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Enciclica "Caritas in veritate"

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    00 08/07/2009 01:23
    Enciclica “Caritas in Veritate” di Papa Benedetto XVI

    www.zenit.org/article-18885?l=italian

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    00 08/07/2009 16:11
    I commenti alla "Caritas in veritate" dei cardinali Renato Raffaele Martino e Paul Joseph Cordes


    Come prevedibile, vasta eco nel mondo hanno suscitato le affermazioni di Benedetto XVI contenute nell’Encilica Caritas in veritate. Luca Collodi ha chiesto un commento a uno dei relatori che ieri hanno presentato il documento ai giornalisti, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

    R. - E’ questa l’intenzione del Papa: quella di rivolgersi a tutte le persone, a tutti gli uomini di buona volontà e anche a tutte le religioni ed ai loro rappresentanti, perche la religione deve essere ormai parte della vita pubblica e deve trovare un posto nella sfera pubblica, perché ha la sua parola da dire. E ciò è importante nel momento in cui il relativismo ed il laicismo vogliono escludere ogni espressione religiosa dalla vita pubblica.

    D. - L’Enciclica invita l'uomo a ripensare se stesso nel rapporto costante tra fede e ragione...

    R. - Assolutamente. E questo è proprio importante. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede. E questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. Ma, allo stesso momento, la religione ha bisogno di essere purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano e per rimanere a contatto con le realtà terrene.

    D. - Il mercato non è però il "male"...

    R. - La Dottrina sociale della Chiesa da sempre riconosce la legittimità del profitto, del mercato, altrimenti non ci sarebbe incentivo a mettere sul mercato nessuna cosa. Però, non deve essere lasciato in balia di se stesso per il maggiore profitto, ma deve essere controllato innanzitutto dallo Stato. Ma ci sono molte altre maniere di esercitare un controllo, ad esmpeio attraverso le associazioni dei consumatori, importanti in quest'ottica. Inoltre, il mercato deve anche interessare chi produce, quindi i lavoratori: anche loro hanno la loro parte di interesse e, quindi, il profitto non deve andare sempre unicamente all’imprenditore, all’impresa, ma deve tener conto di tutti quelli che partecipano alla produzione di un bene.

    D. - Per questo l’Enciclica chiede anche una riflessione sul modo di fare sindacato?

    R. - Sì. Ha ripetuto e ripete l’incoraggiamento che la Chiesa, con la Dottrina sociale, ha sempre dato ai sindacati. Naturalmente, in questa era di globalizzazione i sindacati devono fare uno sforzo di modernizzazione, perché con la globalizzazione il mercato del lavoro si estende a tutto il mondo. Devono fare lo sforzo di mettersi alla pari della globalizzazione. E’ importante, ma troveranno sempre l’appoggio della Chiesa e della Dottrina sociale per questo.

    D. - Si chiedono anche riforme e meno burocrazie anche agli organismi internazionali, soprattutto per vincere le povertà…

    R. - C’e una critica molto severa, perche talvolta l’aiuto allo sviluppo è un aiuto agli sviluppatori. Cioè, di un qualsiasi programma, non solo dell’Onu ma anche di tante altre Organizzazioni, gli addetti alla sua realizzazione percepiscono lauti stipendi e spesso i riceventi nei Paesi in via di sviluppo sono quasi una scusa per mantenere in piedi un programma che aiuta, piuttosto, le tasche dei promotori. Ma quello che tengo soprattutto a dire e che l’Enciclica ha parole di apprezzamento per le Nazioni Unite e per le sue agenzie, sottolineando - e questa è la richiesta di anni, dal tempo in cui io rappresentavo la Santa Sede all’Onu - la necessità di una riforma.

    D. - Anche il rispetto della vita è alla base dello sviluppo umano?

    R. - Certo. L’Enciclica richiama i due documenti, l’Evangelium Vitae e l’Humanae Vitae. In più di un passaggio, si fa riferimento al rispetto della vita perché è la condizione necessaria per poter godere di tutti gli altri diritti, così pure come l’altro riferimento è quello alla libertà di religione. Ora questo è importante, e c’è pure una condanna chiara all’aborto, all’eutanasia, alle modificazioni embrionali. L’Enciclica ci dà un quadro generale su tutte queste cose, delle direttive, dei consigli su tutto quanto è dibattuto oggi in questo mondo globalizzato.
    Sulla terza enciclica di Benedetto XVI, la prima di carattere sociale, si è soffermato anche l’altro relatore in conferenza stampa, il cardinale Paul Joseph Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Al microfono di Hélène Destombes, della nostra redazione francese, il porporato ha evocato la particolarità della Caritas in veritate rispetto alle precedenti Encicliche sociali, in particolare la Rerum Novarum di Leone XIII e la Populorum Progressio di Paolo VI:

    R. - Pour moi, le neuf dans cette encyclique est dans le fait que elle s’occupe …
    A mio avviso, la novità di questa Enciclica sta nel fatto che essa si concentra maggiormente sugli attori che devono operare il bene, piuttosto che sulle cose che debbono essere cambiate. All’inizio, c’è soprattutto la miseria nella società e contro questa miseria la dottrina sociale della Chiesa ha reagito ed ha suggerito dei cambiamenti o piuttosto una giustizia maggiore. Oggi vediamo che è necessario cambiare le cose, ma è necessario cambiarle attraverso le persone che hanno la responsabilità e il potere per operare questi cambiamenti. Questo, a mio avviso, è l’elemento nuovo nella dottrina sociale. E’ vero anche che è intervenuta la crisi economica: negli ultimi 40 anni, dopo la pubblicazione della Populorum Progressio, il mondo è cambiato molto in diversi ambiti. La tutela della vita, l’ecologia, l’universalità del mercato, la globalizzazione sono ambiti nuovi sui quali l’enciclica si pronuncia. Secondo me, l’elemento essenziale è la visione degli “attori”, delle persone che devono cambiare, che possono cambiare, e quindi l’appello rivolto a questi “attori”.

    D. – Possiamo dire che non si tratta di una critica alle strutture economiche attuali, ma che in realtà il Papa si rivolge all’uomo, perché è il cuore dell’uomo che egli vuole raggiungere?

    R. – Bien sur! Je pense que la critique est assez dure et assez claire. …
    Certamente. La critica è molto dura e anche molto chiara. Il Santo Padre suggerisce che le persone - come ad esempio in questo momento i partecipanti al G8 - debbano impegnarsi per cambiare le strutture, perché noi tutti dipendiamo anche dalle strutture. Fu Giovanni Paolo II ad introdurre il concetto di “peccato della struttura” e all’inizio la sorpresa fu grande. E’ necessario avere non soltanto buona volontà, ma anche premere sui responsabili affinché essi riflettano e cambino le strutture.




    Radio Vaticana

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    Bestion.
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    00 08/07/2009 18:20
    Enciclica Caritas in veritate





    Parla Stefano ZAMAGNI, che ha collaborato alla stesura.

    "Altro che Marx,

    la sua è la vera rivoluzione"

    di Francesco Anfossi



    «Per la prima volta nella storia un'enciclica sociale propone un modello ben preciso: l’economia civile».




    «È la prima enciclica sociale in cui si va all’attacco. Non si dice ai capitalisti: fate i bravi, ma rivitalizzate il mercato con nuovi soggetti: imprese sociali, onlus, non profit. Una vera rivoluzione nella continuità, destinata a cambiare il mondo». L’economista Stefano Zamagni, padre degli studi sul Terzo settore (quello che si pone tra Stato e mercato, tra pubblico e privato), ha collaborato in buona misura all’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate.

    - Perché parla di rivoluzione e poi di continuità?
    «Bisogna innanzitutto sottolineare le tesi di continuità che questo Papa ha voluto dare. Vi è un continuo riferimento alla Populorum progressio. In pratica ha tagliato l’erba sotto ai piedi di chi voleva sottolineare una sterzata rispetto ai precedenti pontefici in tema di dottrina sociale della Chiesa».

    - E invece...
    «E invece, molto saggiamente, pur affermando novità assolute, si rivela in una totale continuità. Non solo per completare l’opera dei predecessori, ma perché Benedetto XVI condivide i princìpi ancora oggi fondamentali enunciati dai suoi predecessori».

    - Molti si aspettavano un titolo diverso, magari quel "Veritas in caritate" della lettera di san Paolo.
    «Questo non è un particolare da poco. Vuol dire riaffermare il principio centrale dei Francescani sui Domenicani, il primato del bene sul giusto e sul vero. La carità, il bene comune, è la parola chiave di questa enciclica. Affermandola il Papa evita tensioni verso il razionalismo. Perché è proprio il bene che evita le degenerazioni».

    - In questa enciclica viene affrontato per la prima volta il tema della globalizzazione.
    «Vi è un’analisi molto precisa. La conclusione è che occorre una governance globale, ma di tipo sussidiario, che non degeneri nella creazione di un super Stato (sul modello del Grande fratello descritto da Orwell)».

    - Che tipo di governance?
    «La prima è una sorta di seconda assemblea delle Nazioni Unite che però includa non solo gli Stati ma anche le organizzazioni non governative e degli altri corpi intermedi della società civile. La seconda è un’agenzia transnazionale, che regoli in particolare ambiente e migrazioni. Finora non esiste un soggetto che regoli questi due fattori così importanti per l’epoca della globalizzazione. Abbiamo solo l’Organizzazione mondiale del commercio. Vuol dire che le merci contano più dell’uomo».

    - Cosa propone il Papa per affrontare fame e carestie?
    «Un Consiglio di sicurezza, da affiancare all’attuale Consiglio dell’Onu per gli aspetti economici e sociali. Non si capisce perché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite debba funzionare per affrontare i focolai di crisi e le guerre e non per scongiurare emergenze non meno devastanti come quelle alimentari o sanitarie».

    - Che ruolo assegna agli Stati Benedetto XVI?
    «Più che a un nuovo ruolo degli Stati o a un super Stato che governi il mondo il Papa pensa a una serie di soggetti basati sul principio della poliarchia».

    - In questa enciclica irrompe il grande tema dell’economia civile.
    «Esattamente. La rivoluzione di questo documento è il ritorno all’economia civile da contrapporre all’economia politica di stampo anglosassone».

    - Che significa in parole povere?
    «Significa che il principio di reciprocità, che sta alla base dell’economia civile, gioca un ruolo dentro il mercato e non fuori, come vogliono i teorici dell’economia politica. Prenda l’imprenditore. È diverso: è colui che pratica l’etica della virtù e si preoccupa non solo del suo profitto ma di tutta la comunità che sta intorno a un’impresa».

    - Che ruolo viene assegnato al mercato, all’economia capitalistica?
    «Il mercato non va confuso con l’economia capitalistica. Non c’è da avere paura che scompaia il mercato. Il grande errore che viene commesso oggi è di tornare allo statalismo, come stanno facendo i Governi, che è un errore tragico. Dobbiamo cambiare strategia. Si esce dall’antico ritornando a una ricetta molto più antica dello statalismo, ma sempre valida: il principio di reciprocità basato sulla fraternità, associata in questa enciclica per la prima volta nella storia allo sviluppo economico».

    - La fraternità dunque salverà il capitalismo di mercato?
    «Il Papa lo dice molto chiaramente: solo con la fraternità si evitano le degenerazioni del capitalismo, che portano alla massimizzazione del profitto, che non è l’unico fine dell’attività economica. Ecco perché per la prima volta in un documento della dottrina sociale della Chiesa si parla di non profit, di economia di comunione, come quella dei Focolarini, di cooperazione».

    - Insomma: né Stato, né capitalismo, una sorta di terza via...
    «La terza via presuppone un mix delle due correnti. Ma qui si va oltre questi due opposti estremismi. Per segnare la strada del futuro si torna all’antico, precisamente al Trecento e dintorni».

    - L’età dei Comuni, dei mercati...
    «Non solo, dei Monti di pietà inventati per combattere l’usura, delle cooperative, del risveglio europeo, della grande scuola francescana, cui va attribuita la prima elaborazione economica sistematica. Si potrebbe dire che l’economia sia figlia del francescanesimo, che vuole combattere la miseria in modo che l’uomo si dedichi senza problemi di sostentamento a Dio. Ci sono esempi luminosi: Bonaventura da Bagnoregio, Bernardino da Siena, Antonino da Firenze, il cui libro è il più importante saggio di economia prima della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith. Mentre le altre encicliche giocavano un po’ di rimessa qui si va alla radice».

    - Si parla molto anche di ambiente.
    «E non è una sorpresa, perché il creato fa parte della dimensione divina e va preservato. Il principio è sempre quello: la reciprocità in economia. Capire che lo stare bene personale dipende dallo stare bene degli altri. È una rivoluzione, altro che Carlo Marx. Ci vorranno anni perché la gente capisca la portata di una rivoluzione del genere».




    Fonte -




    Veramente benedetto [SM=g9434]
    Benedetto XVI





    [Modificato da Bestion. 08/07/2009 18:25]
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    Bestion.
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    00 08/07/2009 18:26


    ecco l'Enciclica integrale del Santo Padre
    Benedetto XVI




    - QUI -




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    Paparatzifan
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    00 08/07/2009 22:13
    Dal blog di Lella...

    Vaticano Tremonti: molto, molto importante. Il testo fa il giro del mondo anche grazie a Internet

    «Un’enciclica che resterà nella storia»

    Il cardinal Martino presenta «Caritas in veritate». Boff: sorpreso dal taglio sociale

    G. G. V.

    CITTÀ DEL VATICANO

    Basterebbe dire che pure Leonardo Boff, teologo della liberazione che non ha particolare simpatia per Ratzinger, interviene dal Brasile per dirsi «sorpreso» del «taglio sociale» dell’enciclica. Ieri mattina, la Caritas in veritate di Benedetto XVI ha fatto il giro del mondo, stampata in centinaia di migliaia di copie e diffusa all’istante via internet, un’attenzione planetaria per «l’enciclica più attesa della storia recente della Chiesa», scrive l’Osservatore Romano.
    «La crisi passerà, speriamo in un paio d’anni, ma di quest’enciclica si parlerà ancora a lungo», profetizza il cardinale Renato Martino, presidente del pontificio Consiglio della giustizia e della pace, che ieri ha presentato il testo con il cardinale Paul Josef Cordes, l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi e l’economista Stefano Zamagni.
    La terza enciclica di Benedetto XVI sarà al centro degli incontri che ha fissato in questi giorni con alcuni leader presenti al G8: ieri il Papa ha parlato di crisi e Africa con il premier giapponese Taro Aso, domani vedrà il primo ministro australiano Kevin Rudd e il presidente sudcoreano Lee Myung-bak, venerdì il presidente degli Usa Barack Obama e sabato il premier canadese Stephen Harper. Nuove regole, governo della globalizzazione, lavoro e povertà, soprattutto l’idea che l’economia abbia bisogno di un’etica fondata sull’uomo e che non sia possibile uno sviluppo dell’umanità senza, appunto, carità nella verità.
    «All’interno di questa cornice teologica l’enciclica disegna una summa socialis vigile e aggiornata, che smentisce — se ce ne fosse ancora bisogno — l’immagine di un Papa soltanto teologo chiuso nelle sue stanze e conferma invece quanto Benedetto XVI sia attento, come teologo e pastore, alla realtà contemporanea in tutti i suoi aspetti», scrive nel suo editoriale Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore.
    Il confronto è aperto. «Io considero quel documento molto importante. Molto, molto importante », dice il ministro Giulio Tremonti. «L’enciclica è particolarmente significativa nella scelta di considerare centrali il lavoro e la persona nell’analisi della crisi», considera Sergio Epifani, segretario Cgil.
    Nel mondo si parlerà soprattutto del tema di una governance globale «di tipo sussidiario e poliarchico», ha spiegato Zamagni: «Ciò implica il rifiuto di dare vita a una sorta di superstato ». Tra l’altro, si tratta piuttosto «di affiancare all’attuale assemblea dell’Onu una seconda assemblea in cui siedano i rappresentanti delle varie espressioni della società civile transnazionale; dare vita al Consiglio di sicurezza socio-economica in appoggio a quelle di sicurezza militare; istituire una Organizzazione mondiale delle migrazioni e una per l’ambiente».

    © Copyright Corriere della sera, 8 luglio 2009


    Papa Ratzi Superstar









    "CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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    00 09/07/2009 01:46
    "Caritas in Veritate": un documento morale, non politico
    Il Papa fornisce una base etica per affrontare la crisi

    di Carl Anderson*

    NEW HAVEN (Connecticut, Stati Uniti), mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).- Molto prima che ci fossero una "sinistra" o una "destra" c'era il Vangelo, e molto dopo che queste etichette politiche saranno cadute nell'oblio il Vangelo rimarrà. Alla luce di ciò, è incredibilmente importante che si guardi all'Enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate come a un documento che dovrebbe modellare la nostra prospettiva.

    Potremmo riassumere il pensiero del Papa sull'economia in questo modo: ognuno di noi deve rispondere alla domanda di Cristo "Chi dite che io sia?", e se, con Pietro, rispondiamo "Il Messia", allora questo dovrebbe essere l'asse della nostra vita. La nostra realtà più importante deve essere la verità delle nostre relazioni. In questo modo, possiamo capire come la legge e i profeti possano essere riassunti nei due comandamenti di Cristo: amare totalmente Dio e amare il prossimo come noi stessi. In questo modo possiamo parlare di "caritas in veritate".

    Una volta che abbiamo accettato Cristo e questi due comandamenti, non possiamo più porre la domanda di Caino: "Sono forse il guardiano di mio fratello?". Dobbiamo invece capire che il nostro esercizio della libertà non può voler dire accumulare più ricchezza possibile. Piuttosto, tutto ciò che facciamo in libertà deve riflettere quella realtà, e tutte le nostre azioni devono tener conto degli effetti che possono avere sugli altri. Non abbiamo bisogno di guardare oltre le prime due parole del "Padre nostro", che Papa Benedetto XVI cita alla fine di questo documento, per renderci conto della comune famiglia umana alla quale apparteniamo.

    A questo scopo, dovremmo ricordare vari elementi importanti.

    In primo luogo dovremmo chiederci non come questa Enciclica convalidi la nostra visione del mondo, ma piuttosto come questa visione dovrebbe cambiare in risposta a questo documento.

    I commentatori dovrebbero evitare la tentazione di cercare di analizzare l'Enciclica dal proprio punto di vista o attraverso una lente politica. La tesi del Papa mostra chiaramente che una base etica deve trascendere la politica, e come il documento esprime in modo esplicito le soluzioni tecniche appartengono ai policy makers.

    In secondo luogo, il mondo merita un'economia di mercato con una coscienza, come hanno dimostrato lo scorso anno gli eventi dell'economia globale. In un intervento del 1985 Papa Benedetto XVI ha criticato il marxismo perché escludeva Dio e un giusto ruolo umano, e quindi per il fatto di essere troppo "deterministico". Avvertiva che anche le economie di mercato rischiavano di collassare se escludevano o ignoravano a loro volta la componente etica del decision making individuale. Gli avvenimenti recenti hanno sicuramente confermato la sua conclusione, e dunque questa Enciclica e la sua esortazione a un sistema morale sono ancora più irrefutabili.

    In terzo luogo, mentre il dibattito in tutto il mondo si concentra sulle soluzioni tecniche alla crisi economica, Papa Benedetto XVI ci chiede di riconsiderare le vere basi del nostro sistema - e di costruire sulla roccia dell'etica piuttosto che sulla sabbia del determinismo.


    In quarto luogo, il Papa ci chiama a una realtà economica che deve rispettare la vita di ogni persona - anche della più piccola e indifesa. Questo è notevole e opportuno, come il fatto che abbia sottolineato il ruolo necessario che deve avere la religione nella sfera pubblica.

    Quinto aspetto, questa Enciclica è sia un documento Cattolico che un documento cattolico. Considerarla solo da un punto di vista nazionale sarebbe fuorviante tanto quanto considerarla a livello politico. Si prenda ad esempio l'appello del Papa a una giusta "ridistribuzione". Dubito che qualcuno possa indicare un Paese che non ridistribuisce la ricchezza dei suoi cittadini in qualche modo. Il Papa si chiede se, indipendentemente dal Paese, questo sia fatto in modo corretto. Quanti di noi vivono in Paesi economicamente forti, con uno standard di vita che va ben al di là di ciò che buona parte del mondo può immaginare, devono fermarsi a riflettere su questo. Abbiamo sicuramente la responsabilità di aiutare il nostro prossimo. Possiamo e dovremmo fare di più.

    Ma non siamo i soli. E' giusto che un "Presidente" di un Paese di un angolo povero del mondo depositi miliardi di dollari su un conto bancario svizzero mentre il suo popolo vive con un dollaro al giorno? E' giusto che un popolo muoia di fame mentre un'oligarchia diventa sempre più ricca? Tutti hanno il diritto al cibo e ai servizi di base.

    Un cristiano deve essere una persona per gli altri. In realtà non solo i cristiani, ma tutte le persone sono chiamate a vivere in questo modo.

    Per troppo tempo, troppe persone si sono comportate in modo da essere fedeli solo a se stesse. Abbiamo visto tutti i risultati di un comportamento di questo tipo, e sappiamo che è un modello povero - a livello etico ed economico.

    Ora la gente cerca una bussola morale, e sa che Papa Benedetto XVI ne ha una. Ma se una bussola può indicare la via, spetta a noi seguirla.

    * * *

    *Carl Anderson è il cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller

    [Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]



    Un esperto propone il Nobel per l'Economia al Papa
    La sua Enciclica "Caritas in veritate" denuncia il crollo della natalità



    ROMA, mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).- In un'intervista pubblicata dal "Corriere della Sera" questo mercoledì, l'economista Ettore Gotti Tedeschi, esponente dei maggiori gruppi bancari mondiali, ha proposto di conferire a Papa Benedetto XVI il Nobel per l'Economia.

    Secondo Gotti Tedeschi, il merito del Pontefice è stato quello di scrivere chiaramente nell'Enciclica Caritas in Veritate che la crisi economica è figlia del crollo della natalità.

    Nell'intervista, il banchiere, che è anche commentatore de "L'Osservatore Romano", ha spiegato che "l'insufficiente crescita economica è dovuta al crollo della natalità nei Paesi sviluppati (anche se in modo differenziato tra Stati Uniti ed Europa)".

    Il crollo delle nascite ha portato alla crescita dei costi fissi, come le tasse, e alla diminuzione del risparmio e degli asset finanziari, ma - ha affermato Gotti Tedeschi - "molti analisti hanno preferito non approfondire l'origine ‘originale' della crisi" perché "toccare il tema della natalità è un tabù, c'è una forma di negazionismo".

    "E' un tema connotato ‘morale' - ha precisato il banchiere -, perciò non scientifico, quasi stupido, per fanatici religiosi".

    In questo contesto, Gotti Tedeschi ha sottolineato che il Papa "è stato l'unico a mettere in relazione crisi e crollo della natalità", e proprio per questo "merita il Nobel per l'Economia".





    Entusiasmo per l'Enciclica "Caritas in veritate"
    di Antonio Gaspari

    CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).- E' stata pubblicata e diffusa da poco più di 24 ore, ma c'è già entusiasmo intorno all'Enciclica sociale Caritas in Veritate.

    In un comunicato recapitato a ZENIT, l'Associazione Scienza & Vita ha espresso il proprio apprezzamento, soprattutto nella parte in cui si sostiene che "la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell'uomo".

    Secondo l'associazione, la considerazione che "l'apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica" contenuta nell'Enciclica richiama tutti all'attenzione sulla centralità della persona nella riflessione bioetica e sulle ineludibili ricadute in ambito sociale ed economico.

    I presidenti Bruno Dallapiccola e Lucio Romano hanno sottolineato che "la difesa della vita umana, la condanna dell'assolutismo della tecnica, la deriva eugenetica e della mens eutanasica, il rischio della negazione della dignità umana, così come il ribadire la centralità di ogni persona e lo sviluppo umano integrale, rappresentano le parole chiave su cui si fonda il nostro agire".

    Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli (Associazione cattolica lavoratori italiani), ha affermato che la "civilizzazione dell'economia" e il "lavoro decente", ma anche l'immigrazione e il rapporto "fondamentale" tra carità e verità, che "pone le fondamenta per un impegno sociale chiamato a cambiare il mondo", sono gli aspetti principali dell'Enciclica del Papa.

    "Non si può vivere la carità, sembra spiegarci Benedetto XVI, senza impegnarsi per il cambiamento della società - ha aggiunto -. E' l'amore per la verità che porta chi opera la carità a impegnarsi 'politicamente' per lo sviluppo umano".

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    00 09/07/2009 16:30
    L’umanesimo cristiano al servizio dello sviluppo integrale della persona: il commento del prof. Bruni sull’Enciclica “Caritas in veritate”


    A due giorni dalla pubblicazione, l’Enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI è sempre in primo piano sui media internazionali che sottolineano come questo documento pontificio possa anche fungere da “guida” per il G8 dell’Aquila. Per una riflessione sui passaggi più significativi dell’Enciclica, Fabio Colagrande ha intervistato il prof. Luigino Bruni, docente di economia politica all’Università di Milano Bicocca e professore all'Istituto universitario "Sophia" del Movimento dei Focolari a Loppiano:

    R. – E’ molto importante questa Enciclica, perché è una pietra miliare di questo momento di riflessione sul mercato, sulla vita in comune, sul senso della finanza nell’impresa. Mai come in questo momento il mercato è sottoposto, da una parte, a esaltazioni di chi lo vede come l’unica forma di rapporto davvero libero e civile, e dall’altra chi lo vede come luogo di contaminazione delle virtù civili e di corruzione della morale. In realtà, la linea del Papa è una linea coerente con tutto il grande umanesimo cristiano, con le tradizioni dell’economia civile, che vede il mercato come un luogo della vita in comune non sempre buono e non sempre negativo ma, come tutti gli ambiti della vita in comune, assume i tratti delle persone che lo abitano. Quindi, a me sembra un grande messaggio di speranza, un grande messaggio che non può che essere accolto con grande simpatia, con grande positività da tutti coloro che come me ed altri operano nei mercati, nella politica, nella finanza.


    D. - Qual è uno degli aspetti che l’ha colpita della “Caritas in veritate”?


    R. – In particolare, quello che mi ha colpito molto è questa esigenza, questo richiamo forte all’unità della vita. In fondo, noi ci portiamo dietro dal mondo greco alcuni grandi dicotomie - corpo e anima, vita spirituale e vita materiale - e una delle ultime dicotomie che restano ben forti e ben salde nella modernità: proprio quella tra il dono e il mercato, tra gratuità ed economia. Come se le cose belle e alte della vita non potessero passare per la sfera economica, anzi se ci passano ne escono contaminate. In realtà, l’inizio dell’Enciclica è fondamentale, cioè che l’amore, la carità, l’agape è la fonte al tempo stesso della vita spirituale e dell’impegno politico ed economico. Le prime righe dell’Enciclica cominciano esattamente così: “E’ la carità che ispira l’impegno per lo sviluppo, l’impegno per l’economia, l’impegno per la politica”. Questo è straordinario perché si riunifica una dimensione della vita che è quella economica con l’altra che è quella civile, spirituale, o umanistica in senso ampio. Cioè, il Papa ci dice: si può essere pienamente umani, pienamente cristiani impegnandosi per la famiglia, impegnandosi per la comunità, impegnandosi per la vita più spirituale ma si può vivere perfettamente la stessa carità, lo stesso amore, impegnandosi in politica e impegnandosi in economia. A me questo sembra un messaggio di straordinaria speranza e di grandissima attualità, proprio oggi che il mercato tende ad invadere tutte le sfere della vita noi possiamo difenderci sicuramente come fanno tanti che hanno paura del mercato e lo tengono ben distante. Oppure, possiamo "contaminarlo" con la carità, lo possiamo cambiare, lo possiamo sfidare dal di dentro, facendolo diventare un luogo pienamente umano perché irrorato da quello che il Papa definisce il “principio di gratuità”, il “principio di reciprocità” che può essere vissuto anche nelle imprese anche nel mercato.






    I commenti alla "Caritas in veritate" dei cardinali Renato Raffaele Martino e Paul Joseph Cordes


    Come prevedibile, vasta eco nel mondo hanno suscitato le affermazioni di Benedetto XVI contenute nell’Encilica Caritas in veritate. Luca Collodi ha chiesto un commento a uno dei relatori che ieri hanno presentato il documento ai giornalisti, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.



    R. - E’ questa l’intenzione del Papa: quella di rivolgersi a tutte le persone, a tutti gli uomini di buona volontà e anche a tutte le religioni ed ai loro rappresentanti, perche la religione deve essere ormai parte della vita pubblica e deve trovare un posto nella sfera pubblica, perché ha la sua parola da dire. E ciò è importante nel momento in cui il relativismo ed il laicismo vogliono escludere ogni espressione religiosa dalla vita pubblica.



    D. - L’Enciclica invita l'uomo a ripensare se stesso nel rapporto costante tra fede e ragione...



    R. - Assolutamente. E questo è proprio importante. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede. E questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. Ma, allo stesso momento, la religione ha bisogno di essere purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano e per rimanere a contatto con le realtà terrene.



    D. - Il mercato non è però il "male"...



    R. - La Dottrina sociale della Chiesa da sempre riconosce la legittimità del profitto, del mercato, altrimenti non ci sarebbe incentivo a mettere sul mercato nessuna cosa. Però, non deve essere lasciato in balia di se stesso per il maggiore profitto, ma deve essere controllato innanzitutto dallo Stato. Ma ci sono molte altre maniere di esercitare un controllo, ad esempio attraverso le associazioni dei consumatori, importanti in quest'ottica. Inoltre, il mercato deve anche interessare chi produce, quindi i lavoratori: anche loro hanno la loro parte di interesse e, quindi, il profitto non deve andare sempre unicamente all’imprenditore, all’impresa, ma deve tener conto di tutti quelli che partecipano alla produzione di un bene.



    D. - Per questo l’Enciclica chiede anche una riflessione sul modo di fare sindacato?



    R. - Sì. Ha ripetuto e ripete l’incoraggiamento che la Chiesa, con la Dottrina sociale, ha sempre dato ai sindacati. Naturalmente, in questa era di globalizzazione i sindacati devono fare uno sforzo di modernizzazione, perché con la globalizzazione il mercato del lavoro si estende a tutto il mondo. Devono fare lo sforzo di mettersi alla pari della globalizzazione. E’ importante, ma troveranno sempre l’appoggio della Chiesa e della Dottrina sociale per questo.



    D. - Si chiedono riforme e meno burocrazie anche agli organismi internazionali, soprattutto per vincere le povertà…



    R. - C’e una critica molto severa, perche talvolta l’aiuto allo sviluppo è un aiuto agli sviluppatori. Cioè, di un qualsiasi programma, non solo dell’Onu ma anche di tante altre Organizzazioni, gli addetti alla sua realizzazione percepiscono lauti stipendi e spesso i riceventi nei Paesi in via di sviluppo sono quasi una scusa per mantenere in piedi un programma che aiuta, piuttosto, le tasche dei promotori. Ma quello che tengo soprattutto a dire e che l’Enciclica ha parole di apprezzamento per le Nazioni Unite e per le sue agenzie, sottolineando - e questa è la richiesta di anni, dal tempo in cui io rappresentavo la Santa Sede all’Onu - la necessità di una riforma.



    D. - Anche il rispetto della vita è alla base dello sviluppo umano?



    R. - Certo. L’Enciclica richiama i due documenti, l’Evangelium Vitae e l’Humanae Vitae. In più di un passaggio, si fa riferimento al rispetto della vita perché è la condizione necessaria per poter godere di tutti gli altri diritti, così pure come l’altro riferimento è quello alla libertà di religione. Ora questo è importante, e c’è pure una condanna chiara all’aborto, all’eutanasia, alle modificazioni embrionali. L’Enciclica ci dà un quadro generale su tutte queste cose, delle direttive, dei consigli su tutto quanto è dibattuto oggi in questo mondo globalizzato.

    Sulla terza enciclica di Benedetto XVI, la prima di carattere sociale, si è soffermato anche l’altro relatore in conferenza stampa, il cardinale Paul Joseph Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Al microfono di Hélène Destombes, della nostra redazione francese, il porporato ha evocato la particolarità della Caritas in veritate rispetto alle precedenti Encicliche sociali, in particolare la Rerum Novarum di Leone XIII e la Populorum Progressio di Paolo VI:



    R. - Pour moi, le neuf dans cette encyclique est dans le fait que elle s’occupe …

    A mio avviso, la novità di questa Enciclica sta nel fatto che essa si concentra maggiormente sugli attori che devono operare il bene, piuttosto che sulle cose che debbono essere cambiate. All’inizio, c’è soprattutto la miseria nella società e contro questa miseria la dottrina sociale della Chiesa ha reagito ed ha suggerito dei cambiamenti o piuttosto una giustizia maggiore. Oggi vediamo che è necessario cambiare le cose, ma è necessario cambiarle attraverso le persone che hanno la responsabilità e il potere per operare questi cambiamenti. Questo, a mio avviso, è l’elemento nuovo nella dottrina sociale. E’ vero anche che è intervenuta la crisi economica: negli ultimi 40 anni, dopo la pubblicazione della Populorum Progressio, il mondo è cambiato molto in diversi ambiti. La tutela della vita, l’ecologia, l’universalità del mercato, la globalizzazione sono ambiti nuovi sui quali l’enciclica si pronuncia. Secondo me, l’elemento essenziale è la visione degli “attori”, delle persone che devono cambiare, che possono cambiare, e quindi l’appello rivolto a questi “attori”.



    D. – Possiamo dire che non si tratta solo di una critica alle strutture economiche attuali, ma che in realtà il Papa si rivolge all’uomo, perché è il cuore dell’uomo che egli vuole raggiungere?



    R. – Bien sur! Je pense que la critique est assez dure et assez claire. …

    Certamente. Ma la critica è molto dura e anche molto chiara. Il Santo Padre suggerisce che le persone - come ad esempio in questo momento i partecipanti al G8 - debbano impegnarsi per cambiare le strutture, perché noi tutti dipendiamo anche dalle strutture. Fu Giovanni Paolo II ad introdurre il concetto di “peccato della struttura” e all’inizio la sorpresa fu grande. E’ necessario avere non soltanto buona volontà, ma anche premere sui responsabili affinché essi riflettano e cambino le strutture.




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    00 09/07/2009 19:51
    Dal blog di Lella...

    Mezzo milione di copie già stampate

    CITTÀ DEL VATICANO

    Dal titolo bifronte al giallo delle traduzioni, l'enciclica sociale di Benedetto XVI non è priva di curiosità che ne hanno costellato la messa a punto e perfino la pubblicazione, con 530.000 copie già pronte per la diffusione in lingua italiana e altre 50.000 in latino, inglese, francese, spagnolo, tedesco, portoghese e polacco.
    Intanto, il titolo: «Caritas in veritate» o «Veritas in caritate»? Sembra un gioco di parole: ma in realtà si dice che il Papa e i suoi collaboratori abbiano dibattuto a lungo su quale utilizzare per il titolo della nuova enciclica sociale.

    La scelta del nome

    Alla fine la scelta è caduta su «Caritas in veritate» ovvero la «Carità nella verità», titolo del documento, ispirato ad un passaggio della Lettera di San Paolo agli Efesini.
    L'apostolo delle genti parla tuttavia in realtà di «veritas in caritate», ovvero della «verità nella carità». Il Papa ne è consapevole e spiega, nell'introduzione, il perché di questa modifica. «La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa», afferma. Tuttavia, avverte, dato il rischio «di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico», va coniugata con la verità.
    Motivi semantici e teologici dunque.
    Un testo complesso e, si dice, riscritto e aggiornato molte volte in diverse sue parti. Alla fine, è stata una corsa contro il tempo per ultimare l'opera prima dell'apertura del G8 che vede in agenda molti dei temi affrontati, e il Papa in persona vi avrebbe apportato correzioni fino a pochi minuti prima di andare in stampa.

    Corsa contro il tempo

    L'allungamento dei tempi rispetto alle previsioni sembra dovuto, fra l'altro, a qualche problema di traduzione, soprattutto quella in lingua latina, d'obbligo nelle encicliche papali delle quali costituisce, anzi, il testo base. Certi neologismi - come globalizzazione, recessione e macroeconomia - possono aver creato qualche difficoltà ai latinisti, anche se con preveggenza, già da molti anni, gli esperti della Santa Sede hanno stilato un apposito dizionario per le parole sconosciute ai tempi dell'Impero Romano. Preceduta da molte anticipazioni in violazione del rigido embargo imposto in queste occasioni dalla sala stampa vaticana, alcune delle quali senza riscontro nel testo definitivo, la «Caritas in veritate» è finalmente in libreria, e alcune riviste ne allegheranno copie ai prossimi numeri. A curarne la pubblicazioni, è la Libreria editrice vaticana, detentrice del copyright del Papa. Il prezzo delle prime copie in circolazione in italiano è di 2 euro ciascuna per quelle in edizione economica e di 8,50 euro per quella cartonata. L'editrice Cantagalli è stata autorizzata a pubblicarne una versione commentata dal segretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, monsignor Giampaolo Crepaldi.

    © Copyright Eco di Bergamo, 8 luglio 2009


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    00 10/07/2009 01:54
    La Caritas: serve una globalizzazione etica per guidare lo sviluppo
    Commenta la nuova Enciclica "Caritas in Veritate"



    CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).- Caritas Internationalis sostiene che l'enfasi sulla giustizia e sul bene comune nella nuova Enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate offra una nuova visione dell'economia, della politica e della società basata su un dovere condiviso di prendersi cura dell'umanità e dell'ambiente.

    L'Enciclica papale, ricorda un comunicato inviato dalla Caritas a ZENIT, riflette la Populorum progressio di Papa Paolo VI più di 40 anni dopo la sua pubblicazione alla luce della globalizzazione e del collasso dell'economia di libero mercato nel 2008.

    Il segretario generale di Caritas Internationalis Lesley-Anne Knight ha affermato che "la Caritas in Veritate sottolinea come una ricerca cieca del profitto sull'etica sia diventata dannosa per le popolazioni e il pianeta. L'Enciclica arriva in un momento chiave per lo sviluppo, con decenni di progresso a rischio. Il numero di persone affamate è aumentato di 100 milioni, arrivando l'anno scorso a oltre un miliardo".

    "La crisi ha mostrato fallimenti del sistema generati da speculazioni per il beneficio di una manciata di persone e a spese di milioni di famiglie povere, ma la crisi offre un'occasione unica di rimodellare la globalizzazione perché lavori per la maggioranza", ha aggiunto la Knight.

    "L'Enciclica offre passi concreti che i policy makers dovrebbero compiere per riportarci sulla via del vero sviluppo - ha osservato -. Ci ricorda che la finanza e lo sviluppo possono lavorare per tutta l'umanità e non solo per gli azionisti. Il ritorno a un modello più equo basato su un dovere collettivo è fondamentale per ridurre il gap tra i ricchi e i poveri".

    La Caritas, ha proseguito la Knight, "loda il fatto che Papa Benedetto XVI abbia sottolineato la necessità di aumentare gli aiuti".

    "Mentre il G8 si riunisce a L'Aquila, i Paesi ricchi come Francia e Italia stanno tagliando gli aiuti ai poveri. Ci appelliamo a loro perché mantengano la promessa di impegnare lo 0,7% del PIL negli aiuti esteri".

    Allo stesso modo, il segretario generale dell'organizzazione ha rilevato che "la sfida del Papa di riformare le Nazioni Unite e le istituzioni economiche arriva al momento giusto. L'ONU, il FMI e la Banca Mondiale devono assicurare una maggiore partecipazione dei Paesi poveri al processo decisionale".

    La Caritas ricorda anche come il Papa parli del dovere di difendere l'ambiente. "Speriamo che i leader del mondo ascoltino il suo appello a un consenso internazionale e che chi inquina debba pagare i costi".

    "Come dice il Papa, gli abitanti dei Paesi ricchi devono cambiare il proprio stile di vita e i loro consumi irresponsabili se vogliamo difendere le risorse".

    "Il messaggio ai lavoratori umanitari e ai cooperatori per lo sviluppo in tutto il mondo è che nel nostro amore per l'umanità lottiamo per la giustizia e per il bene comune - ha concluso la Knight -. La Caritas loda l'affermazione per cui la vera carità guarda alle cause della povertà e ai mezzi per sconfiggerla".









    Benedetto XVI invita a ripensare al concetto di felicità


    di Tommaso Cozzi*

    ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).- L'enciclica "Caritas in Veritate" può apparire come un ammonimento nei confronti di soggetti ed istituzioni preposti alla gestione della "cosa comune": governi, istituzioni finanziarie, organismi internazionali, ecc... Tali aspetti sono stati trattati da Benedetto XVI con il chiaro scopo di affrontare, tra gli altri, il tema del bene comune. Tuttavia vi sono aspetti rilevanti che riguardano l'uomo nella sua essenza ed individualità, nella sua umanità più diretta ed immediata. Tali aspetti riguardano il concetto di "felicità".

    Il mondo tecnicizzato del nostro tempo tende a far coincidere il concetto di felicità con il raggiungimento del benessere materiale attraverso la disponibilità e l'acquisizione di beni, risorse, utilità e servizi, e a confondere la felicità individuale e privata con il benessere collettivo. Il diritto innegabile di tutti gli individui alla felicità si è sempre più trasformato nell'imperativo edonistico del "dover essere felice" ad ogni costo. Quanto questa idea di felicità sia diventata oggi uno degli assi portanti del sistema economico è sotto gli occhi di tutti, alimentando le insicurezze, le insoddisfazioni ed il senso di inferiorità che sembrano caratterizzare l'identità dell'uomo moderno. Per altri versi, appare evidente la dissociazione tra il crescente progresso economico ed il benessere individuale, l'aumento esponenziale di nuove forme di disagio nelle società occidentali, nonché la bassa correlazione esistente tra vari aspetti del benessere e del malessere soggettivi e le condizioni o circostanze esterne, fortunate o sfortunate, con le quali si confronta la nostra vita.

    Appare pertanto coerente quanto evidenziato nel Cap. 6 della "Caritas in Veritate" (Lo sviluppo dei popoli e la tecnica) con il contenuto del Cap. 7, par. 2 (La parabola del buon samaritano) del "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI laddove si legge: "L'attualità della parabola è ovvia. Se l'applichiamo alle dimensioni della società globalizzata, le popolazioni derubate e saccheggiate dell'Africa - e non solo dell'Africa - ci riguardano da vicino e ci chiamano in causa da un duplice punto di vista: perché con la nostra vicenda storica, con il nostro stile di vita, abbiamo contribuito e tuttora contribuiamo a spogliarle e perché (...) abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio (pp. 234-236). "Si, dobbiamo dare aiuti materiali e dobbiamo esaminare il nostro genere di vita. Ma diamo sempre troppo poco se diamo solo materia. E non troviamo anche intorno a noi l'uomo spogliato e martoriato? Le vittime della droga, del traffico di persone, del turismo sessuale, persone distrutte nel loro intimo, che sono vuote pur nell'abbondanza di beni materiali".

    Parallelamente al par. 68 dell'enciclica si legge "Il tema dello sviluppo dei popoli è legato intimamente a quello dello sviluppo di ogni singolo uomo. La persona umana per sua natura è dinamicamente protesa al proprio sviluppo" . E ancora, al n. 70 "Lo sviluppo tecnologico può indurre l'idea dell'autosufficienza della tecnica stessa quando l'uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire".

    In sostanza Benedetto XVI si interroga e ci interroga sul senso ultimo dell'agire umano, con specifico riferimento all'utilizzo di tutti quegli strumenti, di tutti quei mezzi predisposti non solo allo sviluppo economico, ma, attraverso esso ed in conseguenza di esso, allo sviluppo dell'uomo e cioè alla sua intima felicità.

    Qual è il ruolo giocato dalle imprese nell'utilizzo delle tecnologie, intese non solo in senso "meccanico", ma anche in senso manageriale (la "tecnic" di gestione delle imprese e degli uomini)?

    La moderna economia d'impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona che si esprime in campo economico come in tanti altri campi. L'economia, infatti, è una parte della multiforme attività umana e, in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Ma è importante notare che ci sono differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passato anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacita di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro, soddisfacendo al tempo stesso il suo stesso bisogno di donazione e cioè di felicità.

    Non si possono, tuttavia, non denunciare i rischi ed i problemi connessi con questo tipo di processo. Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti (tecnologie) che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base (tecniche e metodi dei "saperi"), che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di, entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate le loro qualità.

    Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per cosi dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi ed in territori emergenti (nei quali a loro volta si assiste all'esasperante abuso delle tecnologie a tutto discapito dell'umanizzazione del lavoro), che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un'opulenza ostentata ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà senza possibilità di integrazione.

    Cosa fare in concreto traendo spunto dalla "Caritas in Veritate"?

    Già la Centesimus Annus indicava delle vie, peraltro condivise da quanti propongono una visione umanizzante dei processi economici (cfr A. Sen): fissare obiettivi che siano simultaneamente di valore economico e di valore antropologico, ma che siano, soprattutto, concretamente realizzabili. In altri termini gli obiettivi, affinché siano veri e carismatici (cioè significativi nel fine ultimo e "donanti", più che "facenti"), dovranno essere, nel futuro più prossimo ed immediato, pianificati in termini di risultato economico e di significato umano e che non siano irraggiungibili. Si propone, insomma, una sorta di "contratto implicito nell'umanità e per l'umanità".

    * Il prof. Tommaso Cozzi è docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l'Università di Bari.










    Senza difesa della vita non c'è sviluppo
    Il direttore dell'Istituto Acton commenta l'Enciclica "Caritas in Veritate"

    di Antonio Gaspari

    ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).- Innumerevoli i commenti all'Enciclica "Caritas in Veritate", diffusa dalla Santa Sede martedì 7 luglio. Tra questi, molto interessante è quello di Kishore Jayabalan, direttore dell'Istituto Acton, la sede romana dell'Acton Institute, intervistato da ZENIT.

    Qual è il suo parere complessivo sull'Enciclica "Caritas in Veritate"?

    Jayabalan: La mia prima reazione è stata pensare che è un documento lungo e non facile da leggere e riassumere velocemente. Ma appena ho cominciato a leggere e rileggere ne ho apprezzato la grande portata e il significato.

    La base etica e morale per l'economia di mercato è molto spesso trascurata. Anche i suoi sostenitori tendono a presentare argomenti utilitaristici a favore del mercato, mentre gli avversari tendono a biasimare il libero scambio di beni e servizi per tutti i tipi di fenomeni culturali che hanno poco a che fare con l'economia stessa. Quando le cose vanno bene e tutti guadagnano soldi nessuno vuole sentir parlare di avidità e materialismo, ma una volta che la bolla scoppia ognuno sembra diventare un moralista e un profeta con un sorprendente senno di poi. Questo è quello che Benedetto ha definito "moralismo a buon mercato".

    In realtà il Papa ci ricorda la necessità di rendere più etica e virtuosa la nostra vita quotidiana. Quindi, in questa Enciclica, Benedetto XVI realizza che non ha alcun senso esprimere solo condanne, e sceglie invece di sfidare le persone a impegnarsi spiritualmente e intellettualmente, con una "fede veramente adulta". I frutti di questa Enciclica si vedranno nel momento in cui gli esperti nei settori della finanza e dell'economia comprenderanno e cercheranno di applicare questo nuovo modo di pensare e di agire.

    Quali sono i punti che lei ha più apprezzato? E quali quelli innovativi?

    Jayabalan: In un recente passato ho lavorato su questioni ambientali presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e per questo ho molto apprezzato la sezione dell'Enciclica che parla di ecologia, soprattutto nella parte in cui si criticano gli abusi come l'idolatria pagana della natura. In molti modi, le questioni ambientali sono al centro del dibattito antropologico perché ci impongono di pensare e di distinguere tra il Creatore e il suo ordine della creazione. L'invito dell'Enciclica a un'ecologia umana che difenda la vita, in particolare quella dei concepiti, la giustizia sociale e anche lo sviluppo a livello internazionale è stato molto apprezzato.

    Da quanto ho letto, uno degli aspetti più innovativi dell'Enciclica è costituito dai punti n. 3, 11 e 20, in cui il Pontefice parla di "respiro umano universale". E' la prima volta che un tale concetto viene utilizzato per descrivere come la verità salva la carità dal fideismo, in altre parole si chiarisce come la verità ci liberi da una visione deterministica della fede, che negherebbe la libertà umana. Nel punto 11 il contesto è quello della vita eterna, che ci chiede di riconoscere "beni superiori", al di là di quelli dell'accumulo della ricchezza. Nel punto 20 vengono presentati i vari aspetti relativi allo sviluppo umano integrale, che danno "la respirazione e la direzione nello spazio" per le nostre attività sociali. Pensare in termini di "respiro umano universale" è un argomento che si contrappone alla visione di una pianificazione e di un controllo centralizzato, il che è un innovativo modo di comprendere gli aspetti spirituali della ragione umana e della libertà.


    Come sono state le reazioni negli Stati Uniti?

    Jayabalan: Negli Stati Uniti i commenti all'Enciclica sono stati vari. Gli oppositori all'economia di mercato hanno visto l'Enciclica come un attacco contro il capitalismo, una visione in cui il capitalismo viene visto al di fuori del regno della legge, della politica e della morale. Una concezione ideologica che non descrive la realtà del settore bancario e finanziario di oggi. Altri, come il New York Times, hanno descritto l'Enciclica di Benedetto XVI come un appello a un "nuovo ordine economico mondiale" non solo in un senso etico o morale, ma anche strutturale. Altri ancora stanno cercando di capire come l'Enciclica potrebbe influire sui comportamenti quotidiani per le operazioni di business e della finanza. Considerando che la Caritas in Veritate ha solo tre giorni di vita, è ovviamente troppo presto per saperlo.

    Conosce le reazioni all'Enciclica in India ?

    Jayabalan: No, perché non sono stato in India nel corso degli ultimi due giorni, ma posso immaginare che Paesi come l'India e la Cina, che hanno sperimentato un'incredibile crescita economica negli ultimi 20 anni, si troveranno d'accordo con l'Enciclica soprattutto nei passaggi in cui si denunciano i costi umani delle politiche utilitaristiche.

    Credo che ci sia anche un po' di risentimento e di fastidio nei confronti degli oppositori del capitalismo, proprio nel momento in cui questi Paesi stanno per compiere un salto per diventare Nazioni sviluppate.

    Le parole del Papa sulla sacralità di ogni vita umana, soprattutto nella sua prima fase e indipendentemente dal sesso, nel contesto delle politiche di sviluppo, dovrebbero essere benvenute in Paesi come l'India e la Cina che sono stati spesso oggetto di severissime politiche di controllo della popolazione. Purtroppo molti sostenitori delle politiche di riduzione delle nascite fondano le loro tesi sul concetto di "sviluppo sostenibile" e rappresentano le ONG e le istituzioni internazionali finanziate dalle Nazioni sviluppate. Nell'Enciclica il Papa spiega che la libertà religiosa è un contributo per lo sviluppo e per il bene comune. In questo modo si cerca di far capire quanto sia sbagliato impedire alla Chiesa cattolica la predicazione della sua missione. Ancora di recente, infatti, la Chiesa cristiana è stata oggetto di attacchi e persecuzioni.

    L'Enciclica indica il crollo demografico e la riduzione delle nascite come la causa centrale della crisi economica. Qual è il suo parere in proposito?

    Jayabalan: La mentalità per il controllo demografico e il conseguente crollo delle nascite è un fenomeno che tocca tutto il mondo. Ho già ricordato le politiche anti-natalità in Cina e in India, ma per quanto ne so non vi è una Nazione al mondo che abbia una percentuale di fertilità in crescita.

    In alcuni Paesi europei come l'Italia e la Spagna, la percentuale è così bassa che la popolazione originaria è in via di riduzione. Si tratta naturalmente di politiche deleterie che generano cattive conseguenze economiche e sociali, come per esempio gravi tensioni sui sistemi pensionistici e sui mercati immobiliari. A questo proposito c'è uno studio di David P. Goldman, pubblicato sulla rivista First Things ("Demographics and Depression", maggio 2009, www.firstthings.com/article/2009/05/demographics--depression-124... in cui si spiega come il crollo demografico generi e contribuisca alle crisi economiche e alla depressione. I sistemi sociali entrano in crisi soprattutto quando ci sono troppi anziani la cui capacità produttiva è ovviamente ridotta. L'editorialista canadese della rivista, Mark Steyn, ha precisato che quando le popolazioni perdono il primordiale istinto alla riproduzione si perde anche la volontà di difendere se stessi, di creare ricchezza e, in generale, di migliorare la società. Papa Benedetto XVI non usa lo stesso linguaggio nella sua nuova Enciclica, ma sembra essere d'accordo con l'analisi generale.

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    Bestion.
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    00 10/07/2009 11:37
    L'apprezzamento degli episcopati per l'enciclica di Benedetto XVI




    La «Caritas in veritate»
    dagli Stati Uniti all'Europa




    Roma, 9. Dagli Stati Uniti all'Europa sono molteplici gli interventi di gratitudine e apprezzamento dei vescovi per la nuova enciclica di Benedetto XVI. La Caritas in veritate sarà fra l'altro al centro della riflessione dei segretari generali del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee) che fino al 13 luglio saranno riuniti nel Centro per gli esercizi spirituali di Bryuchovychi, presso Leopoli, in Ucraina.

    La terza enciclica di Benedetto XVI è una utile guida per trovare risposte a questioni morali, economiche e sociali del mondo contemporaneo nella ricerca della verità: sono le parole di commento del cardinale Francis Eugene George, arcivescovo di Chicago e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d'America, contenute in una nota pubblicata nel sito dell'episcopato, che accompagna la lettura di alcuni passaggi del documento. L'enciclica - si legge nella nota - afferma che sono stati fatti dei progressi nello sviluppo mondiale ma che bisogna affrontare anche altre sfide causate dai problemi emergenti nella società globale. Il documento - è spiegato - offre riflessioni sulla vocazione dello sviluppo umano così come sui principi morali su cui deve basarsi l'economia mondiale. Il documento, inoltre, sfida le imprese commerciali, i Governi, i sindacati e i singoli individui, a riesaminare le loro responsabilità economiche alla luce della carità governata dalla verità. È un'esortazione - è proseguito - a vedere il rapporto fra ecologia umana e ambientale e a legare la carità e la verità alla ricerca della giustizia del bene e dello sviluppo. Il papa - conclude la nota - evidenzia le responsabilità e i limiti del Governo e del mercato, sfida le ideologie tradizionali di destra e sinistra e invita tutti a pensare e ad agire in modo nuovo.

    Come già riferito, la Caritas in veritate sarà uno dei due temi centrali dell'incontro promosso dal Ccee. L'altro argomento di riflessione sarà "Il sacerdote: la sua vita e la sua missione". In particolare sull'enciclica offrirà una riflessione padre Hans Langendörfer, segretario generale della Conferenza episcopale di Germania. L'incontro si svolge fra l'altro su invito congiunto della Conferenza episcopale ucraina (di rito latino) e del Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica (di rito bizantino).
    La Conferenza episcopale di Germania, in un intervento del presidente della commissione sociale, l'arcivescovo di München und Freising, Reinhard Marx, afferma che "la nuova enciclica sociale di Benedetto XVI è un punto esclamativo morale". "Un'enciclica - ha commentato l'arcivescovo - non è né un testo scientifico, sebbene debba essere scientificamente fondata nelle proprie affermazioni, né una predica, né un programma politico, ma un orientamento vincolante a livello dottrinale per formare la politica, la società e l'economia". "Il Papa - ha sottolineato - ci ha dato questo orientamento al momento giusto: un orientamento che tutti devono concretizzare".

    L'arcivescovo di Westminster e primate di Inghilterra e Galles, Vincent Gerard Nichols, ha definito l'enciclica "un'applicazione potente e completa della visione della fede cristiana per i problemi complessi dello sviluppo umano". "La nostra speranza - ha affermato il presule - è che venga letta da molti. L'enciclica merita uno studio accurato. Essa si inserisce con fermezza nella tradizione dell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa e soprattutto nella tradizione dell'umanesimo cristiano espresso così chiaramente da Paolo VI nella Populorum progressio". L'arcivescovo ha poi annunciato che i vescovi inglesi hanno organizzato per il 21 ottobre una giornata dedicata all'enciclica nella City di Londra e più in particolare all'insegnamento sociale della Chiesa e all'economia di mercato.

    In un altro comunicato, i vescovi d'Irlanda scrivono che l'enciclica "mette in luce l'inseparabile legame tra amore e verità" e, citando alcuni passi del documento, evidenziano che "senza verità la carità degenera in sentimentalismo e l'amore diventa un guscio vuoto da riempire in modo arbitrario". "Per tale motivo i cristiani - ribadiscono - devono essere pronti a proclamare questo amore all'umanità".

    Per i vescovi del Belgio "il Papa nell'enciclica chiede una nuova riflessione sul senso dell'economia, delle sue finalità e una revisione etica del modello di sviluppo". "Il documento - è sottolineato - ricorda inoltre agli uomini che un'economia mondializzata che si sviluppa al di fuori dei valori morali, è destinata all'impasse". "Senza cadere - prosegue la nota - nel gioco della politica partigiana, la Chiesa non aspira a servire il capitalismo selvaggio, non propone soluzioni tecniche e non vuole entrare nelle decisioni dei Governi, ma ha una missione di verità da compiere a favore di una società a misura d'uomo e della sua dignità".

    Il presidente della Conferenza episcopale d'Olanda, il vescovo di Rotterdam, Adrianus Herman van Luyn, rileva che "gli abusi e gli eccessi del sistema economico attuale che il Papa denuncia, sono i principali ostacoli che si frappongono alla realizzazione di una giustizia sociale globale". Il presule aggiunge che Benedetto XVI "interviene con decisione, fornendo importanti linee guida sia per la sfera privata che per quella pubblica con la sua richiesta di riallineamento globale dei sistemi economici".

    Infine, i vescovi del Portogallo, riferendosi al documento, parlano "di un arazzo intessuto di fili di carità e verità". Il vescovo ausiliare del patriarcato di Lisboa, Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, presidente della commissione episcopale della pastorale sociale, ha affermato che si tratta "di un trattato sulla crescita morale di ciascun individuo e sullo sviluppo in senso cristiano dell'intera umanità. Dinanzi a essa ci sentiamo come di fronte a un bellissimo arazzo intessuto con fili di carità e di verità".



    Fonte - L'Osservatore Romano -


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    00 11/07/2009 01:36
    L'economia non è un settore estraneo alla morale
    L'esperto Andrew Abela commenta la nuova Enciclica

    di Genevieve Pollock


    WASHINGTON, D.C., venerdì, 10 luglio 2009 (ZENIT.org).- La nuova Enciclica di Benedetto XVI non pretende di risolvere la crisi finanziaria mondiale, ma sottolinea il modo per costruire un'economia solida attraverso le virtù cristiane, sostiene un esperto di etica degli affari.

    Andrew Abela insegna marketing e dirige il dipartimento per gli affari e l'economia della Catholic University of America. Attualmente lavora a un "catechismo" per i leader del mondo del business, applicando i principi dell'insegnamento sociale cattolico alle questioni di etica degli affari.

    In questa intervista rilasciata a ZENIT, Abela commenta l'ultima Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate, diffusa questo martedì.

    Potrebbe presentarci un riassunto "da uomo d'affari" di questa Enciclica? Quali sono i punti fondamentali per i leader del business oggi?

    Abela: Un punto fondamentale è che l'economia non è un settore estraneo alla morale: sia l'onestà che la generosità sono requisiti essenziali se il mercato deve operare e servire il bene comune.

    Un altro aspetto è il fatto che nel mercato c'è spazio per la solidarietà e la generosità, e che questi elementi renderanno il mercato più efficace rafforzando la fiducia.

    L'Enciclica sottolinea inoltre che l'aspetto più importante dello sviluppo è lo sviluppo spirituale, e che l'apertura alla vita "è al centro del vero sviluppo" (n. 28).

    Il Santo Padre parla di qualche mezzo concreto per farci uscire dalla crisi economica?

    Abela: Mi sembra che il Santo Padre stia dicendo che la fiducia è essenziale perché la nostra economia possa lavorare, e abbiamo perso questa fiducia perché abbiamo guardato al mercato come a un luogo destinato solo a scambi ristretti, in cui non c'è bisogno di generosità o fraternità, ma solo dell'aderenza al contratto.

    In molti casi, purtroppo, non si poteva contare neanche su quell'aderenza, e quindi si è persa la fiducia.

    Per riprendersi dalla crisi economica, oltre al giusto ruolo del Governo per orientare il mercato verso il bene comune, il Papa afferma che sarebbe utile capire che la generosità e la fraternità non sono elementi estranei alle relazioni del mercato, e infatti sono necessarie per costruire la fiducia che il mercato richiede per funzionare bene.

    Il Pontefice porta come esempio il progetto dell'Economia di Comunione, costituito da un gruppo di oltre 700 compagnie di tutto il mondo che lavorano nel mercato per raggiungere obiettivi che trascendano il mero profitto. Il progetto è nato dal Movimento dei Focolari come risposta diretta alla precedente Enciclica sociale, la Centesimus annus.

    Se i leader cattolici del mondo degli affari dovessero concentrarsi solo su un aspetto dell'Enciclica nel loro lavoro, quale suggerirebbe?

    Abela: Sarebbe l'affermazione che "ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale" (n. 37), cioè che negli affari non ci sono atti moralmente neutrali. Ogni attività o serve la società o la danneggia.

    Che contributi ha dato il Santo Padre al settore dell'etica degli affari in questa Enciclica?

    Abela: Il Santo Padre avverte che la parola "etica" può essere abusata, a meno che non si basi sulla dignità umana e su norme morali universali.

    L'idea di carità nella verità è un contributo fondamentale all'etica degli affari, perché senza verità "la carità scivola nel sentimentalismo" (n. 3).

    Il Papa ha condannato il capitalismo?

    Abela: No. La parola "capitalismo", infatti, non appare neanche un volta nell'Enciclica, probabilmente perché il termine è soggetto a molte interpretazioni diverse.

    Il Papa parla invece di economia di mercato, che è un concetto più ampio ed evita l'ambiguità di opinioni diverse su ciò che è realmente il capitalismo. Un'economia di mercato è basata sul libero mercato e non è dannosa in sé, ma può diventarlo come risultato delle ideologie.

    Il Pontefice afferma che "non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale" (n. 36).

    Come si possono riconciliare i principi fondamentali dell'insegnamento sociale cattolico con la struttura economica del capitalismo? E' possibile che ciò avvenga?

    Abela: Benedetto XVI preferisce ancora una volta parlare del mercato più che di capitalismo. E' del tutto conforme all'insegnamento sociale cattolico, fintanto che la questione è "strutturata e istituzionalizzata eticamente" (n. 36).

    Che cosa intende il Papa quando parla di sviluppo integrale?

    Abela: Sviluppo integrale significa sviluppo della persona nella sua interezza, soprattutto della dimensione spirituale e dell'apertura alla vita che dovrebbe derivare da questo. Ancora una volta, il Papa afferma che "l'apertura alla vita è al centro del vero sviluppo" (n. 28).

    [Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]

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    00 11/07/2009 15:53
    L'Enciclica del Papa e la logica del dono come via per risolvere gli squilibri della terra: una riflessione di padre Lombardi

    Ha avuto una risonanza mondiale la recente pubblicazione dell'Enciclica sociale di Benedetto XVI Caritas in veritate, le cui affermazioni sono state ulteriormente amplificate dalle questioni affrontate durante il G8 dell'Aquila, terminato ieri. Fermo restando l'importanza e la novità degli insegnamenti magisteriali contenuti nell'Enciclica, rispetto a precedenti e analoghi documenti, la sua comprensione sarebbe incompleta e fuorviante se l'attenzione andasse solo agli aspetti più "pratici" affrontati dalla Caritas in veritate e non si tenesse conto del respiro di fede che la attraversa e la illumina. Lo spiega in questa riflessione il direttore generale della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi:

    Ritrovare il coraggio per progettare il futuro dell'umanità, non con le illusioni delle ideologie tramontate, ma con la libertà di raccogliere in un'ampia sintesi dinamica tutti gli elementi offerti dall'esperienza negativa e positiva dei popoli, dalle riflessioni delle diverse discipline, dalla fatica della ragione. Questa è una parte del messaggio della nuova Enciclica, ma tutto ciò resterebbe velleitario e sterile senza il soffio vivo che le offre l'ispirazione delle fede.

    "La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono - dice il Papa - La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme… L'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime e attua la dimensione di trascendenza"(n.34). E' un'affermazione centrale. La logica del dono e della gratuità è la chiave di quella "fraternità" in cui il Papa vede profilarsi le vere soluzioni dei drammatici problemi della famiglia umana al tempo della globalizzazione: il persistere degli squilibri e della fame, ma anche il degrado culturale e spirituale che attenta alla dignità della persona umana vittima di dinamiche economiche esclusivamente utilitaristiche o di una ideologia del potere illimitato della tecnica.

    La crisi per cui giustamente oggi si affannano con noi i potenti della terra, e di cui i poveri portano gli effetti più duri, deve essere occasione per guardare più profondamente chi siamo e dobbiamo essere - fratelli chiamati ad amare e donare - e dove dobbiamo andare, al di là dell'orizzonte chiuso e cieco della materia. Se no, la globalizzazione non diventerà una opportunità di vita, ma una spirale e un intreccio di schiavitù sempre più drammatiche.



    Radio Vaticana

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    00 12/07/2009 16:10
    Nella "Caritas in Veritate" il Papa indica l'uscita dalla crisi
    Commento del portavoce vaticano all'Enciclica


    CITTA' DEL VATICANO, domenica, 12 luglio 2009 (ZENIT.org).- Nell'Enciclica "Caritas in Veritate", Benedetto XVI mostra la via per uscire dalla crisi globale e intavolare relazioni economiche basate sulla fraternità, afferma il portavoce della Santa Sede.

    Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa vaticana, ha sintetizzato il contributo offerto dalla terza Enciclica di questo pontificato con tre parole, "sviluppo, gratuità e speranza", nell'editoriale dell'ultimo numero di "Octava Dies", settimanale del Centro Televisivo Vaticano.

    Il testo papale, rivolto a tutti gli uomini di buona volontà, secondo il portavoce cerca, tra le altre cose, di "ritrovare il coraggio per progettare il futuro dell'umanità, non con le illusioni delle ideologie tramontate, ma con la libertà di raccogliere in un'ampia sintesi dinamica tutti gli elementi offerti dall'esperienza negativa e positiva dei popoli, dalle riflessioni delle diverse discipline, dalla fatica della ragione".

    "Tutto ciò resterebbe velleitario e sterile senza il soffio vivo che le offre l'ispirazione delle fede", aggiunge.

    Come affermazione centrale del documento, il sacerdote riporta una frase che appare al numero 34: "La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono - dice il Papa -. La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme...L'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime e attua la dimensione di trascendenza".

    Secondo il portavoce vaticano, "la logica del dono e della gratuità è la chiave di quella 'fraternità' in cui il Papa vede profilarsi le vere soluzioni dei drammatici problemi della famiglia umana al tempo della globalizzazione".

    Tra queste sfide, segnala "il persistere degli squilibri e della fame, ma anche il degrado culturale e spirituale che attenta alla dignità della persona umana vittima di dinamiche economiche esclusivamente utilitaristiche o di una ideologia del potere illimitato della tecnica".

    "La crisi per cui giustamente oggi si affannano con noi i potenti della terra, e di cui i poveri portano gli effetti più duri, deve essere occasione per guardare più profondamente chi siamo e dobbiamo essere - fratelli chiamati ad amare e donare - e dove dobbiamo andare - al di là dell'orizzonte chiuso e cieco della materia".

    "Se no, la globalizzazione non diventerà una opportunità di vita, ma una spirale e un intreccio di schiavitù sempre più drammatiche", conclude.

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    00 13/07/2009 01:21
    "Caritas in Veritate": la sua collocazione nella tradizione
    Intervista al professore di dottrina sociale p. Thomas Williams

    di Kathleen Naab

    ROMA, domenica, 12 luglio 2009 (ZENIT.org).- La nuova Enciclica non è né di "destra", né di "sinistra". È un appello agli uomini e alle donne di buona volontà ad "esplorare attivamente nuove strade per promuovere uno sviluppo sostenibile", spiega un professore di Dottrina Sociale della Chiesa dell'Università Regina Apostolorum di Roma.

    Il Legionario di Cristo p. Thomas D. Williams ha parlato con ZENIT della nuova Enciclica "Caritas in Veritate", la terza di Benedetto XVI e da lungo attesa, che tratta dello sviluppo umano integrale come elemento essenziale della Dottrina Sociale della Chiesa.

    Il testo dell'Enciclica, firmato il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, è stato reso pubblico il 7 luglio dal Vaticano.

    In questa intervista, p. Williams dà una collocazione della "Caritas in Veritate" nell'ambito della Dottrina Sociale della Chiesa e ne illustra i punti salienti.

    Che cosa ha voluto realizzare Benedetto XVI con questa Enciclica?

    Padre Williams: Il suo intento è stato molteplice. Questa Enciclica doveva essere originariamente pubblicata due anni fa, in commemorazione del 40° anniversario dell'Enciclica sociale di Paolo VI "Populorum progressio" del 1967. Tuttavia, diverse difficoltà, relative al testo stesso ma anche alla sopraggiunta crisi economica mondiale, hanno ritardato significativamente la pubblicazione del documento. Benedetto XVI evidenzia comunque alcuni importanti contributi dell'Enciclica di Paolo VI, che è notoriamente di difficile lettura e comprensione.

    Il Papa sottolinea, ad esempio, l'insistenza di Paolo VI sull'indispensabile ruolo del Vangelo nella costruzione di una società libera e giusta. Allo stesso modo, osserva l'importante enfasi data da Paolo VI alla dimensione globale della giustizia sociale e "l'ideale cristiano di una unica famiglia dei popoli".

    Questo spiega l'idea del Papa che la "Populorum progressio" meriti di essere considerata la "Rerum novarum" dell'epoca moderna?

    Padre Williams: In parte sì. Fondamentalmente, Benedetto XVI è consapevole che la grande Enciclica leonina trattava specificatamente il problema economico della rivoluzione post-industriale e la risposta socialista al problema. A tale situazione Leone XIII aveva risposto affermando il diritto naturale alla proprietà privata, i difetti radicali della soluzione socialista e la necessità per le associazioni dei lavoratori di controbilanciare la durezza del sistema capitalistico.

    La "Populorum progressio", d'altro canto, si è incentrata invece sull'idea di sviluppo umano integrale: un concetto più ampio rispetto all'attenzione strettamente economica della "Rerum novarum" e che Benedetto XVI fa proprio nella "Caritas in Veritate".

    Il Papa osserva che solo una più profonda comprensione del bene della persona umana e della società può fornire le basi necessarie per la costruzione di una società veramente più giusta. Questo significa tenere conto non solo della dimensione economica, ma anche di quella culturale, affettiva, intellettuale, spirituale e religiosa dell'uomo.

    Egli ribadisce con forza che la Chiesa, in tutto il suo essere e agire, è impegnata nella promozione dello sviluppo integrale dell'uomo. Questo ha senso, naturalmente, solo se si comprende lo sviluppo umano nel contesto della vocazione temporale ed eterna della persona umana.

    Questa Enciclica sarà vista come una vittoria per la "sinistra" o per la "destra"?

    Padre Williams: Il Magistero papale giustamente non entra nelle categorie politiche, destra/sinistra o conservatori/progressisti. Sicuramente questa Enciclica contiene molte cose che, se decontestualizzate, potrebbero essere usate per sostenere una grande varietà di posizioni, finanche posizioni antitetiche.

    A tale proposito, è particolarmente importante seguire la richiesta dello stesso Papa, che cioè l'Enciclica sia letta all'interno del contesto della tradizione continua della Dottrina Sociale della Chiesa. È importante, come tutti i Papi hanno ribadito, individuare quelle parti dell'Enciclica che si inseriscono nella continua proclamazione, da parte della Chiesa, dei principi fondamentali di una giusta organizzazione della società e rappresentano i suggerimenti contingenti per raggiungere tale finalità.

    Benedetto XVI afferma chiaramente che l'obiettivo del rinnovamento sociale è la realizzazione dello sviluppo umano integrale secondo il bene comune. Ciò che effettivamente contribuisce a questo scopo deve essere accolto, e ciò che lo ostacola deve essere respinto.

    Inoltre, sebbene egli invochi l'intervento dello Stato nei mercati economici nazionali e mondiali, al contempo osserva che soluzioni meramente tecniche e istituzionali non saranno mai sufficienti, oltre a produrre deplorevoli sprechi delle burocrazie. Le sue parole dovrebbero servire come stimolo per gli uomini e le donne di buona volontà ad esplorare attivamente nuove strade per promuovere uno sviluppo sostenibile disperatamente necessario per il mondo in via di sviluppo.

    Benedetto XVI individua nuove questioni sociali che devono essere affrontate nella nostra epoca?

    Padre Williams: Ne evidenzia alcune. Anzitutto richiama la forte affermazione di Giovanni Paolo II del 1995 secondo cui le questioni sulla vita, soprattutto quella dell'aborto, si erano di fatto sostituite alle questioni dei lavoratori come tema di fondo di giustizia sociale dell'epoca contemporanea. Benedetto XVI si riferisce più volte al fondamentale legame tra etica della vita ed etica sociale, e osserva le lampanti contraddizioni in chi asserisce l'importanza della giustizia e della pace e allo stesso tempo tollera o persino promuove le offese al diritto fondamentale più importante, che è quello alla vita.

    Il Papa, inoltre, collega la libertà religiosa al progresso e allo sviluppo umano. Egli condanna i fondamentalismi religiosi - soprattutto nelle manifestazioni di violenza e terrorismo di natura religiosa - come sviluppi limitativi, mentre allo stesso tempo osserva che "la promozione programmata dell'indifferenza religiosa o dell'ateismo pratico" contrasta con il vero progresso umano, promuovendo una caricatura materialistica della realizzazione di un uomo privo di trascendenza.

    Sebbene Benedetto XVI insista su una visione più ampia dello sviluppo che non si limiti ai meri aspetti economici e tecnologici, egli dedica comunque molte pagine a questi aspetti dello sviluppo. Vi è una contraddizione in questo?

    Padre Williams: No. Benedetto XVI inizia con una premessa cara alla tradizione della Chiesa: che il progresso materiale non può mai essere la sola misura di un autentico sviluppo umano. Detto questo, la prosperità materiale rappresenta una componente essenziale del vero progresso e deve essere anch'essa presa in considerazione. La Chiesa non ha mai affermato che la povertà economica sia un bene da perseguire, l'ha sempre considerata un male da superare, e Benedetto XVI sviluppa tale obiettivo ed esplora una serie di possibili misure per raggiungerlo.

    In che modo ciò sia da realizzare è notoriamente una questione molto discussa, e Benedetto XVI osserva subito che "la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire". Egli tuttavia insiste sulla necessità di un fondamentale cambiamento comportamentale. L'egoismo, che sta alla base di molti problemi sociali ed economici del mondo moderno, sarà sempre un nemico del progresso umano.

    In definitiva, l'Enciclica può essere letta come un "grido del cuore" del Papa per una maggiore umanizzazione dell'economia di mercato, dei regimi politici, delle istituzioni e della società civile e culturale. Ciò richiede, a livello personale, di abbandonare l'impostazione pragmatica, dando spazio a una coscienza cristiana ben formata. Ciò che egli dice esplicitamente in relazione alla salvaguardia dell'ambiente può ben essere applicato all'intero tema della sua lettera: "il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società".

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    00 14/07/2009 17:55
    Dal blog di Lella...

    La classifica dei libri più venduti della settimana

    Gli italiani sono alla ricerca di valori e punti di riferimento etici, e lo dimostrano con la nuova enciclica di Papa Ratzinger, Caritas in veritate, che è balzata in prima posizione. In libreria da pochi giorni, il pensiero di Benedetto XVI ha conquistato i lettori. I temi sociali e la globalizzazione, il concetto di carità e l'economia, solo alcuni dei temi trattati dal Papa.

    Grandi novità nella classifica dei libri più venduti della settimana, pubblicati in anteprima da Affari.
    Gli italiani sono alla ricerca di valori e punti di riferimento etici, e lo dimostrano con la nuova enciclica di Papa Ratzinger, Caritas in veritate, che è balzata in prima posizione. In libreria da pochi giorni, il pensiero di Benedetto XVI ha conquistato i lettori.
    Tanto che Andrea Camilleri, con il romanzo La danza del gabbiano, ha perso la leadership che deteneva da più di un mese. Saviano crolla al nono posto, mentre Tiziano Scarpa, discusso vincitore del Premio Strega, entra al quinto posto.

    www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/la_classifica_dei_libri_piu_venduti_settimana140...


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    Papa Ratzi Superstar









    "CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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    L'edizione stampata vaticana della “Caritas in Veritate” in vendita su Internet
    Operazione senza precedenti della Libreria Editrice Vaticana


    CITTA' DEL VATICANO, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).- L'edizione stampata edita dalla Santa Sede dell'Enciclica Caritas in Veritate è in vendita su Internet a un prezzo estremamente accessibile.

    Il volume, che secondo le lingue e le edizioni ha 127 o 136 pagine, è stato stampato dalla Libreria Editrice Vaticana (LEV), un'edizione la cui distribuzione prima dell'arrivo di Internet era riservata alle librerie di Roma.

    Ora si può acquistare la stessa presentazione a 2 euro in italiano e a 3 euro nelle altre lingue (spagnolo, francese, inglese, portoghese e tedesco).

    Senza contare le edizioni che sono state realizzate nei vari Paesi, la LEV ha stampato 500.000 copie dell'Enciclica in italiano e 50.000 nelle altre lingue.

    Per promuovere la distribuzione, soprattutto in quei luoghi in cui è difficile acquistare una copia, la HDHCommunications, che distribuisce sia i documentari del Centro Televisivo Vaticano che i libri della LEV, aggiunge a questo prezzo su Internet uno sconto del 15%.

    Per informazioni e acquisto: www.hdhcommunications.com











    La “Caritas in Veritate” è la Magna Charta dei paesi poveri
    di Piero Gheddo*



    ROMA, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).- La terza Enciclica di Papa Benedetto “Caritas in Veritate” è veramente un testo di grande valore. Dopo averla letta (e sottolineata per ricordare i temi più importanti), penso che sia, nel nostro tempo, “la Magna Charta dei paesi poveri”, come il Primo ministro dell’India aveva definito 40 anni fa la “Populorum Progressio”, di cui questa nuova Enciclica sociale vuol essere la continuazione aggiornata al nostro tempo.

    E’ il tentativo riuscito di sintetizzare la situazione caotica in campo economico-finanziario in cui ci troviamo tutti sommersi. Lo scopo è di orientare l’economia mondiale, specie quella dei paesi ricchi, verso la fraternità fra i popoli, termine preferito a solidarietà: gli uomini infatti sono tutti fratelli perché figli dello stesso Padre. Quindi verso i popoli più poveri e marginalizzati dal mercato mondiale. Un’Enciclica scritta anzitutto per i grandi del mondo, gli studiosi, i periti di varie scienze, ma credo leggibile anche da “tutti gli uomini di buona volontà” perché spiega molto bene la dottrina sociale della Chiesa riguardo ai problemi economici, politici, sociali e culturali di cui oggi si discute e si dibatte specialmente fra i soggetti politici e nei Parlamenti.

    Cosa dice la Caritas in Veritate? Il Papa parte spiegando il significato del titolo: la carità, cioè l’amore all’uomo, è il segno distintivo del cristianesimo: “La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa”. Ma questo amore dev’essere nel rispetto della verità sulla natura dell’uomo e della società umana. Due i “criteri orientativi dell’azione morale”, la giustizia e il bene comune.

    Ecco in estrema sintesi i contenuti del primo capitolo, che orienta e giustifica tutto il resto dell’Enciclica: Benedetto XVI parte dal messaggio fondamentale della “Populorum Progressio”: l’uomo è creato da Dio e non è un essere autosufficiente. Senza Dio, lo sviluppo umano viene “disumanizzato” (10-12). Il Vangelo è indispensabile “per la costruzione della società secondo libertà e giustizia” (13). Quindi lo sviluppo dell’uomo è una “vocazione” perché nasce “da un appello trascendente” ed è uno “sviluppo integrale” quando è “volto alla promozione di ogni uomo e di tutti gli uomini (16-18). Secondo queste premesse, le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale. Il sottosviluppo ha una causa radicale, che è “la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli” (19). “La società globalizzata – rileva il Papa – ci rende vicini, ma non ci rende fratelli… Bisogna allora mobilitarsi, affinchè l’economia evolva verso esiti pienamente umani” (19-20).

    La Caritas in Veritate non è un’enciclopedia o un elenco sistematico di problemi, ma un esame e una proposta di soluzione, affinchè lo sviluppo sia veramente per tutto l’uomo e per tutti gli uomini. Mi pare importante rilevare che la Caritas in Veritate riprende dalla Populorum Progressio e mette bene in risalto quello che quarant’anni fa era stato trascurato di quell’Enciclica, nei commenti e studi anche da parte cattolica. Anche Paolo VI partiva dallo “sviluppo dell’uomo che viene da Dio e deve portare a Dio” (nn. 14-21 e 40-42 della P.P. e n. 58 della “Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II).

    Un ricordo. Nel 1972, cinque anni dopo la Populorum Progressio, nella sede di Piacenza dell’Università Cattolica si tenne un congresso di studio di tre giorni sull’Enciclica, al quale ho partecipato con una lezione sull’azione dei missionari per lo sviluppo dei popoli. Mi stupiva il fatto che, a parte un’introduzione teologica del gesuita padre Joblin, si parlava dei problemi materiali dello sviluppo, gli aiuti, i finanziamenti dei piani di sviluppo, il commercio internazionale, i prezzi delle materie prime, i lavoratori emigrati, ma quasi senza più connessione con l’ispirazione religiosa profonda della Populorum Progressio. Quasi due mondi separati: da un lato Dio, il Vangelo, la Chiesa, la vita religiosa; dall’altro il quotidiano con i suoi angosciosi problemi politico-economico-sociali-culturali. Era l’impressione comune che avevo in quegli anni, leggendo i molti studi e commenti internazionali, ripeto anche di cristiani e cattolici, dell’Enciclica di Paolo VI.

    Mi pare che la Caritas in Veritate, riprendendo il grande documento di Paolo VI, abbia voluto congiungere in modo fermo la fede con la vita, che deve illuminare e guidare anche la ricerca di una soluzione ai grandi problemi dell’umanità, ai quali oggi ci troviamo confrontati e spesso non abbiamo risposte adeguate. Insomma, credo che la Caritas in Veritate debba essere letta e meditata da tutti coloro che hanno a cuore specialmente temi come la fame nel mondo, l’integrazione culturale dei popoli, gli aiuti allo sviluppo da parte dei popoli ricchi e via dicendo.

    [Per ogni approfondimento: gheddo.missionline.org/]

    -----------

    * Padre Piero Gheddo, già direttore di “Mondo e Missione” e di Italia Missionaria, è il fondatore di AsiaNews. Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente. Dal 1994 è direttore dell’Ufficio storico del Pime e postulatore di varie cause di canonizzazione. Insegna nel seminario pre-teologico del Pime a Roma. E’ autore di oltre 70 libri. L’ultimo pubblicato è un libro intervista condotto da Roberto Beretta dal titolo “Ho tanta fiducia” (Editrice San Paolo).




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    00 15/07/2009 16:07
    Ragione e tecnica non bastano da sole a risolvere i problemi dell'uomo: il prof. Stefano Semplici riflette sulla "Caritas in veritate"


    Pur essendo un'Enciclica dedicata ai temi sociali, la Caritas in Veritate ripropone in realtà la sfida antropologica centrale del Magistero di Benedetto XVI: l'uomo si è prodotto da sé stesso o dipende da Dio? Il Papa ci avverte che in economia, come nella bioetica, le soluzioni ai problemi dell'umanità non possono essere solo tecniche, ma devono tener conto delle esigenze di una persona dotata di anima e corpo. Un altro passo verso il superamento del conflitto tra fede e ragione, ma anche una sfida alta per il pensiero laico. Lo spiega Stefano Semplici, docente di Etica sociale all'Università di Roma Tor Vergata, al microfono di Fabio Colagrande:

    R. - Ripetendo ed aggiornando il grande magistero della Populorum Progressio, Benedetto XVI affronta certamente i grandi principi - le grandi contraddizioni anche - che sono legate allo sviluppo economico e alla regolamentazione del mercato. Tutti questi temi, tuttavia, vanno inquadrati in quello che è il vero asse portante della riflessione di Benedetto XVI, ovvero la questione antropologica. Benedetto XVI ripete ancora una volta che non esiste agire economico che sia neutralmente orientato alla massimizzazione di un parametro, come per esempio quello del profitto. E’ come se il Papa dicesse: guai a pensare che esista una dimensione dell’umano - sia pure tanto importante e qualificante come quella nella quale l’uomo è impegnato per soddisfare i suoi bisogni essenziali, per coltivare e far crescere i suoi interessi, ovvero l’economia - che da sola sia capace di risolvere il problema dell’umano nel suo complesso. Quindi, la domanda rimane radicalmente etica e per questo la domanda intercetta inevitabilmente quel piano al quale Benedetto XVI ha dedicato così grande e appassionato slancio fin dall’inizio del suo Pontificato, cioè appunto la questione bioetica. Perché laddove ne va della vita - nella sua condizione di maggiore fragilità, di maggiore esposizione, l’inizio e la fine della vita - lì ne va del significato che noi riconosciamo all’uomo e alla sua dignità.


    D. - Quindi, resta centrale il problema di un predominio della tecnica. Se ci consideriamo creature di Dio, quindi non padroni della nostra vita, non possiamo dare il predominio alla tecnica...


    R. - E’ assolutamente “pour cause” che in questa Enciclica troviamo un capitolo dedicato alla tecnica. In un’Enciclica, cioè, che si occupa prevalentemente delle tematiche dello sviluppo, della solidarietà a livello globale, della razionalità dell’agire economico che, per essere tale, va riconosciuto come una forma della razionalità pratica dell’uomo nel suo complesso. Qui troviamo anche un capitolo sulla tecnica. Perché quella della razionalità tecnica, strumentale, è per il Papa un’altra delle grandi tentazioni di impoverimento e di riduzione di questa presa della razionalità pratica sull’uomo tutto intero. Non dimentichiamo mai che per Benedetto XVI qui ne va non semplicemente della fede, in rapporto alla ragione - quasi come se la seconda dovesse essere subordinata alla prima - ma di una circolarità virtuosa, nella quale entrambe, la fede e la ragione, raggiungono la pienezza del loro significato e delle loro potenzialità.


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    00 16/07/2009 01:41
    Mons. Crepaldi: al cuore dell’enciclica, il posto di Dio nel mondo
    Il Segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace commenta la “Caritas in veritate”



    ROMA, mercoledì, 15 luglio 2009 (ZENIT.org).- “Il tema vero dell’enciclica è il posto di Dio nel mondo”. E' quanto scrive mons. Giampaolo Crepaldi, nuovo Vescovo di Trieste e Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in un articolo per il settimanale "Tempi" che uscirà il 16 luglio.

    Secondo mons. Crepaldi, grazie alla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, “la Dottrina sociale della Chiesa viene collocata laddove Chiesa e mondo si incontrano”.

    In particolare, spiega il presidente dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân, nel documento papale si sottolinea che “senza la forza della carità e la luce della verità cristiane l’uomo non è capace di tenersi insieme, perde i propri pezzi, si contraddice, si scompone e si decompone”.

    E la “pretesa cristiana è che solo Gesù Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo e gli permette di 'tenersi', come un tutto”.

    Il pregio della “Caritas in veritate”, aggiunge il presule, sta nel superamento di numerose riduzioni o “scomposizioni ideologiche”, come “la separazione dei temi della vita e della famiglia da quelli della giustizia sociale e della pace”.

    “Separazione evidentissima, per esempio, nel riduzionismo ecologista o nello sviluppo dei popoli poveri collegato con l’aborto o la pianificazione riproduttiva forzata”, osserva.

    “Si pensi – continua poi – alla frequente interpretazione dello sviluppo solo in termini quantitativi, a fronte di altre cause – qualitative – sia del sottosviluppo che del supersviluppo”.

    Per mons. Crepaldi, “l’ideologia della tecnica è il nuovo assolutismo (si veda il capitolo VI) perché separa: se tutti i problemi della persona umana si riducono a problemi psicologici risolvibili da tecnici 'esperti' si finisce per non sapere nemmeno più cosa si intenda per sviluppo, mentre “l’uomo è unità di corpo e anima”.

    La “Caritas in veritate”, al contrario, “riconsegna allo spirito e alla vita eterna il loro posto nella costruzione della città terrena”.

    Ecco che “Dio ha così il suo posto nel mondo e la Chiesa un suo 'diritto di cittadinanza'”.

    Tuttavia, sottolinea, “che Dio abbia un posto nel mondo richiede che il mondo ne abbia bisogno anche per essere mondo, ossia per conseguire i suoi fini naturali, viceversa Dio è superfluo. Utile, magari, ma non indispensabile”.

    Però, spiega mons. Crepaldi, “se Dio è solo utile allora il cristianesimo è solo etica”.

    “Se, invece, Dio è indispensabile allora la fede purifica la ragione e la carità purifica la giustizia”.

    Da questa prospettiva, la “Caritas in veritate” si presenta anche come “un bilancio politico e sociale della modernità e dei danni al vero sviluppo provocati dalla incapacità di cogliere ciò che non sia prodotto da noi”.

    “Senza Dio, si legge nella Conclusione, l’uomo non sa dove andare e non sa nemmeno chi egli sia – scrive il Vescovo di Trieste –. Senza Dio l’economia è solo economia, la natura è solo un deposito di materiale, la famiglia solo un contratto, la vita solo una produzione di laboratorio, l’amore solo chimica e lo sviluppo solo una crescita”.

    “L’uomo ondeggia tra natura e cultura, ora intendendosi solo come natura ora solo cultura, senza vedere che la cultura è la vocazione della natura, ossia il compimento non arbitrario di quanto essa già attendeva”, conclude poi.







    La “Caritas in Veritate” propone una nuova cultura imprenditoriale
    Il presidente degli imprenditori cristiani commenta l'Enciclica


    SANTIAGO DEL CILE, mercoledì, 15 luglio 2009 (ZENIT.org).- Rolando Medeiros, presidente dell'Unione Sociale degli Imprenditori Cristiani (USEC), ha scritto una lettera ai membri della sua associazione, dal titolo “La Carità nella Verità e il ruolo dell'imprenditore”, in cui sottolinea tre idee sull'Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI.

    Nel testo, inviato a ZENIT, Medeiros spiega che l'Enciclica “contiene una riflessione profonda sulle tematiche sociali attuali con le loro luci e ombre, e sulle condizioni per uno sviluppo umano integrale e un progresso sostenibile”.

    Sono tre le idee dell'Enciclica che si riferiscono specificatamente al ruolo delle imprese e degli imprenditori oggi e che il presidente dell'USEC vuole rimarcare.

    In primo luogo, afferma, il testo papale “sottolinea che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è la persona umana nella sua integrità, visto che l'uomo è 'l'autore, il centro e il fine' di tutta la vita economica e imprenditoriale. In questo senso, il Papa propone una 'nuova sintesi umanistica', cioè di collocare il necessario sviluppo economico e materiale come mezzo e non come fine. Un mezzo per raggiungere la meta del pieno sviluppo umano e sociale”.

    Il secondo aspetto si collega all'etica e al modello economico, a proposito della crisi. “Il Papa – spiega Medeiros – segnala che il modello attuale è uno strumento efficace per operare nel mondo degli affari, ma che se le persone che vi operano non hanno valori può essere oggetto di abusi, con conseguenze negative oggi conosciute da tutti”.

    “Per questo, il Pontefice esorta a ricostruire una fiducia e una solidarietà che permettano più giustizia sociale. In questo senso, la Carità Sociale è un concetto più ampio di quello della Giustizia Sociale, perché va al di là dei minimi etici; ci spinge non solo a volere il bene per il prossimo, ma anche a lavorare per questo”, ha aggiunto.

    Nell'attuale mondo globalizzato, infine, “il Papa chiede a noi dirigenti d'impresa di cercare di non perdere di vista il fatto che la nostra impresa è formata da una comunità di persone su cui dobbiamo sempre vegliare e che va protetta per quanto dispersi possano essere le nostre operazioni, le filiali, gli azionisti, i fornitori, i clienti e il pubblico”.

    “E' facile svincolarsi quando non abbiamo un contatto quotidiano con le squadre di collaboratori, ed è facile dimenticare che il nostro capitale umano è formato da persone con un nome e un cognome, con aspirazioni, potenzialità, famiglie e sogni e il cui contributo con il lavoro quotidiano è unico e prezioso. Perché un'impresa sia altamente produttiva, deve essere anche pienamente umana e socialmente responsabile”.

    Per tutto questo, Rolando Medeiros invita “imprenditori, dirigenti e professionisti a leggere e riflettere su questa nuova Enciclica e a unirsi a questa missione di impregnare di valori le politiche, le decisioni, la cultura e il comportamento delle loro organizzazioni. A costruire, insomma, una nuova cultura imprenditoriale”.

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    00 16/07/2009 15:53
    Lettera del presidente Napolitano a Benedetto XVI: l’enciclica Caritas in veritate invita ad una revisione profonda del modello di sviluppo


    I temi centrali che riguardano la vita dell'uomo e le grandi questioni che toccano le nostre società, così come delineati nell’enciclica “Caritas in veritate”, “costituiranno uno stimolo a una riflessione che potrà risultare benefica per tutti”. E’ quanto scrive il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, in una lettera inviata a Benedetto XVI. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il presidente italiano Giorgio Napolitano afferma di aver letto “con grande interesse” la terza enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate” che porta il messaggio del Papa “all’interno di società in cui vi è in questi anni apprensione ed incertezza non solo per le prospettive e per il futuro dell’economia mondiale e dello sviluppo, ma anche per i cambiamenti”. Mutamenti – aggiunge il presidente Napolitano - che si vanno delineando “nei rapporti umani, nel mondo del lavoro e dell’impresa, nelle relazioni tra gli abitanti del pianeta e l’ambiente e le risorse naturali che per molto tempo sono state considerate inesauribili”. Il capo di Stato italiano aggiunge che i temi centrali sulla vita dell’uomo in rapporto ai suoi simili e le grandi questioni riguardanti le nostre società, così come vengono delineati nell’enciclica, “costituiranno uno stimolo ad una riflessione che potrà risultare benefica per tutti”. L’affermazione di Benedetto XVI sulla questione sociale, diventata radicalmente questione antropologica, costituisce per il presidente Napolitano “un invito ad un ripensamento approfondito e sereno di molti aspetti della vita e del funzionamento degli aggregati umani”. Un ripensamento – conclude il capo di Stato italiano ricordando le parole del Papa nell’enciclica – che richiede, in particolare, una nuova e approfondita riflessione sul “senso dell’economia e dei suoi fini” e “una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni”.



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    00 16/07/2009 15:54
    L’enciclica sociale di Benedetto XVI

    ROMA, giovedì, 16 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’intervento che monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, appena nominato dal Santo Padre nuovo Vescovo di Trieste, ha pronunciato mercoledì 15 luglio a Palazzo Montecitorio (sala Berlinguer).

    L’incontro con i parlamentari italiani per la presentazione dell’enciclica “Caritas in veritate” è stato organizzato dall’Associazione Persone e Reti.

    * * *

    La Caritas in veritate è la terza enciclica di Benedetto XVI ed è un’enciclica sociale. Essa si inserisce nella tradizione delle encicliche sociali che, nella loro fase moderna, siamo soliti far iniziare con la Rerum novarum di Leone XIII ed arriva dopo 18 anni dall’ultima enciclica sociale, la Centesimus annus di Giovanni Paolo II. Quasi un ventennio ci separa quindi dall’ultimo grande documento di dottrina sociale. Non che in questo ventennio l’insegnamento sociale dei Pontefici e della Chiesa si sia ritirato in secondo piano. Si pensi per esempio al Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2004 o all’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI che contiene una parte centrale espressamente dedicata alla Dottrina sociale della Chiesa e che io, a suo tempo, ho definito una “piccola enciclica sociale”. Si pensi soprattutto al magistero ordinario di Benedetto XVI, su cui tornerò tra poco. La scrittura di una enciclica, però, assume un valore particolare, rappresenta un sistematico passo in avanti dentro una tradizione che i pontefici assunsero in sé non per spirito di supplenza ma con la precisa convinzione di rispondere così alla loro missione apostolica e con l’intento di garantire alla religione cristiana il “diritto di cittadinanza” nella costruzione della società degli uomini.

    Perché una nuova enciclica? Come sappiamo la Dottrina sociale della Chiesa ha una dimensione che permane ed una che muta con i tempi. Essa è l’incontro del Vangelo con i problemi sempre nuovi che l’umanità deve affrontare. Questi ultimi cambiano, ed oggi lo fanno ad una velocità sorprendente. La Chiesa non ha soluzioni tecniche da proporre, come anche la CV ci ricorda, ma ha il dovere di illuminare la storia umana con la luce della verità e il calore dell’amore di Gesù Cristo, ben sapendo che “se il Signore non costruisce la casa invano si affannano i costruttori”.

    Se ci guardiamo indietro nel tempo e ripercorriamo questi vent’anni che ci separano dalla Centesimus annus ci accorgiamo che grandi cambiamenti sono avvenuti nella società degli uomini.

    1 - Le ideologie politiche che avevano caratterizzato l’epoca precedente al 1989 sembrano aver perso di virulenza, sostituite però dalla nuova ideologia della tecnica. In questi venti anni le possibilità di intervento della tecnica nella stessa identità della persona si sono purtroppo sposate con un riduzionismo delle possibilità conoscitive della ragione su cui Benedetto XVI sta impostando da tempo un lungo insegnamento. Questo scostamento tra capacità operative, che ormai riguardano la vita stessa, e quadro di senso che si assottiglia sempre di più è tra le preoccupazioni più vive dell’umanità di oggi e per questo la CV lo ha affrontato. Se nel vecchio mondo dei blocchi politici contrapposti la tecnica era asservita all’ideologia politica ora, che i blocchi non ci sono più e il panorama geopolitico è di gran lunga cambiato, la tecnica tende a liberarsi da ogni ipoteca. L’ideologia della tecnica tende a nutrire questo suo arbitrio con la cultura del relativismo, alimentandola a sua volta. L’arbitrio della tecnica è uno dei massimi problemi del mondo di oggi, come emerge in maniera evidente dalla CV.

    2 - Un secondo elemento distingue l’epoca attuale da quella di venti anni fa: l’accentuazione dei fenomeni di globalizzazione determinati da un lato dalla fine dei blocchi contrapposti e dall’altro dalla rete informatica e telematica mondiale. Iniziati nei primi anni Novanta del secolo scorso, questi due fenomeni hanno prodotto cambiamenti fondamentali in tutti gli aspetti della vita economica, sociale e politica. La Centesimus annus accennava al fenomeno, la CV lo affronta organicamente. L’enciclica analizza la globalizzazione non in un solo punto ma in tutto il testo, essendo questo un fenomeno, come oggi si dice, “trasversale”: economia e finanza, ambiente e famiglia, culture e religioni, migrazioni e tutela dei diritti dei lavoratori, tutti questi elementi, ed altri ancora, ne sono influenzati.

    3 - Un terzo elemento di cambiamento riguarda le religioni. Molti osservatori notano che in questo ventennio, pure a seguito della fine dei blocchi politici contrapposti, le religioni sono tornate alla ribalta della scena pubblica mondiale. A questo fenomeno, spesso contraddittorio e da decifrare con attenzione, si contrappone un laicismo militante e talvolta esasperato che tende ad estromettere la religione dalla sfera pubblica. Ne discendono conseguenze negative e spesso disastrose per il bene comune. La CV affronta il problema in più punti e lo vede come un capitolo molto importante per garantire all’umanità uno sviluppo degno dell’uomo.

    4 - Un quarto ed ultimo cambiamento su cui voglio soffermarmi è l’emergenza di alcuni grandi paesi da una situazione di arretratezza, che sta mutando notevolmente gli equilibri geopolitici mondiali. La funzionalità degli organismi internazionali, il problema delle risorse energetiche, nuove forme di colonialismo e di sfruttamento sono anche collegate con questo fenomeno, positivo in sé ma dirompente e che abbisogna di essere bene indirizzato. Torna qui, impellente, il problema della governance internazionale.

    Queste quattro grandi novità accadute nel ventennio che ci separa dall’ultima enciclica sociale, novità rilevanti che hanno cambiato in profondità le dinamiche sociali mondiali, basterebbero da sole a motivare la scrittura di una nuova enciclica sociale. All’origine della CV c’è però un altro motivo che non vorrei venisse dimenticato. Inizialmente la CV era stata pensata dal Santo Padre come una commemorazione dei 40 anni della Populorum progressio di Paolo VI. La redazione della CV ha richiesto più tempo e quindi la data del quarantennio della Populorum progressio – il 2007 – è stato superato. Ma questo non elimina l’importante collegamento con l’enciclica paolina, evidente già dal fatto che la CV viene detta una enciclica “sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità”. Evidente poi per il primo capitolo dell’enciclica, dedicato proprio a riprendere la Populorum progressio, a rileggerne l’insegnamento dentro il magistero complessivo di Paolo VI. Il tema della CV non è lo “sviluppo dei popoli”, ma è “lo sviluppo umano integrale”, senza che questo comporti una trascuratezza del primo. Si può dire quindi che la prospettiva della Populorum progressio venga allargata, in continuità con le sue profonde dinamiche. Alla Populorum progressio viene conferito lo stesso onore dato alla Rerum novarum: venire periodicamente ricordata e commentata. Essa è quindi la nuova Rerum novarum della famiglia umana globalizzata.

    All’interno di questo umanesimo integrale la CV parla anche della attuale crisi economica e finanziaria. La stampa si è dimostrata interessata soprattutto a questo aspetto e i giornali si sono chiesti cosa avrebbe detto la nuova enciclica sulla crisi in atto. Vorrei dire che il tema centrale dell’enciclica non è questo, però la CV non si è sottratta alla problematica. L’ha affrontata non in senso tecnico ma valutandola alla luce dei principi di riflessione e dei criteri di giudizio della Dottrina sociale della Chiesa e all’interno di una visione più generale dell’economia, dei suoi fini e della responsabilità dei suoi attori. La crisi in atto mette in evidenza, secondo la CV, che la necessità di ripensare anche il modello economico cosiddetto “occidentale” richiesta dalla Centesimus annus circa venti anni fa non è stato attuato fino in fondo. Dice questo, però, dopo aver chiarito che il problema dello sviluppo si è fatto policentrico e il quadro delle responsabilità, dei meriti e delle colpe, si è molto articolato. Secondo la CV, «La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammi­no, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente » (n. 21). Dall’enciclica emerge una visione in positivo, di incoraggiamento all’umanità perché possa trovare le risorse di verità e di volontà per superare le difficoltà. Non un incoraggiamento sentimentale, dato che nella CV vengono individuati con lucidità e preoccupazione tutti i principali problemi del sottosviluppo di vaste aree del pianeta. Ma un incoraggiamento fondato, consapevole e realistico perché nel mondo sono all’opera molti protagonisti ed attori di verità e di amore e perché il Dio che è Verità e Amore è sempre all’opera nella storia umana.

    Nel titolo della CV appaiono i due termini fondamentali del magistero di Benedetto XVI, appunto la Carità e l’Amore. Questi due termini hanno segnato tutto il suo magistero in questi anni di pontificato in quanto rappresentano l’essenza stessa della rivelazione cristiana. Essi, nella loro connessione, sono il motivo fondamentale della dimensione storica e pubblica del cristianesimo, sono all’origine quindi della Dottrina sociale della Chiesa. Infatti «Per questo stretto collegamento con la veri­tà, la carità può essere riconosciuta come espres­sione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta» (n. 3).

    La Caritas in veritate è destinata a parlarci a lungo ed a lungo noi dovremo parlare di essa. Dopo circa venti anni dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, la Chiesa riprende ancora in mano il bandolo della matassa della costruzione del mondo e trasforma la questione sociale nientemeno che nella questione dello “sviluppo umano integrale nella carità e nella verità”. Così facendo la Dottrina sociale della Chiesa viene collocata laddove Chiesa e mondo si incontrano. Il paragrafo 34 dell’enciclica dice con chiarezza che dopo il peccato il mondo non sa costruirsi da solo. La Dottrina sociale, come diceva Giovanni Paolo II, è strumento di salvezza perché è annuncio di Cristo nelle realtà temporali. La Caritas in veritate ribadisce la “pretesa” cristiana: senza di me non potete fare nulla.

    Senza la forza della carità e la luce della verità cristiane l’uomo non è capace di tenersi insieme, perde i propri pezzi, si contraddice, si scompone e si decompone. La pretesa cristiana è che solo Gesù Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo e gli permette di “tenersi”, come un tutto. Una lettura della Caritas in veritate da questo punto di vista sarebbe molto interessante. Destra e sinistra, conservazione e progressismo, capitalismo e anticapitalismo, natura e cultura … queste ed altre separazioni e riduzioni vengono completamente sorvolate: la realtà è più di esse e la realtà è data dalla carità e dalla verità. Si pensi alla più frequente delle scomposizioni ideologiche: la separazione dei temi della vita e della famiglia da quelli della giustizia sociale e della pace. Separazione evidentissima, per esempio, nel riduzionismo ecologista o nello sviluppo dei popoli poveri collegato con l’aborto o la pianificazione riproduttiva forzata. L’enciclica dice che tutto ciò va “tenuto insieme”. Si pensi alla frequente interpretazione dello sviluppo solo in termini quantitativi, a fronte di altre cause – qualitative – sia del sottosviluppo che del supersviluppo. L’ideologia della tecnica è il nuovo assolutismo (si veda il capitolo VI) perché separa: se tutti i problemi della persona umana si riducono a problemi psicologici risolvibili da tecnici “esperti” si finisce per non sapere nemmeno più cosa si intenda per sviluppo. L’uomo è unità di corpo e anima. La Caritas in veritate riconsegna allo spirito e alla vita eterna il loro posto nella costruzione della città terrena.

    La pretesa cristiana è di riuscire a tenere insieme il tutto. Ma è anche quella di rispondere ad un bisogno, meglio ad una attesa. Anche questo secondo aspetto della pretesa cristiana c’è tutto nella Caritas in veritate. Senza negare i diversi livelli di verità e di competenza, e quindi senza negare anche i propri limiti, la Chiesa sa di annunciare la Parola definitiva e che questa Parola non si aggiunge dall’esterno come un’opinione, ma pretende di essere la risposta alle attese umane. Dio ha così il suo posto nel mondo e la Chiesa un suo “diritto di cittadinanza” . Che Dio abbia un posto nel mondo richiede che il mondo ne abbia bisogno anche per essere mondo, ossia per conseguire i suoi fini naturali, viceversa Dio è superfluo. Utile, magari, ma non indispensabile. Se Dio è solo utile allora il cristianesimo è solo etica. Se, invece, Dio è indispensabile allora la fede purifica la ragione e la carità purifica la giustizia. Purifica significa che le rende effettivamente ragione ed effettivamente carità. Come dire che senza la fede la ragione non riesce ad essere ragione e senza la carità la giustizia non riesce ad essere giustizia.

    Non si comprenderà a fondo la Caritas in veritate se ci si soffermerà solo sui singoli capitoli tematici, senza tenere in conto la visione generale. Il tema vero dell’enciclica è il posto di Dio nel mondo. Per questo la Caritas in veritate è anche un bilancio politico e sociale della modernità e dei danni al vero sviluppo provocati dalla incapacità di cogliere ciò che non sia prodotto da noi. Il paragrafo 34 è tra i più belli – e più importanti - dell’enciclica in quanto parla della “stupefacente esperienza del dono”. La modernità, nella sua versione emergente, elimina la possibilità stessa di “ricevere” e di “accogliere” qualcosa di veramente nuovo e che “irrompe” nella nostra vita. Impedisce di cogliere la carità e l’amore che sono sempre quanto non si può prevedere e produrre. Toglie quindi a Dio il suo posto nel mondo, perché Dio è Carità e Amore. Toglie la possibilità di riconoscersi come “fratelli”, perché la vicinanza si può produrre – dice l’enciclica – ma la fraternità no. Qualcuno ha osservato che nell’enciclica si parla più di fraternità che di solidarietà. E’ vero. Non però per eliminare il termine solidarietà, ma per chiarirlo meglio alla luce della fede cristiana. La fraternità richiede un unico Padre e non può essere che un dono. La solidarietà corre il rischio del solidarismo e quindi della orizzontalità etica. Potremmo dire che la fraternità cristiana purifica la solidarietà umana.

    Che rapporto c’è tra la prospettiva del dono e quella della libertà e della responsabilità? La Caritas in veritate colloca il tema dello sviluppo in questo ultimo ambito, non quello dei meccanismi ma quello della responsabilità. Questa non nasce da quanto produciamo noi, ma dall’accoglienza di doveri indisponibili. Al contrario la libertà sarebbe arbitraria e la responsabilità irresponsabile. Si legga con attenzione il paragrafo 43 sui diritti e sui doveri. Lì la modernità è purificata, ossia liberata da se stessa per essere più autenticamente se stessa. Da una modernità irresponsabile ad una modernità responsabile. Il sottosviluppo è prodotto. Ed è prodotto meno da carenza di risorse e più da carenza di pensiero e di cuore. Il pensiero e il cuore – se non ridotti ad opinione e a sentimento – ci mettono davanti a quanto ci interpella perché non prodotto da noi. Ci indicano il senso vero dello sviluppo da assumere liberamente e responsabilmente, senza affidarne la realizzazioni solo a burocrazie o a meccanismi.

    La grandezza della Caritas in veritate sta nel suo respiro. Senza Dio, si legge nella Conclusione, l’uomo non sa dove andare e non sa nemmeno chi egli sia. Senza Dio l’economia è solo economia, la natura è solo un deposito di materiale, la famiglia solo un contratto, la vita solo una produzione di laboratorio, l’amore solo chimica e lo sviluppo solo una crescita. L’uomo ondeggia tra natura e cultura, ora intendendosi solo come natura ora solo cultura, senza vedere che la cultura è la vocazione della natura, ossia il compimento non arbitrario di quanto essa già attendeva.

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