00 05/05/2009 21:22
Dal blog di Lella...

Abdallah di Giordania: «Se nulla accadrà, il rischio di nuove tragedie è altissimo»

Il re e la pace in Medio Oriente
«Stato palestinese entro il 2009»

Venerdì il Papa sarà ad Amman. Il sovrano: «Ci darà speranza»

Antonio Ferrari

AMMAN

«Sarò pellegrino di pace».
Il messaggio del Papa ai popoli della Ter rasanta è stato accolto con trepidazione nell'ospitale Giordania, dove venerdì Be nedetto XVI comincerà il viaggio più deli cato e difficile del suo pontificato.
Lo co mincerà in un clima di buona volontà e di concordia, quindi in discesa.
I quattro giorni (esattamente quanti ne riserverà, assieme, a Israele e Palestina) che il capo della Chiesa cattolica trascorrerà nel pri mo Paese arabo che lo accoglie, sono ov viamente carichi di aspettative, che fanno eco alle parole del Pontefice: «Riconcilia zione, speranza, pace».
Ma il re Abdallah, con regale discrezione, non parla di aspet tative.

Nell'intervista al Corriere della Se ra, prima della partenza per l'Egitto e la Germania, dice: «Sua Santità è nostro ospite, ed essendo la Giordania ad ospitar lo non formuliamo aspettative, se non l'auspicio che il viaggio spirituale abbia pieno successo».

Maestà, lei ha sempre detto che il suo regno è terra di convivenza e di tolleran za. È il simbolo stesso della fratellanza tra musulmani e cristiani.

«È da sempre il nostro obiettivo, ed è il nostro costante impegno. Accogliere il Pontefice, come facemmo nel 2000 con il suo predecessore Giovanni Paolo II, è per noi un grande onore e motivo di orgo glio. Domenica, per la messa del Papa, vi saranno non soltanto i cristiani giordani, ma di tutta la regione. Verranno, ci augu riamo, dal Libano, dalla Siria, dall'Iraq, dall'Egitto e, speriamo, dalla Cisgiorda nia. Sarà un momento di grande intensità spirituale. E sarà un segno dell'impegno comune di avvicinare sempre più le tre grandi religioni monoteiste, che hanno le loro radici in questa terra. Come le ho det to, il Papa è nostro ospite, e non coltivia mo aspettative. Però le parole che dirà sa ranno uno stimolo, rivolto a tutti noi, per spronarci a camminare in fretta verso la pace».

La pace tra i popoli o la pace dei lea der?

«Negli Stati Uniti e in Europa si avverte quanto sentiamo anche noi. Evitare con flitti religiosi è fondamentale. La Giorda nia ha sempre sostenuto che chiese, mo schee e sinagoghe devono creare un 'mondo comune', hanno insomma la grande responsabilità di evitare conflitti tra le religioni e i popoli. Vede, in Israele la gente non crede alla soluzione dei due Stati perché pensa che i vertici politici non ci credano. In Palestina si diffonde la convinzione che tanto quella soluzione non vedrà mai la luce. Eppure, l'85 per cento degli israeliani e dei palestinesi so stengono la necessità del negoziato. Sap piamo tutti che soltanto la soluzione dei due Stati, Israele e Palestina che vivano l'uno accanto all'altro, può portare alla pa ce. Noi abbiamo molti e seri motivi di pre occupazione. Quanto sta facendo Israele con gli insediamenti e con le proprietà musulmane e cristiane di Gerusalemme non è per nulla confortante. È grave e pe ricoloso ». E allora che cosa bisogna fare? «Ci vogliono coraggio, determinazione e lungimiranza. È il momento che i leader diano davvero un'opportunità alla pace».

Benedetto XVI arriva, quindi, in un momento particolare. C'è una nuova amministrazione americana e nell'inte ra regione si colgono aliti di speranza perché si possa giungere alla ripresa dei negoziati.

«Ho incontrato il presidente Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton. Gli Stati Uniti hanno ben chiare due cose: che è negli interessi nazionali americani giun gere con urgenza alla soluzione dei due Stati; e che i passi si compiano in un qua dro complessivo, quindi con il dialogo tra Israele e Libano, Israele e Siria, Israele e gli altri Paesi musulmani. Il presidente Obama comprende benissimo il contesto regionale. Se non capitalizziamo questi elementi, i rischi si moltiplicheranno. È impossibile cominciare a negoziare nel vuoto».

Maestà, abbiamo notato che Barack Obama ha fatto tesoro del vostro incon tro. È come se avesse attinto alla sua esperienza e saggezza. Infatti, le dichia razioni più importanti sul Medio Orien te le ha fatte dopo averla ricevuta alla Casa Bianca.

«Abbiamo avuto una calorosa acco glienza, e con il presidente Obama è subi to cominciato un faccia a faccia senza li miti di tempo. Lo avevo già incontrato e ogni volta colgo le coordinate dal suo con vinto impegno ad arrivare in fretta ad una soluzione. È un leader che emana spe ranza. Adesso incontrerà il presidente pa lestinese, il presidente egiziano e il primo ministro israeliano. Sono chiari sia la deli­catezza del momento, sia la necessità di non perdere tempo. Alla fine, e soprattut to dopo l'incontro con Netaniahu, gli Sta ti Uniti spiegheranno la loro strategia».

Che cosa si aspetta? La soluzione dei due Stati e l'accettazione del piano sau dita del 2002, che prevede la normalizza zione dei rapporti con Israele di 57 Pae si musulmani in cambio del ritiro da tut ti i territori occupati nel 1967?

«Non intendo suggerire al presidente Obama cosa dovrebbe dire. Certo, la pos sibilità di trovare una soluzione comples siva è ben visibile. Ma entro il 2009 do vrebbe essere fissato l'obiettivo dei due Stati. Ne abbiamo discusso con gli Usa, ne continuiamo a discutere con i partner eu ropei, che condividono le nostre speran ze e i nostri timori. Se nel biennio 2009-2010 nulla accadrà, allora il rischio che i nemici della pace, in questa regione, provochino altre tragedie diventerà altis simo».

Se tutto andasse bene, vede una data per realizzare compiutamente la pace?

«Sappiamo bene che indicare date può essere pericoloso. Ma la volontà di rag giungere l'obiettivo deve essere chiara da subito. Senza malintesi».

© Copyright Corriere della sera, 5 maggio 2009


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