00 29/04/2009 19:26
Dal blog di Lella...

Pastore lontano dal fasto

La veste bianca tra le macerie

Giovanni D'Alessandro

Il bianco era il colore più atteso, all’Aqui la, nel grigio di una piovosa mattina di a prile, che stenta ad aprirsi alla primavera. La veste del Santo Padre, recatosi ieri in visita a Onna e all’Aquila, è stata sommersa da al tri colori.
Erano quelli dei k-way e della ma glieria ancora invernale, altrui o recupera ta a casa, della gente che lo attorniava, nel bagno di folla più anarchico di tutto il suo pontificato.
Le stecche degli ombrelli si so no avvicinate pericolosamente allo zuc chetto bianco; sotto ad essi, mamme con figli piccolissimi in braccio non rinuncia vano alla carezza del Papa fatta sulla testi na dei piccoli.
Non era la carezza notturna del discorso alla luna di Giovanni XXIII, qua si mezzo secolo fa, su una piazza san Pietro e su una via della conciliazione immortala te gremite.
Era la carezza del sole velato, del l’alone cinereo che ha riconsegnato l’Aqui la, nel periodo successivo alla Pasqua, a un’atmosfera quaresimale.
«Sono finalmente con voi, in questa terra splendida e ferita», ha detto il Papa e que sto ha fatto sobbalzare due volte il cuore a gli abruzzesi, nella seconda e nell’ultima pa rola. Perché il 'finalmente' esprimeva la fi ne di un’attesa, così vibrata umile incon sueta per un capo di Stato, per un capo del la cristianità messosi quasi in coda a politi ci, giornalisti, scrittori, cantanti e passerel listi.
E nell’ultimo aggettivo, 'ferita' perché che la loro terra – chiamata cuore verde d’Europa – sia bellissima gli abruzzesi lo sanno bene, ma 'ferita' non lo era fino al 6 aprile. Non nuovamente ferita, almeno, dal nemico di sempre, generato dalla stessa ter ra, che le ha inflitto ferite mortali nel 1703 coi tremila morti dell’Aquila, nel 1706 coi mille di Sulmona e nel 1915 coi trentamila di Avezzano. Tutta la storia d’Abruzzo è scan dita dai terremoti.
Questo bianco nell’anarchia della folla, che l’apprensione della security non riusciva a tenere lontano dalle mani della gente, ha ri chiamato un’altra immagine, quella di un predecessore sia di Benedetto XVI, sia di Giovanni XXIII: l’immagine di Pio XII reca tosi tra le macerie di San Lorenzo a Roma, dopo il bombardamento alleato durante la seconda guerra mondiale, quando il fondo della veste tinse il bianco di altri indicibili colori, e fece come oggi il giro del mondo.
«Vi sono stato accanto fin dal primo mo mento – ha detto Benedetto XVI – la mia presenza qui vuol significare che il Signo re crocifisso vive, è con noi e non ci ab bandona ». Ogni parola che non portasse i segni della passione a questa terra ferita sa rebbe stata impropria, ma il Papa non è ve nuto solo nel segno della croce, è venuto anche nel segno della Pasqua, della resur rezione, e ha detto le parole che solo lui è autorizzato a dire: «I vostri morti sono vivi in Dio e attendono da voi un segnale di co raggio ». Era l’annuncio atteso, per ogni cuo re che non si rassegna alla perdita.
Mentre quelle parole di vita eterna venivano pro nunciate, forse un cameraman si è distrat to e ha zoomato su cento metri di macerie, di tetti collassati, di muri sventrati e que sto parlare di resurrezione in uno scenario di morte è stato il più grande e involonta rio regista del mondo.
Poi il Papa ha lasciato Onna, paese-simbo lo del dolore ed è andato all’Aquila. Si è re cato alla casa dello studente prima che alla basilica di Collemaggio e alla Scuola della Guardia di Finanza, perché questo è stato il terremoto degli studenti, dei morti giovani, dei sommersi e dei salvati che fino a un me se fa avevano, tutti, davanti una vita che sembrava – coi suoi problemi, con le sue speranze – lunga.
Il Papa si è avvicinato a de gli studenti. A uno d’ingegneria, che non rientrerà nell’accartocciata facoltà di Roio, costruita con la plastica al posto del ce mento, ha detto: ci vogliono ingegneri e tec nici più bravi di quelli che hanno costruito qui; bisogna ricostruire.
L’immagine che resta nel cuore di tutti è quella, finale, del Papa nella spianata che fu occupata dai prati di fiori sulle bare. Accanto a quella del pastore entrato a Collemaggio a guardare il suo predecessore Celestino V, incoronato qui nel 1294, coi mattoni spar si in terra a due passi da lui, nella grande basilica distrutta.
È stato un pastore lonta no dal fasto. È stato un pastore tra le mace rie. È stato un pastore del suo gregge.

© Copyright Avvenire, 29 aprile 2009


Papa Ratzi Superstar









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