, 8), assim Jesus rezando e jejuando se preparou para a sua missão, cujo início foi um duro confronto com o tentador.

Podemos perguntar que valor e que sentido tem para nós, cristãos, privar-nos de algo que seria em si bom e útil para o nosso sustento. As Sagradas Escrituras e toda a tradição cristã ensinam que o jejum é de grande ajuda para evitar o pecado e tudo o que a ele induz. Por isto, na história da salvação é frequente o convite a jejuar. Já nas primeiras páginas da Sagrada Escritura o Senhor comanda que o homem se abstenha de comer o fruto proibido: «Podes comer o fruto de todas as árvores do jardim; mas não comas o da árvore da ciência do bem e do mal, porque, no dia em que o comeres, certamente morrerás» (Gn 2, 16-17). Comentando a ordem divina, São Basílio observa que «o jejum foi ordenado no Paraíso», e «o primeiro mandamento neste sentido foi dado a Adão». Portanto, ele conclui: «O "não comas" e, portanto, a lei do jejum e da abstinência» (cf. Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98). Dado que todos estamos estorpecidos pelo pecado e pelas suas consequências, o jejum é-nos oferecido como um meio para restabelecer a amizade com o Senhor. Assim fez Esdras antes da viagem de regresso do exílio à Terra Prometida, convidando o povo reunido a jejuar «para nos humilhar – diz – diante do nosso Deus» (8, 21). O Omnipotente ouviu a sua prece e garantiu os seus favores e a sua protecção. O mesmo fizeram os habitantes de Ninive que, sensíveis ao apelo de Jonas ao arrependimento, proclamaram, como testemunho da sua sinceridade, um jejum dizendo: «Quem sabe se Deus não Se arrependerá, e acalmará o ardor da Sua ira, de modo que não pereçamos?» (3, 9). Também então Deus viu as suas obras e os poupou.

No Novo Testamento, Jesus ressalta a razão profunda do jejum, condenando a atitude dos fariseus, os quais observaram escrupulosamente as prescrições impostas pela lei, mas o seu coração estava distante de Deus. O verdadeiro jejum, repete também noutras partes o Mestre divino, é antes cumprir a vontade do Pai celeste, o qual «vê no oculto, recompensar-te-á» (Mt 6, 18). Ele próprio dá o exemplo respondendo a satanás, no final dos 40 dias transcorridos no deserto, que «nem só de pão vive o homem, mas de toda a palavra que sai da boca de Deus» (Mt 4, 4). O verdadeiro jejum finaliza-se portanto a comer o «verdadeiro alimento», que é fazer a vontade do Pai (cf. Jo 4, 34). Portanto, se Adão desobedeceu ao mandamento do Senhor «de não comer o fruto da árvore da ciência do bem e do mal», com o jejum o crente deseja submeter-se humildemente a Deus, confiando na sua bondade e misericórdia.

Encontramos a prática do jejum muito presente na primeira comunidade cristã (cf. Act 13, 3; 14, 22; 27, 21; 2 Cor 6, 5). Também os Padres da Igreja falam da força do jejum, capaz de impedir o pecado, de reprimir os desejos do «velho Adão», e de abrir no coração do crente o caminho para Deus. O jejum é também uma prática frequente e recomendada pelos santos de todas as épocas. Escreve São Pedro Crisólogo: «O jejum é a alma da oração e a misericórdia é a vida do jejum, portanto quem reza jejue. Quem jejua tenha misericórdia. Quem, ao pedir, deseja ser atendido, atenda quem a ele se dirige. Quem quer encontrar aberto em seu benefício o coração de Deus não feche o seu a quem o suplica» (Sermo 43; PL 52, 320.332).

Nos nossos dias, a prática do jejum parece ter perdido um pouco do seu valor espiritual e ter adquirido antes, numa cultura marcada pela busca da satisfação material, o valor de uma medida terapêutica para a cura do próprio corpo. Jejuar sem dúvida é bom para o bem-estar, mas para os crentes é em primeiro lugar uma «terapia» para curar tudo o que os impede de se conformarem com a vontade de Deus. Na Constituição apostólica Paenitemini de 1966, o Servo de Deus Paulo VI reconhecia a necessidade de colocar o jejum no contexto da chamada de cada cristão a «não viver mais para si mesmo, mas para aquele que o amou e se entregou a si por ele, e... também a viver pelos irmãos» (Cf. Cap. I). A Quaresma poderia ser uma ocasião oportuna para retomar as normas contidas na citada Constituição apostólica, valorizando o significado autêntico e perene desta antiga prática penitencial, que pode ajudar-nos a mortificar o nosso egoísmo e a abrir o coração ao amor de Deus e do próximo, primeiro e máximo mandamento da nova Lei e compêndio de todo o Evangelho (cf. Mt 22, 34-40).

A prática fiel do jejum contribui ainda para conferir unidade à pessoa, corpo e alma, ajudando-a a evitar o pecado e a crescer na intimidade com o Senhor. Santo Agostinho, que conhecia bem as próprias inclinações negativas e as definia «nó complicado e emaranhado» (Confissões, II, 10.18), no seu tratado A utilidade do jejum, escrevia: «Certamente é um suplício que me inflijo, mas para que Ele me perdoe; castigo-me por mim mesmo para que Ele me ajude, para aprazer aos seus olhos, para alcançar o agrado da sua doçura» (Sermo 400, 3, 3: L 40, 708). Privar-se do sustento material que alimenta o corpo facilita uma ulterior disposição para ouvir Cristo e para se alimentar da sua palavra de salvação. Com o jejum e com a oração permitimos que Ele venha saciar a fome mais profunda que vivemos no nosso íntimo: a fome e a sede de Deus.

Ao mesmo tempo, o jejum ajuda-nos a tomar consciência da situação na qual vivem tantos irmãos nossos. Na sua Primeira Carta São João admoesta: «Aquele que tiver bens deste mundo e vir o seu irmão sofrer necessidade, mas lhe fechar o seu coração, como estará nele o amor de Deus?» (3, 17). Jejuar voluntariamente ajuda-nos a cultivar o estilo do Bom Samaritano, que se inclina e socorre o irmão que sofre (cf. Enc. Deus caritas est, 15). Escolhendo livremente privar-nos de algo para ajudar os outros, mostramos concretamente que o próximo em dificuldade não nos é indiferente. Precisamente para manter viva esta atitude de acolhimento e de atenção para com os irmãos, encorajo as paróquias e todas as outras comunidades a intensificar na Quaresma a prática do jejum pessoal e comunitário, cultivando de igual modo a escuta da Palavra de Deus, a oração e a esmola. Foi este, desde o início o estilo da comunidade cristã, na qual eram feitas colectas especiais (cf. 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), e os irmãos eram convidados a dar aos pobres quanto, graças ao jejum, tinham poupado (cf. Didascalia Ap., V, 20, 18). Também hoje esta prática deve ser redescoberta e encorajada, sobretudo durante o tempo litúrgico quaresmal.

De quanto disse sobressai com grande clareza que o jejum representa uma prática ascética importante, uma arma espiritual para lutar contra qualquer eventual apego desordenado a nós mesmos. Privar-se voluntariamente do prazer dos alimentos e de outros bens materiais, ajuda o discípulo de Cristo a controlar os apetites da natureza fragilizada pela culpa da origem, cujos efeitos negativos atingem toda a personalidade humana. Exorta oportunamente um antigo hino litúrgico quaresmal: «Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arcitius / perstemus in custodia – Usemos de modo mais sóbrio palavras, alimentos, bebidas, sono e jogos, e permaneçamos mais atentamente vigilantes».

Queridos irmãos e irmãos, considerando bem, o jejum tem como sua finalidade última ajudar cada um de nós, como escrevia o Servo de Deus Papa João Paulo II, a fazer dom total de si a Deus (cf. Enc. Veritatis splendor, 21). A Quaresma seja portanto valorizada em cada família e em cada comunidade cristã para afastar tudo o que distrai o espírito e para intensificar o que alimenta a alma abrindo-a ao amor de Deus e do próximo. Penso em particular num maior compromisso na oração, na lectio divina, no recurso ao Sacramento da Reconciliação e na participação activa na Eucaristia, sobretudo na Santa Missa dominical. Com esta disposição interior entremos no clima penitencial da Quaresma. Acompanhe-nos a Bem-Aventurada Virgem Maria, Causa nostrae laetitiae, e ampare-nos no sforço de libertar o nosso coração da escravidão do pecado para o tornar cada vez mais «tabernáculo vivo de Deus». Com estes votos, ao garantir a minha oração para que cada crente e comunidade eclesial percorra um proveitoso itinerário quaresmal, concedo de coração a todos a Bênção Apostólica.

Vaticano, 11 de Dezembro de 2008.

BENEDICTUS PP. XVI

04/02/2009 16:12
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LE UDIENZE

Il Santo Padre Benedetto XVI riceve oggi pomeriggio in Udienza:

Em.mo Card. Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum".




RINUNCE E NOMINE

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Sosnowiec (Polonia) il Rev.mo Mons. Grzegorz Kaszak, del clero dell’arcidiocesi di Szczecin-Kamień, finora Segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

Rev.mo Mons. Grzegorz Kaszak

Il Rev.mo Mons. Grzegorz Kaszak è nato il 24 febbraio 1964 a Choszczno (arcidiocesi di Szczecin-Kamień). Terminati gli studi presso il Seminario Maggiore di Szczecin, è stato ordinato sacerdote il 18 giugno 1989.

Per sei mesi ha esercitato il ministero di cappellano nella parrocchia di Sant’Adalberto a Świnoujście-Warszów, quindi a Roma ha iniziato gli studi di Teologia morale presso la Pontificia Università della Santa Croce. Per 10 anni (1992-2002) ha lavorato presso il Pontificio Consiglio per la Famiglia. In quel periodo, nel 1998, ha conseguito il Dottorato in Teologia morale con una tesi dal titolo: "Amore responsabile e contraccezione nelle Catechesi di Giovanni Paolo II".

Negli anni 2002-2007 è stato Rettore del Pontificio Istituto Ecclesiastico Polacco a Roma.

Nel 2007 Mons. Kaszak è stato nominato Segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

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L’UDIENZA GENERALE


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, concludendo il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato sulla sua morte e sulla sua eredità.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi il Santo Padre ha rivolto un appello sulla situazione in Sri Lanka.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

la serie delle nostre catechesi sulla figura di san Paolo è arrivata alla sua conclusione: vogliamo parlare oggi del termine della sua vita terrena. L'antica tradizione cristiana testimonia unanimemente che la morte di Paolo avvenne in conseguenza del martirio subito qui a Roma. Gli scritti del Nuovo Testamento non ci riportano il fatto. Gli Atti degli Apostoli terminano il loro racconto accennando alla condizione di prigionia dell'Apostolo, che poteva tuttavia accogliere tutti quelli che andavano da lui (cfr At 28,30-31). Solo nella seconda Lettera a Timoteo troviamo queste sue parole premonitrici: "Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele" (2 Tm 4,6; cfr Fil 2,17). Si usano qui due immagini, quella cultuale del sacrificio, che aveva usato già nella Lettera ai Filippesi interpretando il martirio come parte del sacrificio di Cristo, e quella marinaresca del mollare gli ormeggi: due immagini che insieme alludono discretamente all'evento della morte e di una morte cruenta.

La prima testimonianza esplicita sulla fine di san Paolo ci viene dalla metà degli anni 90 del secolo I, quindi poco più di tre decenni dopo la sua morte effettiva. Si tratta precisamente della Lettera che la Chiesa di Roma, con il suo Vescovo Clemente I, scrisse alla Chiesa di Corinto. In quel testo epistolare si invita a tenere davanti agli occhi l'esempio degli Apostoli, e, subito dopo aver menzionato il martirio di Pietro, si legge così: "Per la gelosia e la discordia Paolo fu obbligato a mostrarci come si consegue il premio della pazienza. Arrestato sette volte, esiliato, lapidato, fu l'araldo di Cristo nell'Oriente e nell'Occidente, e per la sua fede si acquistò una gloria pura. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, e dopo essere giunto fino all'estremità dell'occidente, sostenne il martirio davanti ai governanti; così partì da questo mondo e raggiunse il luogo santo, divenuto con ciò il più grande modello di pazienza" (1 Clem 5,2). La pazienza di cui parla è espressione della sua comunione alla passione di Cristo, della generosità e costanza con la quale ha accettato un lungo cammino di sofferenza, così da poter dire: «Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo» (Gal. 6,17). Abbiamo sentito nel testo di san Clemente che Paolo sarebbe arrivato fino all'«estremità dell'occidente». Si discute se questo sia un accenno a un viaggio in Spagna che san Paolo avrebbe fatto. Non esiste certezza su questo, ma è vero che san Paolo nella sua Lettera ai Romani esprime la sua intenzione di andare in Spagna (cfr Rm 15,24).

Molto interessante invece è nella lettera di Clemente il succedersi dei due nomi di Pietro e di Paolo, anche se essi verranno invertiti nella testimonianza di Eusebio di Cesarea del secolo IV, che parlando dell'imperatore Nerone scriverà: "Durante il suo regno Paolo fu decapitato proprio a Roma e Pietro vi fu crocifisso. Il racconto è confermato dal nome di Pietro e di Paolo, che è ancor oggi conservato sui loro sepolcri in quella città" (Hist. eccl. 2,25,5). Eusebio poi continua riportando l’antecedente dichiarazione di un presbitero romano di nome Gaio, risalente agli inizi del secolo II: "Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli: se andrai al Vaticano o sulla Via Ostiense, vi troverai i trofei dei fondatori della Chiesa" (ibid. 2,25,6-7). I "trofei" sono i monumenti sepolcrali, e si tratta delle stesse sepolture di Pietro e di Paolo, che ancora oggi noi veneriamo dopo due millenni negli stessi luoghi: sia qui in Vaticano per quanto riguarda san Pietro, sia nella Basilica di san Paolo Fuori le Mura sulla Via Ostiense per quanto riguarda l'Apostolo delle genti.

È interessante rilevare che i due grandi Apostoli sono menzionati insieme. Anche se nessuna fonte antica parla di un loro contemporaneo ministero a Roma, la successiva coscienza cristiana, sulla base del loro comune seppellimento nella capitale dell'impero, li assocerà anche come fondatori della Chiesa di Roma. Così infatti si legge in Ireneo di Lione, verso la fine del II secolo, a proposito della successione apostolica nelle varie Chiese: "Poiché sarebbe troppo lungo enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo" (Adv. haer. 3,3,2).

Lasciamo però da parte adesso la figura di Pietro e concentriamoci su quella di Paolo. Il suo martirio viene raccontato per la prima volta dagli Atti di Paolo, scritti verso la fine del II secolo. Essi riferiscono che Nerone lo condannò a morte per decapitazione, eseguita subito dopo (cfr 9,5). La data della morte varia già nelle fonti antiche, che la pongono tra la persecuzione scatenata da Nerone stesso dopo l’incendio di Roma nel luglio del 64 e l’ultimo anno del suo regno, cioè il 68 (cfr Gerolamo, De viris ill. 5,8). Il calcolo dipende molto dalla cronologia dell’arrivo di Paolo a Roma, una discussione nella quale non possiamo qui entrare. Tradizioni successive preciseranno due altri elementi. L’uno, il più leggendario, è che il martirio avvenne alle Acquae Salviae, sulla Via Laurentina, con un triplice rimbalzo della testa, ognuno dei quali causò l'uscita di un fiotto d'acqua, per cui il luogo fu detto fino ad oggi "Tre Fontane" (Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo Marcello, del secolo V). L’altro, in consonanza con l'antica testimonianza, già menzionata, del presbitero Gaio, è che la sua sepoltura avvenne non solo "fuori della città... al secondo miglio sulla Via Ostiense", ma più precisamente "nel podere di Lucina", che era una matrona cristiana (Passione di Paolo dello Pseudo Abdia, del secolo VI). Qui, nel secolo IV, l’imperatore Costantino eresse una prima chiesa, poi grandemente ampliata tra secolo IV e V dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio. Dopo l’incendio del 1800, fu qui eretta l’attuale basilica di San Paolo fuori le Mura.

In ogni caso, la figura di san Paolo grandeggia ben al di là della sua vita terrena e della sua morte; egli infatti ha lasciato una straordinaria eredità spirituale. Anch’egli, come vero discepolo di Gesù, divenne segno di contraddizione. Mentre tra i cosiddetti "ebioniti" – una corrente giudeo-cristiana – era considerato come apostata dalla legge mosaica, già nel libro degli Atti degli Apostoli appare una grande venerazione verso l’Apostolo Paolo. Vorrei prescindere ora dalla letteratura apocrifa, come gli Atti di Paolo e Tecla e un epistolario apocrifo tra l’Apostolo Paolo e il filosofo Seneca. Importante è constatare soprattutto che ben presto le Lettere di san Paolo entrano nella liturgia, dove la struttura profeta-apostolo-Vangelo è determinante per la forma della liturgia della Parola. Così, grazie a questa "presenza" nella liturgia della Chiesa, il pensiero dell’Apostolo diventa da subito nutrimento spirituale dei fedeli di tutti i tempi.

E’ ovvio che i Padri della Chiesa e poi tutti i teologi si sono nutriti delle Lettere di san Paolo e della sua spiritualità. Egli è così rimasto nei secoli, fino ad oggi, il vero maestro e apostolo delle genti. Il primo commento patristico, a noi pervenuto, su uno scritto del Nuovo Testamento è quello del grande teologo alessandrino Origene, che commenta la Lettera di Paolo ai Romani. Tale commento purtroppo è conservato solo in parte. San Giovanni Crisostomo, oltre a commentare le sue Lettere, ha scritto di lui sette Panegirici memorabili. Sant'Agostino dovrà a lui il passo decisivo della propria conversione, e a Paolo egli ritornerà durante tutta la sua vita. Da questo dialogo permanente con l’Apostolo deriva la sua grande teologia cattolica e anche per quella protestante di tutti i tempi. San Tommaso d’Aquino ci ha lasciato un bel commento alle Lettere paoline, che rappresenta il frutto più maturo dell'esegesi medioevale. Una vera svolta si verificò nel secolo XVI con la Riforma protestante. Il momento decisivo nella vita di Lutero fu il cosiddetto «Turmerlebnis», (1517) nel quale in un attimo egli trovò una nuova interpretazione della dottrina paolina della giustificazione. Una interpretazione che lo liberò dagli scrupoli e dalle ansie della sua vita precedente e gli diede una nuova, radicale fiducia nella bontà di Dio che perdona tutto senza condizione. Da quel momento Lutero identificò il legalismo giudeo-cristiano, condannato dall'Apostolo, con l'ordine di vita della Chiesa cattolica. E la Chiesa gli apparve quindi come espressione della schiavitù della legge alla quale oppose la libertà del Vangelo. Il Concilio di Trento, dal 1545 al 1563, interpretò in modo profondo la questione della giustificazione e trovò nella linea di tutta la tradizione cattolica la sintesi tra legge e Vangelo, in conformità col messaggio della Sacra Scrittura letta nella sua totalità e unità.

Il secolo XIX, raccogliendo l’eredità migliore dell'Illuminismo, conobbe una nuova reviviscenza del paolinismo adesso soprattutto sul piano del lavoro scientifico sviluppato dall'interpretazione storico-critica della Sacra Scrittura. Prescindiamo qui dal fatto che anche in quel secolo, come poi nel secolo ventesimo, emerse una vera e propria denigrazione di san Paolo. Penso soprattutto a Nietsche che derideva la teologia dell'umiltà di san Paolo, opponendo ad essa la sua teologia dell'uomo forte e potente. Però prescindiamo da questo e vediamo la corrente essenziale della nuova interpretazione scientifica della Sacra Scrittura e del nuovo paolinismo di tale secolo. Qui è stato sottolineato soprattutto come centrale nel pensiero paolino il concetto di libertà: in esso è stato visto il cuore del pensiero paolino, come del resto aveva già intuito Lutero. Ora però il concetto di libertà veniva reinterpretato nel contesto del liberalismo moderno. E poi è sottolineata fortemente la differenziazione tra l'annuncio di san Paolo e l'annuncio di Gesù. E san Paolo appare quasi come un nuovo fondatore del cristianesimo. Vero è che in san Paolo la centralità del Regno di Dio, determinante per l'annuncio di Gesù, viene trasformata nella centralità della cristologia, il cui punto determinante è il mistero pasquale. E dal mistero pasquale risultano i Sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia, come presenza permanente di questo mistero, dal quale cresce il Corpo di Cristo, si costruisce la Chiesa. Ma direi, senza entrare adesso in dettagli, che proprio nella nuova centralità della cristologia e del mistero pasquale si realizza il Regno di Dio, diventa concreto, presente, operante l'annuncio autentico di Gesù. Abbiamo visto nelle catechesi precedenti che proprio questa novità paolina è la fedeltà più profonda all'annuncio di Gesù. Nel progresso dell'esegesi, soprattutto negli ultimi duecento anni, crescono anche le convergenze tra esegesi cattolica ed esegesi protestante realizzando così un notevole consenso proprio nel punto che fu all’origine del massimo dissenso storico. Quindi una grande speranza per la causa dell'ecumenismo, così centrale per il Concilio Vaticano II.

Brevemente vorrei alla fine ancora accennare ai vari movimenti religiosi, sorti in età moderna all’interno della Chiesa cattolica, che si rifanno al nome di san Paolo. Così è avvenuto nel secolo XVI con la "Congregazione di san Paolo" detta dei Barnabiti, nel secolo XIX con i "Missionari di san Paolo" o Paulisti, e nel secolo XX con la poliedrica "Famiglia Paolina" fondata dal Beato Giacomo Alberione, per non dire dell'Istituto Secolare della "Compagnia di san Paolo". In buona sostanza, resta luminosa davanti a noi la figura di un apostolo e di un pensatore cristiano estremamente fecondo e profondo, dal cui accostamento ciascuno può trarre giovamento. In uno dei suoi panegirici, San Giovanni Crisostomo instaurò un originale paragone tra Paolo e Noè, esprimendosi così: Paolo "non mise insieme delle assi per fabbricare un'arca; piuttosto, invece di unire delle tavole di legno, compose delle lettere e così strappò di mezzo ai flutti, non due, tre o cinque membri della propria famiglia, ma l'intera ecumene che era sul punto di perire" (Paneg. 1,5). Proprio questo può ancora e sempre fare l’apostolo Paolo. Attingere a lui, tanto al suo esempio apostolico quanto alla sua dottrina, sarà quindi uno stimolo, se non una garanzia, per il consolidamento dell’identità cristiana di ciascuno di noi e per il ringiovanimento dell’intera Chiesa.



SINTESI DELLA CATECHESI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Sintesi della catechesi in lingua francese

Chers Frères et Sœurs,

Le premier témoignage sur la fin de la vie de saint Paul se trouve dans la Lettre de l’Évêque de Rome, Clément, à l’Église de Corinthe, vers 90. Son martyre nous est raconté pour la première fois dans les Actes de Paul, écrits vers la fin du deuxième siècle, qui rapportent que Néron le condamna à être décapité, ce qui fut exécuté aussitôt, entre l’an 64 et 68. Une autre tradition situe le lieu du martyre sur la via Laurentina, au lieu dit aujourd’hui Tre fontane. Selon un antique témoignage, la sépulture de l’Apôtre, se trouve sur la Via Ostiense, où l’empereur Constantin érigea une première église qui fut agrandie par la suite. C’est l’actuelle Basilique Saint-Paul hors-les-murs.

Saint Paul nous a laissé un héritage extraordinaire et, depuis les Pères de l’Église, de nombreux commentaires lui ont été consacrés. Plus récemment, un renouveau paulinien a permis des études scientifiques, présentant sa forte personnalité d’apôtre généreux et de penseur original. Divers mouvements religieux catholiques se réfèrent à son nom. Saint Paul demeure un apôtre et un penseur chrétien très fécond. Revenir à lui, à son exemple et à sa doctrine est un stimulant et une garantie pour consolider notre identité chrétienne et pour le rajeunissement de l’Église.

Je suis heureux de vous accueillir, chers pèlerins francophones. Je salue particulièrement le groupe des Ukrainiens de Belgique, les séminaristes de Liège, Tournai et Malines-Bruxelles, ainsi que les responsables et les lecteurs de la Documentation catholique venus à Rome célébrer le quatre-vingt dixième anniversaire de la revue. Que l’exemple de saint Paul soit pour vous tous un stimulant pour votre amour de l’Église et pour votre fidélité envers son enseignement. Que Dieu vous bénisse !


○ Sintesi della catechesi in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

Concluding our catechesis on Saint Paul today, we look briefly at the end of his earthly life and his ongoing legacy. Though there is no account of Paul’s death in the New Testament, a strong tradition holds that he was martyred in Rome during the reign of Nero and buried along the Via Ostiense on the site of the present Basilica of Saint Paul Outside the Walls. Saint Clement of Rome, in a first-century letter to the Corinthians, extols Paul’s patience in suffering as a model for all Christians to imitate. Paul himself alluded to his agony in sacrificial terms when he wrote: "for I am already being poured out like a libation, and the time of my departure is at hand" (2 Tim 4:6). Paul’s writings have inspired countless commentaries through the centuries. New studies continue to shed light on his character, the churches he founded and the Gospel he preached. Paul was a generous apostle and an original thinker,but not the "new founder" of Christianity, as some have claimed. By listening to his teaching, may we be strengthened in our commitment to Christ, so as to take part joyfully in the Church’s mission of evangelization!

I am pleased to greet the English-speaking visitors present at today’s audience. I particularly welcome students from the Bossey Graduate School of Ecumenical Studies in Geneva, as well as pilgrims from Hong Kong and the United States of America. God bless you all!


○ Sintesi della catechesi in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern!

In den Mittwochskatechesen der vergangenen Monate haben wir uns mit dem Leben des Apostels Paulus und seiner Verkündigung beschäftigt. Diese Themenreihe wollen wir nun mit einem Blick auf sein Lebensende und auf die unmittelbare Nachwirkung seiner Gestalt beschließen. Die Quellen berichten einhellig, daß Paulus hier in Rom den Märtyrertod erlitten hat. Schon im 2. Timotheusbrief wird dies angedeutet: „Denn ich werde nunmehr geopfert, und die Zeit meines Aufbruchs ist nahe" (4, 6). Der sogenannte Klemensbrief, der wohl um das Jahr 96 hier in Rom abgefaßt wurde, erwähnt, daß Paulus vor den Herrschenden das Martyrium erlitten hat. Die Paulusakten vom Ende des 2. Jahrhunderts sprechen davon, daß Kaiser Nero die Enthauptung von Paulus befohlen hat und dieses Urteil sogleich vollstreckt wurde. Später faßbare Traditionen geben einen Hinweis auf den möglichen Ort der Hinrichtung – Tre Fontane, wie er entsprechend der Legende heißt, nach der das Haupt des Heiligen dreimal aufgeschlagen ist und dort drei Quellen entsprungen sind – wie auch auf die Begräbnisstätte, über der sich heute die Basilika Sankt Paul vor den Mauern erhebt. Schon von frühester Zeit an wird Paulus gemeinsam mit Petrus als Gründer der Kirche von Rom verehrt, auch wenn es keinen direkten Anhaltspunkt für eine direkte Zusammenarbeit gibt. Aber es wird damit die Bedeutung des Apostels zu Ausdruck gebracht, der immer wieder Menschen inspiriert hat, sich als Christen zu bewähren und das Antlitz der Kirche durch ihr Wirken zu verjüngen.

Von Herzen grüße ich die Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache. Der Apostel Paulus macht uns deutlich, daß Gott es ist, der in uns das Wollen und das Vollbringen bewirkt, noch über unseren guten Willen hinaus (vgl. Phil 2, 13). Vertrauen wir uns Gottes guter Führung an und helfen wir, den Frieden und das Gemeinwohl in der Welt zu verbreiten. Der Herr schenke euch dazu seine Gnade.


○ Sintesi della catechesi in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

Con la audiencia de hoy sobre el martirio de San Pablo, damos por terminada la serie de catequesis que durante este año paulino hemos dedicado a profundizar en la figura del Apóstol.

Escribiendo a su amigo y colaborador Timoteo, Pablo vislumbra el final de su vida con estas palabras premonitoras: "Yo estoy a punto de ser sacrificado y el momento de mi partida es inminente" (2 Tim 4, 6). El Apóstol tenía ya conciencia de que su servicio al Evangelio estaba a punto de concluir por medio de su muerte cruenta, de su martirio. Así fue. Según los distintos estudios de las fuentes antiguas, la condena a muerte del Apóstol debió producirse en la época de Nerón, entre el año 64 y 68. Fue decapitado en el lugar conocido como Tre fontane, aquí en la ciudad de Roma y, según estas mismas tradiciones, su sepulcro se encuentra en la Via Ostiense, donde todavía hoy se levanta la Basílica de San Pablo Extramuros.

Pero, más allá de los hechos que determinaron su muerte, San Pablo ha dejado una profunda huella en la tradición de la Iglesia y una extraordinaria herencia de enseñanzas cristianas. En la actualidad, como en todas las épocas, encontramos maestros y teólogos, santos y fundadores, que han bebido y beben de sus escritos y de su ejemplo.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de las parroquias de San Marcos y San Rafael, de Jerez de la Frontera, y de San Francisco de Asís, de San Fernando. Que la figura siempre luminosa de San Pablo nos ayude también a nosotros a renovar nuestra vida cristiana. Muchas gracias.



SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Saluto in lingua polacca

Witam serdecznie pielgrzymów polskich. Wyrażam radość, że w Roku Świętego Pawła tak chętnie przybywacie do Rzymu, by poznać miejsca uświęcone jego obecnością, nauczaniem i męczeńską śmiercią. Niech to pielgrzymowanie pogłębi waszą wiarę i sprawi, by tak, jak dla świętego Pawła, tak i dla was, Chrystus stał się wszystkim w życiu. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

[Saluto cordialmente i pellegrini Polacchi. Mi rallegra il fatto che nell’Anno dedicato a San Paolo giungiate così volentieri a Roma per conoscere i luoghi santificati dalla sua presenza, dalla sua predicazione e dal suo martirio. Che questo pellegrinaggio approfondisca la vostra fede e faccia sì che come per San Paolo, così anche per voi, Cristo diventi la totalità della vostra vita. Sia lodato Gesù Cristo.]


○ Saluto in lingua croata

Srdačnu dobrodošlicu upućujem dragim hrvatskim hodočasnicima, a posebno vjernicima iz župe Svetoga Ilije iz Kiseljaka. Baština i apostolski primjer svetoga Pavla neka budu temelj i poticaj vašega kršćanskog svjedočenja i življenja. Hvaljen Isus i Marija!

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini croati, particolarmente ai fedeli della parrocchia di San Elia di Kiseljak. L’eredità e l’esempio apostolico di San Paolo siano il fondamento e lo stimolo della vostra vita e testimonianza cristiana. Siano lodati Gesù e Maria!]


○ Saluto in lingua italiana

Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Seminaristi della diocesi di La Spezia-Sarzana-Brugnato, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Francesco Moraglia, e quelli del Seminario Interdiocesano della Basilicata. Cari amici, vi esorto a fondare la vostra vita sulla salda roccia della Parola di Dio, per esserne coraggiosi annunciatori agli uomini del nostro tempo. Saluto le Missionarie Catechiste del Sacro Cuore, che celebrano il centenario di fondazione del loro Istituto, ed assicuro un ricordo speciale nella preghiera perché possano rispondere con generosità alla chiamata del Signore.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Ricorre in questi giorni la memoria liturgica di alcuni martiri, san Biagio, sant’Agata e san Paolo Miki e compagni giapponesi. Il coraggio di questi intrepidi testimoni di Cristo aiuti voi, cari giovani, ad aprire il cuore all’eroismo della santità; sostenga voi, cari malati, ad offrire il dono prezioso della preghiera e della sofferenza per la Chiesa; e dia a voi, cari sposi novelli, la forza di improntare le vostre famiglie ai perenni valori cristiani.



APPELLO DEL SANTO PADRE

Continua a destare preoccupazione la situazione nello Sri Lanka.

Le notizie dell'incrudelirsi del conflitto e del crescente numero di vittime innocenti mi inducono a rivolgere un pressante appello ai combattenti affinché rispettino il diritto umanitario e la libertà di movimento della popolazione, facciano il possibile per garantire l'assistenza ai feriti e la sicurezza dei civili e consentano il soddisfacimento delle loro urgenti necessità alimentari e mediche.

La Vergine Santa di Madhu, molto venerata dai cattolici e anche dagli appartenenti ad altre religioni, affretti il giorno della pace e della riconciliazione in quel caro Paese.

06/02/2009 20:04
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LE UDIENZE

Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza:

Ecc.mi Presuli della Conferenza Episcopale della Nigeria, in Visita "ad Limina Apostolorum":

S.E. Mons. Martin Dada Abejide Olorunmolu, Vescovo di Lokoja;

S.E. Mons. Athanasius Atule Usuh, Vescovo di Makurdi

con l’Ausiliare:

S.E. Mons. William Avenya, Vescovo tit. di Tucca di Mauritania;

S.E. Mons. Michael Ekwoy Apochi, Vescovo di Otukpo;

S.E. Mons. Joseph Edra Ukpo, Arcivescovo di Calabar;

S.E. Mons. Camillus Archibong Etokudoh, Vescovo di Ikot Ekpene;

S.E. Mons. John Ebebe Ayah, Vescovo di Ogoja.

07/02/2009 15:45
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LE UDIENZE

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in Udienza:

Em.mo Card. Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi;

Ecc.mi Presuli della Conferenza Episcopale della Nigeria, in Visita "ad Limina Apostolorum":

S.E. Mons. Alexius Obabu Makozi, Vescovo di Port Harcourt;

S.E. Mons. Joseph Effiong Ekuwem, Vescovo di Uyo;

S.E. Mons. Felix Alaba Adeosin Job, Arcivescovo di Ibadan;

S.E. Mons. Michael Patrick Olatunji Fagun, Vescovo di Ekiti

con il Coadiutore:

S.E. Mons. Felix Femi Ajakaye.





RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA DEL VESCOVO DI VILLARRICA (CILE) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Villarrica (Cile), presentata da S.E. Mons. Sixto José Parzinger Foidl, O.F.M. Cap., in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Villarrica (Cile) il Rev.do Francisco Javier Stegmeier Schmidlin, del clero della diocesi di Los Ángeles (Cile), finora Rettore del Seminario Metropolitano di Concepción.

Rev.do Francisco Javier Stegmeier Schmidlin

Il Rev.do Francisco Javier Stegmeier Schmidlin è nato a Los Ángeles (Cile) il 19 maggio 1962. Ha compiuto gli studi ecclesiastici nel Seminario Maggiore "San Rafael" della diocesi di Valparaiso. Ha ottenuto la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma.

Ordinato sacerdote il 3 dicembre 1988, per il clero della diocesi di Los Ángeles, ha svolto diversi incarichi: Servizio pastorale nella Parrocchia del Buon Pastore, Parroco della "Sagrada Familia de Los Ángeles", Professore del Seminario Maggiore Metropolitano di Concepción, Professore dell’Istituto di Teologia della Pontificia Università della "Santísima Concepción", Cappellano del Monastero delle Clarisse di Los Ángeles e, dal 2006, Rettore del Seminario Maggiore Metropolitano di Concepción.



NOMINA DEL NUNZIO APOSTOLICO IN BOTSWANA

Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Botswana S.E. Mons. James Patrick Green, Arcivescovo titolare di Altino, Nunzio Apostolico in Sud Africa, Lesotho e Namibia.





07/02/2009 15:45
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELLA 17a GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI in occasione della 17a Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2009), che quest’anno sarà celebrata a livello diocesano:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

la Giornata Mondiale del Malato, che ricorre il prossimo 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, vedrà le Comunità diocesane riunirsi con i propri Vescovi in momenti di preghiera, per riflettere e decidere iniziative di sensibilizzazione circa la realtà della sofferenza. L’Anno Paolino, che stiamo celebrando, offre l’occasione propizia per soffermarsi a meditare con l’apostolo Paolo sul fatto che, "come abbondano le sofferenze del Cristo in noi, così per mezzo di Cristo abbonda anche la nostra consolazione" (2 Cor 1,5). Il collegamento spirituale con Lourdes richiama inoltre alla mente la materna sollecitudine della Madre di Gesù per i fratelli del suo Figlio "ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata" (Lumen gentium, 62).

Quest’anno la nostra attenzione si volge particolarmente ai bambini, le creature più deboli e indifese e, tra questi, ai bambini malati e sofferenti. Ci sono piccoli esseri umani che portano nel corpo le conseguenze di malattie invalidanti, ed altri che lottano con mali oggi ancora inguaribili nonostante il progresso della medicina e l’assistenza di validi ricercatori e professionisti della salute. Ci sono bambini feriti nel corpo e nell’anima a seguito di conflitti e guerre, ed altri vittime innocenti dell’odio di insensate persone adulte. Ci sono ragazzi "di strada", privati del calore di una famiglia ed abbandonati a se stessi, e minori profanati da gente abietta che ne viola l’innocenza, provocando in loro una piaga psicologica che li segnerà per il resto della vita. Non possiamo poi dimenticare l’incalcolabile numero dei minori che muoiono a causa della sete, della fame, della carenza di assistenza sanitaria, come pure i piccoli esuli e profughi dalla propria terra con i loro genitori alla ricerca di migliori condizioni di vita. Da tutti questi bambini si leva un silenzioso grido di dolore che interpella la nostra coscienza di uomini e di credenti.

La comunità cristiana, che non può restare indifferente dinanzi a così drammatiche situazioni, avverte l’impellente dovere di intervenire. La Chiesa, infatti, come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est, "è la famiglia di Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario" (25, b). Auspico, pertanto, che anche la Giornata Mondiale del Malato offra l’opportunità alle comunità parrocchiali e diocesane di prendere sempre più coscienza di essere "famiglia di Dio", e le incoraggi a rendere percepibile nei villaggi, nei quartieri e nelle città l’amore del Signore, il quale chiede "che nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perché nel bisogno" (ibid.). La testimonianza della carità fa parte della vita stessa di ogni comunità cristiana. E fin dall’inizio la Chiesa ha tradotto in gesti concreti i principi evangelici, come leggiamo negli Atti degli Apostoli. Oggi, date le mutate condizioni dell’assistenza sanitaria, si avverte il bisogno di una più stretta collaborazione tra i professionisti della salute operanti nelle diverse istituzioni sanitarie e le comunità ecclesiali presenti sul territorio. In questa prospettiva, si conferma in tutto il suo valore un’istituzione collegata con la Santa Sede qual è l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che celebra quest’anno i suoi 140 anni di vita.

Ma c’è di più. Poiché il bambino malato appartiene ad una famiglia che ne condivide la sofferenza spesso con gravi disagi e difficoltà, le comunità cristiane non possono non farsi carico anche di aiutare i nuclei familiari colpiti dalla malattia di un figlio o di una figlia. Sull’esempio del "Buon Samaritano" occorre che ci si chini sulle persone così duramente provate e si offra loro il sostegno di una concreta solidarietà. In tal modo, l’accettazione e la condivisione della sofferenza si traduce in un utile supporto alle famiglie dei bambini malati, creando al loro interno un clima di serenità e di speranza, e facendo sentire attorno a loro una più vasta famiglia di fratelli e sorelle in Cristo. La compassione di Gesù per il pianto della vedova di Nain (cfr Lc 7,12-17) e per l’implorante preghiera di Giairo (cfr Lc 8,41-56) costituiscono, tra gli altri, alcuni utili punti di riferimento per imparare a condividere i momenti di pena fisica e morale di tante famiglie provate. Tutto ciò presuppone un amore disinteressato e generoso, riflesso e segno dell’amore misericordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova, ma sempre li rifornisce di mirabili risorse di cuore e di intelligenza per essere in grado di fronteggiare adeguatamente le difficoltà della vita.

La dedizione quotidiana e l’impegno senza sosta al servizio dei bambini malati costituiscono un’eloquente testimonianza di amore per la vita umana, in particolare per la vita di chi è debole e in tutto e per tutto dipendente dagli altri. Occorre affermare infatti con vigore l’assoluta e suprema dignità di ogni vita umana. Non muta, con il trascorrere dei tempi, l’insegnamento che la Chiesa incessantemente proclama: la vita umana è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza. E’ a Gesù crocifisso che dobbiamo volgere il nostro sguardo: morendo in croce Egli ha voluto condividere il dolore di tutta l’umanità. Nel suo soffrire per amore intravediamo una suprema compartecipazione alle pene dei piccoli malati e dei loro genitori. Il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, che dell’accettazione paziente della sofferenza ha offerto un esempio luminoso specialmente al tramonto della sua vita, ha scritto: "Sulla croce sta il «Redentore dell'uomo», l'Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi" (Salvifici doloris, 31).

Desidero qui esprimere il mio apprezzamento ed incoraggiamento alle Organizzazioni internazionali e nazionali che si prendono cura dei bambini malati, particolarmente nei Paesi poveri, e con generosità e abnegazione offrono il loro contributo per assicurare ad essi cure adeguate e amorevoli. Rivolgo al tempo stesso un accorato appello ai responsabili delle Nazioni perché vengano potenziate le leggi e i provvedimenti in favore dei bambini malati e delle loro famiglie. Sempre, ma ancor più quando è in gioco la vita dei bambini, la Chiesa, per parte sua, si rende disponibile ad offrire la sua cordiale collaborazione nell’intento di trasformare tutta la civiltà umana in «civiltà dell’amore» (cfr Salvifici doloris, 30).

Concludendo, vorrei esprimere la mia vicinanza spirituale a tutti voi, cari fratelli e sorelle, che soffrite di qualche malattia. Rivolgo un affettuoso saluto a quanti vi assistono: ai Vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacrate, agli operatori sanitari, ai volontari e a tutti coloro che si dedicano con amore a curare e alleviare le sofferenze di chi è alle prese con la malattia. Un saluto tutto speciale è per voi, cari bambini malati e sofferenti: il Papa vi abbraccia con affetto paterno insieme con i vostri genitori e familiari, e vi assicura uno speciale ricordo nella preghiera, invitandovi a confidare nel materno aiuto dell’Immacolata Vergine Maria, che nel passato Natale abbiamo ancora una volta contemplato mentre stringe con gioia tra le braccia il Figlio di Dio fatto bambino. Nell’invocare su di voi e su ogni malato la materna protezione della Vergine Santa, Salute degli Infermi, a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 2 Febbraio 2009

BENEDICTUS PP.XVI

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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS


Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

quest’oggi il Vangelo (cfr Mc 1,29-39) – in stretta continuità con la precedente domenica – ci presenta Gesù che, dopo aver predicato di sabato nella sinagoga di Cafarnao, guarisce molti malati, ad iniziare dalla suocera di Simone. Entrato nella sua casa, la trova a letto con la febbre e, subito, prendendola per mano, la guarisce e la fa alzare. Dopo il tramonto, risana una moltitudine di persone afflitte da mali di ogni genere. L’esperienza della guarigione dei malati ha occupato buona parte della missione pubblica di Cristo e ci invita ancora una volta a riflettere sul senso e sul valore della malattia in ogni situazione in cui l’essere umano possa trovarsi. Questa opportunità ci viene offerta anche dalla Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo mercoledì prossimo, 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes.

Nonostante che la malattia faccia parte dell’esperienza umana, ad essa non riusciamo ad abituarci, non solo perché a volte diventa veramente pesante e grave, ma essenzialmente perché siamo fatti per la vita, per la vita completa. Giustamente il nostro "istinto interiore" ci fa pensare a Dio come pienezza di vita, anzi come Vita eterna e perfetta. Quando siamo provati dal male e le nostre preghiere sembrano risultare vane, sorge allora in noi il dubbio ed angosciati ci domandiamo: qual è la volontà di Dio? È proprio a questo interrogativo che troviamo risposta nel Vangelo. Ad esempio, nel brano odierno leggiamo che "Gesù guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni" (Mc 2,34); in un altro passo di san Matteo, si dice che "Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo" (Mt 4,23). Gesù non lascia dubbi: Dio – del quale Lui stesso ci ha rivelato il volto – è il Dio della vita, che ci libera da ogni male. I segni di questa sua potenza d’amore sono le guarigioni che compie: dimostra così che il Regno di Dio è vicino restituendo uomini e donne alla loro piena integrità di spirito e di corpo. Dico che queste guarigioni sono segni: guidano verso il messaggio di Cristo, ci guidano verso Dio e ci fanno capire che la vera e più profonda malattia dell’uomo è l’assenza di Dio, della fonte di verità e di amore. E solo la riconciliazione con Dio può donarci la vera guarigione, la vera vita, perché una vita senza a more e senza verità non sarebbe vita. Il Regno di Dio è proprio la presenza di verità e di amore e così è guarigione nella profondità del nostro essere.

Grazie all’azione dello Spirito Santo, l’opera di Gesù si prolunga nella missione della Chiesa. Mediante i Sacramenti è Cristo che comunica la sua vita a moltitudini di fratelli e sorelle, mentre risana e conforta innumerevoli malati attraverso le tante attività di assistenza sanitaria che le comunità cristiane promuovono con carità fraterna e mostrano così il volto di Dio, il Suo amore. È vero: quanti cristiani – sacerdoti, religiosi e laici – hanno prestato e continuano a prestare in ogni parte del mondo le loro mani, i loro occhi e i loro cuori a Cristo, vero medico dei corpi e delle anime! Preghiamo per tutti i malati, specialmente per quelli più gravi, che non possono in alcun modo provvedere a se stessi, ma sono totalmente dipendenti dalle cure altrui: possa ciascuno di loro sperimentare, nella sollecitudine di chi gli è accanto, la potenza dell’amore di Dio e la ricchezza della sua grazia che ci salva. Maria, salute degli infermi, preghi per noi!



DOPO L’ANGELUS

In queste settimane si stanno registrando in Madagascar delle forti tensioni politiche che hanno provocato anche agitazioni popolari. Per questo i Vescovi dell'Isola hanno indetto per oggi una giornata di preghiera in favore della riconciliazione nazionale e della giustizia sociale. Vivamente preoccupato per il periodo particolarmente critico che il Paese sta attraversando, vi invito ad unirvi ai cattolici malgasci per affidare al Signore i morti nelle manifestazioni e per invocare da Lui, per intercessione di Maria Santissima, il ritorno alla concordia degli animi, alla tranquillità sociale e alla convivenza civile.

Come accennavo poco fa, il prossimo 11 febbraio, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, si celebrerà la Giornata Mondiale del Malato. Nel pomeriggio incontrerò gli ammalati e gli altri pellegrini nella Basilica di San Pietro, dopo la Santa Messa che sarà presieduta dal Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, Cardinale Lozano Barragán. Fin da ora assicuro la mia speciale benedizione a tutti i malati, agli operatori sanitari e ai volontari in ogni parte del mondo.

À l’exemple de saint Paul, chers pèlerins de langue française, nous sommes invités à nous faire tout à tous pour transmettre notre foi. La force de l’Évangile qui nous vient du Ressuscité nous invite, avec droiture et générosité, à faire connaître la tendresse de notre Dieu ! Mercredi prochain, le 11 février, nous célébrerons la fête de Notre-Dame de Lourdes et la Journée des malades. Aujourd’hui encore, je rends grâce à Dieu pour le Voyage Apostolique que j’ai pu accomplir, en septembre dernier, à Paris et à Lourdes. Que le Seigneur, par l’intercession de Notre-Dame de Lourdes, bénisse la France et l’Église qui y témoigne et y œuvre avec foi et courage !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors here today including those from the Saint Patrick’s Evangelization school in London. Today’s Gospel reminds us of the duty to bring Christ’s Good News to all the world. May your time in Rome be filled with joy and deepen your resolve to draw others to our Lord and his love. God bless you all!

Ein herzliches Grüß Gott sage ich allen Pilgern und Besuchern aus den Ländern deutscher Sprache. Der Evangelist Markus berichtet uns, wie Jesus in der Stille betet und Krankheiten heilt.

Die Gemeinschat mit dem Vater, die sich im Gebet verwirklicht, ist die Voraussetzung dafür, dass Heilung geschehen kann. Christus offenbart die Liebe Gottes. Und er will, daß auch wir mit ihm eins sind und lernen, aus einer tiefen Gottesbeziehung zu leben und so das wirkliche Leben und die Liebe für die anderen zu erlernen, die die heilende Kraft in der Welt ist. Schöpfen wir unentwegt aus diesem Lebensquell, dann können wir wirklich Gutes tun und für die Menschen da sein. Der Herr gebe euch Kraft und schenke euch seinen Segen.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española. El evangelio que se ha proclamado este domingo nos presenta a Jesucristo envuelto en una intensa labor apostólica, sin que por ello su profunda vida interior se vea mermada. Ambas cosas, la actividad del Hijo de Dios y su plegaria, son actos de su amor y entrega a sus coetáneos. Que la Santísima Virgen María nos ayude a todos los miembros de la Iglesia a actualizar este sentido misionero, que combina el trabajo y las ocupaciones con una continua vida de unión con Dios. Muchas gracias y feliz domingo.

A minha saudação estende-se a todos os peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente ao grupo de Águeda, Coimbra e Vila Nova de Gaia guiado pelo Senhor Bispo do Porto, invocando abundantes graças divinas sobre os seus passos para construírem a vida sobre aquela rocha firme que é Cristo vivo na sua Igreja. Deus a todos guarde e abençoe!

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. W dzisiejszej Ewangelii Jezus objawia się jako ten, który uzdrawia. Bożą mocą przywracał zdrowie ciała i ducha. I dziś przychodzi z pomocą cierpiącym, udzielając łaski i powołując ludzi, którzy z miłością im towarzyszą. Niech nie zabraknie im naszego wsparcia i modlitwy. Niech Bóg wam błogosławi.

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Nel Vangelo di oggi Gesù si rivela come colui che fa guarire. Con la potenza divina rimetteva in salute il corpo e lo spirito. Anche oggi viene in aiuto ai sofferenti, elargendo la grazia e chiamando persone che li accompagnano con amore. Non manchi loro il nostro sostegno e la nostra preghiera. Dio vi benedica.]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i cresimandi della parrocchia di Saccolongo, in diocesi di Padova, i fedeli venuti da Cagliari e da Napoli, e l’associazione "Apostoli della Divina Misericordia con Maria Regina della Pace". A tutti auguro una buona domenica.

09/02/2009 16:26
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LE UDIENZE

Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza:

S.E. il Sig. Luiz Felipe de Seixas Corrêa, Ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali;

Ecc.mi Presuli della Conferenza Episcopale della Nigeria, in Visita "ad Limina Apostolorum":

S.E. Mons. Francis Folorunsho Clement Alonge, Vescovo di Ondo;

S.E. Mons. Gabriel ‘Leke Abegunrin, Vescovo di Osogbo;

S.E. Mons. Emmanuel Adetoyese Badejo Vescovo Coadiutore di Oyo;

S.E. Mons. Ayo-Maria Atoyebi, O.P., Vescovo di Ilorin;

S.E. Mons. Anthony John Valentine Obinna, Arcivescovo di Owerri.

Il Papa ha ricevuto ieri in Udienza:

Em.mo Card. Christoph Schönborn, O.P., Arcivescovo di Wien (Austria).




RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA DEL VESCOVO DI ENUGU (NIGERIA) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Enugu (Nigeria), presentata da S.E. Mons. Anthony Okonkwo Gbuji, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Enugu (Nigeria) il Rev.do Callistus Valentine Onaga, Amministratore della Cattedrale e Vicario Generale della medesima diocesi.

Rev.do Callistus Valentine Onaga

Il Rev.do Callistus Valentine Onaga è nato il 29 settembre 1958 a Agbudu (Udi Local Government Area), nello Stato di Enugu. Dopo aver frequentato la scuola primaria presso la St. Anthony Primary School ad Agbudu, è entrato nel Seminario Minore del Sacro Cuore a Nsude e poi nel Seminario di San Giovanni in Nsukka. Ha studiato Filosofia nel Seminario Maggiore di Ikot Ekpene e Teologia presso il Bigard Memorial Seminary. È stato ordinato sacerdote l’8 agosto 1987 ed incardinato nella diocesi di Enugu.

Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1987-1991: Vicario parrocchiale, St. Joseph, Emene, e allo stesso tempo Youth Chaplain della Diocesi di Enugu; 1991-2000: Studi per il Dottorato in Teologia sistematica presso l’Università di Bonn, in Germania; 1991-1996: Hospital Chaplain, Troisdorf, in Germania; 1996-2002: Rector Ecclesiae, Bad Honnef e lecturer a Bad Honnef (1997-2002), in Germania; 2002-2003: Deputy Director, CIDJAP (Catholic Institute of Justice, Development, Peace and Charity), Enugu; 2003-2005: Parroco, St. Mary’s Church, Enugu; dal 2003: Vicario Generale e Amministratore della Cattedrale, dal 2005 Diocesan Coordinator of Pastoral Commissions, Chairman of the Politics and Social Welfare Commission.



NOMINE NEL GOVERNATORATO DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO

Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Direttore dei Servizi Generali del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano l’Ill.mo Dott. Giovanni Amici, finora Vice Direttore degli stessi Servizi Generali.

Il Papa ha nominato Vice Direttore delle Telecomunicazioni del medesimo Governatorato l’Ill.mo Dott. Ing. Luigi Salimbeni, finora Aiutante di Studio nella Sezione Ordinaria dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.

09/02/2009 16:27
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LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DEL BRASILE PRESSO LA SANTA SEDE

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. il Sig. Luiz Felipe de Seixas Corrêa, Ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto al nuovo ambasciatore, nonché i cenni biografici essenziali di S.E. il Sig. Luiz Felipe de Seixas Corrêa:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Excelência

1. É com grata satisfação que dou-lhe as boas-vindas ao acolhê-lo aqui no Vaticano, no ato da apresentação das Cartas Credenciais, como Embaixador Extraordinário e Plenipotenciário da República Federativa do Brasil junto à Santa Sé.

Esta feliz circunstância proporciona-me a oportunidade de verificar uma vez mais os sentimentos de proximidade espiritual que o povo brasileiro nutre para com o Sucessor de Pedro; ao mesmo tempo dá-me o ensejo de reiterar a expressão de meu sincero afeto e a ampla estima pela sua nobre Nação.

Agradeço vivamente as amáveis palavras que Me dirigiu. Em especial, agradeço os pensamentos deferentes e a saudação que o Presidente da República, senhor Luiz Inácio Lula da Silva, quis enviar-Me. Peço a Vossa Excelência a fineza de retribuir de minha parte a saudação, com os melhores votos de felicidades e que lhe transmita a certeza das minhas preces pelo seu País e povo.

É-me grato aproveitar a ocasião para recordar com apreço a Visita Pastoral que a Providência permitiu-me realizar no Brasil em 2007, a fim de presidir a V Conferência Geral do Episcopado Latino-americano e do Caribe, bem como os encontros havidos com o mais Alto Mandatário da Nação, tanto em São Paulo, como mais recentemente aqui em Roma. Possam essas circunstâncias testemunhar, uma vez mais, os estreitos laços de amizade e de frutífera colaboração entre o vosso País e a Santa Sé.

2. Os objetivos, o da Igreja, na sua missão de natureza religiosa e espiritual, e o do Estado, apesar de distintos, confluem num ponto de convergência: o bem da pessoa humana e o bem comum da Nação. Mas, como o meu Venerável Predecessor, o Papa João Paulo II, quis referir em certa ocasião "o entendimento respeitoso, a preocupação de independência mútua e o princípio de servir melhor o homem, dentro de uma concepção cristã, serão fatores de concórdia cujo beneficiário será o próprio povo" (Discurso ao Presidente do Brasil, 14 de outubro de 1991, 2). O Brasil é um país que conserva na sua grande maioria a fé cristã legada, desde as origens do seu povo, pela evangelização plantada há mais de 5 séculos.

Desta forma, apraz-me considerar a convergência de princípios, tanto da Sé Apostólica quanto do seu Governo, no que diz respeito às ameaças à Paz mundial, quando esta se vê afetada pela ausência da visão de respeito ao próximo em sua dignidade humana. O recente conflito no Oriente-Médio prova a necessidade de apoiar todas as iniciativas destinadas a resolver pacificamente as divergências havidas, e faço votos por que o vosso Governo prossiga nesta direção. Por outro lado, desejo reiterar aqui a esperança de que, de conformidade com os princípios que zelam pela dignidade humana, dos quais o Brasil sempre se fez paladino, se continuem a fomentar e divulgar os valores humanos fundamentais, sobretudo quando se trata de reconhecer de maneira explícita a santidade da vida familiar e a salvaguarda do nascituro, desde o momento da sua concepção até o seu termo natural. Pari passu, no que diz respeito às experiências biológicas, a Santa Sé vem promovendo incontinenti a defesa de uma ética que não deturpe e proteja a existência do embrião e o seu direito de nascer.

3. Vejo com satisfação que a Nação brasileira vem-se tornando, num clima de acentuada prosperidade, um fator de estímulo ao desenvolvimento em áreas limítrofes e em vários países do Continente africano. Em clima de solidariedade e de mútuo entendimento, o Governo procura apoiar iniciativas destinadas a favorecer a luta contra a pobreza e o despreparo tecnológico, tanto a nível nacional como internacional.

Por outro lado, a política de redistribuição da renda interna tem facilitado um maior bem-estar entre a população; neste sentido, faço votos por que se prossiga estimulando uma melhor distribuição da renda, e se fortaleça uma maior justiça social para o bem da população. Cabe ressaltar, porém, que, para além da pobreza material, incide de maneira relevante a pobreza moral que grassa pelo mundo afora, inclusive ali onde não se carece de bens materiais. De fato, o perigo do consumismo e do hedonismo, aliado à falta de sólidos princípios morais que norteiem a vida do simples cidadão, torna vulnerável a estrutura da sociedade e da família brasileira. Por isso, nunca é demais insistir na urgência de uma sólida formação moral a todos os níveis, inclusive no âmbito político, face às constantes ameaças geradas pelas ideologias materialistas ainda reinantes e, particularmente, à tentação da corrupção na gestão do dinheiro público e privado. A esta finalidade, o cristianismo pode proporcionar uma válida contribuição - como eu quis afirmar recentemente - por ser "uma religião de liberdade e de paz e está ao serviço do verdadeiro bem da humanidade" (Audiência ao Corpo Diplomático, 8 de Janeiro de 2009). É na esteira destes valores que a Igreja continua oferecendo este serviço de profundo valor evangélico que favoreça a consecução da paz e da justiça entre todos os povos.

4. O recente Acordo no qual se define o estatuto jurídico civil da Igreja Católica no Brasil e se regulam as matérias de mútuo interesse entre ambas as Partes são sinais significativos desta sincera colaboração que a Igreja deseja manter, dentro da sua missão própria, com o vosso Governo. Exprimo neste sentido a esperança por que esse Acordo, como já tive ocasião de assinalar "facilite o livre exercício da missão evangelizadora da Igreja e fortaleça ainda mais a sua colaboração com as instituições civis para o desenvolvimento integral da pessoa" (Audiência cit.). A fé e a adesão a Jesus Cristo impõem aos fiéis católicos, também no Brasil, tornarem-se instrumentos de reconciliação e de fraternidade, na verdade, na justiça e no amor. Faço votos, assim sendo, de ver ratificado este Documento solene a fim de que a organização eclesiástica da vida entre os católicos veja-se agilizada e alcance alto grau de eficiência.

Senhor Embaixador,

antes de concluir este encontro, reitero o pedido de transmitir ao Senhor Presidente da República os meus melhores votos de felicidades e de paz. E quero dizer a Vossa Excelência que pode contar com a estima, a boa acolhida e o apoio desta Sé Apostólica no desempenho da sua missão, que lhe desejo feliz e fecunda de frutos e de alegrias. O meu pensamento vai, nesta hora, para todos os brasileiros e para quantos conduzem os seus destinos. A todos desejo felicidades, em crescente progresso e harmonia. Estou certo de que o Senhor se fará intérprete destes meus sentimentos e esperanças junto ao mais Alto Mandatário da Nação. Por intercessão de Nossa Senhora Aparecida, imploro para a sua pessoa, para seu mandato e para seus familiares, assim como para todos os amados brasileiros, copiosas bênçãos de Deus Todo Poderoso.

S.E. il Signor Luiz Felipe de Seixas Corrêa,

Ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede

È nato a Rio de Janeiro il 16 luglio 1945. È sposato ed ha quattro figli.

Laureato in diritto (Università Candido Mendes, 1967), ha intrapreso la carriera diplomatica ricoprendo i seguenti incarichi: terzo segretario di divisione (America Meridionale) presso il ministero degli Affari esteri (1967-1969); secondo segretario di divisione (Amazzonia) presso il ministero degli Affari esteri (1969-1970); secondo segretario di Ambasciata in Germania (1970-1971); secondo segretario alla Missione del Brasile presso l'Onu (1971-1974); secondo e primo segretario di Ambasciata in Argentina (1974-1976); assistente di divisione (America Settentrionale) presso il ministero degli Affari esteri (1976-1977); assessore di dipartimento per gli organismi internazionali (1977-1978) e per l'Asia, l'Africa e l'Oceania (1978-1979) presso il ministero degli Affari esteri; consigliere di Ambasciata negli Stati Uniti d'America (1979-1982); assessore del ministro-capo del gabinetto civile alla presidenza della Repubblica (1983-1985); ministro consigliere della delegazione del Brasile presso l'Unesco (1985-1987); assessore del presidente della Repubblica per gli Affari internazionali (1987-1989); Ambasciatore in Messico (1989-1992); segretario generale presso il ministero degli Affari esteri (1992); Ambasciatore in Spagna (1993-1997); Ambasciatore in Argentina (1997-1999); segretario generale presso il ministero degli Affari esteri (1999-2001); Ambasciatore e rappresentante permanente della delegazione del Brasile a Ginevra (2002-2005); Ambasciatore in Germania (2005-2009).

Oltre il portoghese, parla l'inglese, il francese e lo spagnolo.


10/02/2009 02:14
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Discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Brasile


Tra Chiesa e Stato obiettivi comuni a tutela della persona umana





CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 9 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo lunedì in udienza Luiz Felipe de Seixas Corrêa, nuovo ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, per la presentazione delle Lettere con le quali viene accreditato nell'alto ufficio.


* * *

Eccellenza

1. È con grande soddisfazione che Le porgo il benvenuto ricevendoLa qui in Vaticano, nel momento in cui presenta le Lettere Credenziali, come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Federativa del Brasile presso la Santa Sede.

Questa felice circostanza mi offre l'occasione di constatare ancora una volta i sentimenti di vicinanza spirituale che il popolo brasiliano nutre verso il successore di Pietro; allo stesso tempo mi dà l'opportunità di rinnovare il mio affetto sincero e la grande stima che sento per la sua nobile Nazione.

La ringrazio vivamente per le amabili parole che mi ha rivolto. Ringrazio in special modo i deferenti pensieri e il saluto che il Presidente della Repubblica, signor Luiz Inácio Lula da Silva, ha voluto trasmettermi. Chiedo a Vostra Eccellenza la gentilezza di ricambiare il mio saluto, con i migliori auguri di felicità e la certezza delle mie preghiere per il suo Paese e il suo popolo.

Colgo l'occasione per ricordare con apprezzamento la visita pastorale che la Provvidenza mi ha permesso di realizzare in Brasile nel 2007, per presiedere la v Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi, così come gli incontri con il Capo dello Stato, sia a São Paulo, sia più recentemente qui a Roma. Possano queste circostanze testimoniare, ancora una volta, gli stretti vincoli di amicizia e di feconda collaborazione tra il suo Paese e la Santa Sede.

2. Gli obiettivi, quello della Chiesa, nella sua missione di natura religiosa e spirituale, e quello dello Stato, anche se distinti, confluiscono verso un punto di convergenza: il bene della persona umana e il bene comune della Nazione. Ma, come disse il mio venerabile Predecessore, Papa Giovanni Paolo ii, «l'intesa e il rispetto, la reciproca sollecitudine per l'indipendenza e il principio di servire l'uomo nel modo migliore, all'interno di una concezione cristiana, costituiranno fattori di concordia di cui lo stesso popolo sarà il beneficiario» (Discorso al Presidente del Brasile, 14 ottobre 1991, 2). Il Brasile è un Paese che conserva nella sua grande maggioranza la fede cristiana tramandata, fin dalle origini, dall'evangelizzazione iniziata da più di cinque secoli.

Così, mi è gradito considerare la convergenza di principi, sia della Sede Apostolica, sia del suo Governo, in ciò che riguarda le minacce alla Pace mondiale, quando questa viene minata dalla mancanza di una visione di rispetto del prossimo nella sua dignità umana. Il recente conflitto nel Medio Oriente dimostra la necessità di appoggiare le iniziative volte a risolvere pacificamente le divergenze che si sono verificate, e i miei voti sono affinché il suo Governo prosegua in questa direzione. D'altra parte, desidero reiterare la speranza che, in conformità con i principi che salvaguardano la dignità umana, dei quali il Brasile si è sempre fatto difensore, si continuino a promuovere e a diffondere i valori umani fondamentali, soprattutto quando si tratta di riconoscere in maniera esplicita la sacralità della vita familiare e la salvaguardia del nascituro, dal momento del concepimento sino alla fine naturale dell'esistenza. Allo stesso modo, in ciò che concerne gli esperimenti biologici, la Santa Sede sta promuovendo costantemente la difesa di un'etica che non deturpi ma protegga l'esistenza dell'embrione e il suo diritto alla nascita.

3. Vedo con soddisfazione che la Nazione brasiliana sta diventando, in un clima di accentuata prosperità, un fattore di stimolo allo sviluppo in aree limitrofe e in vari Paesi del Continente africano. In un clima di solidarietà e di reciproca intesa, il Governo cerca di appoggiare iniziative volte a favorire la lotta contro la povertà e l'arretratezza tecnologica, sia a livello nazionale che internazionale.

D'altro canto, la politica di redistribuzione del reddito interno ha facilitato un maggiore benessere tra la popolazione; in questo senso, mi auguro che si continui a incoraggiare una migliore distribuzione del reddito, e si rafforzi una maggiore giustizia sociale per il bene della popolazione. Bisogna sottolineare, tuttavia, che oltre la povertà materiale, incide in maniera rilevante la povertà morale, che imperversa in tutto il mondo, anche laddove non mancano i beni materiali. Infatti, il pericolo del consumismo e dell'edonismo, insieme alla mancanza di solidi principi morali che guidino la vita del cittadino comune, fa diventare vulnerabile la struttura della società e della famiglia brasiliana. Perciò, non si insiste mai abbastanza sull'urgenza di una solida formazione morale a tutti i livelli, anche nell'ambito politico, dinanzi alle costanti minacce generate dalle ideologie materialistiche ancora imperanti e, soprattutto, alla tentazione della corruzione nella gestione del denaro pubblico e privato. A queste finalità, il cristianesimo può offrire un valido contributo — come ho affermato recentemente — perché «è una religione di libertà e di pace ed è al servizio del vero bene dell'umanità» (Discorso al Corpo Diplomatico, 8 gennaio 2009). È sulla scia di tali valori che la Chiesa continua a offrire questo servizio di profondo significato evangelico per favorire il raggiungimento della pace e della giustizia tra tutti i popoli.

4. Il recente Accordo che ridefinisce lo statuto giuridico civile della Chiesa cattolica in Brasile e regola le materie di interesse reciproco tra le parti è un segnale significativo di questa collaborazione sincera che la Chiesa desidera mantenere, nella missione che le è propria, con il Governo brasiliano. In questo senso, esprimo la speranza affinché questo Accordo, come ho già avuto occasione di segnalare, «faciliti il libero esercizio della missione evangelizzatrice della Chiesa e rafforzi ancor più la sua collaborazione con le istituzioni civili per lo sviluppo integrale della persona» (Discorso cit.). La fede e l'adesione a Gesù Cristo richiedono che i fedeli cattolici, anche in Brasile, diventino strumenti di riconciliazione e di fraternità, nella verità, nella giustizia e nell'amore. Così, mi auguro di vedere ratificato questo Documento solenne, affinché l'organizzazione ecclesiastica della vita dei cattolici sia facilitata e raggiunga un alto grado di efficacia.

Signor Ambasciatore

prima di concludere questo incontro rinnovo la richiesta di trasmettere al signor Presidente della Repubblica i miei migliori auguri di felicità e di pace. Assicuro Vostra Eccellenza che troverà sempre la stima, la buona accoglienza e l'appoggio della Sede Apostolica nel compimento della sua missione, che mi auguro sia felice e feconda di frutti e di gioie. In questo momento, il mio pensiero va a tutti i brasiliani e a quanti guidano il loro destino. Auguro a tutti felicità, con sempre più progresso e armonia. Sono sicuro che Vostra Eccellenza si farà interprete di questi miei sentimenti e speranze presso il Capo dello Stato. Per intercessione di Nostra Signora Aparecida, imploro per Vostra Eccellenza, per il suo mandato e per i suoi familiari, così come per tutti gli amati brasiliani, le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente.

[Traduzione de L'Osservatore Romano]



10/02/2009 16:08
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RINUNCIA DEL VESCOVO DI CHIANG MAI (THAILANDIA) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Chiang Mai (Thailandia), presentata da S.E. Mons. Joseph Sangval Surasarang, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Chiang Mai (Thailandia) il Rev.do Francis Xavier Vira Arpondratana, del clero di Bangkok, Direttore del Centro Catechetico diocesano e Segretario della Commissione Episcopale per la Catechesi.

Rev.do Francis Xavier Vira Arpondratana

Il Rev.do Francis Xavier Vira Arpondratana è nato il 3 ottobre 1955 a Sam Saem, nell’Arcidiocesi di Bangkok. E’ entrato nel Seminario minore diocesano di Bangkok, dopo aver frequentato le classi medie e superiori. Successivamente ha seguito i corsi di Filosofia e Teologia presso il Seminario Maggiore nazionale Lux Mundi di Sampran.

E’ stato ordinato sacerdote il 7 giugno 1981 ed incardinato nell’Arcidiocesi di Bangkok. Nel 1984 ha ottenuto la Laurea per l’Insegnamento presso l’Università statale di Nakhorn Pathom.

Ha svolto i seguenti incarichi: 1981:Vicario parrocchiale di San Pietro a Sampran; 1981-1985: Vice-Rettore del Seminario Minore diocesano di Bangkok; 1985-1988: Studi per la Licenza in Pastorale Giovanile e Catechesi presso l’Università salesiana a Roma, risiedendo presso il Pontificio Collegio S. Pietro; 1988-1989: Capo dell’Ufficio diocesano per la Catechesi; dal 1989: Direttore del Centro Catechistico diocesano a Bangkok; 1989-1990: Vicario parrocchiale presso la Parrocchia Madonna di Fatima, Din Daeng; 1990-1998: Cappellano della scuola St. Joseph’s Convent di Bangkok; dal 2001: Docente Ordinario presso il Seminario Maggiore Nazionale Lux Mundi a Sampran.



NOMINA DEL VESCOVO DI FENOARIVO-ATSINANANA (MADAGASCAR)

Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Fenoarivo-Atsinanana (Madagascar) il Rev.do Marcellin Randriamamonjy, del clero di Ambositra, già Rettore del Seminario Maggiore Interdiocesano di Vohitsoa (Fianarantsoa).

Rev.do Marcellin Randriamamonjy

Il Rev.do Marcellin Randriamamonjy è nato il 12 aprile 1963 a Sandrandahy, Diocesi di Ambositra. Il Rev. Marcellin ha compiuto gli studi primari a Sandrandahy e ad Ambositra. Dopo gli studi secondari nel Seminario Minore di Fianarantsoa, è passato al Seminario Maggiore Interdiocesano di Ambatoroka (Antananarivo), dal 1984 al 1992. E’ stato ordinato sacerdote il 30 agosto 1992, per la Diocesi di Ambositra.

Dopo l’ordinazione ha svolto il ministero pastorale in due distretti dell’Arcidiocesi di Fianarantsoa; dal 1996 al 1998 ha ottenuto la Licenza in Teologia ad Ambatoroka (Antananarivo) e, dal 1998 al 2001 ha conseguito la Laurea in Teologia a Lyon, in Francia. Dal 2001 al 2003 è stato educatore, docente e Prefetto degli studi del Seminario Maggiore Interdiocesano di Vohitsoa (Fianarantosoa) e, dal 2003 al 2008, è diventato Rettore del medesimo Seminario. Dal luglio 2008 ha lasciato l’ufficio di Rettore, ed ha iniziato un anno sabbatico di aggiornamento.



NOMINA DEL VESCOVO DI SIMLA-CHANDIGARH (INDIA)

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Simla-Chandigarh (India) il Rev.do Ignatius Loyola Mascarenhas, del clero di Delhi, Rettore del Seminario Propedeutico Regionale a Kauli.

Rev.do Ignatius Loyola Mascarenhas

Il Rev.do Ignatius Loyola Mascarenhas è nato il 3 giugno 1949 a Delhi. Dopo aver completato i suoi studi presso la St. Columba’s School, è entrato nel Seminario Minore di St. Anselm ad Ajmer. E’ passato poi al Seminario Maggiore di St. Pius College, Garegaon (Bombay), per la Filosofia, ed ha completato i suoi studi teologici presso il Vidyajyoti, a Delhi. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 17 dicembre 1977 ed è stato incardinato nell’Arcidiocesi di Delhi.

Dopo l’Ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vice-segretario dell’Arcivescovo e Vicario parrocchiale della Cattedrale di Delhi (1978-1981); Vice Preside della Rosary Senior Secondary School, a Kingsway Camp, Delhi (1981-1985); Vicario parrocchiale a St. Thomas Parish (1985-1991); anno sabbatico in visita agli Ashram dell’India (1991-1992); Rettore del Seminario Minore Vinay Gurukul (1992-1997); Rettore del Seminario Maggiore Arcidiocesano Pratiksha, a Delhi (1997-2000); Parroco di St. Teresa’s Parish, Pushp Vihar, Delhi (2000-2002); Direttore delle Small Christian Communities e del Movimento Carismatico dell’Arcidiocesi, e dal 2004 anche Presidente del Delhi Service Team dei Delhi Charismatic and Renewal Services (2002-2006); dal 2006 Rettore del Seminario Propedeutico Regionale di Krist Jyoti Gurukul, a Kauli, Diocesi di Simla-Chandigarh.



NOMINA DEL VICARIO APOSTOLICO DI EL PETÉN IN GUATEMALA

Il Santo Padre ha nominato Vicario Apostolico di El Petén in Guatemala il Rev.do Padre Mario Fiandri, S.D.B., Preside del Teologato Salesiano di Guatemala. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Madarsuma.

Rev.do Padre Mario Fiandri, S.D.B.

Il Rev.do Padre Mario Fiandri, S.D.B., è nato l’8 dicembre 1947 ad Arborea (Oristano-Italia), nella Diocesi di Oristano. Nel 1958, all’età di 11 anni, è entrato nel Seminario Salesiano di Arborea. Quindi, il 15 agosto 1962 ha iniziato il suo anno di noviziato a Lanuvio (Roma). Ha emesso la professione perpetua il 13 agosto 1969. Dal 1966 al 1969 ha studiato presso l’Ateneo Salesiano, conseguendo la Licenza in Filosofia. Dal 1970 è missionario in Guatemala. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 10 agosto 1974 ad Arborea.

Dopo l’Ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1975 - 1978: Consigliere scolastico presso l’Istituto Filosofico Salesiano di Guatemala; 1978-1984: prima Vicario per un anno e poi Direttore del Centro Giovanile Don Bosco di Managua (Nicaragua); 1985-1989: Direttore, Parrocchia della "Divina Providencia", Guatemala; 1990: Vicario parrocchiale, Parrocchia della "Divina Providencia"; 1991-1994: Licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico, Roma; 1994-1996: Parroco del Santuario "Don Bosco", Guatemala; 1996-1998: Direttore dell’Istituto Teologico Salesiano, Guatemala; 1999-2003: Parroco del Santuario "Don Bosco", Guatemala; dal 2004: Preside scolastico del Teologato di Guatemala e professore di Sacra Scrittura.



NOMINA DELL’AUSILIARE DI DAEJON (COREA)

Il Papa ha nominato Ausiliare della diocesi di Daejon (Corea) il Rev.do Augustinus Kim Jong Soo, Rettore del Seminario Maggiore di Daejon, assegnandogli la sede titolare vescovile di Sufasar.

Rev.do Augustinus Kim Jong Soo

Il Rev.do Augustinus Kim Jong Soo è nato l’8 febbraio 1956, a Taehung-dong, Daejeon. Prima di entrare nel Seminario Maggiore di Seoul ha studiato Storia nell’Università nazionale di Seoul, conseguendo la Licenza, e ha svolto il servizio militare nell’aviazione coreana. E’ stato ordinato sacerdote il 13 febbraio 1989 ed incardinato nella Diocesi di Daejon.

Dopo l’ordinazione ha ricoperto i seguenti ministeri: 1989: Vicario parrocchiale di Buchangdong, a Nonsan; 1990-1994: Studi di Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, risiedendo presso il Convitto del Collegio Internazionale S. Tommaso d’Aquino; 1994-1997: Parroco di Haemi; 1997-2001: Professore, Padre Spirituale e Decano degli studenti presso l’Università Cattolica di Daejeon (Seminario Maggiore); 2001-2007:Professore e Direttore dell’Istituto Catechetico diocesano; Dal 2007:Presidente dell’Università Cattolica di Daejeon (Rettore del Seminario Maggiore).



NOMINA DI AUSILIARE DI RANCHI (INDIA)

Il Santo Padre ha nominato Ausiliare dell’arcidiocesi di Ranchi (India) il Rev.do Mons. Binay Kandulna, del clero di Khunti, Collaboratore presso la Nunziatura Apostolica di Nuova Delhi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Auzugera.

Rev.do Mons. Binay Kandulna

Il Rev.do Mons. Binay Kandulna è nato il 3 gennaio 1964 a Gondra, nell’allora Arcidiocesi di Ranchi, e adesso nella Diocesi di Khunti. E’ entrato nel Seminario Maggiore di St. Albert’s, Ranchi, per gli studi di Filosofia e Teologia. E’ stato ordinato il 23 aprile 1994 ed è incardinato nella Diocesi di Khunti. Dopo l’ordinazione ha ricoperto i seguenti incarichi: 1994-1997: Vicario, Holy Rosary Church, Mahugaon; Direttore e Professore della Scuola Media parrocchiale;1997-2001: Studi per la Laurea in Diritto Canonico all’Università Urbaniana, risiedendo presso il Pontificio Collegio S. Paolo Apostolo; 2002-2004: Vicario, St. Michael’s Cathedral, Khunti, e Giudice nel Tribunale Ecclesiastico Regionale, Segretario della Scuola Media parrocchiale, e Direttore della residenza per gli studenti. In pari tempo, Segretario personale del Vescovo.

Dal 2004 è Collaboratore presso la Nunziatura Apostolica di Nuova Delhi.

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RINUNCIA DEL VESCOVO DI DIVINÓPOLIS (BRASILE) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Divinópolis (Brasile), presentata da S.E. Mons. José Belvino do Nascimento, in conformità al can. 401 § 1 dl Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Divinópolis (Brasile) il Rev.do Tarcísio Nascentes dos Santos, Parroco della Parrocchia di "Nossa Senhora de Fátima" a São Gonçalo nell’arcidiocesi di Niterói.

Rev.do Tarcísio Nascentes dos Santos

Il Rev.do Tarcísio Nascentes dos Santos è nato il 27 febbraio 1954 a Niterói. Entrato nel Seminario Minore São José dell’arcidiocesi di Niterói, ha frequentato i corsi filosofici nel Monastero São Bento, nell’arcidiocesi di Rio de Janeiro e la teologia nel Seminario arcidiocesano di Mariana.

L’8 dicembre 1978 è stato ordinato sacerdote e si è incardinato nell’arcidiocesi di Niterói nella quale ha svolto gli incarichi seguenti: Professore del Seminario São José (1978-1979); Parroco della Parrocchia di São Domingos (1979); Vicerettore del Seminario e Coordinatore della Pastorale Vocazionale dell’arcidiocesi (1980), Vicario parrocchiale e poi Parroco della Parrocchia Nossa Senhora da Conceição (1981-1985) e Parroco della Parrocchia Nossa Senhora de Fátima a São Gonçalo (dal 1997).

Dal 2003 è anche Vicario Episcopale del Vicariato "Sul" dell’arcidiocesi e Direttore Accademico dell’Istituto di Filosofia e Teologia dell’arcidiocesi. Ha svolto anche le funzioni di assistente spirituale del Serra Club, del M.E.C.E. e Rettore della Cappella Nossa Senhora das Graças del Collegio São Vicente de Paula. Ha conseguito la laurea in Teologia Dogmatica presso l’allora Ateneo romano della Santa Croce.

11/02/2009 21:31
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L’UDIENZA GENERALE


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, cominciando un nuovo ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del medioevo, si è soffermato su San Giovanni Climaco.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

dopo venti catechesi dedicate all’Apostolo Paolo, vorrei riprendere oggi la presentazione dei grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del tempo medioevale. E propongo la figura di Giovanni detto Climaco, traslitterazione latina del termine greco klímakos, che significa della scala (klímax). Si tratta del titolo della sua opera principale nella quale descrive la scalata della vita umana verso Dio. Egli nacque verso il 575. La sua vita si sviluppò dunque negli anni in cui Bisanzio, capitale dell’impero romano d’Oriente, conobbe la più grande crisi della sua storia. All’improvviso il quadro geografico dell’impero mutò e il torrente delle invasioni barbariche fece crollare tutte le sue strutture. Resse solo la struttura della Chiesa, che continuò in questi tempi difficili a svolgere la sua azione missionaria, umana e socio-culturale, specialmente attraverso la rete dei monasteri, in cui operavano grandi personalità religiose come quella, appunto, di Giovanni Climaco.

Tra le montagne del Sinai, ove Mosè incontrò Dio ed Elia ne udì la voce, Giovanni visse e raccontò le sue esperienze spirituali. Notizie su di lui sono conservate in una breve Vita (PG 88, 596-608), scritta dal monaco Daniele di Raito: a sedici anni Giovanni, divenuto monaco sul monte Sinai, vi si fece discepolo dell’abate Martirio, un "anziano", cioè un "sapiente". Verso i vent’anni, scelse di vivere da eremita in una grotta ai piedi del monte, in località di Tola, a otto kilometri dall’attuale monastero di Santa Caterina. Ma la solitudine non gli impedì di incontrare persone desiderose di avere una direzione spirituale, come anche di recarsi in visita ad alcuni monasteri presso Alessandria. Il suo ritiro eremitico, infatti, lungi dall’essere una fuga dal mondo e dalla realtà umana, sfociò in un amore ardente per gli altri (Vita 5) e per Dio (Vita 7). Dopo quarant’anni di vita eremitica vissuta nell’amore per Dio e per il prossimo, anni durante i quali pianse, pregò, lottò contro i demoni, fu nominato igumeno del grande monastero del monte Sinai e ritornò così alla vita cenobitica, in monastero. Ma alcuni anni prima della morte, nostalgico della vita eremitica, passò al fratello, monaco nello stesso monastero, la guida della comunità. Morì dopo il 650. La vita di Giovanni si sviluppa tra due montagne, il Sinai e il Tabor, e veramente si può dire che da lui si è irradiata la luce vista da Mosè sul Sinai e contemplata dai tre apostoli sul Tabor!

Divenne famoso, come ho già detto, per l’opera la Scala (klímax), qualificata in Occidente come Scala del Paradiso (PG 88,632-1164). Composta su insistente richiesta del vicino igumeno del monastero di Raito presso il Sinai, la Scala è un trattato completo di vita spirituale, in cui Giovanni descrive il cammino del monaco dalla rinuncia al mondo fino alla perfezione dell’amore. E’ un cammino che – secondo questo libro – si sviluppa attraverso trenta gradini, ognuno dei quali è collegato col successivo. Il cammino può essere sintetizzato in tre fasi successive: la prima si esprime nella rottura col mondo al fine di ritornare allo stato dell’infanzia evangelica. L’essenziale quindi non è la rottura, ma il collegamento con quanto Gesù ha detto, il ritornare cioè alla vera infanzia in senso spirituale, il diventare come i bambini. Giovanni commenta: "Un buon fondamento è quello formato da tre basi e da tre colonne: innocenza, digiuno e castità. Tutti i neonati in Cristo (cfr 1 Cor 3,1) comincino da queste cose, prendendo esempio da quelli che sono neonati fisicamente" (1,20; 636). Il distacco volontario dalle persone e dai luoghi cari permette all’anima di entrare in comunione più profonda con Dio. Questa rinuncia sfocia nell’obbedienza, che è via all’umiltà mediante le umiliazioni – che non mancheranno mai – da parte dei fratelli. Giovanni commenta: "Beato colui che ha mortificato la propria volontà fino alla fine e che ha affidato la cura della propria persona al suo maestro nel Signore: sarà infatti collocato alla destra del Crocifisso!" (4,37; 704).

La seconda fase del cammino è costituita dal combattimento spirituale contro le passioni. Ogni gradino della scala è collegato con una passione principale, che viene definita e diagnosticata, con l’indicazione della terapia e con la proposta della virtù corrispondente. L’insieme di questi gradini costituisce senza dubbio il più importante trattato di strategia spirituale che possediamo. La lotta contro le passioni, però, si riveste di positività – non rimane una cosa negativa – grazie all’immagine del "fuoco" dello Spirito Santo: "Tutti coloro che intraprendono questa bella lotta (cfr 1 Tm 6,12), dura e ardua, [...], sappiano che sono venuti a gettarsi in un fuoco, se veramente desiderano che il fuoco immateriale abiti in loro" (1,18; 636). Il fuoco dello Spirito santo che è fuoco dell’amore e della verità. Solo la forza dello Spirito Santo assicura la vittoria. Ma secondo Giovanni Climaco è importante prendere coscienza che le passioni non sono cattive in sé; lo diventano per l’uso cattivo che ne fa la libertà dell’uomo. Se purificate, le passioni schiudono all’uomo la via verso Dio con energie unificate dall’ascesi e dalla grazia e, "se esse hanno ricevuto dal Creatore un ordine e un inizio..., il limite della virtù è senza fine" (26/2,37; 1068).

L’ultima fase del cammino è la perfezione cristiana, che si sviluppa negli ultimi sette gradini della Scala. Questi sono gli stadi più alti della vita spirituale, sperimentabili dagli "esicasti", i solitari, quelli che sono arrivati alla quiete e alla pace interiore; ma sono stadi accessibili anche ai cenobiti più ferventi. Dei primi tre - semplicità, umiltà e discernimento - Giovanni, in linea coi Padri del deserto, ritiene più importante l’ultimo, cioè la capacità di discernere. Ogni comportamento è da sottoporsi al discernimento; tutto infatti dipende dalle motivazioni profonde, che bisogna vagliare. Qui si entra nel vivo della persona e si tratta di risvegliare nell’eremita, nel cristiano, la sensibilità spirituale e il "senso del cuore", doni di Dio: "Come guida e regola in ogni cosa, dopo Dio, dobbiamo seguire la nostra coscienza" (26/1,5;1013). In questo modo si raggiunge la quiete dell’anima, l’esichía, grazie alla quale l’anima può affacciarsi sull’abisso dei misteri divini.

Lo stato di quiete, di pace interiore, prepara l’esicasta alla preghiera, che in Giovanni è duplice: la "preghiera corporea" e la "preghiera del cuore". La prima è propria di chi deve farsi aiutare da atteggiamenti del corpo: tendere le mani, emettere gemiti, percuotersi il petto, ecc. (15,26; 900); la seconda è spontanea, perché è effetto del risveglio della sensibilità spirituale, dono di Dio a chi è dedito alla preghiera corporea. In Giovanni essa prende il nome di "preghiera di Gesù" (Iesoû euché), ed è costituita dall’invocazione del solo nome di Gesù, un’invocazione continua come il respiro: "La memoria di Gesù faccia tutt’uno con il tuo respiro, e allora conoscerai l’utilità dell’esichía", della pace interiore (27/2,26; 1112). Alla fine la preghiera diventa molto semplice, semplicemente la parola "Gesù" divenuta una cosa sola con il nostro respiro.

L’ultimo gradino della scala (30), soffuso della "sobria ebbrezza dello Spirito", è dedicato alla suprema "trinità delle virtù": la fede, la speranza e soprattutto la carità. Della carità, Giovanni parla anche come éros (amore umano), figura dell’unione matrimoniale dell’anima con Dio. Ed egli sceglie ancora l’immagine del fuoco per esprimere l’ardore, la luce, la purificazione dell’amore per Dio. La forza dell’amore umano può essere riorientata a Dio, come sull’olivastro può venire innestato un olivo buono (cfr Rm 11,24) (15,66; 893). Giovanni è convinto che un’intensa esperienza di questo éros faccia avanzare l’anima assai più che la dura lotta contro le passioni, perché grande è la sua potenza. Prevale dunque la positività nel nostro cammino. Ma la carità è vista anche in stretto rapporto con la speranza: "La forza della carità è la speranza: grazie ad essa attendiamo la ricompensa della carità... La speranza è la porta della carità... L‘assenza della speranza annienta la carità: ad essa sono legate le nostre fatiche, da essa sono sostenuti i nostri travagli, e grazie ad essa siamo circondati dalla misericordia di Dio" (30,16; 1157). La conclusione della Scala contiene la sintesi dell’opera con parole che l’autore fa proferire da Dio stesso: "Questa scala t’insegni la disposizione spirituale delle virtù. Io sto sulla cima di questa scala, come disse quel mio grande iniziato (San Paolo): Ora rimangono dunque queste tre cose: fede, speranza e carità, ma di tutte più grande è la carità (1 Cor 13,13)!" (30,18; 1160).

A questo punto, s’impone un’ultima domanda: la Scala, opera scritta da un monaco eremita vissuto millequattrocento anni fa, può ancora dire qualcosa a noi oggi? L’itinerario esistenziale di un uomo che è vissuto sempre sulla montagna del Sinai in un tempo tanto lontano può essere di qualche attualità per noi? In un primo momento sembrerebbe che la risposta debba essere "no", perché Giovanni Climaco è troppo lontano da noi. Ma se osserviamo un po’ più da vicino, vediamo che quella vita monastica è solo un grande simbolo della vita battesimale, della vita da cristiano. Mostra, per così dire, in caratteri grandi ciò che noi scriviamo giorno per giorno in caratteri piccoli. Si tratta di un simbolo profetico che rivela che cosa sia la vita del battezzato, in comunione con Cristo, con la sua morte e risurrezione. E’ per me particolarmente importante il fatto che il vertice della "scala", gli ultimi gradini siano nello stesso tempo le virtù fondamentali, iniziali, più semplici: la fede, la speranza e la carità. Non sono virtù accessibili solo a eroi morali, ma sono dono di Dio a tutti i battezzati: in esse cresce anche la nostra vita. L’inizio è anche la fine, il punto di partenza è anche il punto di arrivo: tutto il cammino va verso una sempre più radicale realizzazione di fede, speranza e carità. In queste virtù tutta la scalata è presente. Fondamentale è la fede, perché tale virtù implica che io rinunci alla mia arroganza, al mio pensiero; alla pretesa di giudicare da solo, senza affidarmi ad altri. E’ necessario questo cammino verso l’umiltà, verso l’infanzia spirituale: occorre superare l’atteggiamento di arroganza che fa dire: Io so meglio, in questo mio tempo del ventunesimo secolo, di quanto potessero sapere quelli di allora. Occorre invece affidarsi solo alla Sacra Scrittura, alla Parola del Signore, affacciarsi con umiltà all’orizzonte della fede, per entrare così nella vastità enorme del mondo universale, del mondo di Dio. In questo modo cresce la nostra anima, cresce la sensibilità del cuore verso Dio. Giustamente dice Giovanni Climaco che solo la speranza ci rende capaci di vivere la carità. La speranza nella quale trascendiamo le cose di ogni giorno, non aspettiamo il successo nei nostri giorni terreni, ma aspettiamo alla fine la rivelazione di Dio stesso. Solo in questa estensione della nostra anima, in questa autotrascendenza, la vita nostra diventa grande e possiamo sopportare le fatiche e le delusioni di ogni giorno, possiamo essere buoni con gli altri senza aspettarci ricompensa. Solo se c’è Dio, questa speranza grande alla quale tendo, posso ogni giorno fare i piccoli passi della mia vita e così imparare la carità. Nella carità si nasconde il mistero della preghiera, della conoscenza personale di Gesù: una preghiera semplice, che tende soltanto a toccare il cuore del divino Maestro. E così si apre il proprio cuore, si impara da Lui la stessa sua bontà, il suo amore. Usiamo dunque di questa "scalata" della fede, della speranza e della carità; arriveremo così alla vera vita.



SINTESI DELLA CATECHESI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Sintesi della catechesi in lingua francese

Chers Frères et Sœurs,

Après un cycle de catéchèse sur saint Paul, je reviens à la présentation des grands auteurs spirituels du Moyen-âge en évoquant, ce matin, pour vous, la figure de saint Jean Climaque. Né autour 575, il devient, à 16 ans, moine sur le mont Sinaï où il partagera son existence entre vie érémitique et vie cénobitique jusqu’à sa mort en 650.

À la demande de l’higoumène d’un monastère voisin, il composa l’Échelle sainte, l’ouvrage qui fit sa renommée. Il y décrit, pour les moines, les différents degrés de l’ascension spirituelle qui, partant du renoncement au monde, atteint la charité qui en constitue la cime.

Cette montée est marquée par trois grandes étapes. D’abord, la prise de distance vis-à-vis des personnes et des lieux aimés, le jeûne et la chasteté préparent le moine à l’obéissance, qui est l’école d’humilité. La deuxième phase est constituée par le combat spirituel contre les passions que l’ascèse et la grâce permettent de purifier pour les mobiliser en faveur de l’acquisition des vertus. Le dernier degré de cette progression est l’occasion pour saint Jean de décrire les modalités par lesquelles l’âme peut entrer dans l’esichía, c’est-à-dire la paix de l’âme, prélude à la contemplation des mystères divins. La charité, dont l’espérance est la force d’action, est le sommet de cette échelle où l’âme peut enfin s’unir à Dieu.

Écrite il y a plusieurs siècles pour la vie monastique, l’Échelle peut encore aujourd’hui orienter tous les baptisés pour les conduire à une participation plus profonde à la mort et à la résurrection du Christ.

Je suis heureux de saluer les pèlerins francophones, notamment la délégation des consuls honoraires, accompagnée par Son Éminence le Cardinal Philippe Barbarin, Archevêque de Lyon, la Communauté de l’Arche « l’Olivier » de Rennes qui fête cette année ses vingt ans d’existence, ainsi que tous les jeunes, en particulier ceux des collèges La Rochefoucauld et Fénelon Sainte-Marie de Paris. Bon pèlerinage à tous !


○ Sintesi della catechesi in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

Today we recommence our catechesis on the great Christian writers of both East and West. John Climacus, whose name means "ladder", was born around 575, and wrote an outstanding tract near Mount Sinai on the spiritual journey leading from renunciation of the world to perfection in love. The journey takes place in three stages. The first involves detachment from worldly goods in order to return to a state of Gospel innocence and enter into a deeper communion with God. In the second phase, the soul engages in a spiritual battle with the passions by cultivating virtues corresponding to each. When purified, these passions can show us the way to God through self-denial and grace. In the third phase, John emphasizes the importance of discernment: we must examine every aspect of our behaviour in order to ascertain our deepest motivations and reawaken a "sense of the heart". This leads to tranquillity of soul – esichía – which prepares us to probe the depths of the divine mysteries. The last "rung" of the ladder consists in faith, hope and charity. John’s account of charity includes eros, or human love, which points towards the nuptial union of the soul with God. May John’s spiritual "ladder" remind all of us who share in the death and resurrection of Christ through Baptism that we are called to continual conversion and purification with the help of the Holy Spirit.

I am pleased to greet all the English-speaking visitors present at today’s Audience, especially pilgrims from Japan, Taiwan, Denmark, England, Ireland and the United States. God bless you all!


○ Sintesi della catechesi in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern!

Nach dem Katechesenzyklus über den heiligen Paulus möchte ich nun wieder die Vorstellung bedeutender Kirchenschriftsteller aufnehmen. Heute setzen wir diese Reihe mit Johannes Climacus fort. Um 575 geboren, wurde Johannes mit 16 Jahren Mönch auf dem Sinai. 40 Jahre lang lebte er als Eremit, ehe er Abt des großen Mönchsklosters auf dem Berg Sinai wurde. Sein Beiname „Climacus", abgeleitet vom griechischen Wort klimax (die Leiter), rührt von seinem Hauptwerk „Paradiesesleiter" her. In dieser Abhandlung beschreibt Johannes in dreißig Stufen den geistlichen Aufstieg des Mönches. In einer ersten Phase, der Askese, erfolgt die Abkehr von der Welt als Voraussetzung für eine tiefere Gemeinschaft mit Gott. Der weitere Weg besteht in der Läuterung, im geistlichen Kampf gegen die Leidenschaften. Diese sind nicht in sich schlecht, es kommt aber auf deren rechten Gebrauch an. Wenn der Mönch sich dem Feuer des Heiligen Geistes aussetzt, kann er diesen Kampf siegreich führen. In der dritten Phase des Aufstiegs wird durch Demut und vor allem durch die Unterscheidungsgabe die geistliche Empfindsamkeit des Herzens geweckt. So gelangt der Mönch zur Ruhe der Seele, der hesychía. Diese Herzensruhe bereitet das Gebet vor – das körperliche Gebet und das Herzensgebet. Johannes spricht hier auch vom „Jesusgebet". Am Ende der Leiter steht die vollendete Dreiheit der Tugenden Glaube, Hoffnung, Liebe. Ziel des monastischen Lebens ist die Vereinigung mit Gott im Gebet und in der Liebe.

Gerne heiße ich alle Besucher deutscher Sprache willkommen. Besonders grüße ich die Dechanten aus der Diözese Graz-Seckau und die Journalisten in Begleitung von Bischof Kapellari sowie die Studierenden des Kirchenrechts der Universitäten Augsburg, Bochum, München und Potsdam. Das Bild der Leiter der Tugenden, wie es der heilige Johannes Climacus beschreibt, mag auch uns helfen, unser Denken und Tun an der Liebe Christi auszurichten. Dazu schenke uns der Heilige Geist seine Gnade.


○ Sintesi della catechesi in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

Después del ciclo dedicado a San Pablo, continuamos con los grandes Escritores Eclesiásticos del medioevo. San Juan Clímaco vivió entre las montañas del Sinaí como eremita y monje, en una época de profunda crisis a causa de las invasiones de los bárbaros. Su vida se caracterizó por un intenso amor a Dios y a los demás. Escribió un tratado de vida espiritual, la Escala del Paraíso, en la que describe el camino que debe recorrer el monje desde la renuncia al mundo hasta la perfección del amor. En la primera fase se trata de la ruptura con el mundo para volver al estado de infancia espiritual. Después, la lucha espiritual contra las pasiones para adquirir las virtudes. En la última etapa de la perfección cristiana, el alma, una vez alcanzado el estado de quietud, se preparara para la plegaria del cuerpo y del corazón. El autor concluye tratando de las tres virtudes teologales, y subrayando con San Pablo la primacía de la caridad sobre las demás. Es un escrito actual para los cristianos de hoy, pues señala la dirección hacia la que todos en la Iglesia deben de tender, la participación en la muerte y resurrección de Cristo comenzada con el bautismo.

Saludo cordialmente a los fieles de lengua española aquí presentes. En particular, a los peregrinos de las diócesis de Plasencia y Alcalá de Henares, acompañados por Monseñor Amadeo Rodríguez, Obispo de Plasencia, a la Hermandad de Nuestra Señora del Rocío, de Almonte, así como a los demás grupos venidos de España, México y otros países latinoamericanos. Aliento a todos a aprovechar peregrinación a Roma para profundizar en la fe y sentir el gozo de pertenecer a la Iglesia. Que Dios os bendiga.



SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Saluto in lingua portoghese

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente os de Portugal, das Paróquias de São Martinho de Lordelo do Ouro, Cristo Rei de Santa Bárbara Gaia, Santa Eulália de Águeda e de Nossa Senhora de Lourdes de Coimbra. A todos faço votos de uma feliz estadía na Cidade Eterna, e que este encontro com o Sucessor de Pedro reforce os propósitos de unidade e de comunhão na única fé, em Cristo Jesus Nosso Senhor. Que Deus vos abençoe e vos ampare, pela intercessão da Virgem de Fátima.


○ Saluto in lingua polacca

Witam serdecznie pielgrzymów polskich. Dzisiaj we wspomnienie Matki Bożej z Lourdes obchodzimy Światowy Dzień Chorego. Pozdrawiam więc szczególnie chorych i cierpiących, i tych, którzy się nimi opiekują. Wszystkich, którzy niosą krzyż cierpienia zawierzam w modlitwie Niepokalanej Dziewicy. Was tu obecnych, waszych bliskich i chorych niech umocni Apostolskie Błogosławieństwo, którego wszystkim z serca udzielam.

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Oggi, nella memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, celebriamo la Giornata Mondiale del Malato. Saluto quindi in modo particolare tutti i malati e i sofferenti e anche tutti quelli che si prendono cura di loro. Affido nella preghiera alla Vergine Immacolata quanti portano la croce della sofferenza. Vi conforti la benedizione apostolica che impartisco di tutto cuore a voi qui presenti, alle persone a voi care e a voi malati.]


○ Saluto in lingua ungherese

Szeretettel köszöntöm a magyar hķveket, elsõsorban azokat, akik a budapesti Sapientia Szerzetesi Fõiskolįról és azokat, akik Munkácsról érkeztek! Római utatok segítsen abban, hogy növekedjetek a hitben. Ehhez kérem a jó Isten áldását Rátok és családjaitokra.

Dicsértessék a Jézus Krisztus!

[Saluto cordialmente i fedeli di lingua ungherese, specialmente quelli della Scuola Superiore di Teologia "Sapientia" di Budapest ed il gruppo di Mukachevo! Il vostro soggiorno a Roma sia occasione per crescere nella fede! Con la particolare Benedizione Apostolica a voi e alle vostre famiglie! Sia lodato Gesù Cristo!]


○ Saluto in lingua ceca

Srdečně vítám poutníky ze Znojma a okolí.

Necht’ tato pout’ do Říma k hrobům apoštolů Petra a Pavla ve vás rozhojní touhu po duchovní dokonalosti.

K tomu vám rád žehnám.

Chvála Kristu!

[Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Znojmo e dintorni.

Possa questo vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo accrescere in voi il desiderio di perfezione spirituale. Con questi voti, volentieri vi benedico.

Sia lodato Gesù Cristo!]


○ Saluto in lingua italiana

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i Vescovi venuti per gli incontri promossi dal Movimento dei Focolari e dalla Comunità di Sant'Egidio. Cari Fratelli nell’Episcopato, sono lieto di questa opportunità che vi è offerta per confrontare esperienze ecclesiali di diverse zone del mondo, ed auguro che questi giorni di preghiera e di riflessioni possano portare frutti abbondanti per le vostre comunità. Saluto i fedeli di Velletri e li esorto ad essere sempre più autentici testimoni di Dio e del suo amore per gli uomini. Saluto i Volontari vincenziani di Ugento-Santa Maria di Leuca, di Lecce e li incoraggio a proseguire con generosità nelle loro attività caritative in favore dei più bisognosi.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Oggi celebriamo la festa della Beata Vergine di Lourdes. Invito voi, cari giovani, ad affidarvi sempre alla materna protezione di Maria, affinché vi aiuti a conservare un cuore generoso, disponibile e pieno di entusiasmo apostolico. La Beata Vergine di Lourdes, alla cui intercessione ricorrono con fiducia numerosi malati nel corpo e nello spirito, rivolga su voi tutti, cari fratelli e sorelle ammalati, il suo sguardo di consolazione e di speranza, e vi sostenga nel portare la croce quotidiana in stretta unione con quella redentrice di Cristo. Maria accompagni voi, cari sposi novelli, nel vostro cammino, perché le vostre famiglie siano comunità di intensa vita spirituale e di concreta testimonianza cristiana.

11/02/2009 21:54
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Messaggio pontificio ai Cardinali e Vescovi dell'Europa centro-orientale


In occasione di un incontro sulla missione della Chiesa dopo il comunismo






CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 11 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il messaggio inviato a nome di Benedetto XVI dal Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, in occasione del Terzo Incontro dei Presidenti e dei Cardinali delle Conferenze Episcopali dei Paesi del Centro Europa, riuniti fino a questo martedì a Zagabria (Croazia)








* * *




Sua Eminenza Reverendissima

Il Sig. Josip card. Bozanic'

Arcivescovo Metropolita di Zagabria

Vice Presidente del Consiglio

delle Conferenze Episcopali Europee







8 Febbraio 2009




Eminenza Reverendissima,

Il Santo Padre Benedetto XVI ha appreso con piacere che il prossimo 10 febbraio, a Zagabria, avrà luogo il Terzo Incontro dei Presidenti e dei Cardinali delle Conferenze Episcopali dei Paesi del Centro Europa vissuti sotto il regime comunista, sul tema "Missione della Chiesa nell'Europa Centro Orientale vent'anni dopo il crollo del sistema comunista (1989-2009)".

Sua Santità saluta cordialmente gli Em.mi Signori Cardinali, Em.mi ed Ecc.mi Presidenti delle Conferenze Episcopali, i venerati Fratelli nell'episcopato e tutti i partecipanti. Dalla natura della Chiesa deriva la sua missione, la quale è sempre la stessa, come ci ricorda San Paolo: "Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento" (2 Tim 4, 2). Annunziare la buona novella di Gesù Cristo sino a vent'anni fa nei Paesi dell'Europa Centro Orientale era veramente difficile e anche pericoloso, specialmente per i Pastori della Chiesa. Tra coloro i quali hanno sofferto persecuzioni per rimanere fedeli a Cristo e alla Chiesa, voi oggi celebrate il Beato martire Cardinale Alojzije Stepinac, "il più illustre personaggio" della Chiesa in Croazia, come lo definì il Servo di Dio Giovanni Paolo II, il 10 settembre 1994, nella sua omelia nella Cattedrale di Zagabria. Il martirio e la testimonianza del Beato Cardinale Stepinac ci stimolano e ci incoraggiano, assicurandoci che la Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio annunziando la passione e la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr Lumen gentium, 8). Dopo il crollo del comunismo la Chiesa affronta nuove sfide, nuovi problemi, ma il comandamento resta sempre uguale: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura" (Mc 16, 15). La mutua cooperazione tra i Pastori e tra le Conferenze Episcopali è di grande importanza per lo svolgimento di questa missione. Il presente incontro, espressione della vitalità della Chiesa, dà nuova speranza per l'efficacia della sua missione in Europa e nel mondo.

Mentre invoca l'intercessione della Beata Vergine Maria, Regina dei Martiri, il Successore di Pietro di cuore imparte una speciale Benedizione Apostolica a Vostra Eminenza, ai partecipanti all'Incontro e a quanti si impegnano perché tutti siano missionari della verità e dell'amore di Dio.

Mi è gradito profittare della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio.




dell'Eminenza Vostra Reverendissima

dev.mo nel Signore

+Tarcisio Card. Bertone

Segretario di Stato

12/02/2009 16:05
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LE UDIENZE

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in Udienza:

S.E. il Sig. Timothy Andrew Fischer, Ambasciatore di Australia presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali;

Ecc.mi Presuli della Conferenza Episcopale di Nigeria, in Visita "ad Limina Apostolorum":

S.E. Mons. Vincent Valentine Egwuchukwu Ezeonyia, C.S.Sp., Vescovo di Aba;

S.E. Mons. Solomon Amanchukwu Amatu, Vescovo di Okigwe
con il Vescovo emerito: S.E. Mons. Anthony Ekezia Ilonu;

Membri della "Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations".




RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA E SUCCESSIONE DELL’ARCIVESCOVO DI MEDAN (INDONESIA)

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Medan (Indonesia), presentata da S.E. Mons. Alfred Gonti Pius Datubara, O.F.M. Cap., in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Gli succede S.E. Mons. Anicetus Bongsu Antonius Sinaga, O.F.M. Cap., Coadiutore della medesima Arcidiocesi.



NOMINA DELL’ARCIVESCOVO METROPOLITA DI TAMALE (GHANA)

Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Tamale (Ghana) S.E. Mons. Philip Naameh, finora Vescovo di Damongo.



NOMINA DEL VESCOVO DI TUXPAN (MESSICO)

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Tuxpan (Messico) S.E. Mons. Juan Navarro Castellanos, finora Vescovo titolare di Capocilla ed Ausiliare di Acapulco.

S.E. Mons. Juan Navarro Castellanos

S.E. Mons. Juan Navarro Castellanos è nato a San José de Gracia, diocesi di San Juan de Los Lagos, il 27 gennaio 1945. Ha studiato filosofia e teologia nel Seminario di Guadalajara e, poi, in quello di San Juan de Los Lagos. È stato ordinato sacerdote il 23 dicembre 1977.

Nella diocesi di San Juan de Los Lagos ha svolto il ministero di: Vicario parrocchiale, Incaricato della Pastorale giovanile diocesana, Vicario episcopale per il Consiglio dei Laici, Membro dell’équipe diocesana di pastorale e Parroco.

Eletto Vescovo titolare di Capocilla ed Ausiliare di Acapulco il 30 gennaio 2004, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 23 marzo successivo.

12/02/2009 16:06
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LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DI AUSTRALIA PRESSO LA SANTA SEDE

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. il Sig. Timothy Andrew Fischer, Ambasciatore di Australia presso la Santa Sede.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha rivolto al nuovo ambasciatore, nonché i cenni biografici essenziali di S.E. il Sig. Timothy Andrew Fischer:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Mr Ambassador,

It is with particular pleasure that I welcome you to the Vatican and accept the Letters of Credence by which you are appointed Ambassador Extraordinary and Plenipotentiary of Australia to the Holy See. I would ask you kindly to convey to the Governor-General, Ms Quentin Bryce, and the Government and people of your nation my gratitude for their greetings. With vivid memories of my recent visit to your beautiful country, I assure you of my prayers for the country’s well-being and in particular I wish to send my condolences to the grieving individuals and families in Victoria who have lost loved ones in the recent bush fires.

Your Excellency’s appointment as Australia’s first residential Ambassador to the Holy See marks a welcome new stage in our diplomatic relations and provides an opportunity to deepen mutual understanding and to extend our already significant collaboration. The Church’s engagement with civil society is anchored in her conviction that human progress – whether as individuals or communities – is dependent upon the recognition of the supernatural vocation proper to every person. It is from God that men and women receive their essential dignity (cf. Gen 1:27) and the capacity to seek truth and goodness. Within this broad perspective we can counter tendencies to pragmatism and consequentialism, so prevalent today, which engage only with the symptoms and effects of conflicts, social fragmentation, and moral ambiguity, rather than their roots. When humanity’s spiritual dimension is brought to light, individuals’ hearts and minds are drawn to God and to the marvels of human life: being itself, truth, beauty, moral values, and other persons. In this way a sure foundation to unite society and sustain a vision of hope can be found.

World Youth Day was an event of singular importance for the universal Church and for Australia. Echoes of appreciation continue to resound within your own nation and across the globe. Above all, every World Youth Day is a spiritual event: a time when young people, not all of whom have a close association with the Church, encounter God in an intense experience of prayer, learning, and listening, thus coming to experience faith in action. Sydney residents themselves, as Your Excellency observed, were inspired by the sheer joy of the pilgrims. I pray that this young generation of Christians in Australia and throughout the world will channel their enthusiasm for all that is true and good into forging friendships across divides and creating places of living faith in and for our world, settings of hope and practical charity.

Mr Ambassador, cultural diversity brings much richness to the social fabric of Australia today. For decades that collage was tarnished by the injustices so painfully endured by the Indigenous Peoples. Through the apology offered last year by Prime Minister Rudd, a profound change of heart has been affirmed. Now, renewed in the spirit of reconciliation, both government agencies and aboriginal elders can address with resolution and compassion the plethora of challenges that lie ahead. A further example of your Government’s desire to promote respect and understanding among cultures is its laudable effort to facilitate inter-religious dialogue and cooperation both at home and in the region. Such initiatives help to preserve cultural heritages, nourish the public dimension of religion, and kindle the very values without which civic society’s heart would soon wither.

Australia’s diplomatic activity in the Pacific, Asia and more recently in Africa is multifaceted and growing. The nation’s active support of the Millennium Development Goals, numerous regional partnerships, initiatives to strengthen the Nuclear Non-Proliferation Treaty, and keen concern for just economic development are well known and respected. And as the shadows and lights of globalization cast their reach over our world in increasingly complex ways, your nation is showing itself ready to respond to a growing variety of exigencies in a principled, responsible and innovative manner. Not least of these are the menacing threats to God’s creation itself through climate change. Perhaps more than ever before in our human history the fundamental relationship between Creator, Creation and Creature needs to be pondered and respected. From this recognition we can discover a common code of ethics, consisting of norms rooted in the natural law inscribed by the Creator on the heart of every human being.

In my message this year for the World Day of Peace, I drew particular attention to the need for an ethical approach to the creation of positive partnerships between markets, civil society and States (cf. no. 12). In this regard I note with interest the Australian Government’s determination to establish relations of cooperation based on the values of fairness, good governance, and the sense of a regional neighbourhood. A genuinely ethical stance is at the heart of every responsible, respectful and socially inclusive development policy. It is ethics which render imperative a compassionate and generous response to poverty; they render urgent the sacrificing of protectionist interests for fair accessibility of poor countries to developed markets just as they render reasonable donor nations’ insistence upon accountability and transparency in the use of financial aid by receiver nations.

For her part, the Church has a long tradition within the healthcare sector where she brings to the fore an ethical approach to every individual’s particular needs. Especially in poorer nations, Religious Orders and church organizations – including many Australian missionaries – fund and staff a vast network of hospitals and clinics, often in remote areas where States have been unable to serve their own people. Of particular concern is the provision of medical care for families, including high-quality obstetrical care for women. How ironic it is, however, when some groups, through aid programmes, promote abortion as a form of ‘maternal’ healthcare: taking a life, purportedly to improve the quality of life.

Your Excellency, I am sure that your appointment will further strengthen the bonds of friendship which already exist between Australia and the Holy See. As you exercise your new responsibilities you will find the broad range of offices of the Roman Curia ready to assist you in the fulfilment of your duties. Upon you and your family together with your fellow citizens, I cordially invoke the abundant blessings of Almighty God.

S.E. il Sig. Timothy Andrew Fischer

Ambasciatore di Australia presso la Santa Sede

È nato a Lockhart, nel Nuovo Galles del Sud, il 3 maggio 1946.

È sposato e ha due figli.

Ufficiale dell'esercito australiano, ha prestato servizio in Australia e in Vietnam (1966-1969).

Ha ricoperto i seguenti incarichi: membro del Parlamento del Nuovo Galles del Sud (1971-1984); membro del Parlamento federale (1984-2001) e, nel contempo, ministro per l'Energia e le risorse (1990), ministro per il Commercio (1993) e vice Primo Ministro (1996-1999); capo della delegazione ufficiale australiana per la consultazione popolare in Timor Orientale (agosto-settembre 1999); presidente della compagnia privata Famu Holdings, con attività nel campo dell'agricoltura, l'esportazione e il trasporto (2001-2003); presidente di Tourism Australia (2004-2007); presidente dell'Australian Thailand Institute (2005-2008).

Autore di diversi libri, è stato moderatore della serie radiofonica Abc Radio's Great Train Show. Ha svolto anche attività presso Organizzazioni caritatevoli, diventando tra l'altro presidente nazionale del Royal Flying Doctor Service, fino al 2008.

12/02/2009 16:07
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UDIENZA AI MEMBRI DELLA DELEGAZIONE DELLA "CONFERENCE OF PRESIDENTS OF MAJOR AMERICAN JEWISH ORGANIZATIONS"

Alle ore 11.50 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri della Delegazione della "Conference of Presidents of Major American. Jewish Organizations" e rivolge loro il discorso che pubblichiamo qui di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Dear Friends,

I am pleased to welcome all of you today, and I thank Rabbi Arthur Schneier and Mr Alan Solow for the greetings they have addressed to me on your behalf. I well recall the various occasions, during my visit to the United States last year, when I was able to meet some of you in Washington D.C. and New York. Rabbi Schneier, you graciously received me at Park East Synagogue just hours before your celebration of Pesah. Now, I am glad to have this opportunity to offer you hospitality here in my own home. Such meetings as this enable us to demonstrate our respect for one another. I want you to know that you are all most welcome here today in the house of Peter, the home of the Pope.

I look back with gratitude to the various opportunities I have had over many years to spend time in the company of my Jewish friends. My visits to your communities in Washington and New York, though brief, were experiences of fraternal esteem and sincere friendship. So too was my visit to the Synagogue in Cologne, the first such visit in my Pontificate. It was very moving for me to spend those moments with the Jewish community in the city I know so well, the city which was home to the earliest Jewish settlement in Germany, its roots reaching back to the time of the Roman Empire.

A year later, in May 2006, I visited the extermination camp at Auschwitz-Birkenau. What words can adequately convey that profoundly moving experience? As I walked through the entrance to that place of horror, the scene of such untold suffering, I meditated on the countless number of prisoners, so many of them Jews, who had trodden that same path into captivity at Auschwitz and in all the other prison camps. Those children of Abraham, grief-stricken and degraded, had little to sustain them beyond their faith in the God of their fathers, a faith that we Christians share with you, our brothers and sisters. How can we begin to grasp the enormity of what took place in those infamous prisons? The entire human race feels deep shame at the savage brutality shown to your people at that time. Allow me to recall what I said on that sombre occasion: "The rulers of the Third Reich wanted to crush the entire Jewish people, to cancel it from the register of the peoples of the earth. Thus the words of the Psalm, ‘We are being killed, accounted as sheep for the slaughter’, were fulfilled in a terrifying way."

Our meeting today occurs in the context of your visit to Italy in conjunction with your annual Leadership Mission to Israel. I too am preparing to visit Israel, a land which is holy for Christians as well as Jews, since the roots of our faith are to be found there. Indeed, the Church draws its sustenance from the root of that good olive tree, the people of Israel, onto which have been grafted the wild olive branches of the Gentiles (cf. Rom 11: 17-24). From the earliest days of Christianity, our identity and every aspect of our life and worship have been intimately bound up with the ancient religion of our fathers in faith.

The two-thousand-year history of the relationship between Judaism and the Church has passed through many different phases, some of them painful to recall. Now that we are able to meet in a spirit of reconciliation, we must not allow past difficulties to hold us back from extending to one another the hand of friendship. Indeed, what family is there that has not been troubled by tensions of one kind or another? The Second Vatican Council’s Declaration Nostra Aetate marked a milestone in the journey towards reconciliation, and clearly outlined the principles that have governed the Church’s approach to Christian-Jewish relations ever since. The Church is profoundly and irrevocably committed to reject all anti-Semitism and to continue to build good and lasting relations between our two communities. If there is one particular image which encapsulates this commitment, it is the moment when my beloved predecessor Pope John Paul II stood at the Western Wall in Jerusalem, pleading for God’s forgiveness after all the injustice that the Jewish people have had to suffer. I now make his prayer my own: "God of our fathers, you chose Abraham and his descendants to bring your Name to the Nations: we are deeply saddened by the behaviour of those who in the course of history have caused these children of yours to suffer, and asking your forgiveness we wish to commit ourselves to genuine brotherhood with the people of the Covenant" (26 March 2000).

The hatred and contempt for men, women and children that was manifested in the Shoah was a crime against God and against humanity. This should be clear to everyone, especially to those standing in the tradition of the Holy Scriptures, according to which every human being is created in the image and likeness of God (Gen 1:26-27). It is beyond question that any denial or minimization of this terrible crime is intolerable and altogether unacceptable. Recently, in a public audience, I reaffirmed that the Shoah must be "a warning for all against forgetfulness, denial or reductionism, because violence committed against one single human being is violence against all" (January 28, 2009).

This terrible chapter in our history must never be forgotten. Remembrance — it is rightly said — is memoria futuri, a warning to us for the future, and a summons to strive for reconciliation. To remember is to do everything in our power to prevent any recurrence of such a catastrophe within the human family by building bridges of lasting friendship. It is my fervent prayer that the memory of this appalling crime will strengthen our determination to heal the wounds that for too long have sullied relations between Christians and Jews. It is my heartfelt desire that the friendship we now enjoy will grow ever stronger, so that the Church’s irrevocable commitment to respectful and harmonious relations with the people of the Covenant will bear fruit in abundance.

13/02/2009 02:09
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L'incontro di Benedetto XVI con gli ammalati nella basilica Vaticana

La vita umana va sempre
custodita e curata



"La fede ci aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in pienezza pur quando è fiaccata dal male". Lo ha ribadito Benedetto XVI al termine della celebrazione eucaristica, mercoledì pomeriggio 11 febbraio, nella basilica di San Pietro, in occasione della memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, XVIi Giornata mondiale del malato.



Cari ammalati,
cari fratelli e sorelle!
Assume un singolare valore e significato questo nostro incontro: esso ha luogo in occasione della Giornata Mondiale del Malato, che ricorre oggi, memoria della Beata Vergine di Lourdes. Il mio pensiero va a quel Santuario dove, in occasione del 150° anniversario delle apparizioni a santa Bernadetta, mi sono recato anch'io; e di quel pellegrinaggio conservo un vivo ricordo, che si focalizza in particolare sul contatto che ho potuto avere con i malati raccolti presso la Grotta di Massabielle. Sono venuto molto volentieri a salutarvi a conclusione della Celebrazione eucaristica, che ha presieduto il Cardinale Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, al quale rivolgo un cordiale pensiero. Insieme a lui saluto i Presuli presenti, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i volontari, i pellegrini, specialmente i cari malati e quanti se ne prendono quotidiana cura. È sempre emozionante rivivere in questa circostanza qui, nella Basilica di San Pietro, quel tipico clima di preghiera e di spiritualità mariana che caratterizza il Santuario di Lourdes. Grazie, dunque, per questa vostra manifestazione di fede e di amore a Maria; grazie a quanti l'hanno promossa ed organizzata, in particolare all'Unitalsi e all'Opera Romana Pellegrinaggi.
Questa Giornata invita a far sentire con maggiore intensità ai malati la vicinanza spirituale della Chiesa, la quale, come ho scritto nell'Enciclica Deus caritas est, è la famiglia di Dio nel mondo, all'interno della quale nessuno dovrebbe soffrire per mancanza del necessario, soprattutto per la mancanza di amore (cfr. n. 25 b). Al tempo stesso, quest'oggi ci è data l'opportunità di riflettere sull'esperienza della malattia, del dolore, e più in generale sul senso della vita da realizzare pienamente anche quando è sofferente. Nel messaggio per l'odierna ricorrenza ho voluto porre in primo piano i bambini ammalati, che sono le creature più deboli e indifese. È vero! Se già si resta senza parole davanti a un adulto che soffre, che dire quando il male colpisce un piccolo innocente? Come percepire anche in situazioni così difficili l'amore misericordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova?
Sono frequenti e talora inquietanti tali interrogativi, che in verità sul piano semplicemente umano non trovano adeguate risposte, poiché il dolore, la malattia e la morte restano, nel loro significato, insondabili per la nostra mente. Ci viene però in aiuto la luce della fede. La Parola di Dio ci svela che anche questi mali sono misteriosamente "abbracciati" dal disegno divino di salvezza; la fede ci aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in pienezza pur quando è fiaccata dal male. Dio ha creato l'uomo per la felicità e per la vita, mentre la malattia e la morte sono entrate nel mondo come conseguenza del peccato. Ma il Signore non ci ha abbandonati a noi stessi; Lui, il Padre della vita, è il medico per eccellenza dell'uomo e non cessa di chinarsi amorevolmente sull'umanità sofferente. Il Vangelo mostra Gesù che "scaccia gli spiriti con la sua parola e guarisce coloro che sono ammalati" (Mt 8, 16), indicando la strada della conversione e della fede come condizioni per ottenere la guarigione del corpo e dello spirito, è la guarigione voluta dal Signore sempre. È la guarigione integrale, di corpo e anima, perciò scaccia gli spiriti con la parola. La sua parola è parola d'amore, parola purificatrice: scaccia gli spiriti del timore, della solitudine, dell'opposizione a Dio, perché così purifica la nostra anima e dà pace interiore. Così ci dà lo spirito dell'amore e la guarigione che comincia dall'interno. Ma Gesù non ha solo parlato; è Parola incarnata. Ha sofferto con noi, è morto. Con la sua passione e morte Egli ha assunto e trasformato fino in fondo la nostra debolezza. Ecco perché - secondo quanto ha scritto il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Salvifici doloris - "soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all'opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all'umanità in Cristo" (n. 23).
Cari fratelli e sorelle, ci rendiamo conto sempre più che la vita dell'uomo non è un bene disponibile, ma un prezioso scrigno da custodire e curare con ogni attenzione possibile, dal momento del suo inizio fino al suo ultimo e naturale compimento. La vita è mistero che di per se stesso chiede responsabilità, amore, pazienza, carità, da parte di tutti e di ciascuno. Ancor più è necessario circondare di premure e rispetto chi è ammalato e sofferente. Questo non è sempre facile; sappiamo però dove poter attingere il coraggio e la pazienza per affrontare le vicissitudini dell'esistenza terrena, in particolare le malattie e ogni genere di sofferenza. Per noi cristiani è in Cristo che si trova la risposta all'enigma del dolore e della morte. La partecipazione alla Santa Messa, come voi avete appena fatto, ci immerge nel mistero della sua morte e della sua risurrezione. Ogni Celebrazione eucaristica è il memoriale perenne di Cristo crocifisso e risorto, che ha sconfitto il potere del male con l'onnipotenza del suo amore. È dunque alla "scuola" del Cristo eucaristico che ci è dato di imparare ad amare la vita sempre e ad accettare la nostra apparente impotenza davanti alla malattia e alla morte.
Il mio venerato e amato predecessore Giovanni Paolo II ha voluto che la Giornata Mondiale del Malato coincidesse con la festa della Vergine Immacolata di Lourdes. In quel luogo sacro, la nostra Madre celeste è venuta a ricordarci che su questa terra siamo solo di passaggio e che la vera e definitiva dimora dell'uomo è il Cielo. Verso tale meta dobbiamo tutti tendere. La luce che viene "dall'Alto" ci aiuti a comprendere e a dare senso e valore anche all'esperienza del soffrire e del morire. Domandiamo alla Madonna di volgere il suo sguardo materno su ogni ammalato e sulla sua famiglia, per aiutarli a portare con Cristo il peso della croce. Affidiamo a Lei, Madre dell'umanità, i poveri, i sofferenti, gli ammalati del mondo intero, con un pensiero speciale per i bambini sofferenti. Con questi sentimenti vi incoraggio a confidare sempre nel Signore e di cuore tutti vi benedico.



(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2009)

13/02/2009 02:10
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Il Papa riafferma l'irrevocabilità
della condanna dell'antisemitismo da parte della Chiesa Cattolica

Intollerabile e inaccettabile
qualsiasi negazione della Shoah

Qualsiasi negazione o minimizzazione del terribile crimine della Shoah è "intollerabile e del tutto inaccettabile". Lo ha ribadito il Papa incontrando giovedì mattina, 12 febbraio, i membri della Conferenza dei Presidenti delle Maggiori Organizzazioni Ebraiche Americane.



Cari amici,
sono lieto di accogliere tutti voi oggi e ringrazio il rabbino Arthur Schneier e il signor Alan Solow per i saluti che mi hanno rivolto a vostro nome. Ricordo bene le varie occasioni, durante la mia visita negli Stati Uniti lo scorso anno, nelle quali ho potuto incontrare alcuni di voi a Washington e a New York. Lei, rabbino Schneier, con cortesia mi ha ricevuto presso la Park East Synagogue alcune ore prima della vostra celebrazione della Pasqua. Ora, sono lieto di avere l'occasione di offrirle ospitalità qui nella mia casa. Incontri come questo ci permettono di dimostrare il nostro rispetto reciproco. Voglio che sappiate che voi siete tutti davvero benvenuti qui oggi nella casa di Pietro, la casa del Papa.
Ricordo con gratitudine le varie occasioni che ho avuto nel corso di molti anni di trascorrere del tempo in compagnia dei miei amici ebrei. Le mie visite, seppure brevi, alle vostre comunità a Washington e a New York, sono state esperienza di stima fraterna e amicizia sincera. Così è accaduto anche durante la visita alla sinagoga a Colonia, la prima di questo tipo del mio pontificato. È stato per me molto commovente trascorrere alcuni momenti con la comunità ebraica nella città che conosco così bene, la città che ha ospitato il più antico insediamento ebraico in Germania e le cui origini risalgono al tempo dell'impero romano.
Un anno dopo, nel maggio del 2006, ho visitato il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Quali parole possono esprimere in modo adeguato quell'esperienza profondamente toccante? Entrando in quel luogo di orrore, scenario di indicibile sofferenza, ho meditato sugli innumerevoli prigionieri, così tanti di loro ebrei, che avevano percorso quello stesso cammino nella prigionia ad Auschwitz e in tutti gli altri campi di prigionia. Quei figli di Abramo, colpiti dal lutto e spaventosamente umiliati, avevano ben poco per sostenersi oltre alla propria fede nel Dio dei loro padri, una fede che noi cristiani condividiamo con voi, nostri fratelli e nostre sorelle. Come possiamo cominciare a comprendere l'enormità di ciò che è accaduto in quelle prigioni infami? L'intero genere umano prova una profonda vergogna per la brutalità selvaggia mostrata allora verso il vostro popolo. Permettetemi di ripetere quanto ho detto in quella triste occasione: "I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: "Siamo messi a morte, stimati come pecore al macello" si verificarono in modo terribile".
Il nostro incontro odierno si svolge nel contesto della vostra visita in Italia in concomitanza con la vostra annuale Leadership Mission in Israele. Anche io mi sto preparando a visitare Israele, una terra che è santa per i cristiani e per gli ebrei, poiché le radici della nostra fede si trovano lì. Infatti, la Chiesa trae sostentamento dalla radice di quel buon albero di olivo, il popolo di Israele, su cui sono stati innestati i rami di olivo selvatico dei Gentili (cfr. Romani, 11, 17-24). Fin dai primi giorni del cristianesimo, la nostra identità e ogni aspetto della nostra vita e del nostro culto sono intimamente legati all'antica religione dei nostri padri nella fede.
La storia bimillenaria del rapporto fra l'ebraismo e la Chiesa ha attraversato molte diverse fasi, alcune delle quali dolorose da ricordare. Ora che possiamo incontrarci in spirito di riconciliazione, non dobbiamo permettere alle difficoltà passate di trattenerci dal porgerci reciprocamente la mano dell'amicizia. Infatti, quale famiglia non è mai stata attraversata da tensioni di un tipo o dell'altro? La Dichiarazione del concilio Vaticano ii Nostra aetate è stata una pietra miliare lungo il cammino verso la riconciliazione e ha chiaramente evidenziato i principi che hanno governato da allora l'atteggiamento della Chiesa nelle relazioni fra cristiani ed ebrei. La Chiesa è profondamente e irrevocabilmente impegnata a rifiutare ogni forma di antisemitismo e a continuare a costruire relazioni buone e durature fra le nostre due comunità. Una particolare immagine che esprime questo impegno è quella del momento in cui il mio amato predecessore Papa Giovanni Paolo II ha sostato presso il Muro occidentale di Gerusalemme, implorando il perdono di Dio dopo tutta l'ingiustizia che il popolo ebraico aveva dovuto subire. Ora faccio mia la sua preghiera: "Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome fosse portato alle genti: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi suoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un'autentica fraternità con il popolo dell'alleanza. Per Cristo nostro Signore" (26 marzo 2000).
L'odio e il disprezzo per uomini, donne e bambini manifestati nella Shoah sono stati un crimine contro Dio e contro l'umanità. Questo dovrebbe essere chiaro a tutti, in particolare a quanti appartengono alla tradizione delle Sacre Scritture, secondo le quali ogni essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio (Genesi, 1, 26-27). È ovvio che qualsiasi negazione o minimizzazione di questo terribile crimine è intollerabile e del tutto inaccettabile. Di recente, in un'udienza pubblica, ho riaffermato che la Shoah deve essere un "monito contro l'oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti" (8 gennaio 2009).
Questo capitolo terribile della nostra storia non dovrà mai essere dimenticato.
Il ricordo, come si dice giustamente, è memoria futuri, un ammonimento a noi per il futuro e un monito a lottare per la riconciliazione. Ricordare significa fare tutto il possibile per prevenire qualsiasi recrudescenza di questa catastrofe nella famiglia umana, edificando ponti di amicizia duratura. Prego con fervore affinché il ricordo di questo crimine orrendo rafforzi la nostra determinazione a guarire le ferite che da troppo tempo affliggono le relazioni fra cristiani ed ebrei. Desidero sinceramente che la nostra amicizia divenga sempre più forte affinché l'impegno irrevocabile della Chiesa per relazioni rispettose e armoniose con il popolo dell'Alleanza portino frutti abbondanti.

(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2009)
[Modificato da +PetaloNero+ 13/02/2009 02:10]

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Benedetto XVI all'Ambasciatore di Australia presso la Santa Sede

L'istanza etica alla base
di ogni politica di sviluppo




Benedetto XVI ha ricevuto nella mattina di giovedì 12 febbraio, alle ore 11, in solenne udienza, Sua Eccellenza il Signor Timothy Andrew Fischer, nuovo Ambasciatore di Australia presso la Santa Sede, il quale ha presentato le Lettere con le quali viene accreditato nell'alto ufficio.
L'Ambasciatore, rilevato alla sua residenza da un Gentiluomo di Sua Santità e da un Addetto di Anticamera, è giunto alle 10.45 al Cortile di San Damaso, nel Palazzo Apostolico Vaticano, ove un reparto della Guardia Svizzera Pontificia rendeva gli onori.
Al ripiano degli ascensori, l'Ambasciatore era ricevuto da un Gentiluomo di Sua Santità e subito dopo saliva alla seconda Loggia, dove si trovavano ad attenderlo gli Addetti di Anticamera e i Sediari. Dalla seconda Loggia il corteo si dirigeva alla Sala Clementina, dove l'Ambasciatore veniva ricevuto dal prefetto della Casa Pontificia, l'arcivescovo James Michael Harvey, il quale lo introduceva alla presenza del Pontefice nella Biblioteca privata. $\Dopo la presentazione delle Credenziali da parte dell'Ambasciatore avevano luogo lo scambio dei discorsi e, quindi, il colloquio privato.
Dopo l'udienza, nella Sala Clementina l'Ambasciatore prendeva congedo dal prefetto della Casa Pontificia e si recava a far visita al cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato.
Al termine del colloquio il Diplomatico discendeva nella Basilica Vaticana: ricevuto da una delegazione del Capitolo, si recava dapprima nella Cappella del Santissimo Sacramento per un breve atto di adorazione; passava poi a venerare l'immagine della Beatissima Vergine e, quindi, la tomba di San Pietro.
Al termine della visita l'Ambasciatore prendeva congedo dalla delegazione del Capitolo, quindi, alla Porta della Preghiera, prima di lasciare la Basilica, si congedava dai dignitari che lo avevano accompagnato e faceva ritorno alla sua residenza.
Questo è il testo del discorso del Papa.



Signor Ambasciatore,
è con particolare piacere che la accolgo in Vaticano e accetto le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario dell'Australia presso la Santa Sede. Le chiedo cortesemente di trasmettere al Governatore Generale, signora Quentin Bryce, al Governo e al popolo della sua nazione la mia gratitudine per i loro saluti. Ricordando vividamente la mia recente visita nel suo bel Paese, l'assicuro delle mie preghiere per il benessere della sua nazione e, in particolare, desidero porgere le mie condoglianze alle persone e alle famiglie in lutto a Victoria per aver perso i propri cari nei recenti incendi boschivi.
Eccellenza, la sua nomina come primo Ambasciatore residente dell'Australia presso la Santa Sede inaugura una nuova fase nelle nostre relazioni diplomatiche, offre l'opportunità di approfondire la comprensione reciproca e di ampliare la nostra già significativa collaborazione. L'impegno della Chiesa con la società civile è ancorato alla convinzione che il progresso umano, sia degli individui sia delle comunità, dipende dal riconoscimento della vocazione soprannaturale di ogni persona. È da Dio che uomini e donne ricevono la loro essenziale dignità (cfr. Genesi, 1, 27) e la capacità di ricercare la verità e la bontà. In questa ampia prospettiva possiamo imbatterci in tendenze al pragmatismo e al consequenzialismo, tanto prevalenti oggi, che si occupano soltanto dei sintomi e degli effetti dei conflitti, ovvero la frammentazione sociale e l'ambiguità morale, invece che delle loro cause. Quando viene portata alla luce la dimensione spirituale dell'umanità, il cuore e la mente degli individui vengono condotti a Dio e alle meraviglie della vita: essere se stessi, verità, bellezza, valori morali, e altre persone. In questo modo si può ottenere un saldo fondamento per unire la società e sostenere un'idea di speranza.
La Giornata Mondiale della Gioventù è stata un evento di importanza particolare per la Chiesa universale e per l'Australia. Echi di apprezzamento continuano a risuonare nella sua nazione e in tutto il mondo. Ogni Giornata Mondiale della Gioventù è soprattutto un evento spirituale: un momento in cui giovani, non tutti strettamente legati alla Chiesa, incontrano Dio in un'esperienza intensa di preghiera, apprendimento e ascolto, vivendo dunque la fede in azione. Come Lei, Eccellenza, ha osservato, gli stessi abitanti di Sydney hanno tratto ispirazione dalla gioia dei pellegrini. Prego affinché questa giovane generazione di cristiani in Australia e nel resto del mondo incanali il proprio entusiasmo verso tutto ciò che è vero e buono, creando amicizie al di là delle divisioni e luoghi di fede viva per e nel nostro mondo, come scenari di speranza e carità concreta.
Signor Ambasciatore, la diversità culturale apporta molta ricchezza al tessuto sociale dell'Australia di oggi. Per decenni la variegata realtà australiana è stata offuscata dalle ingiustizie tanto dolorosamente subite dalle popolazioni indigene. Attraverso le scuse offerte lo scorso anno dal Primo Ministro Rudd, è stato affermato un profondo cambiamento del cuore. Ora, rinnovati nello spirito di riconciliazione, sia le agenzie governative sia gli anziani aborigeni, possono affrontare con determinazione e compassione moltissime sfide. Un ulteriore esempio del desiderio del suo governo di promuovere rispetto e comprensione fra le culture è il suo lodevole sforzo di facilitare il dialogo e la cooperazione fra le religioni sia nel Paese sia nella regione. Queste iniziative contribuiscono a tutelare eredità culturali, alimentano la dimensione pubblica della religione e ravvivano i valori senza i quali il cuore della società civile si arresterebbe presto.
L'attività diplomatica australiana nel Pacifico, in Asia e più recentemente in Africa è poliedrica e crescente. La lotta della nazione per sostenere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, le numerose collaborazioni regionali, le iniziative per rafforzare il Trattato di non proliferazione nucleare e una forte preoccupazione per uno sviluppo economico equo sono ben note e rispettate. Mentre le luci e le ombre della globalizzazione avvolgono il nostro mondo in modi sempre più complessi, la sua nazione si sta dimostrando pronta a rispondere a una varietà crescente di esigenze in modo innovativo, responsabile e ispirato da principi. Non da ultime ricordiamo le minacce al creato stesso attraverso il cambiamento climatico. Forse, ora più che mai nella nostra storia umana il rapporto fondamentale fra Creatore, creato e creatura deve essere ponderato e rispettato. A partire da questo riconoscimento possiamo scoprire un comune codice etico che consiste in norme radicate nella legge naturale iscritta dal Creatore nel cuore di ogni essere umano.
Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest'anno, ho prestato particolare attenzione alla necessità di un approccio etico alla creazione di collaborazioni positive fra mercati, società civile e Stati (cfr. n. 12). A questo proposito osservo con interesse la determinazione del Governo australiano a instaurare rapporti di cooperazione basati sui valori della correttezza, del buon governo e del senso di prossimità regionale. Una posizione autenticamente etica è al centro di qualsiasi politica di sviluppo responsabile, rispettoso e socialmente inclusivo. È l'etica a rendere imperativa una risposta compassionevole e generosa alla povertà. L'etica rende urgente sacrificare gli interessi protezionistici a favore di una corretta accessibilità dei paesi poveri ai mercati industrializzati così come rende ragionevole l'insistenza delle nazioni donatrici sull'affidabilità e sulla trasparenza nell'utilizzazione di aiuti finanziari da parte delle nazioni che li ricevono.
Da parte sua la Chiesa ha una lunga tradizione nel settore sanitario in cui mette in evidenza un approccio etico alle esigenze particolari di ogni individuo. Soprattutto nelle nazioni più povere, gli ordini religiosi e le organizzazioni ecclesiali, inclusi molti missionari australiani, finanziano ospedali e cliniche, fornendo personale, spesso in aree remote in cui gli Stati non sono riusciti a servire il proprio popolo. Di particolare interesse è l'offerta di assistenza medica alle famiglie, inclusa quella ostetrica di elevata qualità per le donne. Tuttavia, è paradossale che alcuni gruppi, attraverso i programmi di aiuto, promuovano l'aborto come forma di assistenza alla maternità: eliminare una vita per, a quel che si dice, migliorare la qualità di vita!
Eccellenza, sono certo che la sua nomina rafforzerà ulteriormente i vincoli di amicizia già esistenti fra Australia e Santa Sede. Nell'esercizio delle sue responsabilità, troverà una vasta gamma di dicasteri della Curia Romana pronti ad assisterla nello svolgimento dei suoi doveri. Su di lei, sulla sua famiglia e sui suoi concittadini, invoco di cuore le abbondanti benedizioni di Dio onnipotente.



(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2009)









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