00 04/11/2010 15:30
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ALL’ARCIVESCOVO DI MILANO IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO DELLA CANONIZZAZIONE DI SAN CARLO BORROMEO


Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato all’Arcivescovo di Milano, Em.mo Card. Dionigi Tettamanzi, in occasione della celebrazione del IV Centenario della Canonizzazione di San Carlo Borromeo:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al venerato Fratello

Cardinale DIONIGI TETTAMANZI

Arcivescovo di Milano

Lumen caritatis. La luce della carità di san Carlo Borromeo ha illuminato tutta la Chiesa e, rinnovando i prodigi dell’amore di Cristo, nostro Sommo ed Eterno Pastore, ha portato nuova vita e nuova giovinezza al gregge di Dio, che attraversava tempi dolorosi e difficili. Per questo mi unisco con tutto il cuore alla gioia dell’Arcidiocesi ambrosiana nel commemorare il quarto centenario della canonizzazione di questo grande Pastore, avvenuta il 1° novembre 1610.

1. L’epoca in cui visse Carlo Borromeo fu assai delicata per la Cristianità. In essa l’Arcivescovo di Milano diede un esempio splendido di che cosa significhi operare per la riforma della Chiesa. Molti erano i disordini da sanzionare, molti gli errori da correggere, molte le strutture da rinnovare; e tuttavia san Carlo si adoperò per una profonda riforma della Chiesa, iniziando dalla propria vita. È nei confronti di se stesso, infatti, che il giovane Borromeo promosse la prima e più radicale opera di rinnovamento. La sua carriera era avviata in modo promettente secondo i canoni di allora: per il figlio cadetto della nobile famiglia Borromeo si prospettava un futuro di agi e di successi, una vita ecclesiastica ricca di onori, ma priva di incombenze ministeriali; a ciò si aggiungeva anche la possibilità di assumere la guida della famiglia dopo la morte improvvisa del fratello Federico.

Eppure, Carlo Borromeo, illuminato dalla Grazia, fu attento alla chiamata con cui il Signore lo attirava a sé e lo voleva consacrare al servizio del suo popolo. Così fu capace di operare un distacco netto ed eroico dagli stili di vita che erano caratteristici della sua dignità mondana, e di dedicare tutto se stesso al servizio di Dio e della Chiesa. In tempi oscurati da numerose prove per la Comunità cristiana, con divisioni e confusioni dottrinali, con l’annebbiamento della purezza della fede e dei costumi e con il cattivo esempio di vari sacri ministri, Carlo Borromeo non si limitò a deplorare o a condannare, né semplicemente ad auspicare l’altrui cambiamento, ma iniziò a riformare la sua propria vita, che, abbandonate le ricchezze e le comodità, divenne ricolma di preghiera, di penitenza e di amorevole dedizione al suo popolo. San Carlo visse in maniera eroica le virtù evangeliche della povertà, dell’umiltà e della castità, in un continuo cammino di purificazione ascetica e di perfezione cristiana.

Egli era consapevole che una seria e credibile riforma doveva cominciare proprio dai Pastori, affinché avesse effetti benefici e duraturi sull’intero Popolo di Dio. In tale azione di riforma seppe attingere alle sorgenti tradizionali e sempre vive della santità della Chiesa cattolica: la centralità dell’Eucaristia, nella quale riconobbe e ripropose la presenza adorabile del Signore Gesù e del suo Sacrificio d’amore per la nostra salvezza; la spiritualità della Croce, come forza rinnovatrice, capace di ispirare l’esercizio quotidiano delle virtù evangeliche; l’assidua frequenza ai Sacramenti, nei quali accogliere con fede l’azione stessa di Cristo che salva e purifica la sua Chiesa; la Parola di Dio, meditata, letta e interpretata nell’alveo della Tradizione; l’amore e la devozione per il Sommo Pontefice, nell’obbedienza pronta e filiale alle sue indicazioni, come garanzia di vera e piena comunione ecclesiale.

Dalla sua vita santa e conformata sempre più a Cristo nasce anche la straordinaria opera di riforma che san Carlo attuò nelle strutture della Chiesa, in totale fedeltà al mandato del Concilio di Trento. Mirabile fu la sua opera di guida del Popolo di Dio, di meticoloso legislatore, di geniale organizzatore. Tutto questo, però, traeva forza e fecondità dall’impegno personale di penitenza e di santità. In ogni tempo, infatti, è questa l’esigenza primaria e più urgente nella Chiesa: che ogni suo membro si converta a Dio. Anche ai nostri giorni non mancano alla Comunità ecclesiale prove e sofferenze, ed essa si mostra bisognosa di purificazione e di riforma. L’esempio di san Carlo ci sproni a partire sempre da un serio impegno di conversione personale e comunitaria, a trasformare i cuori, credendo con ferma certezza nella potenza della preghiera e della penitenza. Incoraggio in modo particolare i sacri ministri, presbiteri e diaconi, a fare della loro vita un coraggioso cammino di santità, a non temere l’ebbrezza di quell’amore fiducioso a Cristo per cui il Vescovo Carlo fu disposto a dimenticare se stesso e a lasciare ogni cosa. Cari fratelli nel ministero, la Chiesa ambrosiana possa trovare sempre in voi una fede limpida e una vita sobria e pura, che rinnovino l’ardore apostolico che fu di sant’Ambrogio, di san Carlo e di tanti vostri santi Pastori!

2. Durante l’episcopato di san Carlo, tutta la sua vasta Diocesi si sentì contagiata da una corrente di santità che si propagò al popolo intero. In che modo questo Vescovo, così esigente e rigoroso, riuscì ad affascinare e conquistare il popolo cristiano? È facile rispondere: san Carlo lo illuminò e lo trascinò con l’ardore della sua carità. "Deus caritas est", e dove c’è l’esperienza viva dell’amore, lì si rivela il volto profondo di Dio che ci attira e ci fa suoi.

Quella di san Carlo Borromeo fu anzitutto la carità del Buon Pastore, che è disposto a donare totalmente la propria vita per il gregge affidato alle sue cure, anteponendo le esigenze e i doveri del ministero ad ogni forma di interesse personale, comodità o tornaconto. Così l’Arcivescovo di Milano, fedele alle indicazioni tridentine, visitò più volte l’immensa Diocesi fin nei luoghi più remoti, si prese cura del suo popolo nutrendolo continuamente con i Sacramenti e con la Parola di Dio, mediante una ricca ed efficace predicazione; non ebbe mai timore di affrontare avversità e pericoli per difendere la fede dei semplici e i diritti dei poveri.

San Carlo fu riconosciuto, poi, come vero padre amorevole dei poveri. La carità lo spinse a spogliare la sua stessa casa e a donare i suoi stessi beni per provvedere agli indigenti, per sostenere gli affamati, per vestire e dare sollievo ai malati. Fondò istituzioni finalizzate all’assistenza e al recupero delle persone bisognose; ma la sua carità verso i poveri e i sofferenti rifulse in modo straordinario durante la peste del 1576, quando il santo Arcivescovo volle rimanere in mezzo al suo popolo, per incoraggiarlo, per servirlo e per difenderlo con le armi della preghiera, della penitenza e dell’amore.

La carità, inoltre, spinse il Borromeo a farsi autentico e intraprendente educatore. Lo fu per il suo popolo con le scuole della dottrina cristiana. Lo fu per il clero con l’istituzione dei seminari. Lo fu per i bambini e i giovani con particolari iniziative loro rivolte e con l’incoraggiamento a fondare congregazioni religiose e confraternite laicali dedite alla formazione dell’infanzia e della gioventù.

Sempre la carità fu la motivazione profonda delle asprezze con cui san Carlo viveva il digiuno, la penitenza e la mortificazione. Per il santo Vescovo non si trattava solo di pratiche ascetiche rivolte alla propria perfezione spirituale, ma di un vero strumento di ministero per espiare le colpe, invocare la conversione dei peccatori e intercedere per i bisogni dei suoi figli.

In tutta la sua esistenza possiamo dunque contemplare la luce della carità evangelica, la carità longanime, paziente e forte che "tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1Cor 13,7). Rendo grazie a Dio perché la Chiesa di Milano è sempre stata ricca di vocazioni particolarmente consacrate alla carità; lodo il Signore per gli splendidi frutti di amore ai poveri, di servizio ai sofferenti e di attenzione ai giovani di cui può andare fiera. L’esempio e la preghiera di san Carlo vi ottengano di essere fedeli a questa eredità, così che ogni battezzato sappia vivere nella società odierna quella profezia affascinante che è, in ogni epoca, la carità di Cristo vivente in noi.

3. Non si potrebbe comprendere, però, la carità di san Carlo Borromeo se non si conoscesse il suo rapporto di amore appassionato con il Signore Gesù. Questo amore egli lo ha contemplato nei santi misteri dell’Eucaristia e della Croce, venerati in strettissima unione con il mistero della Chiesa. L’Eucaristia e il Crocifisso hanno immerso san Carlo nella carità di Cristo, e questa ha trasfigurato e acceso di ardore tutta la sua vita, ha riempito le notti passate in preghiera, ha animato ogni sua azione, ha ispirato le solenni liturgie celebrate con il popolo, ha commosso il suo animo fino a indurlo sovente alle lacrime.

Lo sguardo contemplativo al santo Mistero dell’Altare e al Crocifisso risvegliava in lui sentimenti di compassione per le miserie degli uomini e accendeva nel suo cuore l’ansia apostolica di portare a tutti l’annuncio evangelico. D’altra parte, ben sappiamo che non c’è missione nella Chiesa che non sgorghi dal "rimanere" nell’amore del Signore Gesù, reso presente a noi nel Sacrificio eucaristico. Mettiamoci alla scuola di questo grande Mistero! Facciamo dell’Eucaristia il vero centro delle nostre comunità e lasciamoci educare e plasmare da questo abisso di carità! Ogni opera apostolica e caritativa prenderà vigore e fecondità da questa sorgente!

4. La splendida figura di san Carlo mi suggerisce un’ultima riflessione rivolta, in particolare, ai giovani. La storia di questo grande Vescovo, infatti, è tutta decisa da alcuni coraggiosi "sì" pronunciati quando era ancora molto giovane. A soli 24 anni egli prese la decisione di rinunciare a guidare la famiglia per rispondere con generosità alla chiamata del Signore; l’anno successivo accolse come una vera missione divina l’ordinazione sacerdotale e quella episcopale. A 27 anni prese possesso della Diocesi ambrosiana e dedicò tutto se stesso al ministero pastorale. Negli anni della sua giovinezza, san Carlo comprese che la santità era possibile e che la conversione della sua vita poteva vincere ogni abitudine avversa. Così egli fece della sua giovinezza un dono d’amore a Cristo e alla Chiesa, diventando un gigante della santità di tutti i tempi.

Cari giovani, lasciate che vi rinnovi questo appello che mi sta molto a cuore: Dio vi vuole santi, perché vi conosce nel profondo e vi ama di un amore che supera ogni umana comprensione. Dio sa che cosa c’è nel vostro cuore e attende di vedere fiorire e fruttificare quel meraviglioso dono che ha posto in voi. Come san Carlo, anche voi potete fare della vostra giovinezza un’offerta a Cristo e ai fratelli. Come lui, potete decidere, in questa stagione della vostra vita, di "scommettere" su Dio e sul Vangelo. Voi, cari giovani, non siete solo la speranza della Chiesa; voi fate già parte del suo presente! E se avrete l’audacia di credere alla santità, sarete il tesoro più grande della vostra Chiesa ambrosiana, che si è edificata sui Santi.

Con gioia Le affido, venerato Fratello, queste riflessioni, e, mentre invoco la celeste intercessione di san Carlo Borromeo e la costante protezione di Maria Santissima, di cuore imparto a Lei e all’intera Arcidiocesi una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1° novembre 2010, IV Centenario della Canonizzazione di san Carlo Borromeo.

BENEDICTUS PP. XVI











MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE IN OCCASIONE DELL’ASSEMBLEA PLENARIA


Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace, l’Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, in occasione dell’Assemblea Plenaria del medesimo Dicastero:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Venerato Fratello
il Cardinale PETER KODWO APPIAH TURKSON
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

1. In occasione dell'Assemblea Plenaria, desidero anzitutto ringraziare il Dicastero per il suo molteplice impegno nell'aiutare tutta la Chiesa, particolarmente questa Sede Apostolica, in una rinnovata evangelizzazione del sociale, agli inizi del terzo millennio. Non solo le singole persone, ma i popoli e la grande famiglia umana attendono - a fronte di ingiustizie e forti diseguaglianze - parole di speranza, pienezza di vita, l'indicazione di Colui che può salvare l'umanità dai suoi mali radicali.

2. Come ricordavo nella mia Enciclica Caritas in veritate - seguendo le orme del Servo di Dio Paolo VI - l'annuncio di Gesù Cristo è "il primo e principale fattore di sviluppo" (n. 8). Grazie ad esso, infatti, si può camminare sulla strada della crescita umana integrale con l'ardore della carità e la sapienza della verità in un mondo in cui, sovente, la menzogna insidia l'uomo, la società, la condivisione. E' vivendo la "carità nella verità" che possiamo offrire uno sguardo più profondo per comprendere le grandi questioni sociali e indicare alcune prospettive essenziali per la loro soluzione in senso pienamente umano. Solo con la carità, sostenuta dalla speranza e illuminata dalla luce della fede e della ragione, è possibile conseguire obiettivi di liberazione integrale dell'uomo e di giustizia universale. La vita delle comunità e dei singoli credenti, alimentata dall'assidua meditazione della Parola di Dio, dalla regolare partecipazione ai Sacramenti e dalla comunione con la Sapienza che viene dall'alto, cresce nella sua capacità di profezia e di rinnovamento delle culture e delle istituzioni pubbliche. Gli ethos dei popoli possono così godere di un fondamento veramente solido, che rafforza il consenso sociale e sostanzia le regole procedurali. L'impegno di costruzione della città poggia su coscienze guidate dall'amore a Dio e, per questo, naturalmente orientate verso l'obiettivo di una vita buona, strutturata sul primato della trascendenza. "Caritas in veritate in re sociali": così mi è parso opportuno descrivere la dottrina sociale della Chiesa (cfr. ibid., n. 5), secondo il suo radicamento più autentico - Gesù Cristo, la vita trinitaria che Egli ci dona - e secondo tutta la sua forza capace di trasfigurare la realtà. Abbiamo bisogno di questo insegnamento sociale, per aiutare le nostre civiltà e la nostra stessa ragione umana a cogliere tutta la complessità del reale e la grandezza della dignità di ogni persona. Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa aiuta, proprio in questo senso, a intravedere la ricchezza della sapienza che viene dall'esperienza di comunione con lo Spirito di Dio e di Cristo e dall'accoglienza sincera del Vangelo.

3. Nell'Enciclica Caritas in veritate ho accennato a problemi fondamentali che toccano il destino dei popoli e delle istituzioni mondiali, nonché della famiglia umana. L'ormai prossimo anniversario dell'Enciclica Mater et magistra del Beato Giovanni XXIII ci sollecita a considerare con costante attenzione gli squilibri sociali, settoriali, nazionali, quelli tra risorse e popolazioni povere, tra tecnica ed etica. Nell'attuale contesto di globalizzazione, tali squilibri non sono affatto scomparsi. Sono mutati i soggetti, le dimensioni delle problematiche, ma il coordinamento tra gli Stati – spesso inadeguato, perché orientato alla ricerca di un equilibrio di potere, piuttosto che alla solidarietà - lascia spazio a rinnovate disuguaglianze, al pericolo del predominio di gruppi economici e finanziari che dettano - ed intendono continuare a farlo - l'agenda della politica, a danno del bene comune universale.

4. Rispetto ad una questione sociale sempre più interconnessa nei suoi svariati ambiti, appare di particolare urgenza l'impegno nella formazione del laicato cattolico alla dottrina sociale della Chiesa. Infatti è proprio dei fedeli laici il dovere immediato di lavorare per un ordine sociale giusto. Essi, quali cittadini liberi e responsabili, debbono impegnarsi per promuovere una retta configurazione della vita sociale, nel rispetto della legittima autonomia delle realtà terrene. La dottrina sociale della Chiesa rappresenta così il riferimento essenziale per la progettualità e la azione sociale dei fedeli laici, nonché per una loro spiritualità vissuta, che si nutra e s'inquadri nella comunione ecclesiale: comunione di amore e di verità, comunione nella missione.

5. I christifideles laici, però, proprio perché traggono energie ed ispirazione dalla comunione con Gesù Cristo, vivendo integrati con le altre componenti ecclesiali, debbono trovare al loro fianco sacerdoti e Vescovi capaci di offrire un’instancabile opera di purificazione delle coscienze, insieme con un indispensabile sostegno e aiuto spirituale alla coerente testimonianza laicale nel sociale. Perciò, è di fondamentale importanza una comprensione profonda della dottrina sociale della Chiesa, in armonia con tutto il suo patrimonio teologico e fortemente radicata nell’affermazione della dignità trascendente dell’uomo, nella difesa della vita umana sin dal suo concepimento fino alla morte naturale e della libertà religiosa. Così compresa, la dottrina sociale deve essere inserita anche nella preparazione pastorale e culturale di coloro che, nella comunità ecclesiale, sono chiamati al sacerdozio. E' necessario preparare fedeli laici capaci di dedicarsi al bene comune, specie negli ambiti più complessi come il mondo della politica, ma è urgente anche avere Pastori che, con il loro ministero e carisma, sappiano contribuire all’animazione e all’irradiazione, nella società e nelle istituzioni, di una vita buona secondo il Vangelo, nel rispetto della libertà responsabile dei fedeli e del loro proprio ruolo di Pastori, che in questi ambiti hanno una responsabilità mediata. La già citata Mater et magistra proponeva, circa 50 anni fa, una vera e propria mobilitazione, secondo carità e verità, da parte di tutte le associazioni, i movimenti, le organizzazioni cattoliche e d'ispirazione cristiana, affinché tutti i fedeli, con impegno, libertà e responsabilità, studiassero, diffondessero e attuassero la dottrina sociale della Chiesa.

6. Il mio augurio, pertanto, è che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace continui nella sua opera di aiuto alla comunità ecclesiale e a tutte le sue componenti. Il Dicastero continui dunque quest'opera non solo nell'elaborazione di sempre nuovi aggiornamenti della dottrina sociale della Chiesa, ma anche nella loro sperimentazione, con quel metodo di discernimento che ho indicato nella Caritas in veritate, secondo la quale, vivendo nella comunione di Gesù Cristo e tra noi, siamo "trovati" sia dalla Verità della salvezza, sia dalla verità di un mondo che non è creato da noi, ma è stato dato a tutti come casa da condividere nella fraternità. Al fine di globalizzare la dottrina sociale della Chiesa sembra opportuno che crescano Centri e Istituti per lo studio, la diffusione e l'attuazione di essa in tutto il mondo.

7. Dopo la promulgazione del Compendio e dell’Enciclica Caritas in veritate, è naturale che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sia dedito all'approfondimento degli elementi di novità e, in collaborazione con altri soggetti, alla ricerca delle vie più adatte alla veicolazione dei contenuti della dottrina sociale, non solo nei tradizionali itinerari formativi ed educativi cristiani di ogni ordine e grado, ma anche nei grandi centri di formazione del pensiero mondiale - quali i grandi organi della stampa laica, le università e i numerosi centri di riflessione economica e sociale - che negli ultimi tempi si sono sviluppati in ogni angolo del mondo.

8. La Vergine Maria, onorata dal popolo cristiano come Speculum iustitiae e Regina pacis, ci protegga e ci ottenga con la sua celeste intercessione la forza, la speranza e la gioia necessarie perché continuiamo a dedicarci con generosità alla realizzazione di una nuova evangelizzazione del sociale.

Nel esprimere ancora una volta il mio ringraziamento per l'opera che svolge il Dicastero in tutte le sue componenti, auspico un fruttuoso lavoro e ben volentieri imparto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 3 novembre 2010

BENEDICTUS PP. XVI












MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DEL SEMINARIO SAN CARLOS Y SAN AMBROSIO A LA HABANA (CUBA)


Ieri, 3 novembre 2010, a La Habana ha avuto luogo l’inaugurazione del nuovo Seminario Cattolico "San Carlos y San Ambrosio", presieduta dall’Arcivescovo di San Cristóbal de La Habana, Em.mo Card. Jaime Lucas Ortega y Alamino, alla presenza del Presidente della Repubblica di Cuba S.E. il Signor Raúl Castro, del Presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici di Cuba (C.O.C.C.), S.E. Mons. Dionisio Guillermo García Ibáñez, e di numerose Autorità politiche, civili ed ecclesiali.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato all’Arcivescovo di San Cristóbal de La Habana, Em.mo Card. Jaime Lucas Ortega y Alamino, tramite il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

SEÑOR CARDENAL JAIME LUCAS ORTEGA Y ALAMINO

ARZOBISPO DE SAN CRISTÓBAL DE LA HABANA

AL ABRIRSE LA NUEVA SEDE DEL SEMINARIO ARQUIDIOCESANO SAN CARLOS Y SAN AMBROSIO, DE LA HABANA, SU SANTIDAD BENEDICTO XVI SALUDA CORDIALMENTE A LOS PASTORES Y FIELES CONGREGADOS EN ESA FELIZ CIRCUNSTANCIA, ASÍ COMO A LOS FORMADORES Y SEMINARISTAS, PIDIENDO A DIOS QUE ESTE ACTO SOLEMNE SEA AL MISMO TIEMPO SIGNO Y ALICIENTE DE UN RENOVADO VIGOR EN EL COMPROMISO DE VELAR POR UNA ESMERADA PREPARACIÓN HUMANA, ESPIRITUAL Y ACADÉMICA DE LOS QUE EN ESA INSTITUCIÓN CAMINAN HACIA EL MINISTERIO SACERDOTAL. ASIMISMO, EL PAPA LOS INVITA A IDENTIFICARSE CADA DÍA MÁS CON LOS SENTIMIENTOS DE CRISTO, BUEN PASTOR, POR MEDIO DE LA ORACIÓN ASIDUA, LA SERIA APLICACIÓN AL ESTUDIO, LA ESCUCHA HUMILDE DE SU DIVINA PALABRA, LA DIGNA CELEBRACIÓN DE LOS SACRAMENTOS Y EL TESTIMONIO AUDAZ DE SU AMOR COMO AUTÉNTICOS DISCÍPULOS Y MISIONEROS DEL EVANGELIO DE LA SALVACIÓN.

CON ESTOS VIVOS DESEOS, EL SANTO PADRE, A LA VEZ QUE CONFÍA A TODA LA COMUNIDAD DE ESA INSTITUCIÓN DOCENTE A LA PROTECCIÓN DE LA SANTÍSIMA VIRGEN MARÍA, QUE BAJO EL TÍTULO DE NUESTRA SEÑORA DE LA CARIDAD DEL COBRE ES INVOCADA CON FERVOR EN LA AMADA NACIÓN CUBANA, LES IMPARTE DE CORAZÓN UNA ESPECIAL BENDICIÓN APOSTÓLICA, QUE COMPLACIDO EXTIENDE A TODOS LOS QUE GENEROSAMENTE HAN CONTRIBUIDO A LA CONSTRUCCIÓN DEL NUEVO EDIFICIO Y A LOS PARTICIPANTES EN LA CELEBRACIÓN INAUGURAL.

CARDENAL TARCISIO BERTONE

SECRETARIO DE ESTADO DE SU SANTIDAD







RINUNCE E NOMINE




RINUNCIA DEL VESCOVO DI PARAKOU (BENIN)

In data 3 novembre 2010, il Santo Padre Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Parakou (Benin), presentata da S.E. Mons. Fidèle Agbatchi, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.



RINUNCIA DELL’ARCIVESCOVO DI PARANÁ (ARGENTINA) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Paraná (Argentina), presentata da S.E. Mons. Mario Luis Bautista Maulión, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Arcivescovo di Paraná (Argentina) S.E. Mons. Juan Alberto Puiggari, finora Vescovo di Mar del Plata.

S.E. Mons. Juan Alberto Puiggari

S.E. Mons. Juan Alberto Puiggari è nato a Buenos Aires il 21 novembre 1949. Ha frequentato i corsi di Filosofia presso l’Università Cattolica della Capitale ed è entrato poi nel Seminario di Paraná per gli studi di Teologia.
È stato ordinato sacerdote il 13 novembre 1976 nella cattedrale di Paraná per quell’arcidiocesi, dove ha lavorato sempre in Seminario.
Il 20 febbraio 1998 è stato nominato Vescovo titolare di Turuzi ed Ausiliare di Paraná, ed ha ricevuto la consacrazione l’8 maggio successivo.
Il 7 giugno 2003 è stato trasferito a Mar del Plata, diocesi della quale prese possesso il 10 agosto 2003.
In seno alla Conferenza Episcopale è membro della Commissione per l’Ecumenismo. È licenziato in Filosofia presso l’Università Cattolica Argentina.



NOMINA DELL’ARCIVESCOVO DI DAEGU (COREA)

Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Daegu (Corea) S.E. Mons. Thaddeus Cho Hwan-kil, finora Vescovo Ausiliare ed Amministratore diocesano della medesima Sede Metropolitana.













SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E VESCOVI DEFUNTI NEL CORSO DELL’ANNO


Alle ore 11.30 di questa mattina, all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione Eucaristica in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi defunti nel corso dell’anno.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,

cari fratelli e sorelle!

«Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù». Le parole che abbiamo ascoltato poc’anzi nella seconda lettura (Col 3,1-4) ci invitano ad elevare lo sguardo alle realtà celesti. Infatti, con l’espressione «le cose di lassù» san Paolo intende il Cielo, poiché aggiunge: «dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio». L’Apostolo intende riferirsi alla condizione dei credenti, di coloro che sono «morti» al peccato e la cui vita «è ormai nascosta con Cristo in Dio». Essi sono chiamati a vivere quotidianamente nella signoria di Cristo, principio e compimento di ogni loro azione, testimoniando la vita nuova che è stata loro donata nel Battesimo. Questo rinnovamento in Cristo avviene nell’intimo della persona: mentre continua la lotta contro il peccato, è possibile progredire nella virtù, cercando di dare una risposta piena e pronta alla Grazia di Dio.

Per antitesi, l’Apostolo segnala poi «le cose della terra», evidenziando così che la vita in Cristo comporta una «scelta di campo», una radicale rinuncia a tutto ciò che – come zavorra – tiene l’uomo legato alla terra, corrompendo la sua anima. La ricerca delle «cose di lassù» non vuol dire che il cristiano debba trascurare i propri obblighi e compiti terreni, soltanto non deve smarrirsi in essi, come se avessero un valore definitivo. Il richiamo alle realtà del Cielo è un invito a riconoscere la relatività di ciò che è destinato a passare, a fronte di quei valori che non conoscono l'usura del tempo. Si tratta di lavorare, di impegnarsi, di concedersi il giusto riposo, ma col sereno distacco di chi sa di essere solo un viandante in cammino verso la Patria celeste; un pellegrino; in un certo senso, uno straniero verso l’eternità.

A questo traguardo ultimo sono ormai giunti i compianti Cardinali Peter Seiichi Shirayanagi, Cahal Brendan Daly, Armand Gaétan Razafindratandra, Thomáš špidlik, Paul Augustin Mayer, Luigi Poggi; come pure i numerosi Arcivescovi e Vescovi che ci hanno lasciato nel corso di quest’ultimo anno. Con sentimenti di affetto li vogliamo ricordare, rendendo grazie a Dio per i suoi doni elargiti alla Chiesa proprio attraverso questi nostri Fratelli che ci hanno preceduto nel segno della fede e ora dormono il sonno della pace. Il nostro ringraziamento diventa preghiera di suffragio per loro, affinché il Signore li accolga nella beatitudine del Paradiso. Per le loro anime elette offriamo questa Santa Eucaristia, stringendoci attorno all'Altare, su cui si rende presente il Sacrificio che proclama la vittoria della Vita sulla morte, della Grazia sul peccato, del Paradiso sull'inferno.

Questi venerati nostri Fratelli amiamo ricordarli come Pastori zelanti, il cui ministero è stato sempre segnato dall'orizzonte escatologico che anima la speranza nella felicità senz'ombra a noi promessa dopo questa vita; come testimoni del Vangelo protesi a vivere quelle «cose di lassù», che sono il frutto dello Spirito: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22); come cristiani e Pastori animati da profonda fede, dal vivo desiderio di conformarsi a Gesù e di aderire intimamente alla sua Persona, contemplando incessantemente il suo volto nella preghiera. Per questo essi hanno potuto pregustare la «vita eterna», di cui ci parla l’odierna pagina del Vangelo (Gv 3,13-17) e che Cristo stesso ha promesso a «chiunque crede in lui». L’espressione «vita eterna», infatti, designa il dono divino concesso all’umanità: la comunione con Dio in questo mondo e la sua pienezza in quello futuro.

La vita eterna ci è stata aperta dal Mistero Pasquale di Cristo e la fede è la via per raggiungerla. E’ quanto emerge dalle parole rivolte da Gesù a Nicodemo e riportate dall’evangelista Giovanni: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Qui vi è l’esplicito riferimento all’episodio narrato nel libro dei Numeri (21,1-9), che mette in risalto la forza salvifica della fede nella parola divina. Durante l’esodo, il popolo ebreo si era ribellato a Mosè e a Dio, e venne punito con la piaga dei serpenti velenosi. Mosè chiese perdono, e Dio, accettando il pentimento degli Israeliti, gli ordina: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo esser stato morso lo guarderà, resterà in vita». E così avvenne. Gesù, nella conversazione con Nicodemo, svela il senso più profondo di quell’evento di salvezza, rapportandolo alla propria morte e risurrezione: il Figlio dell’uomo deve essere innalzato sul legno della Croce perché chi crede in Lui abbia la vita. San Giovanni vede proprio nel mistero della Croce il momento in cui si rivela la gloria regale di Gesù, la gloria di un amore che si dona interamente nella passione e morte. Così la Croce, paradossalmente, da segno di condanna, di morte, di fallimento, diventa segno di redenzione, di vita, di vittoria, in cui, con sguardo di fede, si possono scorgere i frutti della salvezza.

Continuando il dialogo con Nicodemo, Gesù approfondisce ulteriormente il senso salvifico della Croce, rivelando con sempre maggiore chiarezza che esso consiste nell’immenso amore di Dio e nel dono del Figlio unigenito: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». E’ questa una delle parole centrali del Vangelo. Il soggetto è Dio Padre, origine di tutto il mistero creatore e redentore. I verbi "amare" e "dare" indicano un atto decisivo e definitivo che esprime la radicalità con cui Dio si è avvicinato all’uomo nell’amore, fino al dono totale, a varcare la soglia della nostra ultima solitudine, calandosi nell’abisso del nostro estremo abbandono, oltrepassando la porta della morte. L’oggetto e il beneficiario dell’amore divino è il mondo, cioè l’umanità. E’ una parola che cancella completamente l’idea di un Dio lontano ed estraneo al cammino dell’uomo, e svela, piuttosto, il suo vero volto: Egli ci ha donato il suo Figlio per amore, per essere il Dio vicino, per farci sentire la sua presenza, per venirci incontro e portarci nel suo amore, in modo che tutta la vita sia animata da questo amore divino. Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e donare la vita. Dio non spadroneggia, ma ama senza misura. Non manifesta la sua onnipotenza nel castigo, ma nella misericordia e nel perdono. Capire tutto questo significa entrare nel mistero della salvezza: Gesù è venuto per salvare e non per condannare; con il Sacrificio della Croce egli rivela il volto di amore di Dio. E proprio per la fede nell’amore sovrabbondante donatoci in Cristo Gesù, noi sappiamo che anche la più piccola forza di amore è più grande della massima forza distruttrice e può trasformare il mondo, e per questa stessa fede noi possiamo avere una "speranza affidabile", quella nella vita eterna e nella risurrezione della carne.

Cari fratelli e sorelle, con le parole della prima lettura, tratta dal libro delle Lamentazioni, chiediamo che i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi, che oggi ricordiamo, generosi servitori del Vangelo e della Chiesa, possano ora conoscere pienamente quanto «buono è il Signore con chi spera in lui, con l’anima che lo cerca» e sperimentare che «presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione» (Sal 129). E noi, pellegrini in cammino verso la Gerusalemme celeste, aspettiamo in silenzio, con ferma speranza, la salvezza del Signore (cfr Lam 3,26), cercando di camminare sulle vie del bene, sostenuti dalla grazia di Dio, ricordando sempre che "non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura" (Eb 13,14). Amen.