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Discorso del Papa in visita alla parrocchia Sant'Antonino di Concesio
Dove il futuro Paolo VI venne battezzato nel 1897



CONCESIO, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questa domenica pomeriggio visitando a Concesio la chiesa parrocchiale di Sant'Antonino, nella quale Giovanni Battista Montini venne battezzato il 30 settembre 1897.

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Cari fratelli e sorelle!

Con questo incontro si chiude la Visita pastorale a Brescia, terra natale del mio venerato Predecessore Paolo VI. Ed è per me un vero piacere concluderla proprio qui, a Concesio, dove egli nacque ed iniziò la sua lunga e ricca vicenda umana e spirituale. Ancor più significativo - anzi emozionante - è sostare in questa vostra chiesa che è stata anche la sua chiesa. Qui, il 30 settembre 1897, egli ricevette il Battesimo e chi sa quante volte vi è tornato a pregare; qui, probabilmente, ha meglio compreso la voce del divino Maestro che lo ha chiamato a seguirlo e lo ha condotto, attraverso varie tappe, sino ad essere suo Vicario in terra. Qui risuonano ancora le ispirate parole che, diventato Cardinale, Giovanni Battista Montini pronunciò cinquant'anni fa, il 16 agosto 1959, quando tornò a questo suo fonte battesimale. "Qui sono diventato cristiano - egli disse - ; sono diventato figlio di Dio, ho avuto il dono della fede" (G.B. Montini, Discorsi e Scritti Milanesi, II, p. 3010). Ricordandolo mi piace salutare con affetto tutti voi suoi compaesani, il vostro Parroco e il Sindaco insieme al Pastore della diocesi, Mons. Luciano Monari, e a quanti hanno voluto essere presenti a questo breve eppure intenso momento di intimità spirituale.

"Qui sono diventato cristiano... ho avuto il dono della fede". Cari amici, permettete che colga questa occasione per richiamare, partendo proprio dall'affermazione di Papa Montini e riferendomi ad altri suoi interventi, l'importanza del Battesimo nella vita di ogni cristiano. Il Battesimo - egli afferma - può dirsi "il primo e fondamentale rapporto vitale e soprannaturale fra la Pasqua del Signore e la Pasqua nostra" (Insegnamenti IV, [1966], 742), è il Sacramento mediante il quale avviene "la trasfusione del mistero della morte e risurrezione di Cristo nei suoi seguaci" (Insegnamenti XIV, [1976], 407), è il Sacramento che inizia al rapporto di comunione con Cristo. "Per mezzo del Battesimo - come dice San Paolo - siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti..., così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4). Paolo VI amava sottolineare la dimensione cristocentrica del Battesimo, con cui ci siamo rivestiti di Cristo, con cui entriamo in comunione vitale con Lui e a Lui apparteniamo.

In tempi di grandi mutamenti all'interno della Chiesa e nel mondo, quante volte Paolo VI ha insistito su questa necessità di restare saldi nella comunione vitale con Cristo! Solo così infatti si diventa membri della sua famiglia che è la Chiesa. Il Battesimo - egli annotava - è la "porta attraverso la quale gli uomini entrano nella Chiesa" (Insegnamenti XII, [1974], 422), è il Sacramento con cui si diventa "fratelli di Cristo e membra di quella umanità, destinata a far parte del suo Corpo mistico e universale, che si chiama la Chiesa" (Insegnamenti XIII, [1975], 308). L'uomo rigenerato dal Battesimo, Dio lo rende partecipe della sua stessa vita, e "il battezzato può efficacemente tendere a Dio-Trinità, suo fine ultimo, a cui è ordinato, allo scopo di avere parte alla sua vita e al suo amore infinito" (Insegnamenti XI, [1973], 850).

Cari fratelli e sorelle, vorrei tornare idealmente alla visita a questa vostra chiesa parrocchiale che l'allora Arcivescovo di Milano fece 50 anni or sono. Ricordando il suo Battesimo, si interrogava su come aveva custodito e vissuto questo grande dono del Signore, e, pur riconoscendo di non averlo né compreso abbastanza, né abbastanza assecondato, confessava: "Vi voglio dire che la fede che ho ricevuto in questa chiesa col sacramento del Santo Battesimo è stata per me la luce della vita... la lampada della mia vita" (Op. cit., pp. 3010.3011). Facendo eco alle sue parole, ci potremmo domandare: "Come vivo io il mio Battesimo? Come faccio esperienza del cammino di vita nuova di cui parla san Paolo?". Nel mondo in cui viviamo - per usare ancora un'espressione dell'Arcivescovo Montini - spesso c'è "una nube che ci toglie la contentezza di vedere con serenità il cielo divino... c'è la tentazione di credere che la fede sia un vincolo, una catena da cui bisogna sciogliersi, che sia una cosa antica se non sorpassata, che non serve" (ibid., p. 3012), per cui l'uomo pensa che basti "la vita economica e sociale per dare una risposta a tutte le aspirazioni del cuore umano" (ibid.). A questo riguardo, quanto mai eloquente è invece l'espressione di sant'Agostino, il quale scrive nelle Confessioni che il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Dio (cfr I,1). Solo se trova la luce che lo illumina e gli dà pienezza di significato l'essere umano è veramente felice. Questa luce è la fede in Cristo, dono che si riceve nel Battesimo, e che va riscoperta costantemente per essere trasmessa agli altri.

Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo il dono immenso ricevuto il giorno in cui siamo stati battezzati! In quel momento Cristo ci ha legati per sempre a sé, ma, da parte nostra, continuiamo a restare uniti a Lui attraverso scelte coerenti con il Vangelo? Non è facile essere cristiani! Ci vuole coraggio e tenacia per non conformarsi alla mentalità del mondo, per non lasciarsi sedurre dai richiami talvolta potenti dell'edonismo e del consumismo, per affrontare, se necessario, anche incomprensioni e talora persino vere persecuzioni. Vivere il Battesimo comporta restare saldamente uniti alla Chiesa, pure quando vediamo nel suo volto qualche ombra e qualche macchia. È lei che ci ha rigenerati alla vita divina e ci accompagna in tutto il nostro cammino: amiamola, amiamola come nostra vera madre! Amiamola e serviamola con un amore fedele, che si traduca in gesti concreti all'interno delle nostre comunità, non cedendo alla tentazione dell'individualismo e del pregiudizio, e superando ogni rivalità e divisione. Così saremo veri discepoli di Cristo! Ci aiuti dal Cielo Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, che il Servo di Dio Paolo VI ha amato e onorato con grande devozione. Vi sono ancora grato per la vostra accoglienza, cari fratelli e sorelle, e, mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, a tutti imparto di cuore una speciale benedizione.

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Benedetto XVI: la risposta di Paolo VI all'"emergenza educativa"
Inaugurazione della nuova sede dell'Istituto dedicato a quel Papa



BRESCIA, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato dal Papa questa domenica pomeriggio nell'Auditorium "Vittorio Montini" di Brescia per l'inaugurazione della nuova sede dell'Istituto Paolo VI e l'assegnazione del VI Premio Internazionale Paolo VI (Premio per l'Educazione).

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Signor Cardinale,

venerati Fratelli Vescovi e sacerdoti,

cari amici,

vi ringrazio cordialmente per avermi invitato a inaugurare la nuova sede dell'Istituto dedicato a Paolo VI, costruita accanto alla sua casa natale. Saluto ognuno di voi con affetto, ad iniziare dai Signori Cardinali, i Vescovi, le Autorità e le Personalità presenti. Un saluto particolare rivolgo al presidente Giuseppe Camadini, grato per le cortesi parole che mi ha indirizzato, illustrando le origini, lo scopo e le attività dell'Istituto. Prendo parte volentieri alla solenne cerimonia del "Premio internazionale Paolo VI", assegnato quest'anno alla collana francese "Sources Chrétiennes". Una scelta dedicata all'ambito educativo, che intende porre in rilievo - come è stato ben sottolineato - l'impegno profuso da questa storica collana, fondata nel 1942, tra gli altri, da Henri De Lubac e Jean Daniélou, per una rinnovata scoperta delle fonti cristiane antiche e medioevali. Ringrazio il Direttore Bernard Meunier per il saluto che mi ha rivolto. Colgo questa propizia occasione per incoraggiarvi, cari amici, a porre sempre più in luce la personalità e la dottrina di questo grande Pontefice, non tanto dal punto di vista agiografico e celebrativo, quanto piuttosto - e questo è stato giustamente rimarcato - nel segno della ricerca scientifica, per offrire un apporto alla conoscenza della verità e alla comprensione della storia della Chiesa e dei Pontefici del secolo XX. Nella misura in cui è meglio conosciuto, il Servo di Dio Paolo VI viene sempre più apprezzato e amato. Mi ha unito al grande Papa un legame di affetto e devozione sin dagli anni del Concilio Vaticano II. Come non ricordare che nel 1977 è stato proprio Paolo VI ad affidarmi la cura pastorale della diocesi di Monaco, creandomi anche Cardinale? Sento di dover a questo grande Pontefice tanta gratitudine per la stima che ha manifestato nei miei confronti in diverse occasioni.

Mi piacerebbe, in questa sede, approfondire i diversi aspetti della sua personalità; limiterò però le mie considerazioni a un solo tratto del suo insegnamento, che mi pare di grande attualità e in sintonia con la motivazione del Premio di quest'anno, e cioè la sua capacità educativa. Viviamo in tempi nei quali si avverte una vera "emergenza educativa". Formare le giovani generazioni, dalle quali dipende il futuro, non è mai stato facile, ma in questo nostro tempo sembra diventato ancor più complesso. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e coloro che rivestono dirette responsabilità educative. Si vanno diffondendo un'atmosfera, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona, del significato della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Eppure si avverte con forza una diffusa sete di certezze e di valori. Occorre allora trasmettere alle future generazioni qualcosa di valido, delle regole solide di comportamento, indicare alti obiettivi verso i quali orientare con decisione la propria esistenza. Aumenta la domanda di un'educazione capace di farsi carico delle attese della gioventù; un'educazione che sia innanzitutto testimonianza e, per l'educatore cristiano, testimonianza di fede.

Mi viene in mente, in proposito, questa incisiva frase programmatica di Giovanni Battista Montini scritta nel 1931: "Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla verità... Intendo per testimonianza la custodia, la ricerca, la professione della verità" (Spiritus veritatis, in Colloqui religiosi, Brescia 1981, p. 81). Tale testimonianza - annotava Montini nel 1933 - è resa impellente dalla costatazione che "nel campo profano, gli uomini di pensiero, anche e forse specialmente in Italia, non pensano nulla di Cristo. Egli è un ignoto, un dimenticato, un assente, in gran parte della cultura contemporanea" (Introduzione allo studio di Cristo, Roma 1933, p. 23). L'educatore Montini, studente e sacerdote, Vescovo e Papa, avvertì sempre la necessità di una presenza cristiana qualificata nel mondo della cultura, dell'arte e del sociale, una presenza radicata nella verità di Cristo, e, al tempo stesso, attenta all'uomo e alle sue esigenze vitali.

Ecco perché l'attenzione al problema educativo, la formazione dei giovani, costituisce una costante nel pensiero e nell'azione di Montini, attenzione che gli deriva anche dall'ambiente familiare. Egli è nato in una famiglia appartenente al cattolicesimo bresciano dell'epoca, impegnato e fervente in opere, ed è cresciuto alla scuola del padre Giorgio, protagonista di importanti battaglie per l'affermazione della libertà dei cattolici nell'educazione. In uno dei primi scritti dedicato alla scuola italiana, Giovanni Battista Montini osservava: "Non domandiamo altro che un po' di libertà per educare come vogliamo quella gioventù che viene al cristianesimo attratta dalla bellezza della sua fede e delle sue tradizioni" (Per la nostra scuola: un libro del prof. Gentile, in Scritti giovanili, Brescia 1979, p. 73). Montini è stato un sacerdote di grande fede e di ampia cultura, una guida di anime, un acuto indagatore del "dramma dell'esistenza umana". Generazioni di giovani universitari hanno trovato in lui, come Assistente della FUCI, un punto di riferimento, un formatore di coscienze, capace di entusiasmare, di richiamare al compito di essere testimoni in ogni momento della vita, facendo trasparire la bellezza dell'esperienza cristiana. Sentendolo parlare - attestano i suoi studenti di allora - si percepiva il fuoco interiore che dava anima alle sue parole, in contrasto con un fisico che appariva fragile.

Uno dei fondamenti della proposta formativa dei circoli universitari della FUCI da lui guidati consisteva nel tendere all'unità spirituale della personalità dei giovani: "non scompartimenti stagni separati nell'anima - egli diceva -, cultura da una parte, e fede dall'altra; scuola da un lato, Chiesa dall'altro. La dottrina, come la vita, è unica" (Idee=Forze, in Studium 24 [1928], p. 343). In altri termini, per Montini erano essenziali la piena armonia e l'integrazione tra la dimensione culturale e religiosa della formazione, con particolare accento sulla conoscenza della dottrina cristiana, e i risvolti pratici della vita. Proprio per questo, fin dal principio della sua attività, nel circolo romano della FUCI, unitamente ad un serio impegno spirituale e intellettuale, egli promosse per gli universitari iniziative caritative al servizio dei poveri, con la conferenza di San Vincenzo. Non separava mai quella che in seguito definirà "carità intellettuale" dalla presenza sociale, dal farsi carico del bisogno degli ultimi. In tal modo, gli studenti venivano educati a scoprire la continuità tra il rigoroso dovere dello studio e le missioni concrete tra i baraccati. "Crediamo - scriveva - che il cattolico non è il tormentato da centomila problemi sia pure d'ordine spirituale... No! Il cattolico è colui che ha la fecondità della sicurezza. Ed è così che, fedele alla sua fede, può guardare al mondo non come ad un abisso di perdizione, ma come a un campo di messe" (La distanza dal mondo, in Azione Fucina, 10 febbraio 1929, p. 1).

Giovanni Battista Montini insisteva sulla formazione dei giovani, per renderli capaci di entrare in rapporto con la modernità, un rapporto, questo, difficile e spesso critico, ma sempre costruttivo e dialogico. Della cultura moderna sottolineava alcune caratteristiche negative, sia nel campo della conoscenza che in quello dell'azione, come il soggettivismo, l'individualismo e l'affermazione illimitata del soggetto. Allo stesso tempo, però, riteneva necessario il dialogo a partire sempre da una solida formazione dottrinale, il cui principio unificante era la fede in Cristo; una "coscienza" cristiana matura, dunque, capace di confronto con tutti, senza però cedere alle mode del tempo. Da Pontefice, ai Rettori e Presidi delle Università della Compagnia di Gesù ebbe a dire che "il mimetismo dottrinale e morale non è certo conforme allo spirito del Vangelo". "Del resto coloro che non condividono le posizioni della Chiesa - aggiunse - chiedono a noi estrema chiarezza di posizioni, per poter stabilire un dialogo costruttivo e leale". E pertanto il pluralismo culturale e il rispetto non debbono far "mai perdere di vista al cristiano il suo dovere di servire la verità nella carità, di seguire quella verità di Cristo che, sola, dà la vera libertà" (cfr Insegnamenti XIII, [1975], 817).

Per Papa Montini il giovane va educato a giudicare l'ambiente in cui vive e opera, a considerarsi come persona e non numero nella massa: in una parola, va aiutato ad avere un "pensiero forte" capace di un "agire forte", evitando il pericolo, che talora si corre, di anteporre l'azione al pensiero e di fare dell'esperienza la sorgente della verità. Ebbe ad affermare in proposito: "L'azione non può essere luce a se stessa. Se non si vuole curvare l'uomo a pensare come egli agisce, bisogna educarlo ad agire com'egli pensa. Anche nel mondo cristiano, dove l'amore, la carità hanno importanza suprema, decisiva, non si può prescindere dal lume della verità, che all'amore presenta i suoi fini e i suoi motivi" (Insegnamenti II, [1964], 194).

Cari amici, gli anni della FUCI, difficili per il contesto politico dell'Italia, ma entusiasmanti per quei giovani che riconobbero nel Servo di Dio una guida e un educatore, rimasero impressi nella personalità di Paolo VI. In lui, Arcivescovo di Milano e poi Successore dell'apostolo Pietro, mai vennero meno l'anelito e la preoccupazione per il tema dell'educazione. Lo attestano i numerosi suoi interventi dedicati alle nuove generazioni, in momenti burrascosi e travagliati, come il Sessantotto. Con coraggio, indicò la strada dell'incontro con Cristo come esperienza educativa liberante e unica vera risposta ai desideri e alle aspirazioni dei giovani, divenuti vittime dell'ideologia. "Voi, giovani d'oggi - egli ripeteva -, siete talora ammaliati da un conformismo, che può diventare abituale, un conformismo che piega inconsciamente la vostra libertà al dominio automatico di correnti esterne di pensiero, di opinione, di sentimento, di azione, di moda: e poi, così presi da un gregarismo che vi dà l'impressione d'essere forti, diventate qualche volta ribelli in gruppo, in massa, senza spesso sapere perché". "Ma poi - notava ancora - se voi acquistate coscienza di Cristo, e a Lui aderite... avviene che diventate interiormente liberi... saprete perché e per chi vivere... E nello stesso tempo, cosa meravigliosa, sentirete nascere in voi la scienza dell'amicizia, della socialità, dell'amore. Non sarete degli isolati" (Insegnamenti VI, [1968], 117-118).

Paolo VI definì se stesso "vecchio amico dei giovani": sapeva riconoscere e condividere il loro tormento quando si dibattono tra la voglia di vivere, il bisogno di certezza, l'anelito all'amore, e il senso di smarrimento, la tentazione dello scetticismo, l'esperienza della delusione. Aveva imparato a comprenderne l'animo e ricordava che l'indifferenza agnostica del pensiero attuale, il pessimismo critico, l'ideologia materialista del progresso sociale non bastano allo spirito, aperto a ben altri orizzonti di verità e di vita (cfr Insegnamenti XII, [1974], 642). Oggi, come allora, emerge nelle nuove generazioni una ineludibile domanda di significato, una ricerca di rapporti umani autentici. Diceva: "l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni" (Insegnamenti XIII, [1975], 1458-1459). Maestro di vita e coraggioso testimone di speranza è stato questo mio venerato Predecessore, non sempre capito, anzi più di qualche volta avversato e isolato da movimenti culturali allora dominanti. Ma, solido anche se fragile fisicamente, ha condotto senza tentennamenti la Chiesa; non ha perso mai la fiducia nei giovani, rinnovando loro, e non solo a loro, l'invito a fidarsi di Cristo e a seguirlo sulla strada del Vangelo.

Cari amici, ancora una volta grazie per avermi dato l'opportunità di respirare, qui, nel suo paese natale e in questi luoghi pieni di ricordi della sua famiglia e della sua infanzia, il clima nel quale ebbe a formarsi il Servo di Dio Paolo VI, il Papa del Concilio Vaticano II e del dopo Concilio. Qui tutto parla della ricchezza della sua personalità e della sua vasta dottrina. Qui ci sono significative memorie anche di altri Pastori e protagonisti della storia della Chiesa del secolo passato, come ad esempio il Cardinale Bevilacqua, il Vescovo Carlo Manziana, Mons. Pasquale Macchi, suo fidato segretario particolare, Padre Paolo Caresana. Auspico di cuore che l'amore di questo Papa per i giovani, l'incoraggiamento costante ad affidarsi a Gesù Cristo - invito ripreso da Giovanni Paolo II e che anch'io ho voluto rinnovare proprio all'inizio del mio Pontificato - venga percepito dalle nuove generazioni. Per questo assicuro la mia preghiera, mentre benedico voi tutti qui presenti, le vostre famiglie, il vostro lavoro e le iniziative dell'Istituto Paolo VI.


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Omelia del Papa nella concelebrazione eucaristica a Brescia
17ma visita apostolica di Benedetto XVI in Italia



BRESCIA, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI presiedendo questa domenica mattina in Piazza Paolo VI a Brescia la concelebrazione eucaristica in occasione della sua visita alla città e a Concesio, luogo natale di Papa Montini.

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Cari fratelli e sorelle!

È grande la mia gioia nel poter spezzare con voi il pane della Parola di Dio e dell'Eucaristia, qui, nel cuore della Diocesi di Brescia, dove nacque ed ebbe la formazione giovanile il servo di Dio Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI. Vi saluto tutti con affetto e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza! Ringrazio in particolare il Vescovo, Mons. Luciano Monari, per le espressioni che mi ha rivolto all'inizio della celebrazione, e con lui saluto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, e tutti gli operatori pastorali. Ringrazio il Sindaco per le sue parole e per il suo dono, e le altre Autorità civili e militari. Un pensiero speciale rivolgo agli ammalati che si trovano all'interno del Duomo.

Al centro della Liturgia della Parola di questa domenica - la 32.ma del Tempo Ordinario - troviamo il personaggio della vedova povera, o, più precisamente, troviamo il gesto che ella compie gettando nel tesoro del Tempio gli ultimi spiccioli che le rimangono. Un gesto che, grazie allo sguardo attento di Gesù, è diventato proverbiale: "l'obolo della vedova", infatti, è sinonimo della generosità di chi dà senza riserve il poco che possiede. Prima ancora, però, vorrei sottolineare l'importanza dell'ambiente in cui si svolge tale episodio evangelico, cioè il Tempio di Gerusalemme, centro religioso del popolo d'Israele e il cuore di tutta la sua vita. Il Tempio è il luogo del culto pubblico e solenne, ma anche del pellegrinaggio, dei riti tradizionali, e delle dispute rabbiniche, come quelle riportate nel Vangelo tra Gesù e i rabbini di quel tempo, nelle quali, però, Gesù insegna con una singolare autorevolezza, quella del Figlio di Dio. Egli pronuncia giudizi severi - come abbiamo sentito - nei confronti degli scribi, a motivo della loro ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano. Gesù, insomma, si dimostra affezionato al Tempio come casa di preghiera, ma proprio per questo lo vuole purificare da usanze improprie, anzi, vuole rivelarne il significato più profondo, legato al compimento del suo stesso Mistero, il Mistero della Sua morte e risurrezione, nella quale Egli stesso diventa il nuovo e definitivo Tempio, il luogo dove si incontrano Dio e l'uomo, il Creatore e la Sua creatura.

L'episodio dell'obolo della vedova si inscrive in tale contesto e ci conduce, attraverso lo sguardo stesso di Gesù, a fissare l'attenzione su un particolare fuggevole ma decisivo: il gesto di una vedova, molto povera, che getta nel tesoro del Tempio due monetine. Anche a noi, come quel giorno ai discepoli, Gesù dice: Fate attenzione! Guardate bene che cosa fa quella vedova, perché il suo atto contiene un grande insegnamento; esso, infatti, esprime la caratteristica fondamentale di coloro che sono le "pietre vive" di questo nuovo Tempio, cioè il dono completo di sé al Signore e al prossimo; la vedova del Vangelo, come anche quella dell'Antico Testamento, dà tutto, dà se stessa, e si mette nelle mani di Dio, per gli altri. È questo il significato perenne dell'offerta della vedova povera, che Gesù esalta perché ha dato più dei ricchi, i quali offrono parte del loro superfluo, mentre lei ha dato tutto ciò che aveva per vivere (cfr Mc 12,44), e così ha dato se stessa.

Cari amici! A partire da questa icona evangelica, desidero meditare brevemente sul mistero della Chiesa, del Tempio vivo di Dio, e così rendere omaggio alla memoria del grande Papa Paolo VI, che alla Chiesa ha consacrato tutta la sua vita. La Chiesa è un organismo spirituale concreto che prolunga nello spazio e nel tempo l'oblazione del Figlio di Dio, un sacrificio apparentemente insignificante rispetto alle dimensioni del mondo e della storia, ma decisivo agli occhi di Dio. Come dice la Lettera agli Ebrei - anche nel testo che abbiamo ascoltato - a Dio è bastato il sacrificio di Gesù, offerto "una volta sola", per salvare il mondo intero (cfr Eb 9,26.28), perché in quell'unica oblazione è condensato tutto l'Amore del Figlio di Dio fattosi uomo, come nel gesto della vedova è concentrato tutto l'amore di quella donna per Dio e per i fratelli: non manca niente e niente vi si potrebbe aggiungere. La Chiesa, che incessantemente nasce dall'Eucaristia, dall'autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento. È il Corpo di Cristo che si dona interamente, Corpo spezzato e condiviso, in costante adesione alla volontà del suo Capo. Sono lieto che stiate approfondendo la natura eucaristica della Chiesa, guidati dalla Lettera pastorale del vostro Vescovo.

È questa la Chiesa che il servo di Dio Paolo VI ha amato di amore appassionato e ha cercato con tutte le sue forze di far comprendere e amare. Rileggiamo il suo Pensiero alla morte, là dove, nella parte conclusiva, parla della Chiesa. "Potrei dire - scrive - che sempre l'ho amata ... e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse". Sono gli accenti di un cuore palpitante, che così prosegue: "Vorrei finalmente comprenderla tutta, nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei - continua il Papa - abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla". E le ultime parole sono per lei, come alla sposa di tutta la vita: "E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell'umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo".

Che cosa si può aggiungere a parole così alte ed intense? Soltanto vorrei sottolineare quest'ultima visione della Chiesa "povera e libera", che richiama la figura evangelica della vedova. Così dev'essere la Comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all'umanità contemporanea. L'incontro e il dialogo della Chiesa con l'umanità di questo nostro tempo stavano particolarmente a cuore a Giovanni Battista Montini in tutte le stagioni della sua vita, dai primi anni di sacerdozio fino al Pontificato. Egli ha dedicato tutte le sue energie al servizio di una Chiesa il più possibile conforme al suo Signore Gesù Cristo, così che, incontrando lei, l'uomo contemporaneo possa incontrare Lui, Cristo, perché di Lui ha assoluto bisogno. Questo è l'anelito di fondo del Concilio Vaticano II, a cui corrisponde la riflessione del Papa Paolo VI sulla Chiesa. Egli volle esporne programmaticamente alcuni punti salienti nella sua prima Enciclica, Ecclesiam suam, del 6 agosto 1964, quando ancora non avevano visto la luce le Costituzioni conciliari Lumen gentium e Gaudium et spes.

Con quella prima Enciclica il Pontefice si proponeva di spiegare a tutti l'importanza della Chiesa per la salvezza dell'umanità e, al tempo stesso, l'esigenza che tra la Comunità ecclesiale e la società si stabilisca un rapporto di mutua conoscenza e di amore (cfr Enchiridion Vaticanum, 2, p. 199, n. 164). "Coscienza", "rinnovamento", "dialogo": queste le tre parole scelte da Paolo VI per esprimere i suoi "pensieri" dominanti - come lui li definisce - all'inizio del ministero petrino, e tutt'e tre riguardano la Chiesa. Anzitutto, l'esigenza che essa approfondisca la coscienza di se stessa: origine, natura, missione, destino finale; in secondo luogo, il suo bisogno di rinnovarsi e purificarsi guardando al modello che è Cristo; infine, il problema delle sue relazioni con il mondo moderno (cfr ibid., pp. 203-205, nn. 166-168). Cari amici - e mi rivolgo in modo speciale ai Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio -, come non vedere che la questione della Chiesa, della sua necessità nel disegno di salvezza e del suo rapporto con il mondo, rimane anche oggi assolutamente centrale? Che, anzi, gli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione l'hanno resa ancora più radicale, nel confronto con l'oblio di Dio, da una parte, e con le religioni non cristiane, dall'altra? La riflessione di Papa Montini sulla Chiesa è più che mai attuale; e più ancora è prezioso l'esempio del suo amore per lei, inscindibile da quello per Cristo. "Il mistero della Chiesa - leggiamo sempre nell'Enciclica Ecclesiam suam - non è semplice oggetto di conoscenza teologica, dev'essere un fatto vissuto, in cui ancora prima di una sua chiara nozione l'anima fedele può avere quasi connaturata esperienza" (ibid., p 229, n. 178). Questo presuppone una robusta vita interiore, che è - così continua il Papa - "la grande sorgente della spiritualità della Chiesa, modo suo proprio di ricevere le irradiazioni dello Spirito di Cristo, espressione radicale e insostituibile della sua attività religiosa e sociale, inviolabile difesa e risorgente energia nel suo difficile contatto col mondo profano" (ibid., p. 231, n. 179). Proprio il cristiano aperto, la Chiesa aperta al mondo hanno bisogno di una robusta vita interiore.

Carissimi, che dono inestimabile per la Chiesa la lezione del Servo di Dio Paolo VI! E com'è entusiasmante ogni volta rimettersi alla sua scuola! È una lezione che riguarda tutti e impegna tutti, secondo i diversi doni e ministeri di cui è ricco il Popolo di Dio, per l'azione dello Spirito Santo. In questo Anno Sacerdotale mi piace sottolineare come essa interessi e coinvolga in modo particolare i sacerdoti, ai quali Papa Montini riservò sempre un affetto e una sollecitudine speciali. Nell'Enciclica sul celibato sacerdotale egli scrisse: "«Preso da Cristo Gesù» (Fil 3,12) fino all'abbandono di tutto se stesso a lui, il sacerdote si configura più perfettamente a Cristo anche nell'amore col quale l'eterno Sacerdote ha amato la Chiesa suo corpo, offrendo tutto se stesso per lei... La verginità consacrata dei sacri ministri manifesta infatti l'amore verginale di Cristo per la Chiesa e la verginale e soprannaturale fecondità di questo connubio" (Sacerdotalis caelibatus, 26). Dedico queste parole del grande Papa ai numerosi sacerdoti della Diocesi di Brescia, qui ben rappresentati, come pure ai giovani che si stanno formando nel Seminario. E vorrei ricordare anche quelle che Paolo VI rivolse agli alunni del Seminario Lombardo il 7 dicembre 1968, mentre le difficoltà del post-Concilio si sommavano con i fermenti del mondo giovanile: "Tanti - disse - si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta... Non si tratta di un'attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione che Gesù ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza. Anche il Papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera" (Insegnamenti VI, [1968], 1189). Cari fratelli, gli esempi sacerdotali del Servo di Dio Giovanni Battista Montini vi guidino sempre, e interceda per voi sant'Arcangelo Tadini, che ho poc'anzi venerato nella breve sosta a Botticino.

Mentre saluto ed incoraggio i sacerdoti, non posso dimenticare, specialmente qui a Brescia, i fedeli laici, che in questa terra hanno dimostrato straordinaria vitalità di fede e di opere, nei vari campi dell'apostolato associato e dell'impegno sociale. Negli Insegnamenti di Paolo VI, cari amici bresciani, voi potete trovare indicazioni sempre preziose per affrontare le sfide del presente, quali, soprattutto, la crisi economica, l'immigrazione, l'educazione dei giovani. Al tempo stesso, Papa Montini non perdeva occasione per sottolineare il primato della dimensione contemplativa, cioè il primato di Dio nell'esperienza umana. E perciò non si stancava mai di promuovere la vita consacrata, nella varietà dei suoi aspetti. Egli amò intensamente la multiforme bellezza della Chiesa, riconoscendovi il riflesso dell'infinita bellezza di Dio, che traspare sul volto di Cristo.

Preghiamo perché il fulgore della bellezza divina risplenda in ogni nostra comunità e la Chiesa sia segno luminoso di speranza per l'umanità del terzo millennio. Ci ottenga questa grazia Maria, che Paolo VI volle proclamare, alla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, Madre della Chiesa. Amen!

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Il Papa ricorda la grande devozione mariana di Paolo VI
Intervento in occasione dell'Angelus domenicale



BRESCIA, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI introducendo la preghiera mariana dell'Angelus al termine dell'Eucaristia celebrata in Piazza Paolo VI a Brescia.

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Al termine di questa solenne celebrazione, ringrazio cordialmente quanti ne hanno curato l'animazione liturgica e coloro che in diversi modi hanno collaborato alla preparazione e alla realizzazione della mia visita pastorale qui a Brescia. Grazie a tutti! Saluto anche quanti ci seguono mediante la radio e la televisione, come pure da Piazza San Pietro, in modo speciale i numerosi volontari dell'Unione Nazionale Pro Loco d'Italia. In quest'ora dell'Angelus desidero ricordare la profonda devozione che il Servo di Dio Giovanni Battista Montini nutriva per la Vergine Maria. Egli celebrò la sua Prima Messa nel Santuario di Santa Maria delle Grazie, cuore mariano della vostra città, non molto lontano da questa Piazza. In tal modo, pose il suo sacerdozio sotto la materna protezione della Madre di Gesù, e questo legame lo ha accompagnato per tutta la vita.

Via via che le sue responsabilità ecclesiali aumentavano, egli andava infatti maturando una visione sempre più ampia ed organica del rapporto tra la Beata Vergine Maria e il mistero della Chiesa. In tale prospettiva, rimane memorabile il Discorso di chiusura del 3° Periodo del Concilio Vaticano II, il 21 novembre 1964. In quella sessione venne promulgata la Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, che - sono parole di Paolo VI - "ha come vertice e coronamento un intero capitolo dedicato alla Madonna". Il Papa fece notare che si trattava della più ampia sintesi di dottrina mariana, mai elaborata da un Concilio Ecumenico, finalizzata a "manifestare il volto della santa Chiesa, alla quale Maria è intimamente congiunta" (Enchiridion Vaticanum, Bologna 1979, p. [185], nn. 300-302). In quel contesto proclamò Maria Santissima "Madre della Chiesa" (cfr ibid., n. 306), sottolineando, con viva sensibilità ecumenica, che "la devozione a Maria... è mezzo essenzialmente ordinato ad orientare le anime a Cristo e così congiungerle al Padre, nell'amore dello Spirito Santo" (ibid., n. 315).

Facendo eco alle parole di Paolo VI, anche noi oggi preghiamo: O Vergine Maria, Madre della Chiesa, a Te raccomandiamo questa Chiesa bresciana e l'intera popolazione di questa regione. Ricordati di tutti i tuoi figli; avvalora presso Dio le loro preghiere; conserva salda la loro fede; fortifica la loro speranza; aumenta la carità. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (cfr ibid., nn. 317.320.325).

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