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Arriva il Motu Proprio di B-XVI che risistemerà la liturgia

La fede nasce da come si prega, dice il Papa. Che adesso vuole raddrizzare un po’ di storture del post Concilio

Paolo Rodari

Dalla fine del Concilio vaticano II a oggi la liturgia della chiesa cattolica ha subìto abusi che sovente l’hanno trasformata, a tratti anche sventrata, nel suo nocciolo più profondo. Benedetto XVI ha denunziato più volte questi abusi, queste cattive interpretazioni di quanto i testi del Vaticano II avevano sancito – su tutti la “Sacrosanctum Concilium”, il primo documento conciliare – spiegando che se la fede della chiesa la si scopre in come prega (“lex orandi, lex credendi”) occorre tornare a una liturgia fedele alle regole, nuova come il Vaticano II ha sancito, senza però che sia sganciata da certe peculiarità del passato. Come ha detto recentemente anche il cardinale spagnolo Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione del culto divino e della disciplina dei sacramenti, in un’intervista al Giornale, “ciò che occorre è un nuovo movimento liturgico, che riporti più sacralità e silenzio nella messa, e più attenzione alla bellezza nel canto, nella musica e nell’arte sacra”.
Il Papa questo nuovo movimento liturgico l’ha sponsorizzato dall’inizio del suo pontificato con l’esempio: le sue liturgie hanno perso molto di quella teatralità che era diventata un imprinting delle celebrazioni papali ai tempi di Wojtyla, e hanno guadagnato parecchio in silenzio, senso dell’orientamento, attenzione per i particolari.
E adesso, dopo quasi sei anni di pontificato, tutto il suo sforzo si convoglia in un Motu Proprio di imminente uscita. Il testo, atteso da tempo, serve per passare le competenze del matrimonio “rato ma non consumato” dalla congregazione per il Culto divino alla Sacra Rota. E, dunque, per snellire il Culto divino di tutti quegli impegni che non hanno a che fare direttamente con la liturgia. Lo scopo dichiarato è che sia d’ora in poi il Culto divino – è quanto in parte il Motu Proprio andrà a specificare – a lavorare affinché questo nuovo movimento liturgico trovi le energie necessarie e le giuste disposizioni per passare da un pio desiderio papale a una realtà.
L’idea di impiantare nella chiesa una sorta di “riforma della riforma” liturgica – nel post Concilio avvenne quella riforma che in parte tradì il volere dei padre conciliari – è un chiodo fisso del Papa. Egli, non a caso, ha voluto che la pubblicazione della propria “Opera omnia” iniziasse partendo dal volume undicesimo, quello dedicato alla liturgia, perché, scrive, è “nel rapporto con la liturgia che si decide il destino della fede e della chiesa. Cristo è presente nella chiesa attraverso i sacramenti. Dio è il soggetto della liturgia, non noi. La liturgia non è un’azione dell’uomo, ma è azione di Dio”.
Troppo spesso non è stato così. Troppo spesso la liturgia è stata ferita da deformazioni arbitrarie. In tante celebrazioni non si è più posto al centro Dio, ma l’uomo e il suo protagonismo, la sua azione creativa, il ruolo principale dato all’assemblea. Il rinnovamento conciliare è stato inteso come una rottura e non come uno sviluppo organico della tradizione. Per questo motivo Ratzinger ha riproposto l’orientamento dell’azione liturgica, la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio, il canto gregoriano, lo spazio per il silenzio, una certa cura dell’arte sacra. Per questo motivo esce con un Motu proprio, una disposizione importante che va a sanare una lacuna divenuta oramai atavica.
Già da cardinale Joseph Ratzinger disse parole chiare in merito. Il 28 dicembre del 2001 intervenne sul quotidiano francese La Croix: “Alcuni addetti ai lavori vorrebbero far credere che tutte le idee non perfettamente conformi ai loro schemi sono un ritorno nostalgico al passato. Lo dicono solo per partito preso. Bisogna riflettere seriamente sulle cose e non accusare gli altri di essere partigiani di San Pio V. Ogni generazione ha il compito di migliorare e rendere più conforme allo spirito delle origini la liturgia. E penso che effettivamente oggi c’è motivo di lavorare molto in questo senso, e riformare la riforma. Senza rivoluzioni (sono un riformista, non un rivoluzionario), ma un cambiamento ci deve essere. Dichiarare impossibile a priori ogni miglioramento mi sembra un dogmatismo assurdo”.

Pubblicato sul Foglio mercoledì 9 febbraio 2011

© Copyright Il Foglio, 9 febbraio 2011


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
10/02/2011 12:44
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Basta messa fai da te”
Il giro di vite del Papa


A fine mese saranno ufficializzate le nuove norme liturgiche Il monito contro improvvisazioni, permissivismo e faciloneria

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’DEL VATICANO

La svolta Papa Ratzinger vuole «moralizzare» la liturgia

Basta con le preghiere eucaristiche «fai da te», le omelie dei laici, i canti gospel di «lode e adorazione», gli altari avvolti nelle bandiere arcobaleno del movimento pacifista. Altolà ai riti d’ingresso e alla comunione ricevuta dai Neocatecumenali seduti a mensa, alle celebrazioni «tifose» ad Amsterdam in cui prima della consacrazione il sacerdote chiede ai fedeli di calciare i rigori nella porta da calcetto sotto il tabernacolo. Il «giro di vite» contro gli abusi liturgici (passato il vaglio del dicastero vaticano dei testi legislativi) arriverà a fine mese sotto forma solenne di «Motu proprio» firmato da Benedetto XVI e includerà il trasferimento di competenza alla Rota Romana delle cause matrimoniali: 500 casi annui di matrimonio «rato ma non consumato», ossia officiato in chiesa ma privo di unione carnale tra gli sposi.
Joseph Ratzinger avvia il «nuovo movimento liturgico», cioè la «riforma della Riforma», l’antidoto all’anarchia post-conciliare. La messa non è uno spettacolo e va celebrata con dignità e decoro, quindi stop alle omelie-fiume in contrasto col Vangelo del giorno, alle interpretazioni stravaganti della liturgia ufficiale, ai battiti di mano, al «creativo» prete-showman che inventa al momento formule e riti, al salmo responsoriale sostituito da cantici di meditazione, alla musica disordinata e assordante, all’uso arbitrario di paramenti, vasi sacri e arredi inadeguati o ridicoli.
Il Papa incarica il cardinale Antonio Cañizares Llovera, ministro del Culto divino, di ripristinare la «fedeltà alla disciplina liturgica» contro l’improvvisazione, la faciloneria, il pressappochismo, il permissivismo nelle celebrazioni. Nelle comunità sono in pericolo la sacralità delle funzioni religiose, la solidità della fede e l’appartenenza all’unità della Chiesa, perciò d’ora in poi della disobbedienza si occuperà la Congregazione del culto divino, che adesso vigilerà sulla liturgia invece che sui sacramenti. Rimbalzano da un punto all’altro del pianeta le polemiche a Verona e Cosenza per i vessilli pacifisti in chiesa, le parrocchie Neocatecumenali che sostituiscono l’ostia con una riedizione dell’Ultima cena: una pagnotta divisa fra i commensali e vino che passa di mano nei boccali. Nella liturgia della Parola tipo-stadio le letture sono accompagnate da «ammonizioni» dei catechisti e «risonanze» dell’assemblea. Al Sinodo dei Vescovi, il presidente della conferenza episcopale del Pacifico, Apuron ha chiesto di estendere l’uso di far la comunione seduti: «Se l’eucaristia è un banchetto, questa è la postura più adatta».
A Siedice il vescovo polacco Zbigniew Kiernikowski vuole che «il pane abbia l’aspetto di un cibo e il calice sia dato per berne». Nell’arcidiocesi di Colombo (Sri Lanka), gruppi di fedeli e movimenti di rinnovamento svolgono esercizi paraliturgici non previsti dal calendario ordinario, con canti gospel «Praise and Worship». Don Paul Vlaar, a poche ore dalla finale mondiale Olanda-Spagna, ha celebrato una messa dipinta d’arancione nella sua chiesa vicino ad Amsterdam. Scopo: pregare Dio che l’Olanda vinca. Orange sono i paramenti, le candele, la porta da calcetto davanti all’altare. Prima della consacrazione i fedeli calciano i rigori e il prete li para. Orange è il dolce tompoezen che a fine messa padre Paul promette in caso di vittoria: «Non pane ma tompoezen». Nella stessa parrocchia olandese, vengono benedette le nozze gay e i laici predicano le omelie (in primis la conduttrice tv Marijke Helwegen).

© Copyright La Stampa, 9 febbraio 2011


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Papa/ In arrivo motu proprio ma non sarà giro di vite su liturgia

Il portavoce vaticano conferma modifiche a congregazione Culto

Città del Vaticano, 9 feb. (TMNews)

E' in arrivo un provvedimento del Papa che modificherà la congregazione per il Culto divino. Lo conferma - dopo alcune anticipazioni di stampa - il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, che precisa: "E' vero che è da tempo allo studio un motu proprio per disporre il trasferimento di una competenza tecnico-giuridica - come ad esempio quella di dispensa per il matrimonio 'rato e non consumato' - dalla congregazione per il Culto divino al tribunale della Sacra Rota. Ma non vi è alcun fondamento né motivo per vedere in ciò un'intenzione di promuovere un controllo di tipo 'restritivo' da parte della congregazione nella promozione del rinnovamento liturgico voluto dal Concilio vaticano II".

© Copyright TMNews


Ma... stiamo scherzando?
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Da "Disputationes-theologicae"...

14 FEBBRAIO 2011

L’Osservatore Romano attacca la “Dominus Jesus” e l’ “Ecclesia Dei”?

Tra impliciti inviti al sincretismo religioso e velate accuse al rito tradizionale

L’Osservatore Romano degli ultimi tempi sembra uscire dalla sua tradizionale prudenza e dal deferente omaggio alla Sede Apostolica, per darsi ad iniziative di taglio variegato, ma a ben vedere tutte sulla stessa linea editoriale. In un articolo del 2 febbraio 2011, dal titolo “Una più avvertita esigenza di trasparenza e di semplificazione”, interviene addirittura il vice redattore del giornale Carlo di Cicco. Commentando e apprezzando uno studio recente sulla materia, si intrattiene su alcune meditazioni canoniche quanto alle strane situazioni di alcuni nuovi Istituti di vita consacrata. Dopo lunghe circonvoluzioni verbali su certe società religiose, alcune delle quali poco note e dallo stile di vita veramente singolare, si arriva a quello che sembra essere il vero bersaglio: le famigerate società dipendenti da quello “strano organismo” meglio noto col nome d’ “Ecclesia Dei”. Qual è il messaggio che resta nel lettore dell’articolo, abilmente redatto in forma di recensione dal vice direttore? L’ “Ecclesia Dei” sarebbe una singolare commissione, con poteri canonici sui generis, che necessiterebbe di seria regolamentazione in tutti i campi, non ultimo quello dottrinale. Essa di fatto erigerebbe alcuni istituti e ne dirigerebbe il funzionamento; Istituti che, secondo il codice (promulgato nel 1983, quindi prima che Giovanni Paolo II decidesse l’attuale struttura della Commissione), dovrebbero dipendere dalla Congregazione dei Religiosi. Sorvoliamo sui toni da legalismo kantiano, che sembra non tenere in alcun conto il primato della realtà sul diritto positivo, peccato veniale per i giuristi dei tempi nostri. Meno ammissibile invece è il velato rimprovero alla Santa Sede, che non si lascerebbe imbrigliare dai canoni del diritto. Quasi a scordare che i Romani Pontefici godono di una giurisdizione “estensive universalis et intensive summa” e che il Papa, erigendo la Commissione “Ecclesia Dei” e affidandole poteri straordinari, non sta facendo altro che esercitare il Suo primato. Primato che, non dispiaccia ai canonisti, non è sottomesso al codice, potendo Egli domani stesso potenziare l’Ecclesia Dei, come da più parti invocato, senza che sia il codice a limitarne le azioni. Ma in tempi di gallicanesimo episcopalista questo concetto sembra poco permeabile nelle menti dei giornalisti cattolici. E’ teologicamente, quindi canonicamente, ridicolo discutere del modo migliore di piegare le scelte del Papa all’uniformità del diritto ecclesiastico positivo, il quale trae la sua efficacia dalla promulgazione papale e non dalle urne dei parlamenti. L’articolista non si è spinto fino a tal punto, ma nel suo “giuridismo” avulso dalla realtà, arriva quasi ad insinuare, facendo proprie le conclusioni di alcuni studi, che le approvazioni canoniche dell’Ecclesia Dei sarebbero da riesaminare. Quel che sarebbe da riprendere in considerazione sarebbero gli effettivi poteri della Commissione, nel passato e nel presente, prospettando addirittura una riesamina retroattiva. L’articolista poi - non si capisce bene se parlando ex abundantia cordis o facendo sue le conclusioni dei canonisti citati - non senza una certa audace sfrontatezza, scrive che gli Istituti che dipendono dalla citata Commissione sarebbero ancora passibili di un esame di controllo sulla loro ortodossia (!). Per comprendere a che punto la realtà oltrepassi la fantasia riportiamo le parole testuali: “Per quanto riguarda gli istituti approvati dalla “Ecclesia Dei”, si potrebbe studiare se, una volta esaminato che tutto sia in ordine sotto l'aspetto dottrinale, l'approvazione non possa essere concessa dalla stessa Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, un po' come quando si chiedeva il nulla osta del Sant'Uffizio per l'approvazione degli istituti religiosi”.


L’Osservatore Romano sembra insinuare nel lettore non solo che l’approvazione canonica, di cui gli istituti dell’Ecclesia Dei beneficiano, sia ancora “sub iudice”, ma soprattutto l’autorevole giornale taccia tali Società religiose di essere ancora passibili di verifiche sulla cattolicità della loro dottrina. Citiamo nuovamente: “una volta esaminato che tutto sia in ordine sotto l’aspetto dottrinale”.







Per inciso precisiamo che analoghe preoccupazioni non intervenivano quando, poco sopra, si era parlato dei problemi posti dalle “nuove comunità religiose” che escludono il celibato, ma che prevedono vita conventuale mista di uomini e donne. L’Osservatore sembra essere più inquieto per chi celebra il rito di San Pio V, che non per i problemi che possono sorgere dalla promiscuità conventuale.


Quanto alla non troppo velata accusa di dubbia ortodossia dottrinale, fatta agli Istituti “Ecclesia Dei”, non sappiamo cosa L’Osservatore non apprezzi, forse la formazione tradizionale, seguendo San Tommaso d’Aquino e il Magistero della Chiesa o forse la schiettezza teologica, che osa criticare le derive a cui L’Osservatore ci ha invece abituato. Ammettiamo di buon grado che la linea teologica del giornale non è la nostra, ma crediamo che l’invocato “esame del Sant’Uffizio”, sarebbe più opportuno per la redazione che non per gli Istituti accusati. Nel dicembre 2010 infatti la nostra rivista Disputationes Theologicae, nella persona dello scrivente, si è unita ad una pubblica denuncia alla Rev. da Congregazione per la Dottrina della Fede, invocando interventi a proposito di alcune pubblicazioni del giornale vaticano, apertamente contrarie alla dottrina della Chiesa. In effetti il 10 novembre 2010 a p. 5 il «Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane» Renzo Gattegna, nell’articolo “Un futuro di amicizia”, pubblicato senza alcun commento di disapprovazione - quasi fosse il testo di un qualsivoglia articolista demandato dalla redazione - si esprimeva in questi termini:

«Al fine di proseguire con le iniziative dedicate alla reciproca comprensione e all’amicizia, un gesto utile, necessario e certamente apprezzato sarebbe una aperta dichiarazione di rinuncia da parte della Chiesa a qualsiasi manifestazione di intento rivolto alla conversione degli ebrei, accompagnata dall’eliminazione di questo auspicio dalla liturgia del Venerdì che precede la Pasqua. Sarebbe un segnale forte e significativo di accettazione di un rapporto impostato sulla pari dignità» .

Queste affermazioni, condannate dal Magistero costante, disapprovate recentemente anche nell’enciclica Redemptoris Missio[1] e nella dichiarazione “Dominus Jesus”[2] - senza citare le innumerevoli condanne precedenti - sono eretiche, contrarie alla Divina Rivelazione, perché in aperta contraddizione con le parole di Cristo (Mc 16, 15-16; Mt 28, 18-20)[3] e “contrarie alla fede cattolica”[4]. Rinunciare alla conversione è contro la natura stessa della Chiesa Cattolica. E’ scandaloso leggere tali affermazioni sul giornale della Santa Sede. Senza considerare quanto scritto sul Venerdì Santo (che nel testo non è più nemmeno “Santo”, ma è un venerdì “che precede la Pasqua”), la cui preghiera per la conversione degli ebrei (approvata da Benedetto XVI) sarebbe addirittura da eliminare, perché non rispetterebbe la pari dignità fra religioni. Pubblicare tali enormità è cosa grave. Né ci si può nascondere dietro la firma del Presidente delle comunità ebraiche, per veicolare l’errore dell’indifferentismo religioso, sotto pretesto di libertà di stampa, nel più puro disprezzo alle raccomandazioni del Magistero. L’errore non ha diritti e, se la redazione è convinta che di errore si tratti, è nell’obbligo morale di specificare che quelle posizioni sono insostenibili per ogni cattolico, perché solennemente condannate come incompatibili con la Fede cattolica. Che la comunità ebraica non riconosca Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, lo sappiamo almeno dai tempi di San Paolo - e in fondo Gattegna, richiesto di collaborazione, non ha fatto altro che ripeterlo - che il giornale della Santa Sede si faccia eco di tale bestemmia, senza nemmeno commentare, è ben più grave.


A nostro avviso L’Osservatore Romano farebbe bene a rispettare maggiormente nei suoi articoli il Romano Pontefice e le Sue scelte, siano esse liturgiche o canoniche, oltre al Magistero costante della Chiesa, e ad evitare insinuazioni d’eterodossia agli Istituti dipendenti dall’ “Ecclesia Dei”. A maggior ragione allorquando affermazioni contro l’unicità salvifica di Gesù Cristo compaiono sulle sue pagine, associate all’implicito invito a non convertirsi alla fede cattolica. Né riusciamo a capacitarci di come il giornale della Santa Sede possa invitare Renzo Gattegna, che fino a prova contraria non è nemmeno membro della Chiesa, a gettare il discredito sulla liturgia cattolica e sulle sue orazioni per la conversione degli ebrei alla fede di Cristo. Orazione peraltro recentemente promulgata per il rito tradizionale, tra mille pretestuose polemiche, dal Regnante Pontefice, sul Quale - con somma irriverenza - si estende il discredito. E’ altresì inopportuno e offensivo insinuare che la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” eriga canonicamente e governi Istituti, la cui ortodossia dottrinale è ancora da verificare. In questo caso invitiamo ancora una volta la redazione al rispetto delle istituzioni ecclesiastiche e alla prudenza nelle sue affermazioni, che possono rivelarsi lesive dell’altrui reputazione. A questo proposito non è escluso un ricorso ai tribunali ecclesiastici competenti, perché si faccia la dovuta chiarezza e perché pubbliche scuse siano presentate agli Istituti dell’ “Ecclesia Dei”, e ai singoli membri di dette società, gravemente danneggiati dalle insinuazioni del suddetto articolo.


Al seguito di tali affermazioni non è difficile capire come sia possibile che il Sommo Pontefice incontri tanta difficoltà nella sua opera di riforma della Chiesa né è arduo comprendere perché si incontrino tanti ostacoli alla diffusione degli Istituti tradizionali. Se su di essi e sulla liturgia che celebrano (vedi la preghiera del Venerdì Santo) si propaga il discredito, è naturale che le autorità ecclesiastiche locali siano diffidenti verso di essi, come in pratica accade. Non desta mistero constatare che l’episcopato sia generalmente ostile al rito tradizionale, all’opera di riforma del Papa e agli Istituti tradizionali, specie se il quotidiano della Santa Sede si permette gratuitamente di affermare che ancora dovranno essere approvati, “una volta esaminato che tutto sia in ordine sotto l’aspetto dottrinale”.

Sottoscriviamo in pieno le parole del Vescovo di San Marino S. Ecc.za Mons. Luigi Negri, che ebbe a dichiarare pochi giorni or sono ( Il Timone, gennaio 2011) : “il Papa sta facendo fatica a fare questa “riforma della riforma”. Esistono tendenze negative di resistenza, neanche tanto passive”.

Don Stefano Carusi
(sacerdote dipendente dalla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”)






Copia del presente articolo è stata inviata alla redazione de l’Osservatore Romano, unitamente alla preghiera di rettificare quanto scritto. È nostra convinzione che la redazione sia nell’obbligo morale di dissipare gli equivoci, tanto sull’articolo che invita al sincretismo religioso, che sulle insinuazioni sugli Istituti dell’ “Ecclesia Dei”. Copia è stata inviata anche alla Segreteria del Sommo Pontefice, alla Congregazione per la Dottrina della Fede e alla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”.


[1] Lettera Enciclica Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II, 7 dicembre 1990. Al n. 55 si legge “Il dialogo non dispensa dall’evangelizzazione”.
[2]Congregazione per la Dottrina della Fede, dichiarazione “Dominus Jesus”, 6 agosto 2000. Al n. 14 si legge: “Deve essere, quindi, fermamente creduto come verità di fede cattolica che la volontà salvifica universale di Dio Uno e Trino è offerta e compiuta una volta per sempre nel mistero dell'incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio”
[3]“Dominus Jesus”, cit. n. 1 : “Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8)”.
[4] “Dominus Jesus”, cit. n. 6

Pubblicato da Disputationes Theologicae



Come fedele che frequenta una chiesa che dipende da "Ecclesia Dei" mi sento offesa e mi vergogno che "L'Osservatore Romano" si discosti in questo caso dagli insegnamenti della Chiesa!
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Se l’inglese poco conciliare del nuovo Messale fa litigare il clero inglese

Paolo Rodari

La nuova traduzione inglese del Messale – entrerà in vigore per volere del Papa il prossimo settembre – spacca in due il cuore della chiesa cattolica di lingua inglese. Sono le anime più liberal ad accusare il Vaticano di aver voluto una traduzione di parte, un testo fedele ai voleri della chiesa più tradizionalista. Vox Clara, il comitato di vigilanza che ha sovrinteso ai lavori di traduzione, è accusato di aver favorito una stesura troppo dissonante rispetto al testo usato dopo il Vaticano II, una traduzione che segue “in modo pedissequamente letterale” il testo latino, con una sintassi “involuta” ed espressioni “elitarie” difficilmente comprensibili dai fedeli.
Cassa di risonanza delle proteste sono diversi media cattolici. Tra questi la rivista The Tablet che nell’ultimo numero ha pubblicato la lettera del benedettino Antony Ruff indirizzata ai vescovi degli Stati Uniti. Ruff, dell’abbazia di Saint John a Collegeville in Minnesota, era fino a poco tempo fa a capo della divisione musica per la traduzione del Messale.
Nella lettera annuncia il suo ritiro da ogni impegno di promozione del Messale, perché “sono convinto che i vescovi vogliono un oratore che sappia mettere in luce positiva il nuovo Messale, ma ciò richiederebbe per me fare delle affermazioni che non condivido”. Oltre a quello di Ruff, altri pareri negativi: un prete di Collegeville aveva chiesto tempo fa al suo vescovo cosa pensasse della traduzione. Risposta: “Credo proprio che sarà un disastro”. Scrive The Tablet: “Ai cristiani cattolici viene richiesta l’obbedienza ai loro vescovi, ma quando i membri della chiesa sono costretti ad accettare ciò che non vogliono, è necessario che sappiano almeno che tutto ciò viene da un luogo ricolmo di Spirito Santo”. Se questo luogo non c’è occorre che ricolmi di Spirito Santo siano almeno “i nostri superiori”. Solo “una leadership di questo tipo può permetterci di crescere e cambiare attraverso la scomodità. In sua assenza, l’obbedienza dei cristiani potrebbe degenerare verso uno stadio di immaturità e di non responsabilità”.
Qualche mese fa il comitato Vox Clara è stato ricevuto dal Papa.
Poco dopo ha diramato un comunicato in cui esprime “soddisfazione per l’accoglienza che il completamento della nuova traduzione del Messale ha ricevuto in tutto il mondo di lingua inglese”.
Anche secondo The Catholic Herald le autorità della chiesa in Inghilterra e Galles “non si aspettano resistenze alla nuova traduzione del Messale”. E, infatti, è stato il segretario in qualità di rappresentante della commissione liturgica dei vescovi a dire: “Ci sono persone che lo apprezzano e altre no e alcune che non ne sono sicure. Ma io sono convinto che tutto il clero sia un gruppo di persone abbastanza pragmatico alla fine”. Sulla pragmaticità degli inglesi e della chiesa inglese tutti sono pronti a scommettere. Ma di certo la battaglia sul testo è destinata a continuare anche oltre il prossimo mese di settembre.

Pubblicato sul Foglio giovedì 24 febbraio 2011

© Copyright Il Foglio, 24 febbraio 2011


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Liturgia, è Cristo il protagonista

Cañizares Llovera, Burke, Gotti Tedeschi alla presentazione del libro di Bux: «Come andare a Messa e non perdere la fede»

DA ROMA GIANNI CARDINALE

«Il titolo è provocatorio», ma «dimostra una preoc­cupazione che condivi­do ». Parola del cardinale Antonio Cañizares Llovera, che Benedetto X­VI ha chiamato a presiedere la Con­gregazione per il culto divino.
Il titolo in questione è «Come andare a Mes­sa e non perdere la fede», scritto da don Nicola Bux per i tipi di Piemme (pp. 194, euro 12), che ieri sera è sta­to presentato a Roma dai cardinali Cañizares Llovera e Raymond Leo Burke, prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica, e dal presi­dente laico dello Ior, il professor Et­tore Gotti Tedeschi. «Come il titolo del lavoro suggerisce, – ha spiegato Burke – se sbagliamo pensando che la Sacra Liturgia è la nostra azione, centrata su noi stes­si, invece di essere l’azione di Cristo, centrato sull’offerta del culto degno e giusto a Dio Padre, la Messa con­durrà ad una perdita della fede».
«I­struiti da una catechesi sana e sicu­ra, – ha aggiunto il porporato Usa – saremo disposti, invece, ad una sem­pre più ricca esperienza della fede nella partecipazione alla Santa Mes­sa ». Per Burke il libro di don Nicola Bux - che è consultore dell’ex Sant’Uffi­zio, della Congregazione per il culto divino e dell’Ufficio delle celebra­zioni pontificie - «ci offre una profonda e nello stesso tempo mol­to accessibile catechesi sulla natura del culto divino e, specialmente, del­la Santa Messa, trattando di tutti gli elementi essenziali del Sacrificio eu­caristico».
E lo fa «giustamente», an­che «affrontando la stagione post­conciliare degli abusi liturgici, chia­mandoci alla obbedienza alla disci­plina liturgica che ci permette di ve­dere più chiaramente e rispettare più pienamente la realtà della Sacra Liturgia, cioè l’azione della quale Cristo stesso è il protagonista». Burke ha poi concordato con l’au­tore su come «un certo antinomi­smo della cultura generale», cioè u­na certa insofferenza alle regole, sia «anche entrata nella Chiesa» e «tri­stemente ha condotto agli abusi li­turgici con grave danno alla fede dei fedeli». Cañizares Llovera si è detto sicuro che il libro di don Bux aiuterà «la costruzione di una buona for­mazione liturgica» e favorirà il «rin­novamento liturgico. Pur facendo l’«osservazione» che «sarebbe buo­no non mescolare» le due forme del Rito romano, quella ordinaria (po­stconciliare) e quella straordinaria (preconciliare).
Per Gotti Tedeschi molti dei problemi della messa na­scono dalla scarsa conoscenza del­la dottrina, per cui ha invitato i «pre­ti a tornare ad insegnare la dottrina, non la politica, o la sociologia, o peg­gio l’economia».
L’incontro, mode­rato da Luca De Mata, direttore e­merito dell’agenzia Fides, si è svol­to in una Sala Santa Marta colma di persone. Tra i presenti i cardinali Re­nato Farina e Salvatore De Giorgi, l’arcivescovo Agostino Marchetto (che intervenendo ha messo in guar­dia sulla necessità di accettare, con la giusta ermeneutica della conti­nuità, il Vaticano II), il cerimoniere pontificio monsignor Marco Agosti­ni, il sottosegretario agli Interni Al­fredo Mantovano, Ettore Bernabei presidente onorario della Lux Vide.

© Copyright Avvenire, 3 marzo 2011


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Se andare a Messa fa perdere la fede

Francesco Antonio Grana

“Come andare a Messa e non perdere la fede”. È il titolo del nuovo libro di Nicola Bux, edito da Piemme, con un contributo di Vittorio Messori. Sacerdote e docente della Diocesi di Bari, romano per studi teologici e orientalistici, gerosolimitano per quelle sulle liturgie cristiane, Bux ha dedicato vari libri alla liturgia, ecclesiologia ed ecumenismo che sono stati tradotti nelle principali lingue europee. Amico di lunga data di Joseph Ratzinger, che nel 1997 presentò il suo libro “Il quinto sigillo”, Bux ha collaborato alla riforma postconciliare della liturgia, musica e arte sacra nella sua Diocesi e nella sua Regione con il liturgista benedettino l’Arcivescovo Andrea Mariano Magrassi, e con don Luigi Giussani in Comunione e Liberazione.

Don Nicola Bux, perché andando a Messa si può perdere la fede?

Perché la Messa in questi ultimi decenni non è più celebrata come espressione di un rito bimillenario della Chiesa cattolica, ma spesso secondo gli adattamenti e le creatività dei singoli celebranti. Per cui capita di partecipare in una parrocchia a una un certo di tipo di Messa e in un’altra a un altro tipo. Ciò ha finito per creare solo disorientamento, e spesso anche perplessità e disaffezione, talvolta noia e abbandono, perché in genere i fedeli, in qualsiasi parte del globo si trovino, pur con le diversità indotte dalle situazioni cultuali e linguistiche, vorrebbero assistere all’unica Messa della Chiesa cattolica. Soprattutto quando si è in presenza di abusi e di manipolazioni si finisce per far perdere la fede a molti. Come ha detto l’allora cardinale Ratzinger spesso sono state compiute deformazioni al limite del sopportabile.

Quali sono gli abusi liturgici più frequenti?

Frequente è l’affabulazione che affligge molti celebranti, per cui non c’è più solo il momento dell’omelia ma tante mini omelie che punteggiano la celebrazione. Questo finisce per togliere lo spazio al raccoglimento personale. Credo che questo tipo di frenesia affabulatoria dipenda dal convincimento in molti che se noi preti non spieghiamo le cose la gente non le comprende. Si ha una certa sfiducia che il rito in sé parli, che i suoi simboli, i suoi significati, le sue figure passino nelle persone. C’è come un eccesso di interposizione per cui alla fine più che diventare un rito sacro, liturgico, appunto sacramentale, diventa un’interminabile didascalia, naturalmente spesso spettacolarizzata anche da ulteriori apporti di quelli che sono stati chiamati gli attori della liturgia. Non a caso questo termine nella percezione della gente riguarda il mondo dello spettacolo. La Messa perde così il suo significato di mistero della passione e della risurrezione di Gesù Cristo, per diventare un intrattenimento che bisogna poi misurare quanto a gradimento. Ecco perché nella liturgia è stato introdotto l’applauso.

A che punto è la “riforma della riforma” voluta da Benedetto XVI?

Con questa espressione, che Ratzinger ha usato quando era ancora Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, egli intendeva dire che la riforma avviata dopo il Concilio doveva essere ripresa, e per certi versi corretta là dove, per usare sempre le sue parole, il restauro del dipinto aveva rischiato grosso, cioè nel tentativo di pulirlo si era corso il rischio di portare via anche i vari strati di colore. Egli ha avviato questo restauro attraverso un suo stile. Il Papa celebra la liturgia in modo sommesso, non gridato. Parimenti desidera che preghiere, canti e quant’altro non usino toni esibizionistici. E poi bisogna sottolineare due gesti particolari che nelle sue liturgie sono evidenti: aver interposto tra sé e l’assemblea la croce, a indicare che il rito liturgico non è rivolto al ministro sacerdotale ma a Cristo, e far ricevere la Comunione in ginocchio, a indicare che non si tratta di una cena nel senso mondano della parola, ma di una comunione al corpo di Gesù Cristo che viene però prima adorato, secondo le parole di Sant’Agostino, per poi essere mangiato.

Quanti ostacoli sta incontrando il Motu proprio Summorum Pontificum sulla messa preconciliare?

Credo che attualmente gli ostacoli diventino più flebili rispetto all’uscita del Motu proprio, nel 2007. Attraverso internet si può vedere come ci sia un discreto movimento di giovani che cerca, e per quanto è possibile pratica, la Messa tradizionale, chiamata anche Messa in latino o Messa di sempre. E questo credo che sia un segno molto importante da cogliere.
È chiaro che i pastori della Chiesa, in primo modo i vescovi e poi i parroci, pur affermando spesso che bisogna saper cogliere il segno dei tempi, espressione molto in uso dopo il Vaticano II, non riescono spesso a comprendere che i segni dei tempi non li stabiliscono loro, ma si presentano e soprattutto sono regolati dai giovani. Credo che questo sia il sintomo più interessante, perché se alla Messa tradizionale ci corressero gli anziani, gli adulti, si potrebbe anche avere il sospetto che si tratti di una nostalgia. Il fatto che siano prevalentemente i giovani quelli che cercano e partecipano alla Messa in latino è assolutamente inaspettato e però meriterebbe di essere letto, compreso e accompagnato soprattutto da parte dei vescovi.
Credo che il Papa abbia contezza di ciò e per questo intenda dare un ulteriore apporto attraverso un’istruzione applicativa del Motu proprio per aiutare tutti a comprendere che accanto alla nuova forma del rito romano c’è anche la forma antica o straordinaria.

Come è nata la sua amicizia con il cardinale Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI?

È un’amicizia che risale ai tempi iniziali del suo lavoro teologico e soprattutto quando è diventato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Mi hanno molto interessato i suoi studi, direi il suo navigare controcorrente, pur essendo egli un teologo progressista tra virgolette, come d’altronde siamo stati tutti noi giovani dopo il Concilio. Naturalmente man mano che ci si accorgeva che quanto si sperava progredisse in realtà diventava sempre più confuso, a volte contraddittorio al punto da far perdere i connotati dell’eredità cattolica, si è diventati più guardinghi. E in questo io ho potuto fruire senza merito della stima e della considerazione dell’allora cardinale che mi ha chiamato in Vaticano quale consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, e in seguito, anche di quella delle Cause dei Santi e dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, e mi ha nominato perito ai Sinodi dei Vescovi sull’Eucaristia del 2005 e sul Medio Oriente del 2010.

© Copyright L'Avanti, 4 marzo 2011


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La fede si perde a Messa?

Scritto da Angela Ambrogetti

Martedì 08 Marzo 2011 08:28

Si può andare a Messa e rischiare di perdere la fede? La provocazione è di monsignor Nicola Bux che ha deciso di intitolare il suo ultimo libro: “ Come andare a Messa senza perdere la fede.” Per ora il libro è stato pubblicato in Italia dalla Piemme, ma certamente presto ci saranno edizioni in altre lingue. Perché il tema è caldo. Lo ha dimostrato il dibattito che si è svolto a Roma lo scorso 2 marzo per la presentazione del volumetto. Due cardinali, Raymond Leo Burke, prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica e Antonio Cañizares Llovera Prefetto della Congregazione per il culto divino ne hanno parlato con il professor Ettore Gotti Tedeschi presidente dello Ior. E il suo è stato un intervento che ha riportato il punto di vista dei Christifideles, dei laici che leggono gli eventi alla luce della fede.

“La crisi attuale che stiamo vivendo non è solo di tipo economico e sociale ma anche, e soprattutto, spirituale- ha detto- Perché? Perché l’uomo non imita più Cristo, non si ciba di Lui e, ben più grave, non conosce la Sua parola: queste sono fondamentalmente le risposte ai tanti perché che ogni uomo dovrebbe porsi e che Don Nicola Bux cerca di esplicitare all'interno della sua opera.”
Insomma la crisi non è causata unicamente dai banchieri, ma anche dai preti che non insegnano più dottrina perché troppo impegnati a portare il loro pensiero in altre discipline .

E citando la Caritas in vertiate Gotti Tedeschi ha spiegato che l’uomo perde il senso della Verità presupponendo che essa venga dopo la libertà: “l’uomo non si può soddisfare solo materialmente perché, prima o poi, la materia finirà mentre lo spirito sarà sempre una fonte inesauribile per nutrire l’anima che è più importante della carne”. Questo pensiero è il frutto della filosofia nichilista in cui l’uomo non ha più riferimenti in quanto la Chiesa è divenuta sua nemica. Ecco la provocazione: “se è la Chiesa stessa a non essere Maestra, cosa può imparare l’uomo?”
Per il cardinale Burke il libro di don Nicola Bux “offre una profonda e nello stesso tempo accessibile catechesi sulla natura del culto divino” e lo fa anche “affrontando la stagione postconciliare degli abusi liturgici, chiamandoci alla obbedienza alla disciplina liturgica che ci permette di vedere più chiaramente e rispettare più pienamente la realtà della Sacra Liturgia, cioè l’azione della quale Cristo stesso è il protagonista”. Da parte sua il cardinale Cañizares Llovera ha suggerito che non è bene “mescolare” nella formazione le due forme del Rito romano, quella ordinaria e quella straordinaria. Cañizares ha condiviso la preoccupazione di don Bux che ''si indebolisca la fede se non si entra in tutta la verita' del mistero eucaristico''. La riforma liturgica, si e' chiesto il porporato, ''si sta realizzando nella coscienza di tutti, oppure no?'', e ''tutto cio' che viene dopo il Concilio si puo' chiamare rinnovamento conciliare?''.
Il libro di padre Bux parla della ''trascuratezza dei preti e della ignoranza dei fedeli'', preghiere dei laici che sembrano ''mini-omelie'', ''corruzione egalitaria dell'idea di comunione'', ''riduzione politica della liturgia attraverso l'annullamento della differenza tra celebrante e popolo'', ''intrattenimento e spettacolo'' in luogo di ''ascolto del mistero e rendimento di grazie''. Una analisi allarmata che però non porta ad un testo polemico, ma ad un vero e proprio manuale: spiega al lettore cosa sia la messa, ne illustra le varie parti, ne chiarisce simboli e preghiere. Ci vogliono ''almeno 25 anni, una intera generazione'' per quella ''riforma della riforma liturgica auspicata anche da papa Ratzinger'', e per una ''correzione di rotta'' che riporti il ''sacro'' al centro della messa e ristabilisca il ''diritto di Dio'' ha detto don Nicola Bux.
La chiave di lettura resta il rinnovamento nella continuita' auspicato dal Papa nel suo storico discorso alla Curia del dicembre 2005, quando parlo' di ''ermeneutica della riforma'' contrapposta alla “ermeneutica della discontinuità”.


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Bux: basta con le chiese-teatro

di Andrea Zambrano12-04-2011
«Rivediamo le norme sull'adeguamento liturgico delle chiese». L'appello, fatto in forma di invito al dibattito, è rivolto alla Cei da don Nicola Bux, consultore dell'Ufficio delle celebrazioni del Sommo Pontefice e della Congregazione per la Dottrina della fede.

Il sacerdote barese ha fatto la sua provocazione giovedì sera nel corso di un dibattito a Reggio Emilia davanti ad una platea di oltre 200 persone. Quali e quanti sono stati gli abusi che hanno portato tanti fedeli a ricercare la forma liturgica more antiquo? Quanto ha inciso in questo processo di allontanamento dalla messa l'aver voluto privilegiare l'aspetto della parola rispetto a quello del sacrificio?

Sono alcune delle domande che don Bux ha posto al pubblico per suscitare una discussione che deve essere franca, pur nella carità, ma che, soprattutto, ha spiegato anche alla “Bussola quotidiana” che lo ha intervistato, “devono farci riflettere su quello che ha voluto dirci il Papa con il Motu Proprio e con la prossima pubblicazione dell'istruzione con il quale applicarlo”.

Don Bux, andiamo con ordine. Si incomincia con i dibattiti e poi non si sa dove si va a finire...
Ma non possiamo pretendere di dialogare con gli altri se non sappiamo farlo tra di noi. Sono stato invitato a Reggio nel contesto della vivace discussione che si è innestata in città a seguito dell'adeguamento liturgico della Cattedrale. E ho trovato tanta gente che chiede e desidera di sapere e dire la sua. Ecco, credo che nessun vescovo dovrebbe fare nulla senza aver ascoltato prima il popolo di Dio. Insomma, un dibattito è più che mai necessario.

Proviamo a orientarci. Siamo in un contesto dove gli abusi liturgici ormai sono la prassi. Che si fa?
Riconosciamo che in parte sono stati responsabili dell'allontanamento dalla fede di tanti.

Dopo di che?
Credo che si debba partire da un aspetto ormai tralasciato della messa: quello sacrificale. Nell'ultimo libro del Papa leggiamo che dalla trafittura del costato escono sangue e acqua. Questo ci richiama che Gesù è venuto non solo con l'acqua, ma anche col sangue. Benedetto XVI allude a una corrente di pensiero che attribuiva valore soltanto al battesimo, ma accantonava la croce e considerava solo la parola, la dottrina, il messaggio e non la carne.

Ebbene?
Quanti confratelli conosco oggi che dicono che basta solo la parola, che la parola è centrale! Tutto questo tende a creare un cristianesimo del pensiero e delle idee che vuole togliere la realtà della carne e il sacrificio.

Che cosa c'entra tutto questo con la liturgia?
C'entra perchè oggi si celebra la messa intendendola come banchetto, come cena e viene assolutamente trascurato il solo pensiero che la messa possa essere il sacrificio di Cristo.

È un tema ormai annoso, ma oggi qual è l'urgenza?
La liturgia non è più solo quella post conciliare. Il Santo Padre ha ripristinato anche quella pre conciliare. Significa che non si può pensare ad un adeguamento delle chiese che non tenga conto anche della liturgia ripristinata, la quale prevede che la celebrazione della messa si possa fare rivolti ad Dominum e non di spalle, come maliziosamente si è cercato di far passare.

Un momento. Prima gli adeguamenti e adesso i contro-adeguamenti?
Questo aspetto può essere compreso solo all'interno del grande simbolismo, che l'edifico sacro cristiano possiede. La Chiesa è simbolo del cosmo ed è composta di elementi indefinibili e sensibili, allo stesso modo la chiesa, in senso di edificio, è simbolo dell'uomo composto di un corpo rappresentato dalla navata, da un'anima, il presbiterio e da uno spirito, l'altare, secondo la simbologia dei padri orientali.

Ma questi sono elementi che, più o meno, sono rispettati dappertutto...
Non ne sarei così convinto. Da circa 40 anni, dopo il congresso di Bologna promosso nel '68 dal cardinal Lercaro, è andata avanti una forma di chiesa a teatro, dove tutti coloro che prendono posto si guardano tra loro. Che non siano rivolti più, insomma, verso un punto comune. Lentamente questa impostazione ha preso piede e ha portato alla perdita di orientamento della celebrazione che, lo ripetiamo, non ha come suo centro il popolo né, tantomeno, il sacerdote, ma il Signore, rappresentato dall'Oriente e successivamente dal Crocifisso.

Che piano piano ha perso la sua centralità...
Di più. Non ha più un punto fermo, è in movimento continuo, è una suppellettile secondaria. Alcuni confratelli sostengono che la croce è inutile per celebrare. Il fatto è che tutto ciò che spostiamo dal nostro centro visivo, dal punto di vista psicologico perde di importanza e se perde d'importanza la croce avviene lo stesso anche per l'altare, che diventa un podio da conferenza.

Che fare allora?
Ripartiamo dal discorso di Benedetto XVI alla Curia romana sulle due ermeneutiche del Concilio Vaticano II. Va applicato anche alla liturgia e all'arte.

Lei sceglierebbe quella della continuità? Però il suo, sembra essere un discorso di rottura con quanto avvenuto negli ultimi 40 anni.
Partiamo anzitutto dal fatto che la Costituzione Sacrosantum Concilium dice: “Non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera ed accertata utilità, con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche modo, da quelle già esistenti (n° 23)”. E' la dimostrazione che il Concilio non ha avuto un'azione così dirompente. Eppure abbiamo affidato le nostre chiese alle archistar, senza preoccuparci se sono credenti e dunque interpreti della fede che si vuole esprimere nell'opera.

Aiuto. Pioveranno critiche...
(Ride) Ho posto il quesito in occasione del seminario con sua eminenza il cardinal Gianfranco Ravasi nel luglio scorso in un seminario. Gli ho detto: “Ma come? Chiediamo ai genitori dei bimbi che fanno i sacramenti di scegliere padrini credenti e poi per l'edificio sacro che viene consacrato con un ritto simile a quello dell’iniziazione, con l’unzione del crisma, quasi fosse una persona, ci permettiamo di affidarne la progettazione a chi spesso non sa neanche che cosa sia la fede cattolica?”.

Com'è andata?
Sua eminenza è stato molto attento. Ho proposto che certe opere andassero nel “Cortile dei gentili”!

Intanto però, là, in chiesa il problema rimane...
Il richiamo all'arte sacra ci deve far capire l'urgenza di riscoprire i canoni dell'arte anche perché il popolo per sua natura rigetta ciò che gli è estraneo. Prenda la croce di Pomodoro in San Giovanni Rotondo. E' già stata rimossa e sostituita con un crocifisso tradizionale. O anche a quello che sta succedendo a Reggio. Si vuole portare una scultura di un artista giapponese che sostituisca il crocifisso: una barca sormontata da un albero. Non credo che avrà molto seguito della devozione del popolo, che tra l'altro, spesso paga e fa sacrifici per sostenere certe spese.

Che cosa propone?
Dovremmo rimettere in discussione le norme di adeguamento degli edifici di culto promulgate dalla Conferenza Episcopale Italiana nel '96. Soprattuto adesso, in presenza del motu proprio "Summorum Pontificum" e dell'istruzione applicativa di imminente pubblicazione, ritengo che sarà necessario rivederle. In merito, c’è già uno studio di un professore dell’Istituto di Scienze religiose della Diocesi di San Severo, don Matteo De Meo, che meriterebbe di essere conosciuto dall’ufficio competente della Cei.

La accuseranno di eccessivo tradizionalismo...
Ma le norme ecclesiastiche rivedibili e andrebbero riprese ed esaminate per dare ai sacerdoti e ai fedeli, alla luce dell'evoluzione del Magistero, la possibilità di sentirsi a casa propria.

Un modo allora per porre un limite agli abusi liturgici?
Mi è piaciuta una domanda fatta da un sacerdote l'altra sera: “Tutti questi cambiamenti hanno fatto avvicinare la gente alla fede o no?”. Le statistiche dicono di no. Ecco, penso che mai come in questi decenni siamo stati interessati da documenti del Magistero, da Paolo VI ad oggi, che puntano a limitare gli abusi. Eppure siamo di fronte a messe show, alla scomparsa degli inginocchiatoi, che tra l'altro, costringe il fedele a venir meno al primo compito della messa, quello dell'adorazione. E ancora: ai sacerdoti che si vestono secondo il loro gusto personale, come se i paramenti non fossero l'oggettività del rito che viene affidato ad un ministro, anche se indegno. In questo modo la messa è puro intrattenimento e la chiesa un auditorium.

Perché allora non cambiare le norme dall'alto?
Le faccio questa similitudine. La liturgia cambia nei secoli, come il paesaggio. Anno dopo anno, secolo dopo secolo, quell'albero, quel prato, quella spiaggia, mutano impercettibilmente il loro aspetto. Che però cambia. E quando introduciamo degli ecomostri, che deturpano questo aspetto, ci scandalizziamo. Allo stesso modo è la liturgia. Quando il cambiamento è stato fatto a forza di decreti sono scoppiati i tafferugli ed è successo che, dopo 40 anni, quello che si pensava sotterrato come Giona nel ventre della balena, sta tornando fuori.


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PAPA: RIFORMA LITURGIA ERA NECESSARIA, MA IN CONTINUITA' CON TRADIZIONE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 6 mag.

"Alla vigilia del Concilio appariva sempre piu' viva in campo liturgico l'urgenza di una riforma, postulata anche dalle richieste avanzate dai vari episcopati". Ma andava altresi' salvaguardato "il fondamento teologico della Liturgia, per evitare di cadere nel ritualismo e
affinche' la riforma fosse ben giustificata nell'ambito della Rivelazione e in continuita' con la tradizione della Chiesa".
A fotografare in questi termini la situazione nella quale e' maturato il cambiamento della liturgia e' stato questa mattina Benedetto XVI che ha ricordato le speranze di Giovanni XXIII quando 50 anni fa fondo' il Pontificio Pontificio Istituto Liturgico Sant'Anselmo, affidato fin dall'inizio ai monaci benedettini che della liturgia sono sempre stati esperti custodi. Papa Roncalli seppe dunque cogliere, afferma Joseph Ratzinger che al Concilio partecipo' in qualita' di 'perito' in quanto teologo indicato dai vescovi tedeschi, "la forte esigenza pastorale che animava il movimento liturgico" allora in forte espansione nella Chiesa, fautore della richiesta che "venisse favorita e suscitata una partecipazione piu' attiva dei fedeli alle celebrazioni liturgiche attraverso l'uso delle lingue nazionali e che si approfondisse il tema dell'adattamento dei riti nelle varie culture, specie in
terra di missione".
Su come tutto questo sia stato attuato, Benedetto XVI non da' un giudizio negativo: "dobbiamo constatare - dice infatti nel suo discorso - i frutti abbondanti suscitati dallo Spirito Santo in mezzo secolo di storia, e per questo rendiamo grazie al Datore di ogni bene". Ma ricorda anche che lo scopo della "riforma conciliare" non era stato "principalmente quello di cambiare i riti e i testi, quanto invece quello di rinnovare la mentalita' e porre al centro della vita cristiana e della pastorale la celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo".
"Purtroppo forse - lamenta in proposito il Papa - anche da noi Pastori ed esperti, la Liturgia e' stata colta piu' come un oggetto da riformare che non come soggetto capace di rinnovare la vita cristiana". "Non poche volte - denuncia con forza Ratzinger - si contrappone in modo maldestro tradizione e progresso".
Mentre, come ci ha insegnato il beato Giovanni Paolo II citato cosi' nel discorso di oggi, "in realta', i due concetti si integrano: la tradizione include essa stessa in qualche modo il progresso. Come a dire che il fiume della tradizione porta in se' anche la sua sorgente e tende verso la foce".
Andava nella direzione giusta, dunque il beato Giovanni XXIII, quando "animato da spirito profetico, per raccogliere e rispondere a tali esigenze creo' l'Istituto Liturgico, a cui volle subito attribuire l'appellativo di 'Pontificio' per indicarne il peculiare legame con la Sede Apostolica". E volle raccogliere "le istanze del movimento liturgico che intendeva dare nuovo slancio e nuovo respiro alla preghiera della Chiesa, poco prima del Concilio Vaticano II" stabilendo che "la Facolta' dei Benedettini sull'Aventino costituisse un centro di studi e di ricerca per assicurare una solida base alla riforma liturgica conciliare". E in questi decenni, continua Ratzinger, l'istituto ha offerto "il suo contributo alla Chiesa impegnata nella recezione del Vaticano II, attraverso un cinquantennio di formazione liturgica accademica. Formazione offerta alla luce della celebrazione dei santi misteri, della liturgia comparata, della Parola di Dio, delle fonti liturgiche, del magistero, della storia delle istanze ecumeniche e di una solida antropologia". "Grazie a questo importante lavoro formativo, un elevato numero di laureati e licenziati prestano ora - riconosce il Pontefice - il loro servizio alla Chiesa in varie parti del mondo, aiutando il Popolo santo di Dio a vivere la Liturgia come espressione della Chiesa in preghiera, come presenza di Cristo in mezzo agli uomini e come attualita' costitutiva della storia della salvezza".

© Copyright (AGI)


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Wojtyla sacro show. Così l’ex maestro delle cerimonie (Marini Piero) svela che era il Papa polacco a volere tutte quelle novità

di Paolo Rodari

Nella curia romana di Karol Wojtyla monsignor Piero Marini non è stato semplicemente il maestro delle cerimonie pontificie. E’ stato il continuatore di una scuola che negli anni del post Concilio ha riformato al liturgia spingendola oltre i canoni e le regole dell’antica tradizione. In sostanza quanto iniziò il padre lazzarista Annibale Bugnini sotto Paolo VI, Marini continuò nell’era del Papa polacco.
Cercò a suo modo senza riuscire a non trascinarsi dietro una scia di feroci critiche mosse principalmente dall’area conservatrice della curia che vedeva nelle innovazioni “imposte” al Papa un tradimento della Tradizione.
Qui sta il punto. Piero Marini ha imposto la spettacolarizzazione della liturgia pontificia al suo protagonista principe, il Papa, oppure si è adeguato a un desiderio espresso dallo stesso capo della chiesa universale? A tre anni e mezzo dalle dimissioni da maestro delle cerimonie pontificie – al suo posto Benedetto XVI ha voluto un altro Marini, Guido, della nobile e rigorosa scuola siriana – è lo stesso monsignor Piero a prendere carta e penna e a scrivere in “Io sono un Papa amabile. Giovanni Paolo II”, un volume appena pubblicato per San Paolo e scritto assieme a Bruno Cescon, la sua versione dei fatti.
Marini dedica ampie pagine alla controversia che l’ha investito negli anni addietro fino a dire che le spinte in avanti delle liturgie papali erano volute da Wojtyla il quale, anzi, “avrebbe voluto qualcosa di più” nella strada che portava le sue celebrazioni a inglobare elementi appartenenti alle diverse culture del mondo ma estranei ai rigidi canoni romani. Questo, dice Marini, è stato Wojtyla: un Papa che ha spezzato la rigidità della liturgia romana introducendo nel suo recinto sacro nuove culture.
Ogni viaggio una nuova liturgia. Ogni viaggio i mugugni del seguito papale. E’ il 1991. A San Luis de Maranhao, in Brasile, il vescovo del luogo propone di introdurre nella messa papale una danza. Al momento del Vangelo escono due ballerine in abiti fini, forse di seta. Danzano. Il vento scompiglia i vestiti e scopre molte delle rispettive nudità.
In sagrestia i cardinali commentano: “Possibile che debbano accadere questi fatti?”. Dice Marini che così commentò il presidente dei vescovi brasiliani, Luciano Mendez de Almeida: “Ma io ho visto gli angeli della risurrezione”. E che più volte il Papa si girò dicendo: “Bello, bello”. Come a dire: il Papa sapeva delle novità e approvava. In molti mugugnavano. Tra questi, forse, anche Joseph Ratzinger che oggi, divenuto Papa ad altre liturgie sta abituando la sua chiesa.

Pubblicato sul Foglio sabato 7 maggio 2011

© Copyright Il Foglio, 7 maggio 2011


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Bellissima musica. Ma il coro è stonato

Un punto debole di questo pontificato riguarda la musica liturgica. Alla grande visione di Benedetto XVI non corrispondono i fatti, che addirittura si muovono in direzione contraria. Un'ultima prova: l'ostracismo contro il Pontificio Istituto di Musica Sacra

di Sandro Magister

ROMA, 30 maggio 2011 – Un secolo fa Pio X fu rapido come un fulmine. Appena tre mesi dopo l'elezione a papa promulgò il motu proprio "Tra le sollecitudini": il manifesto che mise al bando le "canzonette" nelle chiese e segnò una rinascita della grande musica liturgica, gregoriana e polifonica.

E poco dopo, nel 1911, creò a Roma l'alta scuola finalizzata tale rinascita: quello che oggi si chiama Pontificio Istituto di Musica Sacra e sta celebrando in questi giorni il suo secolo di vita con un imponente congresso internazionale di musicologi e musicisti.

Anche Benedetto XVI è papa di riconosciuta competenza musicale, ancor più di quel suo santo predecessore. Sulla musica in genere e sulla musica sacra ha detto e scritto cose memorabili e geniali.

Ma a differenza che con Pio X, con l'attuale papa alle parole non corrispondono i fatti.

Invece che far rinascere, Benedetto XVI ha lasciato deperire ciò che era stato la gloria musicale delle liturgie pontificie: il coro della Cappella Sistina. Quando il coro fu decapitato nel 1997 con la cacciata del suo validissimo maestro, Domenico Bartolucci, ad opera dei registi delle cerimonie di papa Karol Wojtyla, l'allora cardinale Joseph Ratzinger fu il solo alto dirigente di curia a prendere le sue difese.

Da papa, nel 2010, ha fatto Bartolucci cardinale. Ma mai, sino ad oggi, l'ha ricevuto in udienza. Né mai l'interpellò per chiedergli lumi, ad esempio, sulla nomina del nuovo direttore della Cappella Sistina: nomina che è poi caduta, nello stesso 2010, su un personaggio, don Massimo Palombella, palesemente non all'altezza del ruolo.

Non solo. Da cardinale, Ratzinger sollecitò la creazione di un organismo pontificio dotato di autorità su tutto ciò che concerne la musica sacra nell'orbe cattolico: organismo di cui la curia vaticana è priva, lasciando spazio a confusione e degrado.

Da papa, però, non ha fatto nulla di quel suo antico proposito.

Per mettere meglio a fuoco questa distanza tra le parole e i fatti basta riandare – per quanto riguarda le parole – al terzo dei tre discorsi cardine del pontificato di Benedetto XVI: quello del 12 settembre 2008 al Collège des Bernardins di Parigi (terzo dopo quello alla curia romana del 22 dicembre 2005 e quello di Ratisbona del 12 settembre 2006).

Al Collège des Bernardins papa Ratzinger disse tra l'altro:

"Per pregare in base alla Parola di Dio il solo pronunciare non basta, esso richiede la musica. Due canti della liturgia cristiana derivano da testi biblici che li pongono sulle labbra degli Angeli: il 'Gloria', che è cantato dagli Angeli alla nascita di Gesù, e il 'Sanctus', che secondo Isaia 6 è l’acclamazione dei Serafini che stanno nell’ immediata vicinanza di Dio. Alla luce di ciò, la liturgia cristiana è invito a cantare insieme agli Angeli e a portare così la parola alla sua destinazione più alta. [...] Partendo da ciò, si può capire la serietà di una meditazione di san Bernardo di Chiaravalle, che usa una parola di tradizione platonica trasmessa da Agostino per giudicare il canto brutto dei monaci, che ovviamente per lui non era affatto un piccolo incidente, in fondo secondario. Egli qualifica la confusione di un canto mal eseguito come un precipitare nella 'regio dissimilitudinis', nella 'zona della dissimilitudine', [...] in una lontananza da Dio nella quale l'uomo non lo rispecchia più e così diventa dissimile non solo da Dio, ma anche da se stesso, dal vero essere uomo. È certamente drastico Bernardo se, per qualificare i canti mal eseguiti dei monaci, usa questa parola, che indica la caduta dell’uomo lontano da se stesso. Ma dimostra anche come egli prenda la cosa sul serio. Dimostra che la cultura del canto è anche cultura dell’essere e che i monaci con il loro pregare e cantare devono corrispondere alla grandezza della Parola loro affidata, alla sua esigenza di vera bellezza. Da questa esigenza intrinseca del parlare con Dio e del cantarlo con le parole donate da lui stesso è nata la grande musica occidentale. Non si trattava di una 'creatività' privata, in cui l’individuo erige un monumento a se stesso, prendendo come criterio essenzialmente la rappresentazione del proprio io. Si trattava piuttosto di riconoscere attentamente con gli 'orecchi del cuore', le leggi intrinseche della musica della stessa creazione, le forme essenziali della musica immesse dal Creatore nel suo mondo e nell’uomo, e trovare così la musica degna di Dio, che allora al contempo è anche veramente degna dell’uomo e fa risuonare in modo puro la sua dignità".

Ebbene, a questa altezza sublime della visione papale che cosa corrisponde, nei fatti?

Lo scorso 1 maggio, la messa di beatificazione di Giovanni Paolo II è stata osservata da molti milioni di persone in tutto il mondo. Dal punto di vista liturgico è stata un modello, come lo sono tutte le messe celebrate da Benedetto XVI. Ma dal punto di vista musicale no. I due cori che l'hanno accompagnata, rispettivamente diretti da don Palombella e da monsignor Marco Frisina, facevano proprio pensare al "canto brutto" e al "canto mal eseguito" condannati da san Bernardo, nel discorso del papa ora citato.

E come la cattiva musica del suo tempo per san Bernardo "non era affatto un piccolo incidente, in fondo secondario", così l'inadeguatezza della musica liturgica eseguita oggi a Roma nelle messe papali ha effetti gravi: non può che fare da cattivo esempio per tutto il mondo.

Ha avuto facili motivi, nei giorni scorsi, uno dei più celebrati direttori d'orchestra, il maestro Riccardo Muti, a invocare per l'ennesima volta che "nelle chiese si torni al grande patrimonio musicale cristiano" e si mettano al bando le "canzonette".

Non mancano, fortunatamente, nel mondo, luoghi dove la musica liturgica è eseguita in modo consono alla liturgia stessa e qualitativamente elevato.

Ha impressionato, ad esempio, la qualità altissima del coro che ha accompagnato i vespri celebrati da Benedetto XVI il 17 settembre 2010 nell'abbazia di Westminster, con meravigliosa fusione tra brani antichi e moderni.

E anche a Roma non sarebbe impossibile elevare la qualità dei canti che accompagnano le liturgie papali, se solo si avesse la volontà di ripartire da capo e si facesse affidamento su uomini competenti e che abbiano la stessa visione del papa sulla musica liturgica.

Il luogo in cui tale visione è più viva e presente, a Roma, è proprio il Pontificio Istituto di Musica Sacra che in questi giorni celebra il suo centenario, con suo preside monsignor Valentino Miserachs Grau.

Incredibilmente, però, tutto si fa, nella curia vaticana, tranne che valorizzare gli uomini e gli indirizzi di questo Istituto. Anzi, sembra si faccia di tutto per boicottarli.

Lo scorso 14 marzo l'arcivescovo Fernando Filoni, all'epoca sostituto segretario di Stato, aveva assicurato per iscritto che il papa aveva "benevolmente accolto la richiesta di una udienza pontificia e di una lettera apostolica" in occasione delle celebrazioni del centenario.

Sull'invito per il congresso, infatti, l'Istituto stampò anche l'annuncio dell'udienza col papa.

Poi però, a pochi giorni dall'apertura del congresso e ad inviti già recapitati, la prefettura della casa pontificia fece sapere che l'udienza non ci sarebbe stata, e neppure la lettera apostolica.

Al loro posto il papa avrebbe semplicemente inviato un messaggio, nella forma di una lettera al cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della congregazione per l'educazione cattolica e quindi gran cancelliere dell'Istituto.

Cosa che avvenne la mattina di giovedì 26 maggio, giorno d'apertura del congresso. Ma con uno schiaffo in più. A differenza di tutti gli altri messaggi papali di questo tipo, questo non fu reso pubblico dalla sala stampa della Santa Sede, né citato dalla Radio Vaticana.

E non è finita. "L'Osservatore Romano" stampato nel pomeriggio dello stesso giorno ignorò del tutto sia l'apertura del congresso del centenario, sia il messaggio del papa. Non una riga. C'era invece, nelle pagine della cultura, un articolo riguardante un concerto offerto a Benedetto XVI, il giorno dopo, dal presidente della repubblica di Ungheria, con musiche di Ferenc Liszt...

La prefettura della casa pontificia ha inoltre fatto sapere che un'udienza papale non sarà accordata al Pontificio Istituto di Musica Sacra nemmeno nei prossimi mesi, cioè nel seguito dell'anno del centenario.

L'unico cenno pubblico al centenario dell'Istituto è arrivato tra i saluti del papa dopo il "Regina Cæli" in piazza San Pietro di domenica 29 maggio.

È ormai evidente, dopo sei anni, che Benedetto XVI, nel selezionare drasticamente le cose fatte da lui di persona, ha rinunciato ad agire e a prendere decisioni nel campo della musica sacra.

Ma è anche fin troppo evidente, a questo punto, che chi decide al suo posto in questo campo – nella segreteria di Stato come nella prefettura della casa pontificia o altrove – opera spesso in modo difforme e persino contrastante con quella che è la visione del papa.

Posto questo divario, resta incomprensibile perché papa Benedetto lo tolleri.

In altre parole, resta incomprensibile perché abbia deciso di rinunciare a poche e semplici decisioni operative che erano e sono nella sua piena disponibilità, in un campo come questo che egli giudica così cruciale e su cui ha idee chiarissime. E perché abbia lasciato tali decisioni a uomini i quali, visto ciò che fanno, di certo non l'aiutano nel suo sforzo di ridare luce e "splendore di verità", anche musicale, alla liturgia cattolica.


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BASTA MESSE DISSACRANTI!!!!

Firmate la petizione contro la Messa-western in Vienna!

http://www.stop-western-mass.com/index.php?lang=it


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Il cardinale Cañizares Llovera sui riti liturgici

Un modello per celebrazioni di massa

«Le celebrazioni presiedute dal Pontefice alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid hanno evidenziato un sentimento religioso profondo».
Ne è convinto il cardinale spagnolo Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Chiamato due anni e mezzo fa da Benedetto XVI alla guida del dicastero vaticano che cura «la promozione e la regolamentazione della Liturgia», il porporato spagnolo ha partecipato alle giornate madrilene da un osservatorio privilegiato, membro del seguito papale. Durante le quattro giornate in cui Benedetto XVI ha soggiornato nella sua patria -- Cañizares Llovera è infatti nato a Utiel, nell'arcidiocesi di Valencia, ed è stato vescovo di Ávila, arcivescovo di Granada, metropolita di Toledo e primate di Spagna, prima di iniziare il suo servizio nella Curia romana -- gli è stato accanto in tutti i momenti, soprattutto in quelli di carattere liturgico, caratterizzati soprattutto -- ha detto al nostro giornale -- da «canti appropriati e dal giusto raccoglimento».
Dalla festa di accoglienza dei giovani in Plaza de Cibeles alla Via Crucis nello stesso luogo, dalla messa con i seminaristi nella cattedrale dell'Almudena alla veglia -- nonostante i problemi causati dal maltempo -- e alla successiva concelebrazione eucaristica sulla spianata di Cuatro Vientos: tutti questi avvenimenti hanno suscitato nel cardinale iberico un sentimento positivo. «Credo -- ha commentato -- che i riti di questa Gmg siano stati un modello di come debbano essere le grandi concelebrazioni di massa con i giovani, per sentire il vero significato della Liturgia della Chiesa e come deve essere l'anima di tutta la vita della Chiesa». (glb)

(©L'Osservatore Romano 26 agosto 2011)


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Stanno estromettendo Gesù dalle chiese

3 SETTEMBRE 2011 / IN NEWS

Un giorno, conversando con amici, Ratzinger (ancora cardinale) se ne uscì con una battuta: “Per me una conferma della divinità della fede viene dal fatto che sopravvive a qualche milione di omelie ogni domenica”.

Se ne sentono infatti di tutti i colori. Non c’è solo il prete che – è notizia di ieri – in una basilica della Brianza diffonde una preghiera islamica in cui si inneggia ad Allah.

Ci sono quelli che consigliano la lettura di Mancuso o Augias… E si trovano “installazioni” di arte contemporanea nelle cattedrali che fanno accapponare la pelle.

D’altra parte pure i cardinali di Milano hanno dato sfogo alla “creatività”.

Leggo dal sito di Sandro Magister: “Nel 2005, l’11 maggio, per introdurre un ciclo dedicato al libro di Giobbe è stato chiamato a parlare in Duomo il professor Massimo Cacciari: oltre che sindaco di Venezia, filosofo ‘non credente’ come altri che in anni precedenti avevano preso parte a incontri promossi dal cardinale Martini col titolo, appunto, di ‘Cattedra dei non credenti’. Cacciari ha tessuto l’elogio del vivere senza fede e senza certezze”.

Insomma nelle chiese si può trovare di tutto. Tranne la centralità di Gesù Cristo.

Infatti – nella disattenzione generale – i vescovi italiani hanno estromesso dalle chiese (o almeno vistosamente allontanato dall’altare centrale e accantonato in qualche angolo) proprio Colui che ne sarebbe il legittimo “proprietario”, cioè il Figlio di Dio, presente nel Santissimo Sacramento.

Non sembri una banale battuta. Al Congresso eucaristico nazionale che si sta aprendo ad Ancona dovrebbero considerare gli effetti devastanti prodotti dall’incredibile documento della Commissione Episcopale per la liturgia del 1996 che è il vademecum in base al quale sono state progettate le nuove chiese italiane e i relativi tabernacoli, o sono state “ripensate” le chiese più antiche.

Non si capisce quale sia lo statuto teologico di cui gode una Commissione della Cei (a mio avviso nessuno). Ma la cosa singolare è questa: che nell’ambiente ecclesiastico – a partire da seminari e facoltà teologiche – trovi legioni di teologi pronti (senza alcuna ragione seria) a mettere in discussione i Vangeli (nella loro attendibilità storica) e le parole del Papa, ma se si tratta di testi partoriti dalle loro sapienti meningi, e firmati da qualche commissione episcopale, ti dicono che quelli devono essere considerati sacri e intoccabili.

Dunque in quel testo del 1996, fra le altre cose discutibili, si “consiglia vivamente” di collocare il tabernacolo non solo lontano dall’altare su cui si celebra, ma pure dalla cosiddetta area presbiterale. Relegandolo “in un luogo a parte”.

Le motivazioni – come sempre – sono apparentemente “devote”. Si dice infatti che il tabernacolo potrebbe distrarre dalla celebrazione eucaristica.

Motivazione ridicola e – nella sua enfasi sull’evento celebrativo a discapito della presenza nel tabernacolo – anche pericolosamente somigliante alle tesi di Lutero.

L’effetto inaudito di queste norme è il seguente: nelle chiese si assiste da qualche anno a un accantonamento progressivo del tabernacolo, cioè del luogo più importante della chiesa, quello in cui è presente il Signore.

Prima lo si è collocato in un posto defilato (una colonna o un altare laterale), quindi in una cappella, parzialmente visibile. Alla fine probabilmente sarà del tutto estromesso dalle chiese.

Come risulta essere nell’incredibile edificio di San Giovanni Rotondo in cui è stato portato il corpo di san Pio.

L’edificio, progettato da Renzo Piano, non ha inginocchiatoi e la figura centrale e incombente è l’enorme e spaventoso drago rosso dell’apocalisse rappresentato trionfante nell’immensa vetrata: ebbene il tabernacolo lì non c’è.

Non so a chi sia venuto in mente questo progressivo occultamento dei tabernacoli nelle chiese (che avrebbe fatto inorridire padre Pio). Esso non corrisponde affatto all’insegnamento del Concilio Vaticano II, visto che l’istruzione post-conciliare “Inter Oecumenici” del 1964 affermava che il luogo ordinario del tabernacolo deve essere l’altare maggiore.

E non piace nemmeno al Papa come si vede nell’Esortazione post sinodale “Sacramentum Caritatis” dove egli sottolinea il legame strettissimo che deve esserci fra celebrazione eucaristica e adorazione.

Sottolineatura emersa dall’XI Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2005 che ha richiesto la centralità ed eminenza del tabernacolo.

Basterà per tornare sulla retta via? Nient’affatto. Come dimostra il comportamento – a volte di aperta contestazione al Papa – tenuto da certi vescovi quando il suo famoso “Motu proprio” ha restaurato la libertà di celebrare anche con l’antico messale.

Purtroppo le idee sbagliate dei liturgisti “creativi” continueranno a prevalere sul papa, sul Concilio e sul Sinodo (forse faranno strada anche altre balordaggini come la “prima comunione” a 13 anni). Fa da corollario a questa estromissione di Gesù eucaristico dalle chiese, la stupefacente pratica del biglietto di ingresso istituito perfino per alcune Cattedrali. Degradate così a musei.

La protestantizzazione o la museizzazione delle chiese è un fenomeno dagli effetti spaventosi per la Chiesa Cattolica. Si dovrebbero prendere subito provvedimenti.

Per capire cosa era – e cosa dovrebbe essere – una chiesa cattolica voglio ricordare la storia di due persone significative.

La prima è Edith Stein, una donna straordinaria, filosofa agnostica, di famiglia ebrea, che divenne cattolica, si fece suora carmelitana ed è morta nel lager nazista di Auschwitz.

E’ stata proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1998 e nell’anno successivo compatrona d’Europa.

La Stein ha raccontato che un primo episodio che la portò verso la conversione accadde nel 1917 quando lei, giovinetta, vide una popolana, con la cesta della spesa, entrare nel Duomo di Francoforte e fermarsi per una preghiera:

“Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l’accaduto”.

Lì infatti c’era Gesù eucaristico.

Un altro caso riguarda il famoso intellettuale francese André Frossard. Era il figlio del segretario del Partito comunista francese.

Era ateo, aveva vent’anni e quel giorno aveva un appuntamento con una ragazza. L’amico con cui stava camminando, essendo cattolico, gli chiese di aspettarlo qualche istante mentre entrava in una chiesa.

Dopo alcuni minuti Frossard decise di andare a chiamarlo perché aveva fretta di incontrare “la nuova fiamma”. Lo scrittore sottolinea che lui non aveva proprio nessuno dei tormenti religiosi che hanno tanti altri.

Per loro, giovani comunisti, la religione era un vecchio rottame della storia e Dio un problema “risolto in senso negativo da due o tre secoli”.

Eppure quando entrò in quella chiesa era in corso un’adorazione eucaristica e, racconta, “è allora che è accaduto l’imprevedibile”.

Dice:

“il ragazzo che ero allora non ha dimenticato lo stupore che si impadronì di lui quando, dal fondo di quella cappella, priva di particolare bellezza, vide sorgere all’improvviso davanti a sé un mondo, un altro mondo di splendore insopportabile, di densità pazzesca, la cui luce rivelava e nascondeva a un tempo la presenza di Dio, di quel Dio, di cui, un istante prima, avrebbe giurato che mai era esistito se non nell’immaginazione degli uomini; nello stesso tempo era sommerso da un’onda, da cui dilagavano insieme gioia e dolcezza, un flutto la cui potenza spezzava il cuore e di cui mai ha perso il ricordo”.

La sua vita ne fu capovolta. “Insisto. Fu un’esperienza oggettiva, fu quasi un esperimento di fisica”, ha scritto. Frossard è diventato il più celebre giornalista cattolico. In una chiesa di oggi non avrebbe incontrato il Verbo fatto carne, ma le chiacchiere di carta.

Antonio Socci

Da Libero, 3 settembre 2011


Che tristezza infinita...
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Paesi anglofoni: entra in vigore la nuova traduzione inglese del Messale Romano

Con l’inizio del nuovo anno liturgico, la nuova traduzione inglese del Messale Romano viene formalmente adottata per la Celebrazione Eucaristica in parrocchie e istituti di diversi Paesi anglofoni, tra cui Gran Bretagna, Irlanda, Canada e Stati Uniti. Libri d’altare e “messalini”, freschi di stampa, riportano l’edizione rivista della Terza Edizione Tipica del Messale, la cui presentazione generale o “Proemio” entrerà anche in uso lo stesso 27 novembre, con i relativi aggiornamenti. Il nuovo Ordinamento contiene preghiere per la memoria di santi canonizzati di recente, prefazi aggiuntivi per le Preghiere Eucaristiche, ulteriori Messe votive e preghiere per varie necessità e circostanze, rubriche aggiornate per la celebrazione della Messa; è anche da rilevare l’ampio apparato musicale per il canto gregoriano incluso nei volumi d’altare del nuovo Messale.
Una lettura attenta del testo può cogliere la dimensione geografica della cattolicità, rappresentata da santi e martiri di tutto il mondo e dalle intenzioni di preghiera per le diverse esigenze: unità dei cristiani, evangelizzazione dei popoli, santificazione del lavoro umano, progresso dei popoli, tutela della giustizia e della pace.
Dal punto di vista storico, il Messale conserva la preghiera liturgica della Chiesa nei suoi due millenni di storia, avendo recepito nelle diverse epoche i materiali più significativi e caratteristici della spiritualità del momento, in costante attenzione alla tradizione e all’insegnamento della Chiesa di Roma come modello di unità per la pratica liturgica.
Apparso per la prima volta nel 1570, dopo il Concilio di Trento, il Missale venne tradotto nelle diverse lingue nazionali negli anni successivi al Vaticano II, in attuazione del rinnovamento liturgico voluto dai Padri Conciliari, che auspicavano una più attiva partecipazione del Popolo di Dio e una maggior consapevolezza del mistero celebrato e del suo significato nella vita del singolo e della Chiesa.
Nelle lettere inviate nei mesi scorsi ai rispettivi fedeli diocesani, i vescovi dei Paesi interessati invitano ad accogliere la nuova pubblicazione come strumento di approfondimento e rafforzamento della fede; la traduzione aggiornata considera il contesto di quanto la liturgia comunica, l’evoluzione semantica delle parole, il destinatario della celebrazione, consentendo una migliore comprensione del testo liturgico.
Oltre agli elementi di novità precedentemente segnalati, le nuove istruzioni circa la postura dei fedeli durante la Messa consentiranno di seguire il rito in modo più ordinato e rispettoso, così da contribuire alla dignità del culto e al raccoglimento dell’assemblea.
(A cura di Marina Vitalini)

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Illustrati da monsignor Marini

I riti natalizi del Papa tra novità e tradizione

Tradizioni e novità dei riti del tempo di Natale presieduti quest'anno da Benedetto XVI sono illustrati in una nota da monsignor Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.
Innanzitutto, quest'anno sarà collocata accanto all'altare della Confessione della basilica Vaticana una statua lignea della Vergine con il Bambino Gesù, conservata presso i Musei Vaticani, che fu donata dal presidente del Brasile João Goulart a Paolo VI in occasione della sua elezione al soglio pontificio nel 1963. L'opera di scuola brasiliana, risalente al secolo XVIII, rappresenta Nostra Signora di Montserrat ed è dipinta in oro con policromia originale e meccatura in argento. Inoltre, «per quanto riguarda l'ambito musicale -- riferisce monsignor Marini -- la Cappella Sistina eseguirà, come di consueto, brani in gregoriano e in polifonia. Da sottolineare che, per l'ordinario, sarà eseguita la messa cum iubilo, propria del tempo di Natale. All'offertorio saranno eseguiti i mottetti storici composti da Pier Luigi da Palestrina per la Cappella Sistina. La notte di Natale, al posto del salmo responsoriale, come prevedono le norme liturgiche, sarà eseguito l'antico graduale nel 2° modo, caratteristico di questa solennità liturgica. Il tradizionale canto natalizio dell'Adeste fideles sarà eseguito nella forma elaborata da David Willcocks».
In particolare, poi, la messa della notte di Natale sarà preceduta, quest'anno, dalla preghiera dell'ufficio delle letture, così come prevede il messale romano, con inizio alle ore 21. Conclusa la preghiera dell'ufficio, è previsto il canto della kalenda. I testi della preghiera universale sono stati preparati dai monaci certosini di Farneta.
Riguardo alla solennità del 1° gennaio, monsignor Marini sottolinea che in preparazione alla messa sarà recitata la preghiera del Rosario. I testi della preghiera universale sono a cura delle monache della Visitazione del monastero Mater Ecclesiae in Vaticano. Durante la celebrazione dell'Epifania, poi, il Papa ordinerà due nuovi vescovi: monsignor Charles Brown, nominato nunzio apostolico in Irlanda, e monsignor Marek Solczynski, nominato nunzio apostolico in Georgia e Armenia. Infine sedici bambini riceveranno domenica 8 gennaio il battesimo dalle mani di Benedetto XVI nella Cappella Sistina.

(©L'Osservatore Romano 23 dicembre 2011)


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Introdotte dall’ufficio delle Celebrazioni Liturgiche e approvate dal Pontefice

Novità nel rito per la creazione di nuovi cardinali

Novità nei concistori ordinari pubblici per la creazione di nuovi cardinali.
Il rito in vigore fino a oggi viene rivisto e semplificato, con l’approvazione del Santo Padre Benedetto XVI: in sostanza si unificano i tre momenti dell’imposizione della berretta, della consegna dell’anello cardinalizio e dell’assegnazione del titolo o della diaconia; cambiano le orazioni colletta e conclusiva; e assume una forma più breve la proclamazione della Parola di Dio.
Va premesso — come spiega l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice — che la riforma liturgica avviata dal concilio Vaticano II ha riguardato anche i riti concistoriali di imposizione della berretta e di assegnazione del titolo ai nuovi porporati, e che il testo rinnovato della celebrazione, pubblicato in «Notitiae» 5, 1969, pp. 289-291, è stato usato per la prima volta da Paolo VI nell’aprile 1969.
Il criterio principale che guidò la redazione del nuovo rituale fu l’inserimento in un ambito liturgico di ciò che di per sé non ne faceva parte in senso proprio: la creazione di nuovi cardinali doveva essere collocata in un contesto di preghiera, evitando però al contempo ogni elemento che potesse dare l’idea di un «sacramento del cardinalato». Il concistoro, infatti, storicamente non era mai stato considerato un rito liturgico, bensì una riunione del Papa con i cardinali in relazione al governo della Chiesa e, pertanto, espressione del munus regendi, non del munus sanctificandi.
Tenendo presenti tali aspetti della storia passata e recente, in una linea di continuità con l’attuale forma del concistoro e dei suoi elementi principali, si è quindi rivista e semplificata la prassi vigente. Anzitutto vengono riprese dal rito del 1969 l’orazione colletta e l’orazione conclusiva, perché molto ricche nel contenuto e provenienti dalla grande tradizione eucologica romana. Le due preghiere, infatti, parlano esplicitamente dei poteri affidati dal Signore alla Chiesa, in particolare di quello di Pietro: il Pontefice prega anche in modo diretto per se stesso, per svolgere bene il suo ufficio. Nell’orazione colletta che viene dal Veronense, il cosiddetto Sacramentarium Leonianum, una delle fonti più antiche dell’eucologia romana — si tratta della colletta per l’anniversario dell’ordinazione episcopale del Vescovo di Roma (Mense Septembris, in natale episcoporum, v alia missa. nn. 989 e 993; Corpus Orationum, n. 2301) — il Santo Padre dice: «Oremus. Domine Deus, Pater gloriae fons honorum, qui licet Ecclesiam tuam toto orbe diffusam largitate munerum ditare non desinis, sedem tamen beati Apostoli tui Petri tanto propensius intueris, quanto sublimius esse voluisti: da mihi famulo tuo providentiae tuae dispositionibus exhibere congruenter officium; certus te universis Ecclesiis collaturum quidquid illi praestiteris, quam cuncta respiciunt. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia sæcula sæculorum».
Nell’orazione conclusiva, anch’essa scelta nel 1969 dal Veronense — in questo caso si tratta però di un’altra colletta per l’anniversario dell’ordinazione episcopale del Vescovo di Roma (Mense septembris, in natale episcoporum, v alia missa, «alia collecta», nn. 992; Corpus Orationum, n. 1198) — il Papa prega così: «Deus cuius universae viae misericordia est semper et veritas, operis tui dona prosequere; et quod possibilitas non habet fragilitatis humanae, tuis beneficiis miseratus impende; ut hi famuli tui, Ecclesiae tuae iugiter servientes et fidei integritate fundati, et mentis luceant puritate conspicui. Per Christum Dominum nostrum».
Anche la proclamazione della Parola di Dio assume di nuovo la forma più breve, propria del rito del 1969, con la sola pericope evangelica (Marco 10, 32-45), che è la stessa nei due rituali. Infine, si integra la consegna dell’anello cardinalizio nello stesso rito, mentre prima della riforma del 1969 l’imposizione del cappello rosso avveniva nel concistoro pubblico, seguito da quello segreto, nel quale si svolgevano anche la consegna dell’anello e l’assegnazione della chiesa titolare o della diaconia.
Oggi tale distinzione fra concistoro pubblico e segreto di fatto non viene più osservata e di conseguenza appare più coerente includere i tre momenti significativi della creazione dei nuovi cardinali nel medesimo rito.
Si conserva invece la concelebrazione del Papa con i nuovi cardinali nella Messa del giorno seguente, che si apre con l’indirizzo di omaggio e di gratitudine che il primo dei porporati rivolge al Pontefice a nome di tutti gli altri.

(©L'Osservatore Romano 7-8 gennaio 2012)


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"Placet" o "Non placet"? La scommessa di Carmen e Kiko

I fondatori del Cammino neocatecumenale puntano a ottenere l'approvazione vaticana definitiva del loro modo "conviviale" di celebrare le messe. Il documento è pronto. Ma potrebbe essere modificato o bloccato in extremis. Il 20 gennaio il verdetto

di Sandro Magister

ROMA, 13 gennaio 2012 – Come già altre volte negli anni passati, anche in questo mese di gennaio, venerdì 20, Benedetto XVI incontrerà in Vaticano, nell'aula delle udienze, migliaia di membri del Cammino neocatecumenale, con i loro fondatori e leader, gli spagnoli Francisco "Kiko" Argüello e Carmen Hernández.

Un anno fa, nell'udienza del 17 gennaio del 2011, il papa comunicò alla platea entusiasta che i tredici volumi del catechismo in uso nelle loro comunità avevano ricevuto la sospirata approvazione, dopo un lunghissimo esame cominciato nel 1997 da parte della congregazione per la dottrina della fede, e dopo che vi erano state introdotte numerose correzioni, con circa 2000 rimandi a passi paralleli del catechismo ufficiale della Chiesa cattolica.

Il prossimo 20 gennaio, invece, i leader e i membri del Cammino si aspettano dalle supreme autorità della Chiesa un "placet" ancor più ardentemente agognato. L'approvazione ufficiale e definitiva di quello che è il loro tratto distintivo più visibile, ma anche più controverso: il modo con cui celebrano le messe.


I QUATTRO ELEMENTI


Le messe delle comunità neocatecumenali si distinguono da sempre per almeno quattro elementi.

1. Vengono celebrate in gruppi ristretti, corrispondenti ai diversi stadi di avanzamento nel percorso catechetico. Se in una parrocchia, ad esempio, le comunità neocatecumenali sono dodici, ciascuna a un diverso stadio, altrettante saranno le messe, celebrate in locali separati più o meno alla stessa ora, preferibilmente la sera del sabato.

2. L'ambiente e l'arredo ricalcano l'immagine del banchetto: una tavola con attorno i commensali seduti. Anche quando i neocatecumenali celebrano la messa non in una sala parrocchiale ma in una chiesa, l'altare lo ignorano. Collocano una tavola al centro e vi si siedono attorno in cerchio.

3. Le letture bibliche della messa sono precedute ciascuna da un'ampia "monizione" da parte dell'uno o dell'altro dei catechisti che guidano la comunità e sono seguite, specie dopo il Vangelo, dalle "risonanze", ossia dalle riflessioni personali di un ampio numero dei presenti. L'omelia del sacerdote si aggiunge alle "risonanze" senza distinguersi da esse.

4. La comunione avviene anch'essa riproducendo il modulo del banchetto. Il pane consacrato – un grosso pane azzimo di farina di frumento, per due terzi bianca e per un terzo integrale, preparato e cotto con le regole minuziose stabilite da Kiko – viene spezzato e distribuito ai presenti, che restano ai loro posti. A distribuzione ultimata, viene mangiato contemporaneamente da tutti, compreso il sacerdote. Successivamente, questi passa dall'uno all'altro con il calice del vino consacrato, al quale ciascuno beve.

Di particolarità ve ne sono anche altre, ma bastano queste quattro per capire quanta diversità di forma e di sostanza vi sia tra le messe dei neocatecumenali e quelle celebrate secondo le regole liturgiche generali. Una diversità sicuramente più forte di quella che intercorre tra le messe in rito romano antico e in rito moderno.

Le autorità vaticane, a più riprese, hanno cercato di riportare i neocatecumenali a una maggiore fedeltà alla "lex orandi" in vigore nella Chiesa cattolica. Ma con polso fiacco e risultati quasi nulli.

Il richiamo più forte è stato compiuto con la promulgazione degli statuti definitivi del Cammino, approvati nel 2008.

In essi, all'articolo 13, le autorità vaticane hanno stabilito che le messe delle comunità devono essere "aperte anche ad altri fedeli"; che la comunione va ricevuta "in piedi"; che per le letture bibliche sono consentite, oltre all'omelia, solo "brevi monizioni" introduttive.

Delle "risonanze" (ammesse nei precedenti statuti, provvisori, del 2002) non c'è traccia in questo stesso articolo 13 dedicato alla celebrazione della messa. Se ne parla solo all'articolo 11, che però riguarda le celebrazioni infrasettimanali della Parola, che ogni comunità fa con i propri catechisti.

Sta di fatto che è cambiato pochissimo tra il modo con cui oggi i neocatecumenali celebrano la messa e il modo con cui la celebravano fino ad alcuni anni fa, quando in più si passavano di mano in mano, festanti, le coppe di vino consacrato.

Solo in teoria le loro messe di gruppo sono state aperte anche ad altri fedeli.

Seduti o in piedi, il loro modo conviviale di fare la comunione è sempre lo stesso.

Le "risonanze" personali dei presenti continuano a invadere e soverchiare la prima parte della messa.

Non solo. Dall'udienza con Benedetto XVI del 20 gennaio prossimo Kiko, Carmen e i loro seguaci contano di uscire con una esplicita approvazione di tutto ciò.

Un'approvazione con tutti i crismi dell'ufficialità. Promulgata dalla congregazione vaticana per il culto divino.


RATZINGERIANO E ANTIPAPA


Con un Francis Arinze cardinale prefetto della congregazione e soprattutto con un Malcolm Ranjith segretario della stessa – come era fino a pochi anni fa – una simile approvazione sarebbe stata impensabile.

Il cardinale Arinze, oggi in pensione, fu protagonista nel 2006 di un memorabile scontro con i capi del Cammino, quando ingiunse loro per lettera una serie di correzioni, alle quali essi sfrontatamente disubbidirono.

Quanto a Ranjith – ora tornato in patria, nello Sri Lanka, come arcivescovo di Colombo – è difficile trovare tra i cardinali uno più agguerrito di lui nel difendere la fedeltà alla tradizione liturgica. Nel campo della liturgia, il cardinale Ranjith ha fama di essere più ratzingeriano dello stesso Joseph Ratzinger, suo maestro.

Oggi alla testa della congregazione per il culto divino c'è un altro cardinale che passa anche lui per ratzingeriano di ferro, lo spagnolo Antonio Cañizares Llovera.

Ma a giudicare dal documento che egli avrebbe pronto per il prossimo 20 gennaio, non si direbbe proprio.

Infatti, un suo via libera alla "creatività" liturgica dei neocatecumenali farebbe solo danno alla sapiente e paziente opera di ricostruzione della liturgia cattolica che papa Benedetto sta compiendo da anni, con un coraggio che è pari alla grande solitudine che lo circonda.

E fornirebbe un argomento in più alle accuse dei tradizionalisti, per non dire dei lefebvriani.


TRA ASTUZIE E INDULGENZE


C'è un'astuzia che i neocatecumenali adottano quando alle loro messe partecipano o presenziano papi, vescovi e cardinali: quella di attenersi alle regole liturgiche generali.

Il cardinale Cañizares non è il solo ad essere caduto in questa trappola. O a credere che le intemperanze liturgiche del Cammino, se pur ci sono, sono minime e perdonabili, a confronto col fervore di fede di chi vi partecipa.

Come lui, numerosi altri cardinali e vescovi hanno un occhio di riguardo per i neocatecumenali, in particolare in Spagna. Nella curia vaticana è un loro acceso sostenitore il prefetto di "Propaganda Fide" Fernando Filoni, in precedenza sostituto segretario di Stato.

Così, mentre con altri movimenti cattolici le autorità vaticane sono inflessibili nell'esigere il rispetto delle norme liturgiche, con i neocatecumenali sono più indulgenti. Ad esempio si tollera che, nelle loro messe, le "risonanze" continuino a debordare, quando invece alla pur potente Comunità di Sant'Egidio si ingiunse, anni fa, di far tenere l'omelia esclusivamente dal sacerdote, e non più – come avveniva in precedenza – dal loro fondatore Andrea Riccardi o in subordine da altri leader laici della comunità.

Questa diffusa indulgenza nei confronti delle licenze liturgiche dei neocatecumenali ha una spiegazione che risale ai primordi del movimento, e che è utile richiamare.


"AVEVA RAGIONE LUTERO"


In campo liturgico, più che Kiko, è stata la cofondatrice Carmen Hernández a modellare il "rito" neocatecumenale.

Negli anni del Concilio Vaticano II e immediatamente successivi, quando ancora portava l'abito religioso delle Misioneras de Cristo Jesús e studiava per ottenere la licenza in teologia, Carmen si appassionò al rinnovamento della liturgia. Suoi maestri e ispiratori furono in Spagna il liturgista Pedro Farnés Scherer e a Roma don Luigi della Torre, anche lui liturgista di spicco, parroco della chiesa della Natività in via Gallia, che fu uno dei primi insediamenti romani del movimento, e monsignor Annibale Bugnini, all'epoca potente segretario della congregazione vaticana per il culto divino e principale artefice della riforma liturgica postconciliare.

Fu proprio Bugnini, all'inizio degli anni Settanta, a felicitarsi per il modo con cui le prime comunità fondate da Kiko e Carmen celebravano le messe. Ne scrisse su "Notitiæ", la rivista ufficiale della congregazione per il culto divino. E fu ancora lui, assieme ai cofondatori, a decidere di chiamare il neonato movimento "Cammino neocatecumenale".

Dalla frequentazione di questi liturgisti e da una disinvolta rielaborazione delle loro tesi, Kiko e Carmen trassero una loro personale concezione della liturgia cattolica, che misero in pratica nelle messe delle loro comunità.

C'è un libro di un sacerdote ligure del Cammino, Piergiovanni Devoto, che avvalendosi di testi inediti di Kiko e Carmen, ha messo in pubblico questa loro bizzarra concezione.

Il libro, uscito nel 2004 col titolo “Il neocatecumenato. Un’iniziazione cristiana per adulti” e con la calorosa presentazione di Paul Josef Cordes, all'epoca presidente del pontificio consiglio "Cor Unum", oggi cardinale, è stato stampato da Chirico, la casa editrice napoletana che ha anche pubblicato l'unica opera tradotta in italiano di Farnés Scherer, il liturgista che per primo ispirò Carmen.

Ecco qui di seguito alcuni passaggi del libro, tratti dalle pagine 71-77.

“Nel corso dei secoli l’eucaristia è stata spezzettata e ricoperta, rivestita fino al punto che noi non vedevamo nella nostra messa da nessuna parte la risurrezione di Gesù Cristo”...

“Nel IV secolo, con la conversione di Costantino, anche l’imperatore col suo corteo va in chiesa per celebrare l’eucaristia: nascono così liturgie di ingresso, rese solenni da canti e da salmi e, quando questi vengono poi eliminati, rimane solo l’antifona, senza più il salmo, costituendo un vero e proprio assurdo”...

“Analogamente prendono campo le processioni offertoriali, nelle quali emerge la concezione propria della religiosità naturale che tende a placare la divinità mediante doni e offerte”...

“La Chiesa ha tollerato per secoli forme non genuine. Il ‘Gloria’, che faceva parte della liturgia delle ore recitate dai monaci, è entrato nella messa quando delle due azioni liturgiche si è fatta un unica celebrazione. Il ‘Credo’ è comparso all’apparire di eresie e di apostasie. Anche l’’Orate Fratres’ è esempio culminante delle preghiere con cui si infarciva la messa”...

“Col passare dei secoli le orazioni private si inseriscono in notevole quantità nella messa. L’assemblea non c’è più, la messa ha preso un tono penitenziale, in netto contrasto con l’esultanza pasquale da cui è sorta”...

“E mentre il popolo vive la privatizzazione della messa, da parte dei dotti vengono elaborate teologie razionali, che, se contengono ‘in nuce’ l’essenziale della Rivelazione, sono ammantate di abiti filosofici estranei a Cristo e agli apostoli”...

“Allora si capisce perché sorse Lutero, che fece piazza pulita di tutto ciò che credeva fosse aggiunta o tradizione puramente umana”...

“Lutero, che non ha mai dubitato della presenza reale di Cristo nell’eucaristia, ha rifiutato la ‘transustanziazione’, perché legata al concetto di sostanza aristotelico-tomistico, estraneo alla Chiesa degli apostoli e dei Padri”...

“La rigidità e il fissismo del Concilio di Trento generarono una mentalità statica in liturgia, arrivata fino ai nostri giorni, pronta a scandalizzarsi di qualsisasi mutamento o trasformazione. E questo è un errore, perché la liturgia è vita, una realtà che è lo Spirito vivente tra gli uomini. Perciò non lo si può mai imbottigliare”...

“Usciti fuori da una mentalità legalista e fissista, abbiamo assistito col Vaticano II a un profondo rinnovamento della liturgia. Sono stati tolti dall’eucaristia tutti quei paludamenti che la ricoprivano. È interessante vedere che in origine l’anafora [cioè la preghiera della consacrazione - ndr] non era scritta ma improvvisata dal presidente”...

“La celebrazione dell’eucaristia il sabato sera non è per facilitare l’esodo domenicale, ma per andare alle radici: il giorno di riposo per gli ebrei parte dalle prime tre stelle del venerdì e i primi vespri della domenica per tutta la Chiesa sono da sempre il sabato sera”...

“Il sabato si tratta di entrare nella festa con tutto l’essere, per sedersi alla mensa del Gran Re e gustare già ora il banchetto della vita eterna. Dopo la cena, un po’ di festa cordiale e amichevole concluderà questa giornata”...


UNA DOMANDA


E questo sarebbe "lo spirito della liturgia" – titolo di un libro capitale di Joseph Ratzinger – che le autorità vaticane si appresterebbero a convalidare, con la prassi che ne discende?




Voglio credere che prevarrà il buon senso delle autorità vaticane e non si lasceranno ingannare da questo gruppo settario che si credono di essere i salvatori della Chiesa! [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707]

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Dal blog di Sandro Magister...

Quella strana messa che il papa non vuole

È la messa secondo il rito del Cammino neocatecumenale. Benedetto XVI ha ordinato alla congregazione per la dottrina della fede di esaminarlo a fondo. La sua condanna pare segnata

di Sandro Magister

ROMA, 11 aprile 2012 – Con una lettera autografa al cardinale William J. Levada, Benedetto XVI ha ordinato alla congregazione per la dottrina della fede di accertare se le messe dei neocatecumenali sono o no conformi alla dottrina e alla prassi liturgica della Chiesa cattolica.

Un "problema", questo, che il papa giudica "di grande urgenza" per tutta la Chiesa.

Benedetto XVI è da tempo in allarme per le modalità particolari con cui le comunità del Cammino neocatecumenale celebrano le loro messe, il sabato sera, in locali separati.

A far crescere in lui l'allarme è stata anche la trama ordita alle sue spalle in curia lo scorso inverno, di cui www.chiesa ha dato conto nei seguenti servizi:

> "Placet" o "Non placet"? La scommessa di Carmen e Kiko (13.1.2012)

> Diario Vaticano / Ai neocatecumenali il diploma. Ma non quello che si aspettavano (23.1.2012)

Era accaduto che il pontificio consiglio per i laici presieduto dal cardinale Stanislaw Rylko aveva predisposto il testo di un decreto di approvazione globale di tutte le celebrazioni liturgiche ed extraliturgiche del Cammino neocatecumenale, da rendersi pubblico il 20 gennaio in occasione di un previsto incontro del papa con il Cammino.

Il decreto era stato redatto su indicazione della congregazione per il culto divino, presieduta dal cardinale Antonio Cañizares Llovera. I fondatori e leader del Cammino, Francisco "Kiko" Argüello e Carmen Hernández, ne furono informati e anticiparono festanti ai loro seguaci l'imminente approvazione.

Il tutto all'insaputa del papa.

Benedetto XVI venne a conoscenza del testo del decreto pochi giorni prima dell'incontro del 20 gennaio.

Lo trovò sconclusionato e sbagliato. Ordinò che fosse cancellato e riscritto secondo le sue indicazioni.

Infatti, il 20 gennaio, il decreto che fu promulgato si limitò ad approvare le cerimonie extraliturgiche che scandiscono le tappe catechistiche del Cammino.

Il papa, nel suo discorso, mise in chiaro che solo queste erano convalidate. Mentre a proposito della messa impartì ai neocatecumenali una vera e propria lezione – quasi un ultimatum – su come celebrarla in piena fedeltà alle norme liturgiche e in effettiva comunione con la Chiesa.

In quegli stessi giorni Benedetto XVI ricevette in udienza il nuovo arcivescovo di Berlino, Rainer Maria Woelki, uomo di sua fiducia, che di lì a poco avrebbe fatto cardinale. Woelki gli parlò tra l'altro proprio delle difficoltà che i neocatecumenali creavano nella sua diocesi, con le loro messe separate del sabato sera, officiate da una trentina di sacerdoti appartenenti al Cammino.

Il papa chiese a Woelki di fargli avere un appunto scritto sulla materia. Il 31 gennaio Woelki gli inviò una lettera con informazioni più dettagliate.

Pochi giorni dopo, l'11 febbraio, il papa inoltrò copia di questa lettera alla congregazione per la dottrina della fede, assieme alla sua richiesta di esaminare al più presto la questione, che "concerne non soltanto l'arcidiocesi di Berlino".

La commissione d'esame presieduta dalla congregazione per la dottrina della fede si sarebbe dovuta avvalere, secondo le indicazioni del papa, della collaborazione di altri due dicasteri vaticani: la congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, e il pontificio consiglio per i laici.

E così è stato. Il 26 marzo, nel Palazzo del Sant'Uffizio, sotto la presidenza del segretario della congregazione per la dottrina della fede, l'arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, gesuita, si sono riuniti per un primo esame della questione i segretari degli altri due dicasteri – per il culto divino l'arcivescovo Augustine J. Di Noia, domenicano, e per i laici il vescovo Josef Clemens – e quattro esperti da loro designati. Un quinto esperto, assente, dom Cassiano Folsom, priore del monastero di San Benedetto a Norcia, inviò per iscritto il suo parere.

I giudizi espressi sono stati tutti critici delle messe dei neocatecumenali. Molto severo è risultato anche quello che la stessa congregazione per la dottrina della fede aveva chiesto, prima della riunione, al teologo e neocardinale Karl J. Becker, gesuita, professore emerito alla Pontificia Università Gregoriana e consultore del dicastero.

Il dossier predisposto per la riunione dalla congregazione per la dottrina della fede comprendeva la lettera del papa dell'11 febbraio, la lettera del cardinale Woelki al papa nell'originale tedesco e in versione inglese, il parere del cardinale Becker e una traccia per la discussione nella quale si metteva esplicitamente in dubbio la conformità alla dottrina e alla prassi liturgica della Chiesa cattolica dell'art. 13 § 2 dello statuto dei neocatecumenali, quello con cui essi giustificano le loro messe separate del sabato sera.

In realtà, il pericolo temuto da Benedetto XVI e da molti vescovi – come risulta dalle numerose denunce pervenute in Vaticano – è che le modalità particolari con cui le comunità neocatecumenali di tutto il mondo celebrano le loro messe introducano di fatto nella liturgia latina un nuovo "rito" artificialmente composto dai fondatori del Cammino, estraneo alla tradizione liturgica, carico di ambiguità dottrinali e fattore di divisione nella comunità dei fedeli.

Alla commissione da lui voluta, il papa ha affidato il compito di accertare la fondatezza di questi timori. In vista di decisioni conseguenti.

I giudizi elaborati dalla commissione saranno esaminati in una prossima riunione plenaria della congregazione per la dottrina della fede, un mercoledì – una "feria quarta" – della seconda metà di aprile.



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