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Notizie dal B16F

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2015 04:06
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20/01/2009 22:28
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Accordo tra la Santa Sede e il più importante motore di ricerca a livello mondiale
Definitivo imprimatur ai nuovi media, 14 anni dopo la prima trasmissione via web


nostro servizio

Alberto Bobbio

Città del Vaticano

I gesuiti hanno appena promosso «Facebook», perché anche lì si può esprimere la fede, nonostante che qualcuno avesse messo in rete un falso profilo del segretario del Papa, monsignor Georg Gänswein, senza che lui ne sapesse nulla. Ha scritto padre Antonio Spadaro sulla Civiltà Cattolica: «In fondo incarna un'utopia, quella di stare sempre vicino alle persone a cui teniamo e di conoscerne altre che siano compatibili con noi».
È anche il senso del messaggio di Benedetto XVI per la prossima giornata per le comunicazioni sociali: «Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo e di amicizia». Verrà presentato la settimana prossima e alla conferenza stampa parteciperà anche Henrique de Castro, direttore «Media Solution», cioè le opportunità per i media, di Google, il più potente e importante motore di ricerca mondiale, con il quale la Santa Sede e precisamente la Radio Vaticana e il Centro televisivo vaticano hanno appena firmato un accordo per sbarcare su un canale speciale di YouTube, nel quale reperire filmati, foto, informazioni e materiali prodotti sul Papa e l'attività del Vaticano.
È l'imprimatur definitivo della Chiesa alle nuove tecnologie, esattamente 14 anni dopo la prima trasmissione diretta via web dalla Santa Sede: la benedizione «Urbi et orbi» di Natale da piazza san Pietro di Giovanni Paolo II. In pratica si tratta della televisione via web vaticana, affaccio sulla frontiera dei nuovi media, ulteriore strumento di comunicazione accanto all'Osservatore Romano e alla Radio Vaticana e al sito web www.vatican.va. Oggi Google offre circa 120 milioni di pagine di risultati con le parole chiave «Papa» e «Vaticano» e oltre un milione con la chiave «Joseph Ratzinger».
Al primo posto tra i siti più cliccati c'è la voce «Benedetto XVI» su Wikipedia, l'enciclopedia libera della rete, seguita dal sito «ratzinger.it», curato da un gruppo di «amici» del Papa, che mette in rete documenti, interventi a conferenze, interviste di Ratzinger dal 1982, con una selezione anche di quanto aveva detto e scritto prima di diventare prefetto della Congregazione per la Dottrina delle fede e Papa, per un totale di quasi due milioni e mezzo di pagine visitate.
Otto anni fa fu Giovanni Paolo II a distribuire esclusivamente via internet per la prima volta un suo documento, l'Esortazione post-sinodale «Ecclesia in Oceania».
Con Wojyla furono inviati anche per la prima volta sms con pensieri del Papa e l'esperienza è stata ripetuta l'anno scorso a Sidney con Benedetto XVI, il quale mandò ad ogni giovane che partecipava alla Gmg un messaggio al giorno. D'altra parte il web può essere considerato «l'agorà» del Terzo Millennio e ormai la Chiesa, le associazioni, i movimenti, le parrocchie, le diocesi, le congregazioni religiose sono presenti in forza in un aeropago, che se San Paolo dovesse predicare oggi utilizzerebbe senza alcuna paura. In Italia i siti cattolici sono passati dai 247 di dieci anni fa ad oltre 12 mila. E domani comincia a Roma un convegno dal titolo «Chiesa in rete 2.0», che la Cei dedica alla approfondimento delle opportunità pastorali di Internet.
Da alcuni anni i webmaster cattolici si sono riuniti un'associazione che si chiama Weca e molti vescovi, cardinali, parroci e conventi hanno profili su Facebook e postano filmati su YouTube. In questi giorni gira sulla rete un video delle carmelitane di clausura di San José de Ecija in Spagna nel quale le suore spiegano come occupare la mente «soltanto con Dio».
Su Facebook ci sono il cardinale di Napoli Crescenzo Sepe, gruppi di gesuiti, francescani, salesiani, profili di rettori di collegi e di conventi. Molti vescovi e sacerdoti «chattano» con i propri fedeli, partecipano a forum collettivi e hanno propri blog aperti alla discussione.

© Copyright Eco di Bergamo, 18 gennaio 2009



Prete e musicista: il Papa ha ricordato la duplice vocazione del fratello. «Inno alla bellezza di Dio, aiuto nei momenti oscuri»

DA ROMA

GIANNI SANTAMARIA

Un «canto di gioia sulla bellezza di Dio» ha accompagnato anche i «tanti momenti oscuri» della vita di monsignor Georg Ratzinger. Una vita dedicata alla musica e alla liturgia che è arrivata a 85 anni.
E per fare gli auguri al fratello, Papa Ratzinger ha ripercorso – nella suggestiva cornice della Cappella Sistina – alcune delle tappe più significative dell’esistenza umana e sacerdotale da loro vissuta.
Uno spartito che Benedetto XVI ha dipanato prendendo la parola, alternando il tedesco e l’italiano, al termine del concerto con il quale è stato celebrato il compleanno, caduto il 15 gennaio.
«Quando sei venuto al mondo – ha ricordato Benedetto XVI alla presenza di Georg – i nostri genitori avevano perso tutto per l’inflazione», c’erano «la crisi economica mondiale, la guerra, la cattività».
Poi ognuno, ha aggiunto, ha preso il suo cammino, irto di difficoltà, accompagnati, però, dal sostegno di Dio. Per il fratello maggiore si è subito manifestata la «doppia vocazione alla musica e al sacerdozio», ha sottolineato il minore. Vocazione condivisa dal Papa , che come è noto è anche lui amante e praticante della settima musa.
Nella Sistina sono risuonate proprio le note di un compositore amatissimo dai due fratelli bavaresi: la «Grande Messa in do minore» di Wolfgang Amadeus Mozart. «Magnifica e profonda composizione sacra del grande figlio della città di Salisburgo», l’ha definita Benedetto XVI. Sarebbe stata composta da Mozart per ringraziare Dio per il matrimonio. Dunque, ha rimarcato Papa Ratzinger, esprime gioia, non «qualcosa di superficiale, ma un grazie che fa vedere tutta la profondità della sua ricerca del Dio misericordioso».
«Quante volte dopo la Seconda guerra mondiale siamo andati a Salisburgo per sentire questa Messa nel duomo», ha poi rievocato rivolto a Georg. Sin dal lontano 1941. Sotto le volte affrescate dal Buonarroti, arte visiva e arte musicale, dunque, si sono unite per l’evento in onore del fratello del Papa , che nei giorni scorsi aveva spento le candeline a Roma in modo riservato, come è nel suo stile. Ma a questo omaggio non si è potuto sottrarre.
Ad eseguire l’opera sacra, infatti, c’erano i suoi Regensburger Domspatzen, il coro di voci bianche della cattedrale di Ratisbona, il più antico e famoso del mondo. Una vera e propria scuola di musica e di fede, la cui fondazione risale addirittura al 975 e che il festeggiato ha diretto dal 1964 al 1994. Ad accompagnare coro e solisti – i soprani Simona Saturova e Stella Doufexis, il tenore Robert Buckland – l’orchestra barocca Orfeo.
A dirigere c’era il successore di Ratzinger come Maestro di cappella del duomo, Roland Büchner. A tutti il grazie del Papa , che ha invitato a pregare «perché il Signore conceda altri anni di vita a mio fratello per dedicarsi alla musica e soprattutto al sacerdozio, per donare felicità agli uomini».
Prima dell’esecuzione, il vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Müller, aveva annunciato la nomina di monsignor Georg a canonico onorario del duomo, come segno di riconoscenza per la fedeltà alla cattedrale e al suo coro giovanile (i cui membri ancora oggi lo circondano di affetto e lo aiutano in piccole pratiche quotidiane come la lettura della corrispondenza).
«La musica sacra», ha spiegato il vescovo e teologo di fama internazionale, non è qualcosa di effimero, ma un «sintonizzarsi sulla liturgia celeste, di cui la liturgia sacramentale della nostra Chiesa è immagine». Proprio a «questo servizio di introduzione degli uomini nella comunione del Dio trinitario» il fratello del Papa ha dedicato la «grande e ammirevole opera di una vita».
Infine, anche un’onorificenza italiana per il monsignore tedesco, la Gran Croce della Repubblica, che gli è stata consegnata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta.

© Copyright Avvenire, 18 gennaio 2009

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
20/01/2009 22:30
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PARLA IL RABBINO AMICO DI B-XVI E CONFERMA LA TESI DI ISRAEL

Neusner difende la fratellanza giudeocristiana ristabilita da Ratzinger

Andrea Monda

New York. Il rabbino americano Jacob Neusner non ha mai avuto paura di dire quello che pensa, anche quando risulta una voce isolata, fuori e dentro il mondo ebraico.
E’ la franchezza con cui si è lanciato nella sua scommessa personale di far dialogare le religioni monoteiste che ha toccato l’allora cardinale Ratzinger quando gli capitò tra le mani, nel 1993, il saggio “A Rabbi talks with Jesus” e che lo ha spinto, una volta eletto Papa, a scrivere il libro su “Gesù di Nazaret” intessendo un dialogo aperto e rispettoso con l’anziano rabbino che poi è passato dalla scrittura all’incontro personale lo scorso aprile durante la visita americana del Pontefice (un incontro in cui il Papa tedesco e il rabbino ebreo hanno parlato, come vecchi amici, per lo più in italiano).
Secondo Giorgio Israel (sul Foglio di ieri) scorre proprio sulla falsariga di questo rapporto la via possibile per un dialogo tra giudaismo e cristianesimo, perché Neusner ha colto, secondo Israel, la vicinanza e l’affetto intelligente con cui Benedetto XVI ha instaurato le relazioni tra ebrei e cattolici. Un dialogo che secondo Neusner, da una parte è praticamente impossibile, dall’altra, paradossalmente, si deve ampliare, per includere anche l’islam.
“Il dialogo deve diventare un “trialogo”, cosa che comunque non è naturale per i monoteismi spiega al Foglio Jacob Neusner.
“La logica interna al monoteismo non genera tolleranza. C’è un solo Dio e c’è una sola verità, questo è il punto di partenza. Quindi le religioni non possono intraprendere dialoghi che mirino a negoziare la verità. La verità trascende la politica.
Ciò a cui il Papa sta mirando, così sembra a me, è una teologia cattolica del giudaismo, una teologia che possa dispiegare dalle fonti del cristianesimo l’integrità del giudaismo. Questa stessa ricerca di una teologia cattolica del giudaismo provoca la formulazione di una teologia giudaica del cristianesimo, una teologia che attinga alle fonti della Torah di Mosè.
Il futuro del dialogo giudeocristiano ora però porta all’inclusione dell’islam. E’ giusto in questo senso l’affermazione dell’allora cardinale Ratzinger che nel 2000 disse “la fede degli ebrei non è un’altra religione, ma il fondamento della nostra fede”, e io aggiungo che i tre monoteismi portano una relazione unica tra di loro, incomparabile con tutte le altre religioni”.
C’è chi però nel mondo ebraico ha criticato i recenti passi del Vaticano, sia dal punto di vista religioso-liturgico sia dal punto di vista politico. In questo senso, relativamente alla crisi della Striscia di Gaza, si è espresso Robert Wistrich, direttore del Vidal Sassoon International Center di Gerusalemme accusando duramente il Vaticano di reticenza e di silenzio, un silenzio forse motivato dalla paura ma che non fa onore alla chiesa cattolica che dovrebbe appoggiare moralmente Israele. Ma secondo Neusner non è quello il compito della chiesa: “Hamas è un nemico della pace, ha rifiutato la tregua e i suoi lanci di missili hanno fatto precipitare la guerra. Ma dato che la pace è l’obiettivo, il contributo del Vaticano si realizza al meglio attraverso la difesa della pace. Le pressioni su Hamas per far desistere i suoi attacchi di guerra possono prendere più di una forma. Tutti comprendono che quando Hamas desisterà dagli attacchi sulle città israeliane, la guerra finirà”.
Ancora più netto è rispetto alle critiche di chi, come il rabbino di Venezia Elia Enrico Richetti, ha accusato il Papa attuale di procedere alla “cancellazione degli ultimi 50 anni di storia della chiesa”, riferendosi soprattutto agli aspetti liturgici come la liberalizzazione dei riti tradizionali in latino.
“Non sono d’accordo”, dice subito Neusner, “il cammino dell’ultimo mezzo secolo è irreversibile.
Papa Benedetto XVI ha riaffermato in molti modi la sua amicizia con il popolo ebreo e il suo rispetto per il giudaismo.
Ha ripreso la tradizione di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo. La sua visita negli Stati Uniti ha sottolineato la sua affermazione delle relazioni fraterne che legano giudaismo e cristianesimo. Le sinagoghe statunitensi e i rabbini hanno risposto alla sua benedizione con una loro propria benedizione”.
Si avverte nelle parole del rabbino una profonda fiducia ispirata dal dialogo personale intrapreso con il Papa teologo per cui
si dice totalmente d’accordo con Giorgio Israel quando afferma che “la memoria è fondamentale ma deve essere bene usata. Il modo migliore di sviluppare i rapporti tra ebraismo e cristianesimo è di rivolgere lo sguardo al futuro.

Va riconosciuto al cardinale Ratzinger di aver compreso questa necessità, di aver tentato di superare i limiti del dialogo dei primi decenni”.

Insomma, è proprio grazie a uomini come Benedetto XVI che il dialogo giudaicocristiano ancora vive; quel dialogo, dice Neusner, “che la chiesa cattolica nella seconda metà del XX secolo ha inaugurato e che è stato riaffermato nella risposta che con cuore puro il Papa ha dato nel suo libro alla mia conversazione immaginaria inserita nel mio vecchio libro di oltre 15 anni fa.

Questa impresa di riavvicinamento è opera di Dio, e andrà avanti. Il che non significa che non ci saranno rallentamenti. Ma la direzione che hanno preso le cose ormai è chiara”.

© Copyright Il Foglio, 17 gennaio 2009
[Modificato da Paparatzifan 20/01/2009 22:31]
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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Ratzinger pronto a predicare anche su YouTube

di Andrea Tornielli

Roma

Benedetto XVI sbarca su YouTube grazie a un accordo tra la Santa Sede e Google, il più usato motore di ricerca sul web: discorsi, omelie e interventi del Pontefice potranno essere visti via Internet attraverso un apposito canale dedicato.
Sempre meno mediazioni giornalistiche, sempre più informazione diretta offerta a coloro che vogliono accostarsi al mondo d’Oltretevere.
L’iniziativa, promossa dal Centro televisivo vaticano e dalla Radio Vaticana, sarà annunciata venerdì prossimo, in occasione della presentazione del messaggio del Papa per la 43° Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Ad illustrarla ci saranno l’arcivescovo Claudio Maria Celli e monsignor Paul Tighe, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, padre Federico Lombardi, direttore della Radio Vaticana, del Ctv della Sala Stampa della Santa Sede, insieme ad Henrique de Castro, direttore esecutivo delle «soluzioni media» di Google.
La collaborazione con Google dovrebbe prevedere l’allestimento di un vero e proprio canale con brevi filmati e news curati dal Centro televisivo vaticano, e la possibilità di trovare attraverso Google testi e documenti in modo ordinato.
Oggi invece la ricerca delle parole «Papa» e «Vaticano» sul più usato motore di ricerca mondiale offre rispettivamente 102 milioni e 14 milioni 900mila risultati. Nel primo caso in vetta c’è Wikipedia seguita ad appena cinque posizioni da «nonenciclopedia.wikia» che descrive Ratzinger testualmente come «un vecchietto a capo di tutti i fondamentalisti cattolici», mentre nel secondo caso l’enciclopedia telematica è al terzo posto, seguita da due video significativamente intitolati «Il Vaticano veste Prada» e «Satana in Vaticano» e non propriamente equanimi verso la Santa Sede.
Secondo il cliccatissimo blog «Paparatzinger», divenuto punto di riferimento informativo per quanto riguarda Benedetto XVI grazie all’attento lavoro di monitoraggio sulla copertura mediatica dell’attività papale, il bilancio è «fortemente negativo». Nell’anno appena concluso si è accusato il Pontefice di tutto, attribuendogli responsabilità dal caso di Eluana Englaro fino alla questione della depenalizzazione dell’omosessualità. Spesso vengono attribuite a Ratzinger affermazioni espresse da altri prelati, e in molti casi a prevalere sono semplificazioni e pregiudizi. Come nel caso della mancata visita alla Sapienza, nel gennaio 2008, quando i docenti hanno contestato il Pontefice attribuendogli una citazione – presa da Wikipedia – che invece era di Paul Feyerabend.
Grazie all’accordo con Google, insomma, dovrebbe essere più facile, per chi è interessato ad attingere alle fonti dirette.
Del resto proprio l’uso di Internet e la possibilità offerta dalle nuove tecnologie è il tema del messaggio papale di quest’anno, intitolato «Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia». Su questo la Chiesa italiana si mobilita.
Si svolgerà a partire da domani a Roma il convegno «Chiesa in rete 2.0» promosso dall’ufficio per le comunicazioni sociali e dal servizio informatico della Cei.
«Nell’era di Internet e dei social network non possono mancare le condizioni affinché il servizio alle diocesi e alle parrocchie possa meglio svolgersi con la conoscenza e con l’uso corretto delle nuove tecnologie, che non introducono solo un metodo di lavoro, ma incidono sulla mentalità e sul costume delle persone» spiega don Domenico Pompili, portavoce della Conferenza episcopale italiana. Mentre il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, che su YouTube è già sbarcato da tempo, interverrà sabato 24 gennaio a un convegno presso il Circolo della stampa, dedicato al «giornalismo in tempo di Internet», insieme al direttore del Sole 24Ore Ferruccio De Bortoli e del Tg1 Gianni Riotta, per interrogarsi su come stia cambiando la professione del comunicatore.

© Copyright Il Giornale, 18 gennaio 2009

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Gaza: Papa Benedetto XVI invia aiuti a parroco e suore della Striscia

CITTA' DEL VATICANO - Il Papa Benedetto XVI ha inviato al parroco di Gaza padre Manuel Musallam e alle suore presenti nella Striscia un "segno personale e concreto per aiutare e sostenere la piccola ma fervente presenza cattolica a Gaza".
Lo annuncia un comunicato del Pontificio consiglio Cor unum, il dicastero della Santa Sede che ha il compito di realizzare le iniziative caritative del Pontefice. Benedetto XVI, ricorda Cor unum, "ha espresso più volte la Sua vicinanza ai nostri fratelli e sorelle che abitano nella Striscia di Gaza".

(Agr)

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Intervista con il Rabbino Jacob Neusner: “Ratzinger non ci ha tradito”

Il rabbino Jacob Neusner è nato ad Hartford nel Connecticut nel 1932. Raffinato esegeta delle Sacre Scritture ebree, professore di storia e teologia del giudaismo al Bard College di New York, fu nel 1993 che pubblicò un saggio ancora oggi attuale, “A Rabbi talks with Jesus”, che provocò l’interesse dell’allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger. Un interesse sancito anche da una fitta corrispondenza tra i due, oggi ancora non interrotta.
Quando nel 2007 Benedetto XVI fece uscire il suo primo libro da Pontefice, “Gesù di Nazaret”, alcuni motivi di questa intensa amicizia vennero fuori.
Neusner - citato nel testo più volte di due grandi del calibro di Romano Guardini e di sant’Agostino - venne elogiato da Benedetto XVI per la sincera ricerca della verità messa in campo nei suoi studi, una ricerca mai tesa all’adesione al cristianesimo quanto a prendere sul serio la figura di Gesù e la pretesa di verità contenuta nei Vangeli.
Col Riformista Jacob Neusner parla del suo rapporto con Ratzinger e fa il punto sul dialogo percorso tra ebrei e cattolici anche alla luce del conflitto di Gaza il quale, seppure primariamente di rilevanza politica, influisce anche sui rapporti tra le diverse fedi e religioni.

Rabbino Neusner, come giudica le parole del rabbino capo di Venezia Elia Enrico Richetti secondo il quale con Benedetto XVI e la sua reintroduzione dell’antico messale che prevede che il venerdì santo si preghi per gli ebrei, la Chiesa sta cancellando i suoi ultimi «cinquanta anni di storia» nel dialogo tra ebraismo e cattolicesimo?

Non condivido l’opinione del rabbino capo di Venezia circa il futuro del dialogo ebraico-cristiano. Questo dialogo ha dato un grande contributo al reciproco scambio tra le diverse fedi.
Tra l’altro, gli impegni dei Pontefici successori di Pio XII - Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI in particolare - rappresentano una pietra miliare per il futuro dei nostri rapporti.
Quanto alla preghiera del venerdì santo, dico soltanto che tutte le religioni pregano per l’illuminazione degli “altri”. Gli ebrei pregano per l’illuminazione dei gentili e non avviene niente di diverso nella “controparte” cattolica.

Benedetto XVI ha a cuore il rapporto con gli ebrei?

Papa Benedetto XVI, dall’inizio del suo pontificato fino a oggi, non ha tradito gli impegni presi di mantenere buone relazioni tra cattolici-cristiani ed ebrei.

Secondo lei le parole di Richetti sono influenzate dalle prese di posizione del Papa e di altri esponenti della Chiesa sul conflitto di Gaza?

Il conflitto con Hamas riguarda il diritto dello Stato ebraico di esistere. Hamas non vuole fare la pace con lo Stato di Israele ma vuole soltanto che il conflitto continui all’infinito. Se Hamas favorisse la pace con Israele e i palestinesi, affermerebbe che lo Stato d’Israele esiste. E ciò andrebbe contro la sua stessa posizione e contro quella dei suoi sostenitori. E farebbe divenire l’Ehzbollah e Ahmadinejad suoi nemici.

Il dialogo ebrei-cattolici procede tra alti e bassi. Oggi si celebra la giornata del dialogo ebraico-cristiano. A che punto siamo?

Paragonando le relazioni che c’erano tra gli ebrei e la Chiesa cattolica prima di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II e quelle che ci sono ora, posso dire che oggi le relazioni sono improntate molto più di prima sul rispetto reciproco e sull’amicizia. Ci sono potenti forze all’interno della comunità cattolica e delle istituzioni ebraiche che spingono per l’amicizia: ad esempio, nelle università pontificie romane stima e amicizia vengono alimentate attraverso diversi percorsi accademici. Le comunità ebraiche, poi, sostengono le giovani generazioni che intendono fare proprio un serio lavoro di dialogo tra le due parti.

Si parla di una possibile visita del Papa in Terra Santa? Secondo lei potrebbe essere utile?

Una visita del Papa, nel solco di quella già effettuata da Giovanni Paolo II, non potrà che favorire l’amicizia tra ebrei e cattolici. E rappresenterebbe una pietra miliare circa il riconoscimento cattolico dello Stato ebraico. Un eventuale gesto, poi, di lutto e di memoria al Museo dello Yad Vashem farebbe un’enorme impressione.

Pio XII è giudicato in modo ambivalente. La Chiesa cattolica vorrebbe beatificarlo, mentre allo Yad Vashem ancora resiste una didascalia che lo dipinge in modo ambiguo…

Fino a che gli archivi del Vaticano non saranno stati studiati con oggettività, criticamente e in ogni loro parte, credo che una parola definitiva su Pio XII non la si possa dare. Sarebbe saggio posporre una parola definitiva al termine di questo importante lavoro. Oggi ancora il ricordo di Pio XII è oscuro.

Come giudica la preghiera dei musulmani pro Hamas in due piazze simbolo di Milano e Bologna?

Una persona esterna come me fatica a dire la sua su una questione che riguarda la definizione della nazionalità italiana e della sua cultura. Credo che sia un problema che trascende i confini dell’Italia e riguarda tutta l’Europa. Per noi americani è diverso perché veniamo da una differente tradizione politica nelle relazioni tra le religioni. Credo comunque sia la storia a insegnare che l’Europa si regge sulla cristianità.

© Copyright Il Riformista, 17 gennaio 2009

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RELIGIONI IN CAMMINO

Dalle controversie sulla preghiera «pro Judaeis» al dibattito su Pio XII, non pochi i punti d’attrito che in tempi recenti avevano «raffreddato» i progressi fatti nella scia della «Nostra aetate»

«Il dialogo con l’ebraismo è nel cuore di Benedetto XVI»

DA ROMA

MIMMO MUOLO

Per Benedetto XVI il dialogo con l’ebraismo « è e rimarrà un’istanza del cuore» .
Con il proprio impegno, dunque, il Papa ha recato a questo dialogo « un contributo irrinunciabile » . E nonostante gli elementi di polemica (preghiera Pro Judaeis del Venerdì Santo, giudizio sulla figura e l’operato di Pio XII) « vengano eccessivamente alimentati da alcuni » , non sarà tanto facile scuoterlo, perché è un dialogo che « si basa su un saldo fondamento» .
È quanto ha scritto nel numero oggi in edicola de L’Osservatore Romano il segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, Norbert Hofman, facendo il punto delle relazioni in occasione della speciale Giornata cattolico- ebraica che da qualche anno si celebra il 17 gennaio in Italia, Polonia, Austria e Paesi Bassi.
Quest’anno, in realtà, a causa delle controversie suscitate dalla riformulazione della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei ( la versione del Messale del 1962), l’Assemblea rabbinica italiana ha deciso di non partecipare a questa Giornata. E l’autore dell’articolo, nell’esprimere il proprio « dispiacere » per la circostanza, ricorda tuttavia che « non si tratta di un abbandono del dialogo » , quanto di « una pausa di riflessione » . Ma non manca di sottolineare che alcuni accenti della polemica sono stati eccessivi. Soprattutto nei confronti del Papa . Il pensiero va ad esempio all’ultimo episodio in ordine di tempo ( anche se Hofman non vi fa direttamente accenno): l’accusa rivolta qualche giorno fa a Benedetto XVI da parte del rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, di aver riportato indietro di 50 anni le lancette dei rapporti tra gli ebrei e la Chiesa cattolica. Dati alla mano, il segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ricorda invece quanto papa Ratzinger si sia adoperato, in poco più di tre anni di pontificato per far progredire questi rapporti. A parte la duplice visita in sinagoga ( a Colonia nel 2005e a New York lo scorso anno), già di per sé estremamente significativa, basterebbe ripercorrere l’agenda papale del 2008 per convincersene. Cosa che in effetti Hofman fa con precisione e pacatezza, ricordando i diversi momenti di contatto e di amichevole incontro. Il Pontefice, scrive, « si è dedicato in modo particolare al dialogo con l’ebraismo » , che egli « considera fondato, dal punto di vista teologico, sui capitoli 9- 11 della lettera dell’apostolo Paolo ai Romani e come una riconciliazione dopo una storia lunga, difficile e complessa» .
Si inquadrano in tale ottica l’incontro di Washington del 17 aprile 2008, con la riaffermazione dell’impegno a proseguire quel dialogo « che nei trascorsi 40 anni ha cambiato in modo fondamentale e migliorato i nostri rapporti » ; la stessa visita alla Park East Synagogue di New York del giorno dopo; gli incontri con le comunità di Sydney ( 19 luglio) e della Francia ( Parigi, 12 settembre), con la decisa condanna, in quest’ultima occasione, di ogni forma di antisemitismo. L’elenco continua con le udienze del 18 settembre a una delegazione dell’organizzazione ebraica Pave- the- way Foundation, che in occasione del 50° della morte aveva organizzato un simposio sull’aiuto dato da Pio XII agli ebrei durante la II Guerra mondiale; e del 30 ottobre a una rappresentanza dell’International Jewish Committee on Interreligious Consultation, che è dal 1970 l’interlocutore ufficiale della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Senza contare, poi, quello che Hofman definisce un vero e proprio « evento storico » . « Per la prima volta, nella storia dei Sinodi episcopali dal Concilio Vaticano II un rabbino ha avuto l’occasione di rivolgersi a tale assemblea, in presenza del Papa » .
È accaduto il 6 ottobre quando il rabbino capo di Haifa, Shear Yashuv Cohen, è stato invitato a parlare del significato delle Sacre Scritture per la vita religiosa ebraica. Infine il dettagliato articolo pubblicato da L’Osservatore Romano ricorda che il 9 novembre, in occasione del 70° anniversario della « Notte dei cristalli » , il Papa vi ha fatto esplicito riferimento: « Ancora oggi provo dolore per quanto accadde in quella tragica circostanza – disse all’Angelus – la cui memoria deve servire a far sì che simili orrori non si ripetano mai più e che ci si impegni, a tutti i livelli, contro ogni forma di antisemitismo e di discriminazione, educando soprattutto le giovani generazioni al rispetto e all’accoglienza reciproca » . In sostanza, prosegue l’autore dell’articolo, « se si considera tutto ciò che il Papa ha fatto negli anni scorsi per i rapporti con l’ebraismo, si può a ragione affermare che per lui il dialogo con l’ebraismo è e rimarrà un’istanza del cuore. Sebbene le suddette divergenze del dialogo – prosegue Hofman – a causa della nuova preghiera per gli ebrei nella liturgia del Venerdì Santo e della polemica sulla figura di Pio XII vengano eccessivamente alimentate da alcuni, si può affermare che il dialogo ebraico- cristiano si basa su un saldo fondamento, che non si può scuotere tanto facilmente. Nel frattempo si è imparato a discutere di elementi controversi con amicizia e fiducia reciproca, e a questo, Papa Benedetto XVI, con il proprio impegno, ha recato un contributo irrinunciabile » .
L’intervento pubblicato dal quotidiano diretto da Giovanni Maria Vian appare dunque come una nuova mano tesa.
«Anche se nell’opinione pubblica ha spesso dominato la polemica, bisogna chiarire che dietro le quinte non si è mai pensato di porre fine al dialogo. Al contrario si è intensificata la collaborazione per superare questo equivoco, forse avvicinando ebrei e cattolici » . In altri termini « durante questo periodo è stato dimostrato che si possono trattare anche i temi più controversi con calma e reciproca stima, in un’atmosfera di collaborazione amichevole » .

© Copyright Avvenire, 17 gennaio 2009

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IL PAPA VISITERA' IL CAMPIDOGLIO IL 9 MARZO 2009

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 19 gen - Papa Benedetto XVI si rechera' in visita in Campidoglio il prossimo 9 marzo. La visita, gia' preannunciata dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, e' stata confermata oggi dalla Sala Stampa vaticana in un comunicato. ''Accogliendo l'invito a suo tempo formulato dal Sindaco e dal Consiglio Comunale della Citta' di Roma - si legge nella nota vaticana -, il Santo Padre Benedetto XVI si rechera' in Campidoglio lunedi' 9 marzo 2009, dove interverra' ad una seduta straordinaria del medesimo Consiglio, dedicata al tema del 'Valore universale di Roma, capitale del Cattolicesimo e dei suoi valori'''.

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Il Papa denuncia le «inaudite violenze»

Un incoraggiamento a «quanti sono convinti che in Terra Santa ci sia spazio per tutti»

di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA’ DEL VATICANO

E’ una «tragedia». Papa Ratzinger piange i caduti a Gaza sotto l’artiglieria israeliana: «centinaia di bambini, anziani, donne vittime innocenti di inaudita violenza».
Si celebra la Giornata mondiale del migrante ma all’Angelus torna a far capolino la guerra nella Striscia. La scelta dell’aggettivo usato per descrivere ciò che sta accadendo, l’inaudita violenza, fa capire lo choc provato da Benedetto XVI davanti alle immagini dei danni collaterali dell’ennesima escalation di sangue. Altro che terra santa.
«Continuo a seguire con profonda trepidazione il conflitto». Ai morti e ai feriti, si aggiungono le macerie, la distruzione e la disperazione. Da padre Musallam, unico parroco esistente a Gaza, arrivano ogni giorno (anche in Vaticano) drammatici bollettini: «ci sono centinaia di famiglie che hanno perso tutto».
Il Pontificio Consiglio Cor Unum, una specie di ministero della Carità, ha inviato alla parrocchia palestinese per conto del pontefice medicine e denari.
Il Papa spera nella tregua ed esorta allo stesso modo quegli israeliani e quei palestinesi al lavoro per la pace, li incoraggia a non smettere di cercare una soluzione. Ai fedeli chiede così di pregare per le persone di buona volontà che «stanno compiendo sforzi per fermare la tragedia». La speranza comune è che si sappia approfittare «con saggezza» degli spiragli aperti per ripristinare la tregua.
Poi ripete che incoraggerà sempre «quanti, da una parte come dall’altra, sono convinti che in Terra Santa ci sia spazio per tutti». Palestinesi e israeliani, uniti da un destino comune, devono «rialzarsi dalle macerie e dal terrore e, coraggiosamente, riprendere il filo del dialogo e della giustizia, nella verità». Che poi, aggiunge, è «l’unico cammino che può schiudere un avvenire di pace per i figli di quella cara nazione».
Il quinto intervento papale nell’arco di due settimane sulla situazione a Gaza è particolarmente vibrante e non è passato inosservato.
«Non ha nominato nessuno, ma del resto non toccava a lui condannare Israele o Hamas; tuttavia non è un caso se è ha parlato di tragedia, e di inaudita violenza» analizza padre Samir Khalil, il gesuita consultore e amico di Papa Ratzinger in materia di Islam.
«Vista da quaggiù - afferma dal Cairo il religioso - la linea della Santa Sede è sempre la stessa e non è mutata di molto, da un pontefice all’altro. E’ una posizione indubbiamente realista che tiene conto delle condizioni e delle conseguenze».
Il pacifismo pare sia merce rara in Terra Santa: «Hamas, ma pure Israele non hanno tutto questo gran desiderio di pace e nessuno è pronto a fare i passi necessari, avanti o indietro, per raggiungere l’obiettivo. Israele non rispetta nessuna delle decisioni internazionali, occupa da più di 40 anni terre che non sono le sue e in più non smette di costruire il muro. Sono pronti a fare la pace? Come si può dire di sì se continuano a costruire nuovi insediamenti. Dunque sono tutte menzogne». Quanto ad Hamas, ha continuato padre Samir Khalil, «nega legittimità a Israele. Ha intenzione di vivere in pace con uno Stato che si chiama Israele? A me pare di no». A rimetterci, alla fine, sono i civili, la gente comune. Quanto ai cristiani sono doppiamente vittime.
«I cristiani sono due volte sofferenti, non solo patiscono le restrizioni dei palestinesi, ma sono pure sotto scacco dai fondamentalisti che li associano all’Occidente, pensando che l’Occidente sia tutto cristiano. Una visione distorta, tipica da chi non distingue il piano politico da quello religioso. E’ alla loro sorte che pensa il Papa e ogni intervento è rivolto a difendere il loro futuro».
Il gesuita sa che era meglio prima, ai tempi di Arafat, quando c’era solo Fatah, almeno quello era un movimento laico.

© Copyright Il Messaggero, 19 gennaio 2009

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Il cordoglio del Papa per la morte del cardinale Stéphanos Ghattas, patriarca emerito di Alessandria dei Copti: aveva 89 anni


Si è spento ieri al Cairo il patriarca emerito di Alessandria dei Copti, Stéphanos Ghattas II: il 16 gennaio scorso aveva compiuto 89 anni. Il Papa ha espresso il suo cordoglio per il decesso del porporato in un telegramma inviato a Sua Beatitudine Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei Copti. Benedetto XVI eleva la sua preghiera a Cristo Risorto perché accolga “nella sua gioia e nella sua pace questo fedele servitore della Chiesa, che prima come missionario nella Congregazione della Missione, poi come vescovo di Luxor e infine come patriarca, si è dedicato con zelo e semplicità al servizio del Popolo di Dio, in uno spirito di dialogo e di convivialità con tutti”.

Il porporato egiziano era nato a Cheikh-Zein-el-Dine vicino Tahta. Entrato nel seminario minore del Cairo nell'agosto del 1929 aveva compiuto gli studi classici nel collegio della Santa Famiglia dei Padri Gesuiti, concludendoli nel giugno 1938. Era stato poi inviato a Roma presso il Collegio «De Propaganda Fide» dove aveva conseguito la laurea in Filosofia e Teologia. Ordinato sacerdote a Roma il 25 marzo 1944, torna in Egitto come professore di Filosofia e Teologia Dogmatica presso il seminario maggiore di Tahta e poi di Tanta. Nel 1952 entra nella Congregazione della Missione di San Vincenzo de' Paoli (Lazzaristi) compiendo il noviziato a Parigi. Dopo sei anni di apostolato in Libano, è nominato economo e poi superiore dei Lazzaristi ad Alessandria. L'8 maggio 1967 il Sinodo copto-cattolico lo elegge vescovo di Luqsor dei Copti e riceve l'ordinazione episcopale il 9 giugno dello stesso anno nella chiesa dei Padri Lazzaristi, ad Alessandria: dopo una settimana fa il suo ingresso nella cattedrale di Tahta. Dopo aver terminato la costruzione del vescovado di Luqsor, vi soggiorna fino al 24 febbraio 1984, giorno in cui viene nominato amministratore apostolico del patriarcato, per sostituire Sua Beatitudine Stéphanos I Sidarous, anziano e malato. Avendo quest'ultimo dato le dimissioni, il Sinodo copto-cattolico, riunito nella residenza patriarcale di Pont-de-Koubbeh, il 9 giugno 1986 elegge all'unanimità mons. Andraos Ghattas patriarca di Alessandria. Assume il nome di Stéphanos II, per devozione e affetto verso il suo illustre predecessore e per indicare la continuità. Giovanni Paolo II gli concede la "ecclesiastica communio" il 23 giugno 1986. Nel giugno del 1997 il Patriarca guida la visita «ad limina» dei vescovi dell'assemblea della gerarchia cattolica d'Egitto e, rivolgendosi al Santo Padre a nome dei presuli nel corso dell'udienza, riafferma la fedeltà e la devozione della Chiesa cattolica del Paese verso il Successore di Pietro, «messaggero della pace universale e del dialogo fraterno». Nel corso dello storico pellegrinaggio di Giovanni Paolo II al Monte Sinai, dal 24 al 26 febbraio 2000, accoglie il Santo Padre accompagnandone quotidianamente i passi oranti e silenti sulle orme di Mosè. Nel corso dell'Anno Santo, il patriarca guida il pellegrinaggio giubilare della Chiesa Copta Cattolica, culminato nella divina liturgia in rito copto-alessandrino celebrata il 14 agosto nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Quattro giorni dopo, la mattina del 18 agosto, accompagna 450 pellegrini del patriarcato di Alessandria dei Copti, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo per esprimere al Papa un affettuoso e corale «grazie giubilare» per la visita compiuta nel mese di febbraio. È stato Presidente del Sinodo della Chiesa Copta Cattolica e dell'assemblea della gerarchia cattolica d'Egitto. Giovanni Paolo II lo crea cardinale il 21 febbraio 2001. Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Copta cattolica riunitosi dal 27 al 30 marzo 2006, accetta la rinuncia all’ufficio patriarcale del porporato. Con il suo decesso il Collegio Cardinalizio risulta composto da 189 Cardinali, dei quali 116 elettori e 73 non elettori.


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Visita a Gaza di mons. Franco per portare la solidarietà del Papa


Il nunzio in Israele e delegato apostolico per Gerusalemme e la Palestina, mons. Antonio Franco, si è recato oggi a Gaza per consegnare personalmente un aiuto di Benedetto XVI. “Ho visitato il centro di Gaza, dove ho visto molta distruzione - ha dichiarato al Sir il presule - i danni più gravi, tuttavia, sono nelle zone periferiche”.“Abbiamo celebrato la Messa nella parrocchia della Santa Famiglia, gremita di fedeli – riferisce - ho portato loro la vicinanza, la preghiera e la solidarietà del Papa anche attraverso un suo aiuto personale volto ad alleviare le sofferenze di questi giorni. La solidarietà è fondamentale in questo momento perché è strumento utile a creare le condizioni di pace e di riconciliazione”. “Ho avuto modo di parlare con il parroco, padre Musallam, con le suore e con tante persone che mi hanno raccontato la loro paura e la loro sofferenza” aggiunge il rappresentante vaticano per il quale “nella popolazione si percepisce la speranza che questa tregua regga, che si riprenda la vita più o meno normale e che si facciano sforzi per arrivare alla pace vera. C’è voglia di pace – afferma mons. Franco - la gente è stanca di questa situazione e di incertezza del domani. Speriamo che la politica cerchi, almeno un poco, di concentrarsi sulle sofferenze delle persone - ha sottolineato - cercando di dare loro risposte, senza cadere in giochi di potere e di interessi. E’ urgente occuparsi dei diritti, delle esigenze e delle aspirazioni del popolo. E credo che Obama ieri lo abbia sottolineato: servono soluzioni vere ai problemi che affliggono l’umanità”. (R.P.)


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Il Papa ha benedetto gli agnelli la cui lana servirà per i Pallii


Come ogni anno in occasione della Solennità di Sant’Agnese





CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 21 gennaio 2009 (ZENIT.org).- In occasione della memoria liturgica di Sant’Agnese, il Papa ha benedetto questo mercoledì mattina, al termine dell’Udienza generale nell’Aula Paolo VI, due agnelli vivi la cui lana sarà utilizzata per confezionare i Pallii dei nuovi Arcivescovi metropoliti.

Il Pallio, insegna liturgica d’onore e di giurisdizione indossata dal Papa e dagli Arcivescovi metropoliti nelle loro chiese e in quelle delle loro province, vuole simboleggiare la pecorella smarrita e ritrovata, portata sulle spalle dal Buon Pastore, e l’Agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità.

Inizialmente attributo esclusivo del Sommo Pontefice, venne poi accordato dal Santo Padre anche ai Vescovi che avessero ricevuto dalla Sede Apostolica una speciale giurisdizione: nel 513, infatti, Papa Simmaco lo concesse a Cesario, Vescovo di Arles.

Come segno di speciale vicinanza alla Sede Apostolica, è collocato dai Vescovi intorno alle spalle, proprio a simboleggiare un agnello.


Il Pallio reca impresse sei croci di seta nera ed è ornato da tre spille gemmate, chiamate “aciculae”, che anticamente tenevano fermo il paramento sul petto, sul dorso e sulla spalla sinistra e che ricordano la Passione di Cristo.

Il Pontefice benedice i nuovi Pallii il 29 giugno, in occasione della Solennità dei Santi Pietro e Paolo. Essi vengono quindi riposti in un’urna di bronzo donata da Benedetto XIV e conservata nella cosiddetta “nicchia dei pallii” presso la Confessione di San Pietro.

I due agnelli, in genere dono dei religiosi dell’Ordine dei Canonici Regolari Lateranensi, che servono la Basilica di Sant’Agnese fuori le Mura, vengono allevati nel Monastero trappista delle Tre Fontane.

Dopo la tosatura, saranno le suore del Monastero benedettino di Santa Cecilia in Trastevere a provvedere alla confezione dei Pallii, in sottili bende, larghe dai 4 ai 6 centimetri.

La benedizione degli agnelli ha luogo nel giorno in cui si commemora Sant’Agnese, per ricordarne la morte cruenta, avvenuta nel Circus Agonalis (attuale Piazza Navona), luogo dove sorge oggi la cripta a lei dedicata, e dove venne esposta e poi trafitta con un colpo di spada alla gola, nel modo in cui si uccidevano gli agnelli.

Nata nel III secolo da nobile famiglia, a dodici anni Agnese consacrò la propria vita a Dio facendo voto di verginità.

Dopo lo scoppio di una terribile persecuzione contro i Cristiani, venne denunciata in quanto tale dal figlio del Prefetto di Roma, che la ragazza aveva respinto per tener fede alla promessa fatta al Signore.

Per questo motivo, e anche per un gioco di parole latine che lega il nome di Agnese all'agnus, l’iconografia raffigura spesso la Santa con una pecorella o un agnello, simboli del candore e del sacrificio.



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Papa: “convergenze spirituali incoraggianti” per l’unità dei cristiani
Benedetto XVI ha dedicato l’udienza generale alla Settimana per l’unità, ricordando in particolare gli incontri con Bartolomeo I e dicendo di “aver condiviso il dolore” del Patriarcato di Mosca per la morte di Alessio.



Città del Vaticano (AsiaNews) – Il cammino per l’unità dei cristiani ha registrato quest’anno “convergenze spirituali incoraggianti”, ha visto la prosecuzione del “dialogo della verità” e di quello “della carità” e Benedetto XVI ha incontrato, in Vaticano o in occasione dei suoi viaggi, “cristiani di ogni orizzonte”. Lo ha ricordato lo stesso Papa nel discorso rivolto alle seimila persone presenti all’udienza generale, svoltasi in Vaticano, e dedicata alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si celebra in questi giorni e che egli concluderà domenica prossima nella basilica di San Paolo. Degli incontri di quest’anno, Benedetto XVI ha in particolare ricordato che “per tre volte” ha visto il patriarca ecumenico Bartolomeo I ed “evento straordinario, lo abbiamo sentito prendere la parola al Sinodo”. Il Papa ha poi detto di aver “condiviso il dolore del Patriarcato di Mosca per la dipartita del caro fratello in Cristo, Alessio e continuo a restare in comunione di preghiera con i nostri fratelli che si preparano ad eleggere il patriarca di quella venerata Chiesa”.

La ricerca dell’unità dei cristiani secondo la preghiera di Gesù, nelle parole del Papa, è connessa alla vita e alla missione della Chiesa nel mondo, in quanto “rende credibile la nostra fede”, “perché il mondo creda”. La Settimana è dunque una “iniziaitva spirituale quanto mai preziosa”, che “va estendendosi sempre più tra i cristiani, in risposta all’invocazione di Gesù ‘che siano una cosa sola’, secondo l’immagine dell’unità tra Padre e Figlio”. “E’ importante – ha aggiunto - che ogni comunità cristiana prenda coscienza dell’importanza dell’unità, che è prima di tutto un dono di Dio”, che occorre implorare “con instancabile preghiera”.

Quest’anno la Settimana propone le parole di Ezechiele che, riferndosi ai due regni di Giuda e di Israele, parla di due “legni” che “formino una cosa sola nella mano di Dio”. Tema che è stato scelto da un gruppo ecumenico della Corea. “Il processo stesso di preparazione è stato un fecondo e stimolante esercizio di vero ecumenismo”.

Nel brano, Ezechiele dice che il Signore stesso prende i due legni, che rappresentano Israele divisa e li accosta in modo che diventino una cosa sola nella sua mano. “Possiamo – ha detto poi il Papa - applicare la parola del profeta ai cristiani” anche nelle parole di Ezechiele sull’unione delle tribù in un solo regno. “Il Signore dichiara che non si contamineranno più con gli idoli e le iniquita dei popoli pagani”. Egli vuole “liberarli dal peccato, purificarli nel loro cuore ‘e cosi saranno il mio popolo ed io saro il loro Dio. Essi seguiranno i miei comandamenti, seguiranno le mie leggi e le metteranno in pratica… farò con loro un’alleanza di pace’”. E’ una visione “particolarmente eloquente”: Ezechiele sottolinea l’esigenza di rinnovamento interiore dell’intero popolo di Dio che solo il Signore può operare, ma per il quale anche noi dobbiamo operare perché anche noi abbiamo imparato usanze lontante dalla vocazione dell’unico popolo di Dio”.

La Settimana, così, “diventa per tutti noi stimolo ad una conversione sincera e all’ascolto sincero della Parola di Dio” e occasione di ringraziamento per quanto finora concesso per avvicinare i cristiani”. La Chiesa cattolica, da parte sua, “ha proseguito con salda convinzione e radicata speranza la relazione con tutte le comunità cristiane”

Nel contesto dell'Anno Paolino, poi, “non possiamo non rifarci anche a quanto ci ha lasciato scritto a proposito dell’unità della Chiesa”. Nella lettera ai cristiani di Efeso scrive di “un solo popolo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, uno solo il Signore, una sola fede, un solo Battesimo..”, “facciamo nostre le parole di Paolo” e seguendo il suo esempio, giunto fino al martirio, “ogni comunità cresca nell’impegno per l’unitò grazie alle iniziative pastorali ed alla preghiera comune che di solito si fanno piu intense in questa settimana”. “Si affretti il giorno della piena comunone quando tutti i discepoli dell’unico Signore potranno celebrare insieme l’Eucaristia”

Il Papa ha infine ricordato il VI Incontro mondiale delle famiglie, che si è chiuso domenica a Città del Messico, e ha dato appuntamento al prossimo incontro, che si terrà a Milano nel 2012, invitando a pregare per le famiglie. “Il Signore – ha detto nei saluti in spagnolo - sostenga con la sua grazia tutte le famiglie, affinchè in esse regni la fede viva, il rispetto reciproco, l'amore sincero e la reciproca comprensione".


Video:

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=656&set...

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=659&set...

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Deborah...

BRAVISSIMA!!!! [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002]

Sai che mi piace quest'alternanza di colori tra un post e l'altro?
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BENEDETTO XVI: CITTADINO ONORARIO DI MARIAZELL. IL SANTUARIO “È MOLTO PIÙ DI UN POSTO”

Benedetto XVI è stato insignito questa mattina della cittadinanza onoraria del Comune di Mariazell. Dopo l’udienza generale, il Pontefice si è intrattenuto con una delegazione austriaca composta dal sindaco della città, Helmut Pertl, dal vescovo di Graz-Seckau, mons. Egon Kapellari, e dal rettore del Santuario mariano di Mariazell, padre Karl Schauer.
Il conferimento della cittadinanza del Comune austriaco giunge a distanza di due anni (7-9 settembre 2007) dalla visita del Papa al Santuario mariano per gli 850 anni della fondazione.
“Mariazell - ha detto il Papa ai presenti, ricordando la pioggia che accompagnò il suo viaggio nel 2007 - è molto più di un posto: è l’attualizzazione di storia viva di un pellegrinaggio della fede e della preghiera nei secoli”.
Mariazell, ha aggiunto, “vive sempre in me”.
E nei ricordi, ha concluso, “torno sempre a fare una sosta a Mariazell, proprio perché sento come la Madre, qui, ci venga incontro e ci riunisca tutti”.
A Mariazell sorge il Santuario più antico di tutta l'Austria (edificato nel 1157), uno dei più visitati dell'Europa centrale con 1 milione di fedeli ogni anno (info: www.mariazell.at/).


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Il Papa cancella la scomunica
ai quattro vescovi di Lefebvre

di Andrea Tornielli
ilGiornale.it
22 gennaio 2009


Roma - Benedetto XVI ha deciso di revocare la scomunica ai quattro vescovi consacrati da Lefebvre nel 1988. Il decreto, che il pontefice ha già firmato, sarà pubblicato entro la fine della settimana. Il superiore della Fraternità San Pio X, Bernard Fellay, e gli altri tre vescovi, Alfonso de Gallareta, Tissier de Mallerais e Richard Williamson non saranno dunque più scomunicati.

La decisione di Papa Ratzinger è maturata negli ultimi mesi, in seguito alla lettera con la quale monsignore Fellay aveva chiesto la revoca del provvedimento comminato da Giovanni Paolo II nel 1988, dopo che l’arcivescovo Marcel Lefebvre, rifiutando in extremis un accordo già siglato con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, consacrò vescovi quattro giovani sacerdoti del clero della Fraternità.

Un atto scismatico, perché quelle consacrazioni non erano legittimate dal pontefice, giustificato invece da Lefebvre per ragioni di sopravvivenza della sua comunità tradizionalista.



Una comunità che non aveva accettato la riforma liturgica post conciliare né alcuni decreti del Vaticano II, peraltro firmati dallo stesso Lefebvre, come nel caso di quello sulla libertà religiosa. Scomunicati, ventun anni fa, furono lo stesso Lefebvre, l’anziano vescovo brasiliano Antonio de Castro Mayer, che partecipò alla consacrazione avvenuta in Svizzera (entrambi da tempo scomparsi), e i quattro neovescovi.

Il cammino di riavvicinamento, iniziato con Papa Wojtyla dopo che i lefebvriani guidarono un pellegrinaggio a Roma per il Giubileo del 2000, è continuato con alti e bassi. Ma ha subito un’accelerazione dopo l’elezione di Ratzinger. La Fraternità ha chiesto al pontefice di liberalizzare la messa antica per tutta la Chiesa.

E questo Benedetto XVI ha fatto, con il motu proprio «Summorum Pontificum», pensando non tanto e non solo ai lefebvriani, ma soprattutto a quei tradizionalisti rimasti nella piena comunione con Roma ma spesso penalizzati o guardati con sospetto perché rimasti legati alla liturgia preconciliare.

Poi è stata chiesta la revoca della scomunica - che, va precisato, ha riguardato soltanto i vescovi, non i cinquecento preti della Fraternità né tantomeno i fedeli che ne seguono le celebrazioni - e richiedendola, Fellay ha voluto manifestare l’attaccamento al Papa e la volontà della piena comunione.

I lefebvriani hanno anche compiuto di recente un pellegrinaggio a Lourdes, dove i quattro vescovi hanno lanciato l’iniziativa di far recitare ai fedeli un milione e settecentomila rosari per chiedere alla Madonna che la scomunica fosse tolta.

Il decreto che sarà reso noto nelle prossime ore non significa di per sé la soluzione del problema lefebvriano, ma rappresenta un passo importante. Il prossimo passò sarà un accordo che dia alla Fraternità San Pio X uno status giuridico nella Chiesa cattolica.

La decisione di revocare la scomunica è un atto di grande magnanimità di Benedetto XVI, che va nella linea di sanare fratture e divisioni nel corpo ecclesiale e di riaccogliere nella piena comunione oltre ai vescovi, anche i sacerdoti e i fedeli.

Nel giugno scorso il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia commissione «Ecclesia Dei», aveva posto a monsignor Fellay condizioni per proseguire il dialogo con la Fraternità, chiedendo ai lefebvriani «l’impegno a una risposta proporzionata alla generosità del Papa», a «evitare ogni intervento pubblico che non rispetti la persona del Santo Padre e che possa essere negativo per la carità ecclesiale», a «evitare la pretesa di un magistero superiore» a quello del Papa, e di «non proporre la Fraternità in contrapposizione alla Chiesa». Infine, l’impegno «a dimostrare la volontà di agire onestamente nella piena carità ecclesiale e nel rispetto dell’autorità del Vicario di Cristo».
22/01/2009 09:19
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Re:

TERESA BENEDETTA, 22/01/2009 8.59:






BRAVISSIMOOOOO!!!! FORZA, GRANDISSIMO E CORAGGIOSSIMO B16!!!

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L'appello dei vescovi iracheni in Vaticano per la visita ad Limina: il mondo non dimentichi i cristiani dell'Iraq


I vescovi iracheni hanno iniziato oggi in Vaticano la loro visita ad Limina. Alcuni presuli sono stati ricevuti in mattinata dal Papa. Portano al Successore di Pietro le speranze e le sofferenze di una piccola comunità ecclesiale duramente provata dalle conseguenze della guerra. Prima del 2003, anno dell’invasione anglo-americana, i cristiani erano 800 mila su una popolazione di 25 milioni di abitanti, per il 95% musulmani: l’emigrazione, dovuta alle difficili condizioni di vita e alle violenze anticristiane, con uccisioni, rapimenti, intimidazioni e attacchi alle chiese, ne hanno dimezzato il numero. Il servizio di Giancarlo La Vella:


Quello dei cristiani in Iraq è un dramma nel dramma. Oltre agli attentati e alle violenze che colpiscono quotidianamente tutta la popolazione, c’è la vicenda di una comunità cacciata con la forza e l’intimidazione dalle proprie case e costretta ad abbandonare tutto e a fuggire, soprattutto in Siria e Giordania, vivendo nell’indigenza e solo grazie agli aiuti delle organizzazioni umanitarie, con il miraggio sempre più lontano di ritornare forse un giorno in patria o di crearsi una nuova vita negli Stati Uniti, in Australia o in Europa. Una situazione tragica in un Paese che vive nella tragedia da sempre: prima la dittatura, poi le guerre e l’occupazione, il terrorismo e le faide tra le varie fazioni per il controllo delle risorse e del territorio di uno Stato che sembra ancora tutto da inventare. La paura dei cristiani è che il mondo dimentichi l’Iraq, come sottolinea mons. Luis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk:


R. – Ci sentiamo un po’ isolati, dimenticati, purtroppo. I cristiani che hanno lasciato il Paese e gli altri, che sono rimasti, aspettano, senza molta speranza nell’avvenire. Vivono nella preoccupazione per i loro bambini, per il loro futuro, per le loro case, per il loro lavoro. Penso che tocchi anche all’Occidente, alle Chiese, aiutarci. Siamo una piccola Chiesa, siamo lì da duemila anni, e abbiamo avuto problemi più gravi di questo. Adesso, dunque, non si può andare via e lasciare l’Iraq. La metà dei cristiani ha lasciato il Paese e adesso bisogna aiutare questi cristiani a ritornare.


D. – Barack Obama è una speranza in più?


R. – Non si sa. La politica non dipende da una persona. Se lui decide di ritirare i soldati, allora sarà un guaio. Forse ci sarà una guerra civile. Non abbiamo abbastanza soldati e poliziotti per controllare un Paese di 25 milioni di persone.


E la stessa Chiesa irachena porta su di sé le ferite per i sacerdoti uccisi dall'estremismo e dalla ferocia di gruppi fondamentalisti locali. Tra tutti ricordiamo mons. Paulos Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul, rapito il 29 febbraio 2008 e ritrovato senza vita il 12 marzo. Un “atto di violenza disumana che offende la dignità dell'essere umano” disse il Papa in occasione dei funerali del presule. Ma la speranza in chi è fuggito e in chi è rimasto, nonostante le immani difficoltà, non è svanita. Lo riferisce mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad:


R. – Vogliamo che ci siano la pace e la sicurezza, perché senza, i cristiani o gli iracheni che hanno lasciato il Paese non avranno nessuna garanzia. Noi speriamo che la pace e la sicurezza siano un motivo per farli rientrare, perché lì non vivono bene.


D. – Il fatto che la Chiesa sia stata anche colpita duramente nei suoi rappresentanti, che cosa lascia oggi?


R. – Certamente, è una cosa impressionante e molto dolorosa. Il popolo, quando un prete o un vescovo vengono uccisi si sente demoralizzato.


Mons. Warduni ha poi anche detto che all’Iraq “la democrazia non può essere imposta: ci vuole un'educazione alla democrazia”. Un compito, questo, a carico di chi oggi controlla il Paese del Golfo. I due presuli hanno partecipato ieri, insieme con mons. Matti Matoka, arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, e mons. Georges Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, alla presentazione, nella sede della Radio Vaticana, del documentario “Iraq – SOS rifugiati”, realizzato da Elisabetta Valgiusti: immagini e testimonianze emblematiche di una situazione per ora senza via d’uscita. Nel dibattito, alla presenza di un’attenta platea, mons. Matoka ha esortato la comunità internazionale a contribuire affinché ci sia “una popolazione irachena che viva in pace”. “Prendeteci il petrolio ma lasciateci il nostro Paese”, ha ribadito mons. Warduni. Nel corso del dibattito è stato poi espresso l’auspicio che presto possa tenersi un Sinodo Speciale sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente, per sensibilizzare l'intera Chiesa Cattolica al dramma delle comunità cristiane dei luoghi dell'Antico e del Nuovo Testamento che rischiano l'estinzione.


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MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE IN OCCASIONE DELLA 56ma GIORNATA MONDIALE DEI MALATI DI LEBBRA

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, Em.mo Card. Javier Lozano Barragán, in occasione della 56ma Giornata Mondiale dei malati di lebbra, che sarà celebrata domenica 25 gennaio:


Agli Ecc.mi Presidenti delle Conferenze Episcopali

e Vescovi Incaricati della Pastorale della Salute.

La celebrazione annuale della "Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra" è un grande appuntamento di solidarietà con i fratelli e le sorelle affetti dal morbo di Hansen, una malattia spesso ignorata dai mezzi di comunicazione, ma che ancora oggi ogni anno colpisce nel mondo oltre 250.000 persone, la maggior parte delle quali vive in condizioni di indigenza.

Secondo le stime più recenti dell’"Organizzazione Mondiale della Sanità", che si riferiscono al 2007, si sono registrati in quell'anno 254.525 nuovi malati di lebbra, con una presenza di 212.802 persone in trattamento.

I bambini purtroppo non vengono risparmiati da questo morbo. Secondo stime dell'AIFO, - l’ «Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau» -, "ogni anno vi sono 40.000 bambini con la lebbra nel mondo, e circa il 12% di tutti i nuovi casi di lebbra sono bambini con meno di 15 anni".

Nell'anno del "XXmo Anniversario della Convenzione dei Diritti dei Fanciulli" memore della predilezione di Cristo Gesù per essi "perché di questi è il regno dei Cieli" (Mt 19, 14), faccio appello ai responsabili delle Organizzazioni Governative, affinché nell'attuare i programmi e i piani di salute nei diversi Paesi, riservino una speciale attenzione ai bambini malati di lebbra, i quali corrono il rischio di vedere ipotecato il loro futuro per le negative conseguenze della malattia.

Da questo deriva l'urgenza che le Istituzioni Pubbliche promuovano iniziative adeguate per rendere concreto il "diritto a godere del miglior stato di salute possibile ed a beneficiare di servizi medici e di riabilitazione" ad essi riconosciuti nell'articolo 24 della "Convenzione su i Diritti dei Fanciulli".

Sul piano sociale, purtroppo, persistono ancora infondate paure alimentate dall'ignoranza circa il morbo di Hansen. Queste paure generano atteggiamenti di esclusione e spesso imprimono una sorta di marchio nei malati di lebbra, rendendoli particolarmente vulnerabili. Questa "56ma Giornata Mondiale" è quindi una opportuna occasione per offrire alla comunità degli uomini una corretta, larga e capillare informazione sulla lebbra, sugli effetti devastanti che può causare nei corpi se lasciati a se stessi, nelle famiglie e nella società, e suscitare il dovere singolo e collettivo di una attiva fraterna solidarietà.

Ispirandosi all'esempio di Cristo Gesù, Medico del corpo e dello spirito, la Chiesa ha sempre avuto una speciale sollecitudine per i malati di lebbra. Nel corso dei secoli si è resa presente con l’istituzione di Congregazioni di Religiosi e Religiose e con Organizzazioni di Assistenza Sanitaria di Volontariato di fedeli laici, contribuendo così in modo radicale alla piena integrazione sociale e comunitaria di questi malati.

Il Beato Padre Damiano di Veuster, infaticabile ed esemplare Apostolo dei fratelli e delle sorelle affetti dal morbo di Hansen, è simbolo di tutti i Consacrati a Cristo che ancora oggi dedicano la propria vita a questa nobile causa, mettendo a disposizione ogni loro risorsa per il benessere integrale dei malati di lebbra, in ogni parte del mondo.

Con il Beato Damiano essi stanno scrivendo una tra le pagine più belle della storia missionaria della Chiesa, legando in modo inseparabile l’evangelizzazione alla cura dei malati, annunciando che la Redenzione di Cristo Gesù e la sua Grazia salvifica raggiungono tutto l'uomo nella sua condizione umana, per associarlo alla sua gloriosa Risurrezione.

Accanto ad essi tanti Volontari e Uomini di buona volontà sono coinvolti nell’organizzare concretamente iniziative di solidarietà, mettendo a disposizione degli Istituti di ricerca mezzi e risorse finanziarie per una cura sempre più efficace nel debellare il morbo di Hansen. II mondo del laicato cattolico ha il suo paladino nell’ideatore e promotore di questa "Giornata Mondiale", Raoul Follereau, che continua la sua benefica azione attraverso l’"Associazione degli Amici" a lui dedicata. A lui, e a quanti lo seguono, va un plauso particolare e la nostra gratitudine per le tante iniziative che essi promuovono, tenendo sempre viva l'attenzione per i malati del morbo di Hansen, sensibilizzando l'opinione pubblica e coinvolgendo persone e istituzioni nel sostenere programmi e raccolte di risorse finanziarie.

E' bello e consolante constatare che in questa lotta al morbo di Hansen sono presenti Associazioni e Organizzazioni non Governative che, andando oltre le appartenenze religiose, ideologiche e culturali, si incontrano tutte nella comune finalità di dare a chi è malato l'opportunità di ritrovare uno stato di benessere sociale, sanitario, spirituale.

In particolare alla "Sasakawa Foundation" va la comune riconoscenza per l'apporto insostituibile che da decenni sta dando a questa causa, sostenendo finanziariamente le Istituzioni della Comunità Internazionale nella ricerca in campo terapeutico. Incoraggio la "Sasakawa Foundation" a proseguire con determinazione nella sua nobile battaglia, perché ai positivi risultati finora raggiunti altri ancora e più avanzati vengano realizzati per il bene dei malati di lebbra e delle loro famiglie.

Ai malati del morbo di Hansen, ai Missionari religiosi e religiose impegnati sul campo, e agli Operatori Sociali e di Sanità che li assistono, esprimo la vicinanza di questo "Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute", che esprime la sollecitudine e l’attenzione della Chiesa per i malati e per quanti ad essi si dedicano.

L'Immacolata Madre di Dio, "Salus infirmorum", interceda presso il Figlio Gesù, "Medico dei corpi e delle anime", per la salute globale dei malati di lebbra, e a quanti li assistono doni uno spirito materno che consenta loro di svolgere in modo adeguato la loro preziosa opera.

+ Javier Lozano Barragán

Presidente del Pontificio Consiglio

per la Pastorale della Salute

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Benedetto XVI: la Madonna rende fratelli e costruisce l'unità


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 22 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha dedicato ieri un emozionato e improvvisato discorso alla Madonna come promotrice di unità tra gli uomini, ringraziando per aver ricevuto la cittadinanza onoraria della località austriaca di Mariazell, sede di uno dei santuari mariani più importanti d'Europa.

Il riconoscimento gli è stato conferito in presenza del sindaco, Helmut Pertl, del Vescovo di Graz-Seckau, monsignor Egon Kapellari, e del Rettore del Santuario di Mariazell, padre Karl Schauer, O.S.B. Davanti a loro, il Pontefice ha espresso la propria riconoscenza.

"Secondo ogni probabilità, in questa vita non riuscirò più a recarmici in pellegrinaggio fisicamente, ma ora lì ci vivo veramente ed in questo senso sono sempre lì presente", ha affermato. "Sono felice di essere con il cuore, e ormai anche - per così dire - 'di diritto' domiciliato a Mariazell".

Il Papa ha ricordato due visite precedenti al Santuario e ha raccontato alcuni aneddoti vissuti con il Vescovo e il Rettore, soprattutto nella sua ultima visita a causa della pioggia torrenziale che li ha sorpresi.

Dall'altro lato, ha sottolineato l'importanza che questo Santuario, molto venerato dai cattolici tedeschi, ha avuto nella storia europea: "Mariazell è molto più di un 'luogo': è l'attualizzazione di storia viva di un pellegrinaggio di fede e di preghiera nei secoli", ha osservato.

In questo pellegrinaggio, ha aggiunto il Papa, "non sono presenti solamente le preghiere e le invocazioni degli uomini, ma è presente anche la realtà di una risposta: noi sentiamo che la risposta esiste, che non allunghiamo la mano verso qualcosa di sconosciuto, ma che Dio c'è e che attraverso sua Madre Egli vuole essere particolarmente vicino a noi".

Mariazell, inoltre, esprime "che cosa sia capace di costruire l'Europa, da dove essa provenga, in che cosa consista la sua identità, e attraverso che cosa l'Europa possa sempre nuovamente tornare ad essere se stessa: attraverso l'incontro con il Signore, al quale ci conduce sua Madre".

La vera grandezza

Benedetto XVI ha ricordato che la Madonna di Mariazell ha ricevuto importanti titoli nel corso della storia, come "Magna Mater Austriae, Domina Magna Hungarorum, Magna Mater gentium slavorum".

La Madonna, ad ogni modo, insegna "cosa è veramente 'grande': non il fatto di essere 'inavvicinabile'".

Maria, infatti, manifesta la sua grandezza nel fatto che "si rivolge ai piccoli ed è presente per i piccoli, che possiamo recarci da lei in qualunque momento, senza dover pagare alcun biglietto d'ingresso, semplicemente portando il cuore".

Questa grandezza, quindi, non ha a che vedere con "la maestà esteriore", ma con "la bontà del cuore che apre a tutti l'essere in comunione gli uni con gli altri".

"Nelle passeggiate che faccio nei paesaggi dei ricordi, torno sempre a fare una sosta a Mariazell, proprio anche perché sento come la Madre, lì, ci viene incontro e ci riunisce tutti", ha concluso.




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Dal blog di Lella...

A colloquio con l'arcivescovo Claudio Maria Celli sull'uso delle nuove tecnologie nella comunicazione

Un nuovo dialogare tra la Chiesa e il mondo

di Mario Ponzi

Un sito interattivo attraverso il quale la Chiesa possa entrare quotidianamente in dialogo con il mondo, in spirito di solidarietà e di amicizia. È il sogno dell'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. "Un desiderio - ha detto nell'intervista concessa al nostro giornale alla vigilia della presentazione del messaggio del Papa per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali - che nutro sin da quando ho iniziato questo mio incarico". Il presidente crede fermamente nelle nuove tecnologie, nelle loro potenzialità nel diffondere il magistero. E se "c'è qualche rischio - azzarda - vale la pena correrlo".

L'annunciato accordo con Google per assicurare continuità alla presenza del Papa in rete, la partecipazione di Benedetto XVI in teleconferenza alla messa per le famiglie a Città del Messico indicano chiaramente la volontà di percorrere le vie offerte dalla tecnologia. Si corrono rischi di inquinamento nella diffusione del messaggio evangelico attraverso i nuovi mezzi?

La scelta fatta dal Pontefice e dalla Santa Sede in questo senso è dettata dalla logica del comportamento. Il Papa ha sempre espresso le sue simpatie per le nuove tecnologie. Se da un lato vede certamente limiti e pericoli insiti in esse, di fatto però si pone nei loro confronti in un atteggiamento positivo. Lo vedremo nel messaggio di Benedetto XVI: è un messaggio fortemente positivo, nel quale il Papa mette proprio in risalto le sue simpatie, il suo apprezzamento per gli apporti positivi che le nuove tecnologie danno al cammino dell'uomo oggi. Il Papa parla di "un vero dono di Dio" nel suo testo. E nello stesso tempo afferma che le nuove tecnologie sono un contributo al progresso sociale. Dunque egli ha fiducia nella maturità e nella responsabilità di quanti colgono le occasioni che offrono questi mezzi meravigliosi.

Youtube è notoriamente uno spazio nel quale può capitare, e capita in effetti, di vedere di tutto e di più. Perché il Papa ha deciso di comparire proprio in questo spazio?

Credo che egli abbia maturato questa scelta proprio perché vuole incontrare gli uomini lì dove essi si trovano. Vuole incontrarli e instaurare con loro un dialogo aperto, franco, sincero e amichevole. Quindi non va inteso come un abbassarsi a qualcosa di disdicevole. Va inteso proprio come la volontà di incontrare, di andare verso l'uomo, verso tutti gli uomini. Il Papa è ben consapevole dei limiti, degli aspetti negativi legati a queste nuove tecnologie. Nel suo messaggio ne fa cenno. Però egli ritiene che se gli uomini si trovano lì, è lì che bisogna andare a incontrarli. Anche perché si tratta delle nuove generazioni, quindi degli uomini di domani. Nel messaggio li chiama "digital generation", cioè quella generazione di uomini che nasce nella cultura del digitale, e non sono stati, come noi, improvvisamente catapultati in questo mondo nuovo. Ecco, è lì che Benedetto XVI vuole essere. E sarà presente con il suo stile, aperto a un dialogo rispettoso.

Certo vi potranno essere dei rischi.

I rischi fanno parte della nostra vita quotidiana. Ma credo che valga la pena accettare la sfida ed essere presenti. Ricordo sempre che Giovanni II, quando gli chiedevano il perché di tanti suoi viaggi, rispondeva che erano pellegrinaggi nel cuore dell'umanità più varia. Bene, credo si possa applicare questa sua teoria all'uso di internet per diffondere il messaggio evangelico. È come fare un pellegrinaggio nell'anima di quanti, in un ufficio, in uno studio, in una casa entrano in rete. Vi troveranno d'ora in poi il Papa che propone la sua missione di successore di Pietro. A chi entra egli vuole offrire anche la possibilità di vedere, di ascoltare, di capire. È un pellegrinaggio riservato, dialogico, rispettoso. Non impone nulla. Benedetto XVI con la sua gentilezza d'animo, con la sua cordialità offrirà, a quanti vorranno ascoltarlo nell'intimità della propria stanza, il suo magistero.

Ma di chi è stata l'idea di mettere il Papa in rete?

È stata illustrata a Benedetto XVI questa possibilità e lui è stato ben lieto di accettare l'idea. Egli è infatti consapevole delle enormi possibilità che le nuove tecnologie mettono a disposizione per la diffusione del Vangelo nel mondo.

Il messaggio di quest'anno parla di occasioni di dialogo e di amicizia offerte dalle nuove tecnologie. C'è chi mette in guardia dal possibile rischio che le relazioni mediate dal computer, spesso anonime, possano risultare istabili, fittizie, ambigue. Secondo lei?

È il vero pericolo. Se infatti le nuove tecnologie, da un lato, offrono grandi possibilità, dall'altro queste possibilità possono trasformarsi per alcuni in comunità virtuali. Significa che si possono costituire schiere infinite di amici eppure ritrovarsi soli. C'è data la possibilità di interagire con persone all'altro capo del mondo, di superare tutte le possibili barriere, eppure si corre il rischio concreto della solitudine. Questo perché la frequentazione del virtuale può indurre a chiudersi in se stessi, senza cercare più il contatto interpersonale reale, concreto con quanti ci sono vicini, con quanti rappresentano la vera comunità nella quale viviamo, con la quale dobbiamo costruire rapporti di fraternità, di solidarietà.

Come superare questi rischi?

Credo che il Papa risponda a questo proprio con il suo messaggio. Egli infatti invita a promuovere una cultura del rispetto, del dialogo e dell'amicizia con l'uomo e tra gli uomini ovunque essi si trovino, dunque senza escludere qualcuno o qualcosa. È la cultura dell'accoglienza dell'altro, sempre e comunque. La vera battaglia da vincere, credo sia quella contro l'ossessione della connettività. Siamo più preoccupati di essere connessi che del contenuto che noi diamo alla nostra connessione. L'uomo ha a sua disposizione dei grandi mezzi per comunicare. Eppure tra i mali del nostro secolo dobbiamo inserire proprio la solitudine dell'uomo. Pensi a quanti messaggi e messaggini circolano oggi nel mondo. Sono diventati quasi un'ossessione essi stessi. A volte però si tratta di un modo come un altro per rispondere a un angoscioso senso di solitudine che pervade l'uomo di questa nostra società. Una società che non sa più proporci il culto del silenzio, o quantomeno non ci aiuta ad apprezzare il silenzio. E questo è un limite. Non solo perché non ci permette di dare spessore ai nostri rapporti umani. Ma anche perché costituisce un limite dal punto di vista religioso: se non impariamo ad apprezzare il silenzio, facciamo molta fatica ad ascoltare e a parlare con Dio. Ecco, forse questo è il rischio concreto al quale siamo esposti con le nuove tecnologie, a volte sommersi da migliaia di messaggi, molti dei quali inaccettabili. Penso a quanti propongono messaggi di violenza, di sopruso; immagini crude, indecenti; atteggiamenti di intolleranza. Messaggi insomma che non sanno creare un atteggiamento di rispetto per l'altro.
Credo che tutto possa essere ricondotto all'educazione al rispetto dell'altro. In questo la Chiesa può effettivamente aiutare con la sua presenza. Essa può promuovere i grandi valori attraverso il dialogo. Ognuno deve essere se stesso, senza mimetizzarsi. Ognuno deve usare il suo linguaggio, ma deve essere un linguaggio chiaro e rispettoso dell'altro in modo che possa essere ascoltato e capito.
Il Papa propone il tema dell'amicizia. Lo propone soprattutto ai giovani, che hanno già dimistichezza con l'amicizia. È in definitiva a loro, usando i loro stessi mezzi, che egli affida il compito di trasformare effettivamente l'umanità in un'unica, grande famiglia. Collegata in rete nella consapevolezza di essere soggetti comunicanti, che sanno comunicare, ascoltare, capirsi l'un l'altro.

(©L'Osservatore Romano - 23 gennaio 2009)


Papa Ratzi Superstar









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