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    00 04/03/2009 20:53
    Dal blog di Lella...

    Un influente rabbino difende i lefebvriani e il Papa. E consiglia di sceglier meglio i vescovi.

    In un’intervista rilasciata alcune settimane fa a LifeSiteNews.com, il rabbino Yehuda Levin, influente presidente di un gruppo di 800 rabbini negli Stati Uniti e Canada, ha commentato la revoca delle scomuniche ai lefebvriani in modi che contraddicono radicalmente certe interessate proteste di alcuni suoi colleghi e, soprattutto, dei professionisti del dissenso e del progressismo.

    Secondo il rabbino, il movimento "di sinistra" nella Chiesa cattolica ha seriamente minato negli ultimi 40 anni l’insegnamento ecclesiale sulla vita e la famiglia.

    "Io sono d’accordo con questa mossa" di riconciliare la fazione tradizionalista della Chiesa, dice il rabbino, "perché comprendo il quadro più ampio, che è quello che la Chiesa cattolica ha un problema. C’è una forte ala sinistra nella Chiesa che sta causando un danno incommensurabile alla fede". Rabbi Levin ha detto che comprende "perfettamente" perché la riconciliazione è vitale alla battaglia contro l’aborto e il movimento omosessuale.

    "Comprendo che è molto importante riempire i banchi della Chiesa cattolica non con cattolici 'per cultura' e con progressisti, che stanno aiutando a distruggere la Chiesa e a corrompere i valori della Chiesa cattolica". Questa corruzione, ha detto, "ha un effetto a catena su ogni singola comunità religiosa nel mondo".

    "Che cosa sta facendo il Papa? Sta cercando di recuperare i tradizionalisti perché hanno molte cose importantissime per contribuire al bene comune del cattolicesimo".

    "Ora, se nel processo ha inavvertitamente incluso qualcuno che è importante nel movimento tradizionalista e che è avvenuto abbia detto cose molto strane circa l’Olocausto, è questa una ragione per gettare il bambino con l’acqua sporca e iniziare a condannare Papa Benedetto? Assolutamente no".

    Durante una visita a Roma alla fine di gennaio, Rabbi Levin ha detto a LifeSiteNews.com di credere che il furore dei media sulla revoca delle scomuniche dei quattro vescovi della FSSSPX è un pretesto.

    Ha definito "risibili" le accuse di antisemitismo a Papa Benedetto XVI o alla Chiesa cattolica e ha descritto come "molto forti" le affermazioni con cui la Santa Sede e il Papa hanno preso le distanze dai commenti di Williamson.

    Rabbi Levin era a Roma per tenere incontri ad alto livello in Vaticano e proporre quel che ha chiamato "un nuovo corso di pensiero" per il dialogo interreligioso della Chiesa, una basato su insegnamenti morali comuni, specie sul diritto alla vita e la santità del matrimonio naturale.

    "Il punto più importante", ha detto, è il lavoro che la Chiesa sta compiendo "per salvare bambini dall’aborto, e salvare le menti dei bambini e dei giovani, aiutandoli a riconoscere il bene e il male sui temi della vita e della famiglia".

    "Qui è dove deve indirizzarsi l’ecumenismo e il dialogo interreligioso".

    Sebbene i numeri siano difficili da determinare, si stima che la Frat. S. Pio X abbia oltre un milione di fedeli nel mondo. Il movimento tradizionalista nella Chiesa cattolica è notato per l’ortodossia dottrinale e l’entusiasmo non solo per pratiche devozionali fuori moda, ma per l’insegnamento morale della Chiesa e l’opposizione ai costumi sessuali postmoderni. I liberali nella Chiesa, e specie in Europa, si sono acidamente opposti ad ogni apertura alla FSSPX e agli altri tradizionalisti, in particolare al recente permesso del Papa di ripristinare la Messa in latino tradizionale.
    [..]

    Rabbi Levin ha difeso in particolare Papa Benedetto, dicendo che è lui il genio dietro i passi di Papa Giovanni Paolo II per riconciliare la Chiesa con la comunità ebraica.

    "Chiunque capisce e segue la storia vaticana sa che nelle ultime tre decadi, uno dei sostegni morali e intellettuali del papato di Giovanni Paolo II, era il card. Ratzinger". "E perciò, molte cose che ha fatto Papa Giovanni Paolo II circa l’Olocausto, egli [Benedetto] potrebbe averle fatte lui, sia visitare Auschwitz o visitare e parlare nelle sinagoghe o chiedere perdono. Molto di tutto questo aveva la diretta ispirazione del card. Ratzinger.

    Chiunque non capisce questo non comprende che quest’uomo, Papa Benedetto XVI, ha una storia di decenni di antinazismo e di simpatia per gli Ebrei"

    In un altro intervento, sempre su LifeSiteNews.com, il rabbino Levin aggiunge che "a questo punto c’è stata una sconfessione magnificamente forte del Vaticano rispetto al vescovo Williamson e perciò la comunità ebraica, a giudicare dalle dichiarazioni, sembra essere soddisfatta che le cose stiano andando nel senso giusto".

    "Questo andrà ad aumentare l’agitazione dei Cattolici progressisti, sia dentro la Chiesa che fuori, perché adesso devono portare la palla da soli, nel senso di continuare l’attacco al Papa".
    [..]

    Rabbi Levin suggesisce che vi sia un aspetto positivo nella crisi. "E’ diventato ora per tutti molto chiaro da vedere, l’estremo pericolo di avere alcuni che tengono alte posizioni nella Chiesa e tentano di distruggere la loro stessa chiesa e attaccare il loro stesso papa".

    Ha aggiunto: "l’aspetto positivo è che ora le linee di battaglia sono chiare".

    "Il rimedio, io credo", dice il rabbino "è che la gerarchia ecclesiastica intraprenda una forte azione nel trattare con questo tipo di insurrezione". Ha aggiunto: "Questo dovrebbe essere un segnale significativo per il Papa, che è assolutamente essenziale che le persone giuste siano nominate in ogni incarico dappertutto nel mondo. E i fedeli della Chiesa hanno bisogno di una leadership priva di ambiguità, in linea con l’insegnamento tradizionale della Chiesa".

    da "Messainlatino.it"


    Ma questo rabbino è cattolico?
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    00 05/03/2009 01:30
    Nella prossima Enciclica, la risposta del Papa alla crisi economica


    Un messaggio chiamato a restituire la speranza




    CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 4 marzo 2009 (ZENIT.org).- Con la sua prossima Enciclica, Benedetto XVI offre la sua risposta agli interrogativi posti dalla crisi finanziaria che ha provocato l'attuale crisi economica, afferma Carlo Di Cicco, vicedirettore de "L'Osservatore Romano".

    In un editoriale pubblicato nell'edizione di questo giovedì, il giornalista riconosce che "la crisi internazionale che in crescendo attanaglia uomini, donne e famiglie dei Paesi ricchi e poveri e semina sgomento, chiedendo a ciascuno una nuova lettura della storia, è una prova del nove anche per misurare lo spessore del magistero di Benedetto XVI".

    "Le luci crepuscolari che si sono addensate sull'Occidente sono un contesto che favorisce una lettura serena, libera da pregiudizi ideologici, dell'azione del Pontefice che si va dispiegando sempre meglio facendo apparire frettolose, quando non fatue, le letture schematiche", afferma.

    Parlando ai parroci di Roma, il 26 febbraio, il Papa ha detto: "Da molto tempo prepariamo un'Enciclica su questi punti. E nel cammino lungo vedo com'è difficile parlare con competenza, perché se non è affrontata con competenza una certa realtà economica non può essere credibile. E, d'altra parte, occorre anche parlare con una grande consapevolezza etica, diciamo creata e svegliata da una coscienza formata dal Vangelo".

    "Quindi bisogna denunciare questi errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane, gli errori nel fondo. Alla fine, è l'avarizia umana come peccato o, come dice la Lettera ai Colossesi, avarizia come idolatria", ha osservato il Pontefice.

    "Noi dobbiamo denunciare questa idolatria che sta contro il vero Dio e la falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, 'mammona'".

    "Dobbiamo farlo con coraggio ma anche con concretezza - aggiungeva -. Perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostanziati con conoscenze delle realtà, che aiutano anche a capire che cosa si può in concreto fare per cambiare man mano la situazione. E, naturalmente, per poterlo fare è necessaria la conoscenza di questa verità e la buona volontà di tutti".

    Secondo l'editoriale di Di Cicco, "il Papa ha un pensiero per uscire dalla crisi. Non nel senso di ricette economiche specifiche capaci di ripristinare l'ordinato flusso nel rapporto capitale e lavoro, finanze e bisogni di famiglie e imprese. Ma perché da questa crisi non si esce senza una speranza che sia più credibile di quella che viene solo dai mercati e dalle teorie economiche".

    "Per farcela occorre ricuperare ragioni per vivere. La depressione economica si supera se si vince la depressione ideale e l'appassirsi della speranza", constata.

    "È a questo crocevia tra il cuore e la capacità programmatica delle risorse che si pone la parola di Papa Ratzinger - rileva -. Dove è un bene per tutti dialogare con le sue sollecitazioni intellettuali e religiose, e dove può apparire ragionevole e plausibile la saggezza cristiana che egli chiede di far entrare con rinnovata cittadinanza nella società degli uomini d'oggi".

    "C'è attesa per l'annunciata Enciclica sociale di Benedetto XVI. Ma è lo stesso Papa a non voler essere preso come un oracolo. Egli preferisce un ritorno alla ragione perché senza questo ritorno diventa difficile anche valutare e apprezzare la serietà della proposta cristiana".

    Secondo il vicedirettore, il Messaggio per la Giornata mondiale della gioventù, pubblicato questo mercoledì, è un esempio concreto di quale spirito potrebbe animare la prossima Enciclica.

    Per coglierne il senso in profondità, Di Cicco propone di rileggere l'Enciclica Spe salvi, che mostra chiaramente come il ragionare del Pontefice porti sempre alle ultime conseguenze ogni umana ricerca.

    "L'intento del Papa è quello di trovare un modo convincente per incoraggiare l'attuale generazione a fidarsi di Dio. E a tenerlo presente in ogni scelta di vita personale e collettiva", dichiara.

    Il Papa non nega autonomia alla politica, alla scienza, alla tecnica, all'economia e a ogni altra risorsa materiale quando dice che da sole "non sono sufficienti per offrire la grande speranza a cui tutti aspiriamo", aggiunge l'editorialista.

    Benedetto XVI "ricorda semplicemente che da sole non bastano a risolvere ogni genere di problema. È il nostro cuore infatti a voler sapere un di più e, se questo manca, continuiamo a vivere nello scontento pure in mezzo all'abbondanza di benessere".

    "Benedetto XVI è un Papa giusto per un tempo di crisi perché sa confortare e indica un ragionevole percorso per uscirne fuori insieme anziché ciascuno per sé".

    "Prima ancora che si delineassero i disastri bancari che hanno scoperchiato la voragine economica rischiosa per tutti, il Papa ha posto due grandi questioni: quella dell'amore e subito dopo quella della speranza, 'centro della nostra vita di esseri umani e della nostra missione di cristiani, soprattutto nell'epoca contemporanea'".

    "L'affidare a un messaggio destinato ai giovani la riflessione su così grandi questioni di comune interesse", conclude l'editoriale, "rimane un segnale di metodo per quanti sono coinvolti nel compito di educare".

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    00 05/03/2009 01:30
    Da Petrus

    Il Cardinale Dziwisz annuncia: “Tra qualche mese la beatificazione di Giovanni Paolo II, contenti anche i rappresentanti di altre religioni”



    CITTA’ DEL VATICANO - Tra qualche mese Papa Giovanni Paolo II potrebbe essere beatificato. Lo riferisce il Cardinale Arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, amico e segretario personale di Karol Wojtyla durante il suo pontificato. "Benedetto XVI vuole chiudere le pratiche quanto prima. E’ il mondo a richiederlo", ha dichiarato in un’intervista il porporato polacco. "La preparazione del 'Positio' (documento di circa 2.500 pagine in cui saranno raccolte le prove della santità di Karol Wojtyla, ndr) si trovano presso la Congregazione delle Cause dei Santi. Passato il giudizio degli esperti della commissione di teologi, sarà il Santo Padre alla fine a decidere", ha inoltre spiegato Dziwisz. “Non solo i cristiani, ma anche le altre religioni si aspettano che Giovanni Paolo II venga beatificato", ha quindi concluso l'Arcivescovo di Cracovia.

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    00 05/03/2009 16:28
    Mons. Tomasi: disattesi i diritti dei rifugiati in Europa


    I diritti dei rifugiati nei Paesi europei sovente disattesi: ne ha parlato mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU a Ginevra, nel suo intervento alla 44.ma riunione, nella città elvetica, del Comitato permanente dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Le difficoltà incontrate dai rifugiati per ottenere protezione e presentare domanda di asilo ed ottenere considerazione equa delle richieste inoltrate secondo standard e procedure internazionali. Ha puntato i riflettori – l’arcivescovo Tomasi – sulle differenze nei vari Paesi europei nei procedimenti di asilo, differenze che preoccupano la Santa Sede, che fa sue le stesse preoccupazioni dell’Alto Commissario dell’Onu, Antonio Guterres, nel sottolineare che “ogni Paese, naturalmente, ha diritto di definire la sua politica migratoria, ma le norme internazionali di protezione dei rifugiati devono essere rispettate”. Un appello – ha detto mons. Tomasi – che merita particolare attenzione data la tragica situazione che ha visto, durante il 2008, 1502 persone, tra le quali presumibilmente un numero significativo in fuga da persecuzione, che hanno incontrato la morte mentre tentavano di entrare in Europa. Da qui la richiesta del rappresentante della Santa Sede che le politiche nazionali e internazionali e i provvedimenti legali abbiano anzitutto “un solido fondamento nei diritti umani, il diritto alla vita in primo luogo”.


    Questo grave problema non interessa solo l’Europa, ha aggiunto il rappresentante vaticano, notando che simili tendenze ad opporre “barriere fisiche così come burocratiche, legislative e politiche ai richiedenti asilo” si registrano in diversi regioni del mondo, sviluppate e in via di sviluppo. Attenzione particolare merita inoltre il fenomeno crescente di minori soli che richiedono asilo, “perché rivela la disperata situazione in cui versano alcune famiglie e perché troppo spesso è risolto con un ambiguo sistema di detenzione”.


    Solidale la Santa Sede con l’impegno dell’Alto Commissariato perché l’asilo resti un’opzione effettiva in tutti i Paesi, nonostante l’attuale crisi economica e finanziaria. Allo stesso tempo l’arcivescovo Tomasi ha invitato tutti a riflettere sulle cause dell’emigrazione forzata perché ad una generosa risposta umanitaria sia abbinata una politica egualmente mirata.


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    00 05/03/2009 16:29
    La prima Enciclica di Papa Wojtyla "Redemptor hominis" compie 30 anni


    Trent’anni fa, il 4 marzo 1979, Giovanni Paolo II firmava la prima Enciclica del suo lungo Pontificato, la Redemptor hominis. Un documento intenso, che a tre decenni di distanza conserva intatta la sua dimensione profetica. Ce ne parla Sergio Centofanti.

    “Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia”: inizia così la prima Enciclica di Papa Wojtyla, un inno al Dio che incarnandosi si è unito ad ogni uomo perché “ogni uomo senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo”, anche “quando non è consapevole di ciò”. Per questo l’uomo – scrive Giovanni Paolo II - “è la prima e fondamentale via della Chiesa” che “desidera servire quest’unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo”, perché “solo in Lui, Figlio di Dio, c’è salvezza”. Infatti “l’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio”. E “Dio è amore”, amore “più grande del peccato, della debolezza … più forte della morte … amore sempre pronto a sollevare e a perdonare”. “Questa rivelazione dell’amore” che “viene anche definita misericordia…ha nella storia … una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo” che “per mezzo della Croce ha ridato definitivamente all’uomo la dignità ed il senso della sua esistenza”.


    La Chiesa “malgrado tutte le limitazioni” annuncia questa verità “che non proviene dagli uomini, ma da Dio”. La Chiesa, Corpo di Cristo, che “in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico” “non può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell’uomo” né restare “indifferente a ciò che lo minaccia” in quanto la sua sorte è ormai legata a Cristo. “La Chiesa non può abbandonare l’uomo” che oggi sembra vivere sempre più nella paura perché si sente “minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà”. Papa Wojtyla parla dell’emergenza inquinamento, delle guerre, delle armi atomiche, delle ingiustizie, della fame, della mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Si chiede se ciò che viene chiamato progresso renda “più umana” la vita sulla terra e l’uomo migliore, “cioè più maturo spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i più bisognosi e più deboli, più disponibile a dare e portare aiuto a tutti”.


    “La situazione dell’uomo contemporaneo – scriveva Papa Wojtyla 30 anni fa – sembra lontana dalle esigenze oggettive dell’ordine morale, come dalle esigenze della giustizia e, ancor più, dell’amore sociale”. L’uomo è sempre più “schiavo delle cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri prodotti. Una civiltà dal profilo puramente materialistico condanna l’uomo a tale schiavitù”. La Chiesa annuncia la verità che rende liberi, annuncia il Vangelo dell’amore in Cristo Salvatore che dice: “Senza di me non potete fare nulla”. Per questo l’Enciclica si conclude “con un caloroso ed umile invito alla preghiera”: “Io spero – scriveva Giovanni Paolo II – che grazie a tale preghiera potremo ricevere lo Spirito Santo che scende su di noi e divenire in questo modo testimoni di Cristo ‘fino agli estremi confini della terra’ come coloro che uscirono dal Cenacolo di Gerusalemme nel giorno di Pentecoste”.


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    00 05/03/2009 16:30
    Il valore della preghiera al centro degli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano. La testimonianza di una suora Clarissa di Assisi


    Sostenere il servizio della Parola con la preghiera, vissuta in modo intenso e assiduo, sul modello di Gesù che si ritira sul monte a pregare. E’ una delle tematiche sulle quali il cardinale Francis Arinze ha imperniato questa mattina gli esercizi spirituali della Quaresima, che il porporato sta predicando da domenica scorsa a Benedetto XVI e alla Curia Romana. Il titolo di una delle meditazioni odierne è tratto da una frase di San Paolo: “Pregate ininterrottamente e in ogni cosa rendete grazie”: un’esperienza ben conosciuta soprattutto da chi, nella Chiesa, vive in maniera approfondita l’aspetto della contemplazione. Alessandro De Carolis ha chiesto una testimonianza a Suor Maria Assunta, religiosa dell’Istituto delle Suore Clarisse Apostoliche di Assisi:

    R. - L’uomo ha bisogno di stare con Dio, di sentirsi amato e di amarlo e questo si può comprendere, si può sperimentare, soprattutto nella preghiera. E quando parlo di preghiera, parlo di preghiera non soltanto liturgica o devozionale, ma preghiera di ascolto, di confronto con la Parola di Dio. Per noi, "pregare incessantemente" vuol dire essere in rapporto con Lui in qualsiasi momento della giornata, sia nei momenti propri di preghiera sia durante il lavoro. Vuol dire trasformare tutto in offerta, in lode, in intercessione.


    D. - La vostra casa sorge nei pressi della Basilica di Santa Chiara di Assisi ed è frequentata anche da molti gruppi giovanili. Proprio ieri, Benedetto XVI nel Messaggio per la prossima Giornata Mondiale per la Gioventù ha invitato i giovani alla preghiera perseverante. Voi, come insegnate loro questo valore?


    R. - Incoraggiandoli a partecipare alla nostra preghiera e cercando di instillare nei loro cuori il bisogno di Dio, il non sentirsi autosufficienti: perché questa è la tentazione del mondo di oggi. Condurre pian piano i giovani a sentire che solo con Dio si può vivere in pienezza la propria umanità.


    D. - Non solo i giovani, ma anche molti adulti oggi vivono il paradosso di volere intrecciare molti rapporti rimanendo soli davanti allo schermo di un computer o di un telefonino. Come si può parlare a queste persone dell'altro tipo di solitudine: quella interiore, che diventa preghiera?


    R. - Non è facile, perché cose che lei ha nominato afferrano molto sia i giovani, sia gli adulti. L’unico modo credo sia quello della testimonianza, perché solo così - solo raggiungendo il cuore - si può suscitare quell’interesse, quell’attenzione a un qualcos’altro che li elevi al di sopra e colmi la sete del cuore.


    D. - Alla vostra radice contemplativa, voi avete unito la missione di trasmettere lo spirito di Francesco e di Chiara d’Assisi in opere di carità cristiana. Come vivete questa missione?


    R. - Nei momenti di apostolato, di rapporto con i fratelli, con le persone che frequentano la nostra casa. Portare Dio a loro e portare loro a Dio. Quindi, realizzare quello che il Celano, il primo biografo di San Francesco d’Assisi, diceva di Francesco: “Non era più un uomo che pregava, ma un uomo fatto preghiera”. Realizzare quello che Chiara suggerisce a Francesco: “Quello che il Signore ti dona nella contemplazione, portalo ai fratelli.”.


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    00 05/03/2009 16:30
    Pubblicato il programma della visita del Papa in Campidoglio

    La Sala Stampa vaticana ha pubblicato oggi il programma della visita di Benedetto XVI in Campidoglio, lunedì 9 marzo. L’arrivo del Papa è previsto per le 10.50: sarà accolto (nell’area Sisto IV) dal Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e dalla consorte. Subito dopo il Pontefice entrerà nello studio del sindaco e si affaccerà al balcone con vista sui Fori Romani. Alle 11.10 il saluto agli assessori e funzionari di Palazzo, nella Sala dell’Arazzo, seguito dalla firma del "Libro d’Oro" nella Sala delle Bandiere. Alle 11.30, nell’Aula Giulio Cesare, inizierà la seduta straordinaria del consiglio comunale: dopo il saluto del sindaco, il Papa terrà il suo discorso. Alle 12.20 il Papa saluterà i cittadini presenti in Piazza del Campidoglio dalla Loggia del Palazzo Senatorio. Quindi lascerà il Campidoglio per trasferirsi al Monastero di Santa Francesca Romana a Tor de’ Specchi, dove verrà accolto da mons. Ernesto Mandara, vescovo ausiliare per il settore centro, e da madre Maria Camilla Rea, presidente del Monastero. Si recherà nella Cappella del Coro per un momento di adorazione del Santissimo Sacramento e venerazione del corpo di Santa Francesca Romana. Quindi la presidente del Monastero rivolgerà il suo saluto al Papa che subito dopo pronuncerà un discorso. Alle 13.15 è prevista la partenza dal Monastero di Santa Francesca Romana e il rientro in Vaticano.


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    Re:

    +PetaloNero+, 05/03/2009 1.30:

    Da Petrus

    Il Cardinale Dziwisz annuncia: “Tra qualche mese la beatificazione di Giovanni Paolo II, contenti anche i rappresentanti di altre religioni”

    CITTA’ DEL VATICANO - Tra qualche mese Papa Giovanni Paolo II potrebbe essere beatificato. Lo riferisce il Cardinale Arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, amico e segretario personale di Karol Wojtyla durante il suo pontificato. "Benedetto XVI vuole chiudere le pratiche quanto prima. E’ il mondo a richiederlo", ha dichiarato in un’intervista il porporato polacco. "La preparazione del 'Positio' (documento di circa 2.500 pagine in cui saranno raccolte le prove della santità di Karol Wojtyla, ndr) si trovano presso la Congregazione delle Cause dei Santi. Passato il giudizio degli esperti della commissione di teologi, sarà il Santo Padre alla fine a decidere", ha inoltre spiegato Dziwisz. “Non solo i cristiani, ma anche le altre religioni si aspettano che Giovanni Paolo II venga beatificato", ha quindi concluso l'Arcivescovo di Cracovia.




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    Dal blog di Lella...

    l’intervista

    Il vescovo Sigalini: «Solo chi, come il Papa, conosce e stima i giovani può chiamarli a essere protagonisti»

    «Ha il coraggio di dar voce alle loro domande»

    DI LORENZO ROSOLI

    Nei giovani d’oggi «tanti adulti ve dono solo povertà culturale e spi rituale, distrazione, indifferenza. A volte violenza. Li sottovalutano. Li te mono. E non li credono capaci di misurar si con le domande fondamentali dell’esi stenza – il senso della vita, la felicità, il do lore la morte. Non così il Papa: che proprio nella parte iniziale del suo messaggio per la Gmg 2009 accoglie le domande più profonde e autentiche dei giovani – spiega ad Avvenire il vescovo di Palestrina, Do menico Sigalini.

    Benedetto XVI non li sot tovaluta. Non li teme. Li ama, sa ascoltarli e dar voce ai loro interrogativi. Senza resti tuir loro risposte prefabbricate: bensì pro ponendo un incontro – con Cristo: una per sona, non un’idea – che è la vera, grande speranza della nostra vita e del mondo».

    Sigalini, assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica, se ne intende di gio vani. È in mezzo a loro da sempre. Dun que: più d’altri è credibile quando si dice «colpito» dalla capacità di questo Papa, in apparenza così lontano dai giovani d’oggi – fosse anche solo per oggettive ragioni d’età, formazione, cultura – di saper inve ce entrare in «sintonia» con loro, capace di comprendere il loro vissuto, i problemi, le ricchezze.

    «Un Papa che sa entrare in sintonia ma sen za rinnegare se stesso – scandisce il presu le –. Anche in questo messaggio si presen ta infatti come uomo di pensiero. Il suo è un appello all’intelligenza, non solo al sen timento.

    Invita i nostri ragazzi a quella pie nezza d’umanità che nasce dall’incontro tra fede e ragione; li chiama a maturare, di ventar grandi, vincere la tentazione dell’e terna adolescenza – così forte nella società d’oggi – aprendosi all’incontro con gli altri e con Dio, alla responsabilità, a farsi cari co del prossimo. Li chiama a diventare te stimoni credibili della speranza cristiana, protagonisti di una nuova evangelizzazio ne che ringiovanisca la Chiesa».

    Nel messaggio di Ratzinger troviamo rife rimenti alla Spe salvi, la sua enciclica sulla speranza; e «all’apostolo Paolo, un testi mone della speranza che può entusiasma re, essere un modello e un compagno di strada per i nostri giovani». Che proprio di compagnia hanno bisogno: «I giovani so no portati per natura alla relazione, all’a micizia. Quando scoprono qualcosa di bel lo, sentono il desiderio di condividerlo.
    E se c’è qualcosa che li fa soffrire, è la solitu dine – testimonia Sigalini –. Perciò li ve diamo così coinvolti nelle esperienze e nei luoghi della relazione, sia essa reale o vir tuale – com’è Internet – e a volte così in ba lia dei 'cattivi maestri', come ricorda il Pa pa nel messaggio accennando con grande realismo anche a realtà di disagio come l’al col o la droga». È bello che Ratzinger sug gerisca la preghiera fra i modi della com pagnia – con Dio e con gli altri. Ed è cru ciale – conclude Sigalini – che la Chiesa sappia essere «testimone di speranza» nei luoghi di vita e di relazione dei giovani. «La scuola, che nel rispetto della propria lai cità deve saper educare alla ricerca della verità e della felicità; ma penso anche ai luoghi della creatività – l’arte, la musica: i giovani sono assetati di bellezza! – e del ser vizio agli ultimi».

    © Copyright Avvenire, 5 marzo 2009


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    VATICANO II/ Il Concilio che i media divisero fra “conservatori” e “progressisti"

    INT. Matthew Lamb giovedì 5 marzo 2009

    Matthew Lamb, assieme al suo collega dell’università «Ave Maria» in Florida Matthew Levering, è autore di un importante volume sul Concilio Vaticano II (Vatican II. Renewal within Tradition, Oxford University Press, 2008). A cinquant’anni dall’annuncio della convocazione del ventunesimo Concilio della Chiesa cattolica, il dibattito sulla sua interpretazione è ancora molto vivace. Ilsussidiario.net ha chiesto allo stesso professor Lamb, decano della Facoltà teologica, di spiegare il risultato del suo lavoro.

    Come è nata l’idea del volume da lei curato, qual è la sua impostazione e come è strutturato?

    L’idea del libro ha un’ origine remota ed una prossima. L’origine remota: ero un giovane studente di teologia alla Pontificia Università Gregoriana a Roma durante le ultime due sessioni del Concilio. Il senso del sacro nel Concilio, con le Sante Messe e le preghiere che incorniciavano tutti i dibattiti, indicava come questo XXI Concilio ecumenico fosse in continuità con la grande Tradizione magisteriale della Chiesa.
    I Padri conciliari erano di fronte alle sfide e alle situazioni nuove della fine del XX secolo e cercavano di rispondervi con riforme in continuità con le grandi verità della nostra fede cattolica.

    Però io notavo che i giornalisti che si occupavano del Concilio per i mass-media non comprendevano questi aspetti teologici dei dibattiti. Al contrario, inserivano le loro informazioni nelle categorie politiche di “conservatori” contro “progressisti”.

    Nel mondo anglofono questo è esemplificato al meglio dalle Letters from the Vatican di Xavier Rynne, pubblicate dal New Yorker. Era lo pseudonimo di un sacerdote redentorista, Francis X. Murphy, e non pochi tra i periti tendevano a cadere in questa retorica diffusa da giornali, settimanali, radio e televisione che si occupavano del Concilio. L’origine prossima. Nell’estate del 2002 incominciai a discutere con colleghi in Nord America e in Europa riguardo alla necessità di offrire una comprensione dei 16 documenti del Concilio alla luce della grande tradizione bimillenaria della fede cattolica. Nella primavera dell’anno successivo la lista dei collaboratori era stilata ed iniziò il lavoro di stesura. Come linee guida prendemmo i sei principi di interpretazione dei documenti indicati dal Sinodo dei Vescovi del 1985:

    1) continuità dei documenti conciliari con la tradizione cattolica;

    2) ciascun passaggio è illuminato dal contesto sapienziale dell’intero Concilio;

    3) leggere i nove decreti e le tre dichiarazioni alla luce delle quattro costituzioni;

    4) la portata pastorale dei documenti deriva dalla dottrina cattolica;

    5) il dogma e la dottrina cattolici esprimono il vero spirito del concilio;

    6) perciò tutte le sfide e situazioni nuove alle quali si rivolgono le riforme conciliari possono venire comprese adeguatamente alla luce della continuità della fede cattolica.

    Mentre stavamo lavorando al libro fu eletto papa Benedetto XVI. Nel suo primo discorso egli enunciò il suo «impegno ad attuare il Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuità con la tradizione bimillenaria della Chiesa».
    Poi, quando tenne l´allocuzione alla Curia nel dicembre del 2005, risultò chiaro che stava spiegando che cosa era necessario nell’ermeneutica del Concilio.

    Pertanto la struttura del libro è la seguente: il discorso di papa Benedetto apre il volume, segue poi un’introduzione dei curatori. A ciascuna delle 4 costituzioni conciliari sono dedicati due capitoli; a ciascuno dei 9 decreti e delle 3 dichiarazioni è riservato un capitolo. Infine uno studioso protestante, il professor Geoffrey Wainwright, presenta la sua interpretazione del Concilio nella continuità; segue infine un capitolo conclusivo scritto da me.

    Per molti anni, nella storiografia sul Concilio ha prevalso, almeno in Italia, l’ermeneutica della rottura rispetto a quella della continuità. Può spiegare la differenza tra le due impostazioni e perché la prima si è imposta così a lungo?

    Nel mondo occidentale si è largamente diffusa l’immagine del Concilio dipinta dai media come una lotta tra conservatori e progressisti nella quale questi ultimi hanno vinto.
    Come afferma Papa Benedetto nel suo discorso alla Curia, alcuni teologi contemporanei adottarono questa chiave di lettura e vennero spesso citati nei mass-media come esperti. Mi ricordo di una conferenza stampa, durante una sessione del Concilio. In essa un teologo serio stava spiegando l’importanza e il valore teologico di ciò che era stato discusso in quella giornata. Egli insistette sul fatto che l’aspetto teologico era la cosa più importante. Intervenne un altro perito il quale disse che la questione era sostanzialmente molto semplice: «I conservatori…». Il primo relatore disse di non essere d’accordo.
    Ora, i mass-media fecero uso dello schema conservatori/progressisti nella loro cronaca di quell’episodio nonché di tutti gli altri dibattiti e delibere conciliari. Quando i vescovi, i sacerdoti e i religiosi incominciarono a mettere in atto le riforme conciliari si rivolsero spesso proprio a questi periti e ad altri teologi citati dai mass-media. La categoria politica di conservatori contro progressisti significava che tutte le volte che un documento conciliare citava un Concilio precedente o una precedente dottrina, si trattava di una manovra politica per indurre i conservatori a votare a favore di ciò che era nuovo.

    Così, l’evento del Concilio venne considerato più importante che non i documenti, i quali spesso vennero mal interpretati come compromessi politici.

    Come ha osservato Papa Benedetto: «In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito.

    In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità». Questo condusse, come affermò papa Benedetto, a un’errata comprensione del Concilio e della Chiesa, come se il Concilio fosse «una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova». A partire dai mass-media questa nozione di rottura, di radicale discontinuità del Concilio rispetto al passato della Chiesa, incominciò ad influenzare i lavori teologici e storico sul Concilio.
    Se prima del Concilio ogni prete doveva conoscere il latino e un po’ di greco, ora anche nei corsi di dottorato molti non erano in grado di leggere il latino; tanto meno il greco.
    Teologi dediti alla divulgazione cominciarono ad influenzare l’educazione delle successive generazioni di teologi.
    Lo studio serio dei padri greci e latini, così come dei maestri medievali venne lasciato a storici con scarsa o addirittura nessuna conoscenza degli argomenti filosofici e teologici in gioco.

    La teologia cattolica dogmatica e dottrinale venne spesso ignorata per lasciare spazio a categorie derivate dalla politica, dalla psicologia e dalla sociologia. Così i lavori storici sul Concilio, nella misura in cui influenzarono l’opinione pubblica forgiata dai mass-media, diffusero la nozione di rottura – prima del Vaticano II facevamo in questo modo, ora facciamo in quest’altro – nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle scuole e nelle università. In Italia l’Istituto di studi religiosi di Bologna, sotto la direzione di Giuseppe Alberigo, ha pubblicato una storia del Vaticano II in cinque volumi, che è stata molto influente nel concentrarsi sui dibattiti che portarono alla redazione dei documenti, a discapito del far emergere come le riforme di fatto adottate fossero in continuità con la tradizione della Chiesa. Nei paesi comunisti dell’est, invece, i mass-media non avevano la tendenza a parlare del Concilio in modo così ampio come in occidente. Così, per esempio, l’arcivescovo Karol Wojtyla e altri vescovi e teologi polacchi furono in grado di fornire una intelligenza delle riforme del Vaticano II in continuità con i principi della fede cattolica; come dimostra il libro di Wojtyla, Alle fonti del rinnovamento.

    Come ha influito l’ermeneutica della rottura a livello della base della Chiesa?

    La comprensione del Concilio per la maggior parte dei cattolici avvenne tramite due fonti. Una di queste furono i mass-media laici i quali riferirono del Vaticano II come se non ci fossero interventi del Magistero anteriori al Vaticano II.
    Per chi era un corrispondente dall’estero per una qualunque testata fra il 1962 e il ’65 c’erano due zone al mondo dalle quali i servizi erano sicuramente ricercati: il Vietnam e il Concilio di Roma. Così i cattolici poterono leggere resoconti sul Concilio basati sullo schema dei mass-media: conservatori contro progressisti.
    L’altra fonte erano le Messe le prediche nelle parrocchie.
    Immediatamente dopo il Concilio ci furono in numerose parrocchie, comunità religiose e seminari esperimenti liturgici e traduzioni in lingua volgare non approvate che enfatizzavano la rottura.
    La partecipazione alla Messa domenicale e la pratica dei sacramenti cominciarono a diminuire, così come le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.
    Alcuni teologi che dissentivano dagli insegnamenti della Chiesa, per esempio dall’Humanae vitae e dall'Ordinatio sacerdotalis, favorirono la nozione di rottura, specialmente da quando tale dissenso venne diffuso massicciamente nei mass- media con poco o nessun contenuto teologico serio.

    A che punto è la recezione del Concilio?

    Grazie ai vigorosi insegnamenti dei papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e al fatto che nel post-Concilio sorsero molti istituti e organizzazioni sia religiosi che laici, una genuina recezione del Vaticano II è andata continuamente crescendo nel corso dei decenni passati. Molti cattolici si sono resi conto di ciò che il Concilio ha veramente insegnato e come il dissenso dottrinale e morale oscuri la mente e corrompa la vita. La verità della fede cattolica è il Signore vivente, Gesù Cristo, e noi siamo membri della grande comunione dei santi. La gioia, la bellezza, la sapienza e la santità del vangelo nella Chiesa sono testimoniate nella vita di tanti santi nel corso dei secoli e fino ai giorni nostri, per esempio in padre Pio e in madre Teresa di Calcutta.
    Questo è il contesto nel quale, come ha detto papa Benedetto, la recezione genuina del Concilio Vaticano II ha saldamente guadagnato terreno. La letteratura teologica si sta applicando sempre più in una lettura delle riforme del Vaticano II all’interno della tradizione bimillenaria della Chiesa. In maniera crescente teologi cattolici, seguendo l’esempio dei Papi, stanno affrontando la sfida del terzo millennio in vista di integrare la scienza contemporanea della natura, le scienze umane e l’arte nella sapienza e nella santità del cattolicesimo – i «vetera novis augere et perficere» del programma leonino. Non c’è solamente il nostro volume sul Vaticano II, ma sta uscendo una traduzione inglese del libro dell’arcivescovo Agostino Marchetto: Il Concilio Ecumenico Vaticano II (Città del Vaticano, 2005). Questo libro offre un’accurata analisti storica e teologica dei fatti del Vaticano II, non nelle categorie drammatiche e retoriche di conservatori contro progressisti, ma in sereni e dettagliati giudizi scientifici, sia positivi che negativi, riguardanti gli avvenimenti del Vaticano II. Questo libro presenta i documenti del Concilio non solo nelle tensioni e dibattiti e nelle varie bozze durante la loro redazione, ma mostra anche come questi dibattiti hanno condotto a documenti che hanno saputo individuare le riforme necessarie per rimanere fedeli alla bimillenaria tradizione dottrinale e teologica della Chiesa.

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    Inchiesta. Il governo della curia romana al tempo di Ratzinger: difficoltà e strategie per il dopo “caso Williamson” (Parte III)

    mar 5, 2009 il Riformista

    Paolo Rodari

    Perché il governo della curia romana funzioni a dovere è necessario che tutti i canali del potere siano ben oliati, comunichino tra di loro senza intoppi e, soprattutto, senza che nessuno remi dalla parte sbagliata.
    Nei recenti casi di mal governo vaticano, invece - dal caso Ratisbona al caso Williamson, tanto per citare due situazioni note a tutti -, si è avuta l’impressione che a giocare fossero tante monadi separate e, insieme, incapaci di fare squadra e spiegare al mondo, e soprattutto alla Chiesa, la ragionevolezza delle decisioni prese.
    Coloro che nella curia romana sono chiamati a supportare il Papa nella difficile gestione del potere sono innanzitutto i prefetti delle nove congregazioni vaticane. Un tempo, fino alla riforma messa in campo da Paolo VI, la congregazione della curia con più peso era senz’altro quella che sull’annuario pontificio veniva chiamata “La Suprema”. Ovvero, la congregazione per la Dottrina della Fede. Il prefetto era direttamente il Pontefice, e cioè colui che quando afferma una dottrina o un dogma gode del principio dell’infallibilità.
    Oggi il Papa ha conservato sulla congregazione un’attività di super visione, seppure la responsabilità della congregazione sia affidata a un prefetto il quale, ogni settimana, incontra il Pontefice per dipanare le questioni più importanti. È probabilmente per il fatto che con questa congregazione Benedetto XVI può dialogare con più frequenza che con altre, che Ratzinger ha deciso di nominare prefetto lo statunitense William Joseph Levada: non un “fulmine di guerra”, ma comunque un porporato fedele.
    Oggi la congregazione strategicamente più importante e che necessariamente deve procedere in perfetta sintonia col Pontefice e con il segretario di Stato è quella dei Vescovi.
    Il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione, ha il potere non da poco di nominare i vescovi. È lui, infatti, che propone al Papa una terna di nomi per gli incarichi vacanti decidendo chi e in quale ordine sia degno di farvi parte. Decide i trasferimenti e le promozioni dei vescovi. Le dimissioni per limiti di età. E, ancora, decide i cardinali: nel senso che quando promuove un presule in una diocesi che prevede la berretta cardinalizia, lo promuove di fatto al cardinalato.
    Chi è il cardinale Re? Bresciano, visse l’escalation più importante della sua carriera quando nel 1989 Giovanni Paolo II lo nominò sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato. In sostanza, il posto perfetto per succedere ad Angelo Sodano quando questi avesse lasciato la conduzione della stessa segreteria. Quando però il cardinale Lucas Moreira Neves lasciò la guida dei Vescovi, Re non ci pensò su più di tanto ad accettare la proposta di Wojtyla di esserne lui il successore.
    Alla congregazione dei Vescovi, Re adottò inizialmente una politica filo wojtyliana. In sostanza, al contropotere rispetto al Papa rappresentato da Sodano egli mise in campo una politica di nomine filo papale, in sintonia perfetta (almeno inizialmente) con Stanislaw Dziwisz e col presidente della conferenza episcopale italiana Camillo Ruini.
    Poi qualcosa è cambiato. Re, che di per sé ha sempre conservato i numeri necessari per sostituire Sodano al momento opportuno, una volta arrivato al soglio di Pietro Joseph Ratzinger ha compreso che la segreteria di Stato non gli sarebbe mai stata affidata.

    E qui, usciti di scena Dziwisz e, poco dopo, Ruini, ha virato verso una politica più disponibile nei confronti delle istanze provenienti dalle varie conferenze episcopali.

    Spieghiamo meglio: nel mondo, più che in Italia, le conferenze episcopali cercano di avere un potere reale. Le cupole delle conferenze e i nunzi vaticani che alle conferenze necessariamente si riferiscono, infatti, svolgono una costante politica di pressione sulla curia romana affinché i vescovi delle rispettive diocesi siano nominati tenendo conto del proprio indice di gradimento. E se le conferenze episcopali trovano un prefetto dei Vescovi disposto ad ascoltarle, il gioco è fatto.
    Se c’è una pecca nella lunga, e a suo modo efficiente, gestione della congregazione dei Vescovi da parte di Re, risiede proprio qui: nella troppa accondiscendenza accordata alle istanze delle varie conferenze episcopali.

    Un’accondiscendenza che oggi Benedetto XVI paga a caro prezzo.

    Non è forse per le pressioni della conferenza episcopale austriaca guidata dal cardinale Christoph Schönborn che il Papa è stato costretto ad accettare le dimissioni del vescovo ausiliare di Linz, Gerhard Wagner? La stessa cosa non è forse successa con Stanislaw Wielgus nel 2006, costretto a dimettersi 36 ore dopo che il Papa lo aveva nominato arcivescovo di Varsavia? E, al contrario, non è forse per le pressioni dei vescovi di vari paesi del mondo che nei posti di comando della Chiesa spesso non vengono messi i migliori quanto coloro che sono più graditi ai leader dei rispettivi episcopati?

    Il cardinale Re ha la sua parte di responsabilità anche nel caso Williamson.

    Se è vero che il decreto di revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani porta la sua firma, occorre che se ne assuma la responsabilità fino in fondo, magari ammettendo che una corretta valutazione delle criticità in gioco non è stata fatta. E magari sostenendo con più forza i motivi del decreto da lui firmato: non tanto la volontà di reintrodurre nella Chiesa una fazione anti-ebraica quanto il desiderio di abbattere una prima barriera sulla strada ancora parecchio lunga che porta i lefebvriani alla piena comunione con Roma.
    Re ha compito 75 anni lo scorso 30 gennaio. In curia c’è chi si aspettava che avrebbe adottato la medesima politica fatta propria dal suo predecessore: si ritirò nel 2000, il giorno in cui compì 75 anni. Se avesse agito così, già in queste settimane sarebbe stato più facile far dimettere quei capi dicastero e quei presuli entrati in età pensionabile: con un prefetto dei Vescovi ancora in sella a 75 anni, tutto è più difficile. E lo è ancora di più con un segretario dei Vescovi, come l’arcivescovo Francesco Monterisi, anch’egli 75enne.

    La crisi che sta attraversando la curia romana è principalmente qui, a livello di una gestione del potere poco adeguata ai tempi e allo spirito dell’attuale pontificato.

    Poi, certo, c’è anche un problema di comunicazione. C’è la difficoltà di padre Federico Lombardi a gestire congiuntamente sala stampa (Joaquin Navarro-Valls aveva solo questa responsabilità), Radio Vaticana, centro televisivo vaticano e il compito di assistente del preposito generale dei Gesuiti: troppi incarichi per una sola persona. Ma è un problema che, seppure non trascurabile - a breve il Papa correrà ai ripari - viene dopo il mal governo.

    Partendo dalla congregazione dei vescovi, Benedetto XVI ha la possibilità in questo 2009 di sostituire parecchia gente nella curia romana e di creare così un sistema che sappia seguirlo con maggiore lucidità nelle sue scelte.

    Il 23 settembre compie 75 anni il prefetto della congregazione dei Religiosi, il cardinale Franc Rodé e, l’8 agosto, li compie il prefetto del Clero, il cardinale Claudio Hummes. Se è vero che, come scrisse il benedettino Columbia Marmion, una vera riforma del clero e degli ordini religiosi non può che venire da un sacerdote secolare, è evidente che in queste due decisive congregazioni l’uomo giusto è tra il clero che deve essere pescato.
    Ma 75 anni li hanno già compiuti anche altri importanti esponenti della curia. Innanzitutto lo statunitense James Francis Stafford, penitenziere maggiore della Penitenzieria Apostolica. Quindi il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del pontificio consiglio per la Pastorale della Salute. E ancora, il cardinal Renato Raffaele Martino, presidente di Iustitia et Pax. E, infine, il cardinale Walter Kasper, presidente della promozione dell’Unità dei Cristiani: oggi compie 76 anni. (3.fine)

    © Copyright Il Riformista, 5 marzo 2009


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    È necessario un Concilio Vaticano III?

    A porre la questione la settimana scorsa, dalle colonne de La Repubblica e Le Monde, Vito Mancuso e Hans Kung.

    di Bruno Mastroianni, Tempi, 5 marzo 2009

    Entrambi vorrebbero una Chiesa più aggiornata. Il primo è insofferente per certe rigidezze del Magistero sulla vita umana. Perché difenderla ancora come intoccabile? Ci vorrebbe un concilio per aggiornare un po' quest'antiquata visione della natura. Il secondo usa un'immagine ancora più forte: per Kung la Chiesa rischia di diventare una setta, con posizioni che non incontrano più la comprensione della gente.
    Entrambi hanno una preoccupazione: bisognerebbe cambiare alcune cose che suscitano controversie - tipo la sacralità della vita - per adeguare la Chiesa ai gusti della mentalità corrente. Così sì che si riscuoterebbero consensi!
    A preoccupare i due teologi dissidenti, a parte le questioni specifiche, è un'idea di fondo: che la Chiesa, con questa fissazione sulla verità, continui a collezionare troppe brutte figure.

    Comprendiamo l'imbarazzo di Kung e Mancuso che si interessano della reputazione della loro madre Chiesa, anche se se ne sono un po' distaccati.

    Ma non si preoccupino. Benedetto XVI è consapevole di ciò che sta facendo: non ha paura di difendere l'idea di verità anche al costo di suscitare qualche antipatia. La posta in gioco è alta.

    La fiducia nella verità è l'unica garanzia che il genere umano progredisca affidandosi alla ragione, piuttosto che ceda alla logica del consenso facile ed emotivo, verso un inesorabile degrado.

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    “Pio XII ordinò di salvare gli ebrei”


    La conferma in un Memoriale del 1943





    di Antonio Gaspari


    ROMA, giovedì, 5 marzo 2009 (ZENIT.org).- Tra le tante testimonianze di quanto il pontefice Pio XII fece in favore degli ebrei durante la Shoah, contenute in un dossier di 300 pagine della Pave the Way Foundation, c’è anche la prova scritta dell’ordine che il Papa diede per ospitare gli ebrei nei conventi.

    Nel Memoriale delle Religiose Agostiniane del Monastero dei SS. Quattro Coronati di Roma del 1943 è scritto: “Arrivato a questo mese di novembre dobbiamo essere pronte a rendere servigi di carità in maniera del tutto insospettata. Il Santo Padre Pio XII dal cuore paterno sente in sé tutte le sofferenze del momento. Purtroppo con l’entrata dei tedeschi in Roma, avvenuta nel mese di settembre è iniziata una guerra spietata contro gli Ebrei che si vogliono sterminare mediante atrocità suggerite dalla più nera barbarie”.

    “In queste dolorose situazioni – si legge ancora il Santo Padre – vuol salvare i suoi figli, anche gli Ebrei, e ordina che nei Monasteri si deve ospitalità a questi perseguitati, e anche le clausure debbono aderire al desiderio del Sommo Pontefice, e col giorno 4 novembre noi ospitammo fino al giorno 6 giugno successivo le persone qui elencate…”

    Nel Memoriale si racconta che “per la quaresima, anche gli Ebrei venivano ad ascoltare le prediche e il signor Alfredo Sermoneta aiutava in Chiesa”.

    Ed ancora: “a guerra finita, si parlava della bontà del Santo Padre che aveva aiutato e fatto salvare tanti, sia ebrei che giovani e intere famiglie”.

    Il documento è stato trovato dal padre gesuita Peter Gumpel, autorevole storico, relatore per la causa di beatificazione e canonizzazione di Pio XII.

    Intervistato da ZENIT, padre Gumpel ha spiegato che si tratta di un'altra testimonianza che “conferma l’impegno personale e istituzionale del Pontefice Pio XII per proteggere e salvare gli ebrei perseguitati”.

    A coloro che continuano a chiedere la copia scritta dell’ordine di Pio XII, il relatore della causa ha precisato che: “In una situazione di guerra, con la città occupata dai nazisti, una persona prudente non pubblica un ordine, ma manda dei messaggeri fidati per comunicare le volontà del Santo Padre”.

    “Sarebbe stato imprudente e pericoloso scrivere un ordine che poteva finire nelle mani sbagliate e mettere in pericolo la vita di tanti”, ha osservato il gesuita.

    Secondo padre Gumpel, fu organizzato un gruppo di sacerdoti che, agli ordini della Segreteria di Stato, andavano da una casa religiosa all’altra, toccando anche università, seminari, scuole, parrocchie, per chiedere di aprire i conventi e di organizzare una rete di assistenza.

    Alla fine della guerra furono circa 150 le case religiose, i monasteri, le parrocchie, che salvarono da morte certa migliaia di ebrei.

    A questo proposito, il Vescovo di Assisi, monsignor Giuseppe Placido Nicolini, insieme al suo collaboratore monsignor Aldo Brunacci, (entrambi riconosciuti dallo Yad Vashem come Giusti tra le Nazioni) raccontano di un ordine scritto che gli fu presentato da emissari della Santa Sede.

    Padre Gumpel sottolinea che nel caso di indicazioni scritte queste dovevano essere bruciate una volta lette.

    Il padre gesuita ha raccontato a ZENIT di aver visto chiaramente negli archivi britannici messaggi della Santa Sede che si concludevano con la dicitura di leggere e bruciare.

    Per il relatore della causa di Pio XII, “se ci sono documenti che oggi possiamo vedere è perchè qualcuno non ha obbedito all’ordine di bruciare e non lasciare traccia dello stesso”.

    Alla domanda su come rispondere a coloro che lamentano la mancanza di prove scritte sull’impegno di Pio XII nel salvataggio degli ebrei, padre Gumpel ha spiegato che “questa argomentazione è la stessa utilizzata dai negazionisti come Irving il quale sostiene che non c’è un documento scritto in cui Hitler ordina lo sterminio degli ebrei. Ma è evidente cosa è accaduto e come i nazisti hanno praticato lo sterminio degli ebrei”.

    “Ed è manifesto – ha aggiunto – come Pio XII e la Chiesa cattolica hanno salvato la vita a centinaia di migliaia di ebrei in tutta Europa”.

    “Perchè allora tutti questi attacchi a Pio XII?”, si è chiesto.

    Per il padre gesuita, “il problema non è Papa Pacelli. Chi sta conducendo questi attacchi vuole attaccare la Chiesa ed in particolare la figura e l’autorità del Sommo Pontefice”.

    In merito alla causa di beatificazione, padre Gumpel ha ricordato che “tredici tra Cardinale e Vescovi, di sei nazioni diverse, componenti il Tribunale più alto della Congregazione delle Cause dei Santi, all’unanimità si sono pronunciati positivamente a favore delle virtù di Papa Pio XII. L’ultimo verdetto è stato comunicato in data 9 maggio 2007”.

    Circa le opposizioni di alcuni ebrei alla beatificazione di Pio XII, il relatore della causa ha replicato affermando che “ce ne sono molti altri a favore. Inoltre vorrei sottolineare che arrivano segnali molto interessanti dalla Gran Bretagna: il Jewish Chronicle nella sua edizione online (www.thejc.com) ha pubblicato il 26 febbraio un articolo molto favorevole alla beatificazione di Pio XII”

    L’articolo ha per titolo “Wartime pope’s secret heroism” e parla degli ebrei salvati dal Papa Pio XII come riportato nel dossier pubblicato dalla Pave the Way Foundation.

    Il Jewish Chronicle riporta inoltre le dichiarazione di Gary Krupp, Presidente della Pave the Way Foundation, il quale sostiene che “è tempo di riconoscere il Papa Pio XII per ciò che egli ha realmente fatto e non per quello che non ha detto”.

    “Per quello che ho visto e conosciuto – ha sottolineato Krupp – il Papa è, senza dubbio, il più grande eroe del seconda guerra mondiale”.

    “Pio XII non è stato il Papa di Hitler – ha aggiunto –, al contrario era un uomo che Hitler voleva uccidere”.



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    La Santa Sede chiede politiche di asilo più solidali


    Intervento in una convocazione dell'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati





    GINEVRA, venerdì, 6 marzo 2009 (ZENIT.org).- La Santa Sede, preoccupata per la drammatica situazione di molti rifugiati, ha chiesto che la comunità internazionale adotti politiche di asilo solidali.

    La richiesta è stata presentata dall'osservatore permanente della Santa Sede presso gli uffici ONU a Ginevra, l'Arcivescovo Silvano M. Tomasi, intervenendo alla riunione convocata dall'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (ACNUR), come rende noto la “Radio Vaticana”.

    Monsignor Tomasi ha denunciato la morte, l'anno scorso, di più di 1.500 persone mentre cercavano di entrare in territorio europeo.


    In questo contesto, spiega l'emittente pontificia, il presule ha insistito sulla necessità che le politiche nazionali e internazionali e i provvedimenti legali abbiano anzitutto “un solido fondamento nei diritti umani, il diritto alla vita in primo luogo”.

    Dopo aver riconosciuto che ogni Paese ha il diritto di definire la propria politica di immigrazione, l'osservatore permanente della Santa Sede presso l'ONU ha ricordato che “le norme internazionali di protezione dei rifugiati devono essere rispettate”.

    L'Arcivescovo ha aggiunto che questa situazione preoccupante non è esclusiva né si circoscrive all'Europa, perché si osservano tendenze simili in varie regioni del mondo, sviluppate e in via di sviluppo.

    La comunità internazionale, ha ribadito monsignor Tomasi, non deve abbandonare l'impegno a ricevere e difendere le persone perseguitate che fuggono perché hanno timori fondati e la loro vita è minacciata.

    Il presule ha anche ricordato che il crescente fenomeno dei minori non accompagnati che richiedono asilo è un appello all'attenzione “perché rivela la disperata situazione in cui versano alcune famiglie e perché troppo spesso è risolto con un ambiguo sistema di detenzione”.

    Per questo motivo, ha osservato che spetta a tutti affrontare le cause profonde degli spostamenti forzati, perché una generosa risposta umanitaria deve essere accompagnata da una politica ugualmente impegnata.




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    00 06/03/2009 16:45
    Il cardinale Poupard presiede le celebrazioni per il settimo centenario dell’inizio del soggiorno avignonese dei Papi


    A partire da domani due giorni di celebrazioni, nella città francese di Avignone, ricorderanno il settimo centenario dell’inizio del soggiorno avignonese dei Papi: a presiedere le cerimonie sarà l’inviato speciale di Benedetto XVI, il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura. Fu Clemente V, nel 1309, a trasferire la residenza pontificia ad Avignone, per meglio garantire la libertà della Chiesa in un periodo storico in cui a Roma l’autonomia dei Papi era in pericolo. Dopo quasi 70 anni, nel 1377, Gregorio XI decise il rientro nella sede romana. Ma qual è il significato di queste celebrazioni? Ascoltiamo il cardinale Paul Poupard al microfono di Xavier Sartre:

    R. – Direi prima di tutto la continuità - come sottolinea la lettera autografa che mi ha mandato il Santo Padre nominandomi suo inviato speciale per il VII centenario dell’inizio del soggiorno dei Pontefici Romani ad Avignone: manifestare che da Pietro, primo Vicario di Cristo in terra, a Benedetto XVI, passando attraverso Avignone, il Papato afferma la sua continuità bimillenaria.


    D. – Come spiegare da un punto di vista storico il soggiorno avignonese?


    R. - Da un punto di vista storico rappresentava la necessità, percepita dal Papa, dai cardinali e da tutti, che per garantire l’esercizio del ministero di Pietro bisognasse per il momento andare fuori da Roma, mantenendo però sempre l’idea di tornarci.


    D. – Nei libri di storia si parla spesso di “cattività avignonese”: ha ancora un senso?


    R. – Direi che oggi non ha più senso. Non si tratta di cattività, perché i Papi sono andati lì liberamente, non potendo andare altrove. La città di Avignone era molto importante perché era nell’orbita degli Stati Pontifici ed è importante ripeterlo: Avignone era vicina al regno di Francia ma non era in Francia.


    D. – Che cosa ha significato per la Chiesa questo soggiorno ad Avignone?


    R. – Per la Chiesa ha significato un momento difficile, perché non è mai normale che un vescovo sia costretto a vivere fuori dalla diocesi, soprattutto quando si tratta del vescovo di Roma. Significava che il Papato era soggetto alle vicissitudini politiche e, infatti, siamo dovuti arrivare ai nostri tempi con i Patti Lateranensi, di cui abbiamo festeggiato il mese scorso l’80.mo anniversario, che hanno assicurato l’indipendenza della Santa Sede.


    D. - Tornando ad Avignone: sono famosi gli appelli di Santa Caterina perché i Papi tornassero a Roma...


    R. – Non è che ci fosse da una parte il Papa che voleva rimanere ad Avignone e dall’altra Caterina di Siena: il Papa voleva tornare a Roma, ma c’erano delle difficoltà. Negli appelli – che ho riletto e che sono testi di fuoco - Caterina dice che non è normale che il vescovo di Roma sia fuori di Roma e che Cristo lo vuole a Roma. Infatti, quando si legge la storia, si scopre che il Papa, che ha preso la decisione di tornare a Roma, ha avuto un gran coraggio, perché l’entourage non intendeva tornare ben conoscendo la difficile situazione di Roma. Ma Santa Caterina ha avuto un ruolo spirituale importante dando il suo contributo perché quelle difficoltà fossero superate.


    D. – Cosa dice alla Chiesa di oggi quella pagina di storia?


    R. - Mi pare che dica semplicemente, ma in modo molto forte, che il detto di Gesù nel Vangelo è limpido: date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Dice, inoltre, che il Papato non deve avere un potere temporale ma spirituale, come ha detto Pio XI per la firma dei Patti Lateranensi: è necessario unicamente un lembo di terreno per poter essere agli occhi del mondo indipendenti dai poteri temporali.


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    00 06/03/2009 16:45
    Penultima giornata di esercizi spirituali in Vaticano. Mons. Valentinetti: la Quaresima, un richiamo a rivedere gli stili di vita eliminando il superfluo


    Benedetto XVI e i suoi principali collaboratori della Curia Romana hanno vissuto questa mattina la penultima giornata degli esercizi spirituali della Quaresima. Il cardinale Francis Arinze, che terrà domattina l’ultima meditazione, ha riflettuto oggi sull’annuncio della Parola di Dio e sulle conseguenze pratiche che il suo ascolto e la sua attuazione comportano. Il predicatore degli esercizi si è ispirato, fra l’altro, all’esortazione che San Paolo rivolge a Timoteo di insistere nell’annuncio “al momento opportuno e non opportuno”. Su questo richiamo Alessandro De Carolis ha chiesto una riflessione all’arcivescovo di Pescara-Penne, mons. Tommaso Valentinetti, presidente di Pax Christi:

    R. - L’apostolo Paolo vuole richiamare in maniera molto, molto pressante il discepolo Timoteo ad essere pronto ad annunciare la Parola in ogni circostanza, ovvero in quelle situazioni nelle quali sembrerebbe anche meno opportuna la Parola di Dio, non tanto come annuncio della Parola in sé quanto soprattutto come testimonianza di vita. Credo che la bellezza di una vita spesa per il Vangelo possa essere proprio in quell’annuncio a volte non opportuno, che il mondo rifiuta, ma che può essere quel segno di contraddizione, quel segno di bellezza dell’essere credenti all'interno di una storia che richiede una parola ed una testimonianza sempre più efficaci.


    D. - Un’altra frase incisiva, questa volta tratta dal Vangelo di Luca e sempre al centro della penultima giornata di esercizi spirituali del Papa, è quella di Gesù quando afferma che chi lo ascolta e mette in pratica la Parola di Dio gli è "fratello, sorella e madre": tre ruoli importanti che comportano una consapevolezza che anche fra i cristiani in pochi hanno…


    R. - Sì, ma soprattutto perché in realtà tutto questo richiama la sequela del Cristo nell’annuncio della Parola e soprattutto alla familiarità con il Signore stesso. Un annuncio che prescinda da una familiarità con il Signore non è un annuncio che esprime i contenuti più belli, più semplici e più umani che si possono vivere all’interno di una famiglia. Pensiamo alla bellezza dell’annuncio della Parola di Maria: anche se lei non parla mai nel Vangelo, sicuramente esprime con la sua vita e con la sua esistenza questa presenza del Cristo nella sua vicenda umana e spirituale. Credo che la frase, fondamentalmente, si possa interpretare in questa direzione: lo stare con Gesù come familiari, perché da ciò ne nasce quella esperienza di sequela e di annuncio che ha tutto un calore diverso di una parola detta solo per dovere o solo per professione.


    D. - Il digiuno quaresimale fa venire di più in risalto la Parola di Dio come “cibo” del quale nutrirsi. In che modo state vivendo questo aspetto particolare nella sua diocesi?


    R. - In sostanza, attraverso un richiamo all’essenzialità degli stili di vita, sia da un punto di vista del consumo del cibo, che non dovrebbe essere sprecato, ma direi anche del cibo semplicemente necessario, indispensabile per la propria vita e la propria esistenza. In altre parole, un richiamo a tutto quello che negli stili di vita può essere ridimensionato nelle nostre esistenze, perché superfluo. E forse, più che superfluo, ridimensionato in una logica di digiuno e di astinenza.


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    VATICANO: PRESTO VISITATORE APOSTOLICO PER LEGIONARI DI CRISTO (STAMPA)

    (ASCA) - Citta' del Vaticano, 6 mar

    A metterlo nero su bianco e' stato da ultimo, nella sua edizione odierna, il quotidiano argentino ''Clarin', uno dei piu' autorevoli di tutta l'America Latina: la Santa Sede starebbe per inviare un ''visitatore apostolico', ovvero un ispettore ufficiale, per valutare la situazione del movimento dei Legionari di Cristo, fondato da p. Marcial Maciel e tra la realta' piu' dinamiche e in crescita dell'intera Chiesa cattolica.
    P. Maciel, morto nel 2008 a 87 anni, era stato oggetto quando era ancora in vita, di numerose e fondate accuse di pedofilia, tanto che papa Benedetto XVI lo aveva condannato ad una vita di solitudine, preghiera e penitenza, senza pero' permettere che il processo canonico contro di lui giungesse a termine.
    Nelle ultime settimane, poi, e' giunta la notizia che p. Maciel avrebbe condotto per anni una doppia vita, con una figlia, ora 22enne, che vive in Spagna, frutto di una lunga relazione con una amante al cui mantenimento economico provvedeva lui stesso. Notizie che hanno scosso profondamente i Legionari (e il movimento laicale ad essi legato, Regnum Christi) mettendo in discussione il carisma del fondatore, centrale per l'identita' della congregazione. Un trauma cosi' forte che persino numerosi membri dei Legionari, soprattutto Oltreoceano, hanno invocato l'intervento della Santa Sede.
    Fra questi p. Thomas Berg, direttore del Westchester Institute for Ethics and the Human Person in Usa, che in una lettera pubblica ha chiesto esplicitamente l'arrivo di un visitatore apostolico. ''I superiori dei Legionari hanno fallito, e fallito miseramente, nel rispondere adeguatamente a questa crisi'', scrive. In molti infatti fanno notare che i leader della Legione, i piu' stretti collaboratori di Maciel, non abbiano potuto rimanere all'oscuro di tutto per decenni. Di fronte alle indiscrezioni su un prossimo arrivo di un visitatore, fonti dei Legionari spiegano all'ASCA che ''si tratta di informazioni in cui non viene citata una fonte ufficiale''. Si tratta quindi di ''notizie vaghe, supposizioni o illazioni''. ''Alla luce di cio' - e' la conclusione - non abbiamo altro da aggiungere a quanto abbiamo detto in passato''. E che si tratti di un ''momento doloroso'' lo conferma anche il successore di p. Maciel alla guida dei Legionari, p. Alvaro Corcuera.
    ''Stiamo vivendo - ha scritto in una lettera ai membri del movimento dell'inizio di febbraio - momenti di dolore e sofferenza; e in questo dolore, un'esperienza dell'amore infinito di Dio che ci chiede di andare avanti con pace e bonta', poiche' l'unica cosa che vuole nelle nostre vite e' che sperimentiamo la felicita' di essere suoi figli''. Senza citare colpe o reati specifici di p. Maciel, Corcuera ammetteva pero' che ''e' anche vero che e' stato un uomo e questi temi che ci hanno ferito, sorpreso stanno gia' davanti al giudizio di Dio. E' vero che c'e' molto dolore e molta pena. Come in una famiglia, queste pene ci uniscono e ci portano a soffrire e gioire come un solo corpo. Questa circostanza che viviamo ci invita a vedere tutto con molta fede, umilta' e carita'. Cosi' la mettiamo nelle mani di Dio Nostro Signore, che ci insegna il cammino della misericordia infinita''.
    Di fronte allo smarrimento e alla confusione che regnano nelle centinaia di case e istituzioni dei Legionari in tutto il mondo, e in particolare nei seminari che riescono ancora a fornire alla Chiesa cattolica decine di preziose nuove vocazioni al sacerdozio, si ritiene probabile che la Santa Sede procedera' prima o poi ad una qualche riorganizzazione del movimento.

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    Papa/ Visita Campidoglio, Alemanno gli intitola centro disagiati

    Nessun terreno sulla via Cassia in dono al Vaticano

    Roma, 6 mar. (Apcom)

    Tutto pronto in Campidoglio per la visita del Papa - la prima di Ratzinger e la terza di un Pontefice - lunedì mattina. Una trasferta di due ore che inizierà con l'accoglienza del Pontefice da parte del sindaco Gianni Alemanno, che vedrà il momento culminante nella partecipazione di Ratzinger alla seduta straordinaria del consiglio comunale, e nel saluto, dalla Loggia del Campidoglio, di Benedetto XVI ai cittadini romani.

    Per la speciale occasione, il dono del primo cittadino della capitale al Papa sarà l'intitolazione di un istituto per ragazzi disagiati a Benedetto XVI.

    Contrariamente a quanto scritto da alcuni organi di stampa, dunque, Alemanno non donerà al Papa un terreno sulla via Cassia, ma gli intitolerà un centro di formazione e assistenza per ragazzi disagiati. L'istituto sarà gestito dal Campidoglio, in coordinamento con le associazioni laiche e cattoliche impegnate nel lavoro di sostegno alle nuove generazioni. E dunque - sempre contrariamente a quanto ventilato da organi di stampa - non sarà gestito dal Vaticano.
    In una intervista alla "Radio vaticana", Alemanno ha spiegato che si tratta "di un centro di formazione che sarà intitolato proprio a Benedetto XVI" e che nelle intenzioni dell'amministrazione vuole essere "un punto per dare un segnale rispetto a quel rischio educativo, a quel problema di formazione che c'è nei confronti di tutti giovani, di tutti i ragazzi sia italiani sia non italiani".

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    CHIESA: ALEMANNO, FOLLIA ESCLUDERLA DA AGORA' POLITICO

    (ASCA) - Citta' del Vaticano, 6 mar

    La visita del pontefice in Campidoglio e' ''un esempio di dialogo tra Chiesa e istituzioni'', perche' ''la Chiesa non puo' non entrare nell'agora' politico''. Lo ha detto questa mattina il sindaco di Roma Gianni Alemanno, intervistato dalla Radio Vaticana in vista della visita di lunedi' prossimo di papa Benedetto XVI in Campidoglio. ''E' una follia pensare - ha detto -, come fa il fronte laicista, di poter tenere fuori questi valori e questi principi dall'agora' democratico. Poi, naturalmente, c'e' il riscontro democratico, le elezioni, il processo di costituzione delle leggi, il libero convincimento delle persone''.

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    PIO XII: CONVEGNO A YAD VASHEM IN VISTA VISITA PAPA

    (ASCA) - Citta' del Vaticano, 6 mar

    Il museo dell'Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme organizza per i prossimi 8 e 9 marzo un incontro di studio sulla figura di papa Pio XII, nel 50.esimo anniversario della sua morte. Il convegno cade in vista dell'annunciato, ma ancora privo di conferma ufficiale, viaggio di papa Benedetto XVI in Israele, che dovrebbe prevedere una visita a Yad Vashem.
    Il museo dell'Olocausto, pero', ospita, all'interno del proprio allestimento, una didascalia che critica il silenzio di papa Pacelli di fronte alla Shoah, che viene fortemente contestata da parte cattolica.

    L'incontro potrebbe aprire le porte ad una revisione della didascalia o ad un qualche impegno da parte israeliana che permetta al pontefice di visitare Yad Vashem senza incidenti diplomatici.

    In Vaticano, come noto, la pratica per la beatificazione di Pio XII e' in stato molto avanzato, malgrado le aspre critiche da parte ebraica.
    La sessione di apertura dell'incontro di studio sara' inaugurata da Avner Shalev, Presidente del Comitato Direttivo di Yad Vashem e da mons. Antonio Franco, Nunzio Apostolico in Israele. Don Roberto Spataro, per lo Studium Theologicum Salesianum, e la Dottoressa Iael Orvieto, per Yad Vashem modereranno le conversazioni. Al convegno parteciperanno, tra gli altri, studiosi e pubblicisti come Sergio Minerbi, Paul Oshea, Michael Phayer, Susan Zuccotti,Thomas Brechenmacher, Jean-Dominque Durand, Grazia Loparco, Matteo Luigi Napolitano, Andrea Tornielli.
    Scopo dell'incontro e' valutare lo stato attuale della ricerca su Papa Pio XII e l'Olocausto, anche alla luce di alcuni nuovi ritrovamenti e studi che metterebbero in luce l'impegno discreto e silenzio di papa Pio XII per proteggere gli ebrei che si rivolgevano ai conventi e alla chiese durante l'occupazione nazista di Roma.

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