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Il Patriarca maronita della pace in Libano rinuncia a 90 anni
Lettera del Papa per ringraziarlo per una vita al servizio della Chiesa



CITTA' DEL VATICANO, domenica, 27 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha riconosciuto il contributo alla pace in Libano del Cardinale Nasrallah Pierre Sfeir, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, in una lettera scritta accettando la sua rinuncia a 90 anni di età.

Il messaggio ricorda anche il culmine delle celebrazioni del 1.600° anniversario della morte di San Marone, il monaco anacoreta siriano fondatore del famoso monastero che ha dato origine alla Chiesa maronita, di rito orientale, che è sempre stata in comunione con la Santa Sede.

“Lei ha scelto di rinunciare all’ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti in questa circostanza molto particolare. Ora accetto la sua decisione libera e generosa, che è espressione di grande umiltà e profondo distacco”, afferma il Papa nella lettera, un fatto poco comune nei documenti pontifici.

Ricordando la sua vita al servizio della Chiesa, il Pontefice constata che Sua Beatitudine Nasrallah Pierre Sfeir ha iniziato il suo ministero di Patriarca di Antiochia dei Maroniti “nella tormenta della guerra che ha insanguinato il Libano per troppo tempo”.

“È con l’ardente desiderio di pace per il suo Paese che ha guidato questa Chiesa e percorso il mondo per consolare il suo popolo costretto a emigrare. Infine, la pace è ritornata, sempre fragile, ma sempre attuale”, constata.

Come vicario dei due Patriarchi precedenti, il Cardinale Sfeir è diventato la voce più potente a favore della pace durante la guerra civile libanese (1975-1990), nonché della giustizia sociale e dei più bisognosi.








Il Papa invita “alla fiducia nell’indefettibile amore di Dio”
Intervento in occasione dell'Angelus domenicale



CITTA' DEL VATICANO, domenica, 27 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Le letture proposte dalla liturgia di questa domenica (Is 49, 14-15, 1 Cor 4, 1-5 e Mt 6,24-34) sono un “invito alla fiducia nell'indefettibile amore di Dio”, ha ricordato questa domenica Papa Benedetto XVI rivolgendosi ai fedeli e ai pellegrini che si erano riuniti in Piazza San Pietro per recitare con lui la preghiera mariana dell'Angelus.

Nel brano evangelico di Matteo, infatti, “Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella Provvidenza del Padre celeste, il quale nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e conosce ogni nostra necessità”.

“Di fronte alla situazione di tante persone, vicine e lontane, che vivono in miseria, questo discorso di Gesù potrebbe apparire poco realistico, se non evasivo”, ha riconosciuto il Pontefice.

“In realtà – ha indicato –, il Signore vuole far capire con chiarezza che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza”.

“Chi crede in Dio, Padre pieno d’amore per i suoi figli, mette al primo posto la ricerca del suo Regno, della sua volontà. E ciò è proprio il contrario del fatalismo o di un ingenuo irenismo”.

“La fede nella Provvidenza, infatti, non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani”.

“E’ chiaro”, ha sottolineato Benedetto XVI, che questo insegnamento di Gesù, “pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, viene praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni”.

“In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù”, perché “è proprio la relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione”.

Gesù, infatti, “ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio”.

In questo contesto, il Papa ha invitato a invocare la Vergine Maria con il titolo di Madre della Divina Provvidenza.

“A lei affidiamo la nostra vita, il cammino della Chiesa, le vicende della storia”, ha concluso. “In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti impariamo a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato, che Dio ha affidato alla nostra custodia”.
















Benedetto XVI: “l'aborto non risolve nulla”
Udienza ai partecipanti all'Assemblea Generale della PAV



CITTA' DEL VATICANO, domenica, 27 febbraio 2011 (ZENIT.org).- In una società caratterizzata spesso dall'“eclissi del senso della vita”, Papa Benedetto XVI ha ribadito ancora una volta che “l'aborto non risolve nulla”, creando invece gravissimi problemi a tutte le persone coinvolte.

Il Pontefice ha ricevuto questo sabato mattina in udienza i partecipanti alla XVII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita (PAV), sottolineando l'“inganno” nel quale viene indotta “la coscienza di molte donne che pensano di trovare nell’aborto la soluzione a difficoltà familiari, economiche, sociali, o a problemi di salute del loro bambino”.

“Specialmente in quest’ultima situazione, la donna viene spesso convinta, a volte dagli stessi medici, che l’aborto rappresenta non solo una scelta moralmente lecita, ma persino un doveroso atto 'terapeutico' per evitare sofferenze al bambino e alla sua famiglia, e un 'ingiusto' peso alla società”, ha rilevato.

“Su uno sfondo culturale caratterizzato dall’eclissi del senso della vita, in cui si è molto attenuata la comune percezione della gravità morale dell’aborto e di altre forme di attentati contro la vita umana, si richiede ai medici una speciale fortezza per continuare ad affermare che l’aborto non risolve nulla, ma uccide il bambino, distrugge la donna e acceca la coscienza del padre del bambino, rovinando, spesso, la vita famigliare”.

Questo compito, ha sottolineato, non riguarda ad ogni modo “solo la professione medica e gli operatori sanitari”.

È infatti necessario che “la società tutta si ponga a difesa del diritto alla vita del concepito e del vero bene della donna, che mai, in nessuna circostanza, potrà trovare realizzazione nella scelta dell’aborto”.

Allo stesso modo, bisogna “non far mancare gli aiuti necessari alle donne che, avendo purtroppo già fatto ricorso all’aborto, ne stanno ora sperimentando tutto il dramma morale ed esistenziale”.

In questo contesto, il Papa ha ricordato le molteplici iniziative, “a livello diocesano o da parte di singoli enti di volontariato”, che offrono “sostegno psicologico e spirituale, per un recupero umano pieno”.

“La solidarietà della comunità cristiana non può rinunciare a questo tipo di corresponsabilità”, ha sottolineato.

Coscienza morale

La questione dell'aborto, ha proseguito Benedetto XVI, interpella la coscienza morale dell'individuo.

Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1778), la coscienza morale è quel “giudizio della ragione, mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto”.

È infatti compito della coscienza morale “discernere il bene dal male nelle diverse situazioni dell’esistenza, affinché, sulla base di questo giudizio, l’essere umano possa liberamente orientarsi al bene”.

“A quanti vorrebbero negare l’esistenza della coscienza morale nell’uomo, riducendo la sua voce al risultato di condizionamenti esterni o ad un fenomeno puramente emotivo, è importante ribadire che la qualità morale dell’agire umano non è un valore estrinseco oppure opzionale e non è neppure una prerogativa dei cristiani o dei credenti, ma accomuna ogni essere umano”, ha indicato il Pontefice.

“Nella coscienza morale Dio parla a ciascuno e invita a difendere la vita umana in ogni momento. In questo legame personale con il Creatore sta la dignità profonda della coscienza morale e la ragione della sua inviolabilità”.

“Anche quando l’uomo rifiuta la verità e il bene che il Creatore gli propone, Dio non lo abbandona, ma, proprio attraverso la voce della coscienza, continua a cercarlo e a parlargli, affinché riconosca l’errore e si apra alla Misericordia divina, capace di sanare qualsiasi ferita”.

Promuovere la ricerca

Un altro argomento importante affrontato nell'Assemblea Plenaria della PAV è stato “l’utilizzo delle banche del cordone ombelicale, a scopo clinico e di ricerca.”

E' in gioco il valore e quindi l'impegno della ricerca medico-scientifica “non solo per i ricercatori, ma per l’intera comunità civile”, e da ciò scaturisce “il dovere di promozione di ricerche eticamente valide da parte delle istituzioni e il valore della solidarietà dei singoli nella partecipazione a ricerche volte a promuovere il bene comune”.

Nel caso dell’impiego delle cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale, ha riconosciuto il Pontefice, “si tratta di applicazioni cliniche importanti e di ricerche promettenti sul piano scientifico, ma che nella loro realizzazione molto dipendono dalla generosità nella donazione del sangue cordonale al momento del parto e dall’adeguamento delle strutture, per rendere attuativa la volontà di donazione da parte delle partorienti”.

Per questo, ha invitato i presenti a farsi “promotori di una vera e consapevole solidarietà umana e cristiana”.

In questo contesto, ha ricordato che “molti ricercatori medici guardano giustamente con perplessità al crescente fiorire di banche private per la conservazione del sangue cordonale ad esclusivo uso autologo”, opzione che, “oltre ad essere priva di una reale superiorità scientifica rispetto alla donazione cordonale, indebolisce il genuino spirito solidaristico che deve costantemente animare la ricerca di quel bene comune a cui, in ultima analisi, la scienza e la ricerca mediche tendono”.

Per questa ragione, ha concluso augurando ai presenti di mantenere “sempre vivo lo spirito di autentico servizio che rende le menti e i cuori sensibili a riconoscere i bisogni degli uomini nostri contemporanei”.