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Viaggi pastorali in Italia

Ultimo Aggiornamento: 06/10/2012 20:47
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30/04/2010 17:44
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Sindone, il Papa a Torino
«Un evento di grazia»


Marco Bonatti

Una ventata di gioia e di freschezza. L’attesa per la visita del Papa coinvolge la città intera e fa riscoprire quella Torino «religiosa» che tante volte è poco visibile ma è ben presente nel tessuto del territorio, nella storia come nell’esperienza viva dell’oggi. Il cardinale arcivescovo di Torino Severino Poletto ha tenuto ieri nel Seminario metropolitano l’ultima conferenza stampa prima della visita di Benedetto XVI. Il Papa, è atteso per domenica: viene a "sciogliere" la promessa che fece due anni fa ai 7 mila pellegrini torinesi riuniti nell’Aula Paolo VI. Annunciando l’ostensione per il 2010 il Papa disse: «Se il Signore mi dà vita e salute, sarò anch’io a Torino per venerare la Sindone». Il giorno è arrivato e la città è pronta.
Benedetto XVI è atteso poco dopo le 9 all’aeroporto di Caselle, da dove si trasferirà in piazza San Carlo per ricevere il saluto del sindaco Sergio Chiamparino e dell’arcivescovo. Il Papa presiederà l’Eucaristia in una piazza che può accogliere 25 mila persone (maxischermi vengono installati anche in via Roma e piazza Castello, per consentire di seguire la funzione anche a chi non potrà fisicamente entrare in piazza. Un altro maxischermo sarà sistemato in piazza San Giovanni per seguire la preghiera del Papa in Duomo).
Nel pomeriggio Benedetto XVI tornerà in piazza San Carlo per incontrare i giovani delle diocesi piemontesi. Quindi l’incontro con la Sindone. Ad accogliere il «proprietario» del Telo, nella Cattedrale, ci saranno le monache di clausura dei 16 monasteri della diocesi di Torino. Il Papa pregherà davanti al Santissimo Sacramento e poi di fronte alla Sindone, sulla stessa pedana dove, ogni giorno, sfilano oltre 30 mila pellegrini. Poi il Papa salirà nel piccolo presbiterio per proporre la sua meditazione. In seguito Benedetto XVI si recherà a incontrare le comunità di religiosi, malati e volontari della Piccola Casa della Divina Provvidenza.
E poi, dal Cottolengo, ripartirà alla volta dell’aeroporto e di Roma. Joseph Ratzinger conosce da lungo tempo la Sindone, fin dai suoi anni a Monaco. Venne a Torino nel 1998, guidando il pellegrinaggio della Congregazione per la dottrina della fede. In quell’occasione tenne, al teatro Regio, una conferenza pubblica sul tema «Fede tra ragione e sentimento».
Dal 1998 ad oggi la Sindone ha conosciuto un importante intervento conservativo: non più arrotolata ma distesa in una teca apposita, «ripulita» dalle toppe e dal pulviscolo residuo dell’incendio di Chambéry, si presenta oggi in un migliore stato di conservazione. L’immagine stessa, come testimoniano i pellegrini dell’attuale ostensione, è meglio visibile che in passato. E forse sono maturi i tempi, al termine dell’Ostensione, per riaprire il discorso su indagini scientifiche non invasive (un programma ampio di ricerche era stato proposto fin dal 2000, nel Simposio internazionale che aveva riunito 40 scienziati di tutto il mondo).
Ma per la scienza c’è tempo. Domenica è il «giorno della fede», in cui il Papa viene a pregare di fronte a questa immagine così misteriosa e così «chiara» nel testimoniare e confermare i racconti evangelici della passione del Signore. «Il Santo Padre – ha detto il cardinale Poletto – viene a Torino in visita pastorale, alla diocesi e alla città: un momento speciale di riflessione davanti al Lino. Un avvenimento eccezionale, non solo dal punto di vista dell’organizzazione, ma anche in quanto momento di grazia per i fedeli e un’occasione importante per rilanciare la tradizione dei santi piemontesi, come don Murialdo e san Giuseppe Cottolengo, che il Papa ha ricordato nell’udienza generale di mercoledì» È un’opportunità che stanno raccogliendo in tanti: a oggi i pellegrini prenotati sono 1 milione 744 mila. Di questi già 450 mila sono sfilati di fronte alla Sindone.
L’assessore Fiorenzo Alfieri, presidente del Comitato organizzatore, ha osservato che l’obiettivo dei due milioni di pellegrini può ornai considerarsi raggiunto, anche perché ai prenotati occorre aggiungere il gran numero (almeno 80-100 mila a settimana) che passano dalla porta centrale del Duomo: nella navata la Sindone è un poco più lontana ma ci si può fermare, a guardare e a pregare.

© Copyright Avvenire, 30 aprile 2010


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Arriva il Papa, Torino è in festa

Domenica 2 maggio celebra laMessa in piazza San Carlo dove nel pomeriggio incontrerà i ragazzi; la serata, in Cottolengo

MARCO BOBBIO

Domenica 2 maggio, papa Benedetto XVI sarà a Torino per venerare la Sindone. Joseph Ratzinger, che giunge sotto la Mole per la prima volta dopo essere asceso al soglio di Pietro, resterà in città per tutto il giorno, alternando incontri pubblici e momenti di riflessione e di preghiera. Il Pontefice arriverà in città intorno alle 9,45 e si recherà direttamente in piazza San Carlo per ricevere il saluto di Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, e del cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino. Intorno alle 10, sul palco montato sul lato di via Alfieri e rivolto verso la piazza, celebrerà una Santa Messa con il cardinale Poletto, i vescovi del Piemonte e i sacerdoti della Diocesi di Torino.
Verso le 12, papa Benedetto XVI concluderà la solenne concelebrazione eucaristica guidando la recita del «Regina Coeli» e proponendo un'ulteriore riflessione alla cittadinanza. L’incontro è pubblico ma per partecipare è necessario un «pass» che deve essere prenotato dai parroci per i fedeli. I biglietti possono essere riservati telefonando alla segreteria dell’Ostensione al numero 349/1642246 e vanno ritirati sempre alla segreteria, in via XXSettembre 87. I fedeli devono arrivare in piazza San Carlo almeno un’ora prima dell’inizio delle celebrazioni: vi si potrà accedere da via Maria Vittoria, via Santa Teresa e viaRomalato piazza Castello. I pass saranno distribuiti fino all’esaurimento dei 25 mila posti disponibili in piazza. Coloro che saranno sprovvisti del biglietto potranno seguire i due appuntamenti attraverso i maxischermi montati in via Roma e in piazza Castello; inoltre, sempre in via Roma e in piazza Castello, saranno presenti circa 200 parroci che daranno la comunione ai fedeli che hanno seguito l’incontro.
Alcuni spazi in piazza San Carlo saranno invece riservati ai malati e ai disabili, che possono richiedere i «pass» all'Ufficio diocesano per la pastorale della Salute, telefonandoallo 011/515.63.60-1. Per i gruppi che arriveranno con bus privati sono stati allestiti due punti per la sosta: uno è nel controviale di corso Vittorio Emanuele all’altezza di corso re Umberto, l’altro in corso San Maurizio dove è situato il parcheggio dei bus per la visita alla Sindone. Nel pomeriggio, il Pontefice tornerà in piazza San Carlo, alle 16,30, per l’incontro con i giovani e, intorno alle 17,30, si recherà in Duomo per visitare il Sudario di Cristo. Entrando nella cattedrale, il Pontefice sosterà in adorazione della cappella del SS. Sacramento e, dopo la venerazione della Sindone, proporrà una meditazione sul tema «Passio Christi, Passio hominis». Al termine, il Santo Padre saluterà i membri del Comitato per l'Ostensione della Sindone.
In Duomo saranno presenti le monache di clausura dei diversimonasteri della Diocesi mentre tutti gli altri fedeli potranno seguire la visita del Papa attraverso un maxi schermo che sarà installato sul sagrato di piazza SanGiovanni. Benedetto XVI concluderà infine la sua giornata torinese con una visita al Cottolengo dove incontrerà gli ammalati e gli ospiti della Piccola Casa, riceverà il saluto di padre Aldo Sarotto, superiore generale della Famiglia cottolenghina, e pronuncerà un discorso. In occasione della giornata del Papa a Torino verranno emessi due annulli filatelici, uno per la visita alla Sindone e uno per quella al Cottolengo.
Il primo potrà essere richiesto nel foyer del bookshop della ufficiale dell’Ostensione, in piazza Castello nel palazzo della Regione, il secondo allo sportello temporaneo che sarà dislocato in via Cottolengo 14. Per celebrare la giornata inoltre, il Conservatorio «Giuseppe Verdi», in collaborazione con il Comune, la Reggia di Venaria e la fondazione Crt, ha preparato un dvd dimostrativo che illustra sia l’attività ordinaria della scuola, sia le iniziative speciali organizzate in occasione dell’Ostensione della Sindone, in particolare i filmati dei concerti realizzati alla Reggia di Venaria, alla casa circondariale Lorusso e Cotugno e nell’auditorium di piazza Bodoni. Inoltre, il dvd contiene il «makin off» e l’esecuzione delle «Sette parole di Gesù in croce », la composizione di Leonardo Schiavo che è stata segnalata nell’ambito del concorso di composizione corale «In Passione Domini», bandito dal conservatorio nel 2009.
Il dvd verrà offerto come omaggio a Benedetto XVI e alle autorità locali. Con la scelta di presenziare all’Ostensione del Sudario di Cristo, il Pontefice consolida così la tradizione avviata dal predecessore Giovanni Paolo II: l’allora cardinale Wojtyla fu infatti a Torino per venerare la Sindone nell’ottobre del 1978, pochi giorni prima della sua elezione al Pontificato, e vi tornò una prima volta da Papa il 13 aprile 1980, e poi il 24 maggio 1998.

© Copyright La Stampa, 30 aprile 2010


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Domenica il Pontefice a Torino per l'ostensione della Sindone

Una nuova carica di energia spirituale

di Severino Poletto
Cardinale arcivescovo di Torino

Torino in queste settimane è come trasformata. Lungo le strade che conducono alla città si susseguono pullman gremiti di pellegrini. Il centro pullula di passanti. Se ci si sofferma davanti alla cattedrale, si ode l'eco di tutti i dialetti d'Italia e i fonemi di molte lingue del mondo.
Ma non appena si varca il portale del duomo vi regna il silenzio, spezzato soltanto dalla tenue voce dei volontari che, a turno, guidano nella preghiera quanti sostano davanti al telo sindonico e dal calpestio dei passi di coloro che, attraverso un lungo percorso di preparazione, si portano là davanti. Sono davvero moltissimi i volti di quanti si sforzano di decifrare i contorni del volto dell'uomo della Sindone ed essere così messi in contatto, per suo mezzo, col volto di Cristo. È evidente, infatti, che questa fiumana di gente si spiega anche con la curiosità, l'interesse per il misterioso, la voglia di partecipare a un evento. Ma è altrettanto chiaro che, per la stragrande maggioranza, quel lenzuolo rimanda alla memoria benedetta del Signore Gesù ed è un modo per appagare il desiderio di contemplare il suo volto. "Il tuo volto, Signore, io cerco; non nascondermi il tuo volto" (Salmo 27). Non riesco davvero a guardare le migliaia di persone che stanno riempiendo Torino in questi giorni, senza vedervi incarnate queste parole del salmo. Così come mi è difficile accostare questi pellegrini senza immaginare le sofferenze che, nei loro corpi o nei loro cuori, hanno sopportato o sopportano e che ora vengono con fiduciosa preghiera ad accostare alle ferite di Cristo.
Come Chiesa che è in Torino ci siamo preparati a questa ostensione della Sindone per un intero anno, perché essa fosse anche per noi un'occasione di conversione e familiarità con il Signore. Ho proposto di camminare verso questo evento, meditando su questo tema: Passio Christi, Passio hominis, cioè sui patimenti di Cristo, come luogo in cui si rivela l'amore appassionato di Dio per l'uomo, e sui patimenti umani, che cercano luce e conforto nella croce di Gesù.
Così facendo, abbiamo anche inteso prepararci ad accogliere i pellegrini di queste settimane. Domenica, ce ne sarà uno di assoluta eccezione, Papa Benedetto XVI. Sono sicuro di interpretare il sentimento di tutta la Chiesa torinese e dell'intera città nel dire che stiamo attendendo il Papa con grande gioia e trepidazione, sin dal momento in cui abbiamo avuto la certezza della sua visita alla Sindone e alla nostra città. E ora che è finalmente arrivato il momento, siamo desiderosi di potergli esprimere tutto l'affetto che nutriamo per lui e di accogliere, come dono prezioso, la sua presenza tra noi perché in lui vediamo il vicario di Cristo e il successore di Pietro che viene per confermarci nella fede e per incoraggiarci nel nostro impegno di testimonianza cristiana.
La sua visita la sentiamo come una grazia speciale per la nostra Chiesa. Essa sembra sposarsi bene con questo momento di internazionalizzazione che stiamo vivendo e pare svelarcene la profondità. La presenza del Papa, infatti, ci aiuterà a percepire, vivere e approfondire il senso e la ricchezza della cattolicità della Chiesa, che vuole raggiungere tutti gli uomini, qualunque sia il colore della loro pelle, la provenienza, la cultura, il censo. Specie nel momento della celebrazione eucaristica da lui presieduta noi saremo stimolati ad allargare i confini del cuore per sentirci in comunione con tutti i cristiani sparsi nel mondo e sapremo, con maggiore consapevolezza, di dover metterci con generosità a disposizione di tutta la Chiesa. La presenza del Papa ci aiuterà, infatti, a non porre troppe attenzioni alle nostre stanchezze, ma a vedere i doni che il Signore risorto continua a fare alla sua Chiesa universale. Inoltre essa ci sarà di stimolo a essere fedeli, fino in fondo, alla vocazione che la Chiesa torinese sembra aver ricevuto col dono dei suoi santi sociali, simbolo di una comunità cristiana che è sempre stata e continua a essere capace di una carità intelligente verso i più poveri e gli emarginati, come ancora oggi si può riscontrare nella generosità di molti preti, religiosi e laici di questa diocesi.
Il Papa troverà a Torino una Chiesa viva che non arretra di fronte alle sfide della modernità sapendo di avere, oggi più che mai, il compito di portare la sua testimonianza di fede in una società sempre più secolarizzata.
Ciò che anima particolarmente la nostra attesa del Pontefice è un sentimento di grande fiducia perché vediamo in lui il testimone coraggioso e appassionato della fede in Gesù, per cui ci attendiamo di essere da lui sostenuti e incoraggiati nella nostra stessa fede. Per molti di noi, essa è vissuta e testimoniata in contesti talvolta scristianizzati od ostili, spesso indifferenti. Per questo la parola del Papa sarà per noi una nuova carica di energia spirituale: ci impegniamo ad accoglierla e custodirla nei nostri cuori, nella certezza che essa ci sosterrà nel nostro compito di seguire il Signore Gesù nei diversi contesti della nostra esistenza. Il Papa ci aiuterà anche a riconoscere i molteplici e confortanti segni della presenza del Signore in mezzo a noi e a saper leggere, nella fede, le situazioni di fatica che la nostra città vive, specialmente negli ammalati, in chi ha perduto il lavoro, negli immigrati, in chi è solo.
L'immagine sindonica sta dimostrando quanti frutti di commozione e di fede essa dona ai numerosi pellegrini e anche quanto desiderio di conversione suscita nei cuori.
Chiedo al Signore che la presenza di Benedetto XVI, il quale insieme con noi si fermerà in meditazione orante davanti a quel santo lino, susciti in tutti un rinnovato slancio di impegno missionario per poter essere con la parola, e soprattutto con la vita, testimoni credibili dell'infinito amore di Dio.
Affido all'intercessione della Vergine Consolata, patrona della nostra arcidiocesi, questa visita pastorale del Papa a Torino, con la certezza che essa segnerà un momento memorabile di grazia non solo per il momento presente, ma soprattutto per il futuro della nostra Chiesa e della nostra città.

(©L'Osservatore Romano - 1 ° maggio 2010)


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La visita del Papa alla Sindone, un evento di grazia
Card. Poletto: un’occasione per rilanciare la tradizione dei santi piemontesi



ROMA, venerdì, 30 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Se Dio mi darà salute e vita anch’io verrò”: con queste parole Benedetto XVI diede la sua approvazione all’Ostensione della Sindone del 2010, il 2 giugno del 2008 in occasione dell’udienza speciale riservata ai pellegrini della diocesi di Torino, a Roma, a conclusione dell’anno dedicato alla “Redditio fidei”.

Lo ha ricordato il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino e custode pontificio della Sindone, aprendo la conferenza stampa che si è tenuta giovedì mattina presso il Seminario metropolitano, per presentare il programma della visita del Papa il prossimo 2 maggio.

“La visita di Benedetto XVI – ha affermato il cardinale – rappresenta quindi il compimento di una promessa”. “Il Papa viene a Torino – ha proseguito l’arcivescovo – in visita pastorale, alla diocesi e alla città. Sarà un avvenimento eccezionale: non solo dal punto di vista dell’organizzazione, ma anche in quanto momento di ‘grazia’ per i fedeli e un’occasione importante per rilanciare la tradizione dei santi piemontesi, come San Leonardo Murialdo e san Giuseppe Benedetto Cottolengo”.

Quattro le tappe fondamentali della visita papale: alle 10 la solenne celebrazione eucaristica in piazza san Carlo seguita alle 12 dalla recita del Regina Caeli; alle 16.30 l’incontro con i giovani, sempre in piazza san Carlo; alle 17.30 la visita in Duomo per venerare la Sindone; alle 18.30 l’incontro con gli ammalati e gli ospiti del Cottolengo alla Piccola Casa della Divina Provvidenza.

Alla Messa in piazza San Carlo – hanno informato gli organizzatori - allestita in modo da poter accogliere 25 mila persone, parteciperanno anche 600 autorità e 300 ammalati. Concelebreranno 30 Vescovi, di cui 8 cardinali e 700 tra preti e diaconi. Animeranno la liturgia 800 “Pueri cantori” e circa 200 tra musicisti e membri del coro.

La presenza di sei maxi schermi - due in piazza san Carlo, due in via Roma, uno in piazza Castello e uno presso le Porte Palatine – permetteranno ai fedeli di seguire in diretta l’intera visita del Papa.

Nel corso della conferenza stampa Fiorenzo Alfieri, presidente del Comitato per l’ostensione, ha informato sul numero delle prenotazioni che hanno raggiunto quota 1 milione 744 mila. “Un dato che – ha sottolineato Alfieri - calcolando che in media 70 mila persone ogni settimana entrano in Duomo dalla porta centrale senza prenotazione, fa prevedere che entro la fine dell’Ostensione oltre 2 milioni di persone riusciranno vedere il Telo”.

Non escluso, inoltre, che a fronte del continuo afflusso di richieste di prenotazione si possa ampliare nelle ultime settimane, l’orario di accesso al percorso nelle ore serali.


01/05/2010 15:55
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Ostensione della Sindone: l’editoriale di padre Lombardi


Sull’Ostensione della Sindone, ecco l’editoriale del nostro direttore, padre Federico Lombardi, per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

Centinaia di migliaia di pellegrini affluiscono in queste settimane a Torino per passare pochi minuti in raccoglimento silenzioso davanti alla Santa Sindone, contemplando l’immagine del corpo martoriato di un uomo crocifisso. Il fatto si ripete ogni volta che il grande antico lenzuolo viene esposto al pubblico; e anche gli ultimi Papi si sono uniti ai pellegrini devoti. Non è tanto l’origine misteriosa di questa immagine ad attrarre, quanto la sua rispondenza impressionante, in numerosissimi particolari, al racconto della Passione di Cristo dei Vangeli: le piaghe, il sangue colato, le ferite della corona di spine, i colpi dei flagelli. “Ecco l’uomo!” diceva Pilato presentando Gesù alla folla. Ecco l’uomo morto in croce per noi, ripetiamo a noi stessi sostando turbati e infine ammirati e di fronte all’immagine più concreta della Passione. E al centro il volto solenne del crocifisso, un volto che corrisponde agli schemi più antichi dell’iconografia cristiana e a sua volta la conferma e la ispira. Desideriamo conoscere Dio e lo possiamo conoscere attraverso il volto di Cristo, ci ricorda continuamente Benedetto XVI. Per questo amiamo le immagini che la tradizione accredita come vie preziose per intravvedere quel volto, sia a Manoppello, sia a Torino. Sappiamo che dobbiamo guardare oltre l’immagine, desiderare di vedere faccia a faccia il volto del Risorto. Ma siamo umilmente grati dell’aiuto offerto ai nostri occhi terreni per contemplare l’amore senza riserve per noi, fino alla morte di croce.


01/05/2010 20:00
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Il cardinal Poletto: "Il Papa potrà vedere la Torino migliore"

Il mio giorno con Ratzinger

MARIA TERESA MARTINENGO

TORINO

È sereno, il cardinale Severino Poletto all’antivigilia della visita pastorale del Papa, sicuro delle qualità di una macchina organizzativa che si è dimostrata impeccabile.

Eminenza, che cosa significa per Torino la visita di Benedetto XVI?

«È un avvenimento importantissimo. Il Santo Padre, che attendiamo con gioia e trepidazione, viene qui per la prima volta come successore di Pietro e lo fa per venerare la Sindone e vedere i nostri volti, i fedeli, gli abitanti della città e della diocesi. Viene per incoraggiarci, ravvivare la nostra Chiesa e invitarla a perseverare lungo la tradizione dei nostri santi sociali. Al Murialdo e al Cottolengo ha dedicato la catechesi nell’udienza generale di mercoledì scorso».

Lei ha già vissuto l’esperienza di accogliere un Papa nella sua diocesi...

«Quando ero vescovo ad Asti, nel ‘93 Giovanni Paolo II venne in visita dal sabato pomeriggio alla domenica sera per la beatificazione di Giuseppe Marello. Fu una visita molto densa di appuntamenti. Questa volta la situazione è diversa, la realtà torinese di oggi non è paragonabile a quella astigiana di allora. È fatta di crisi economica, immigrazione, povertà. E il Papa non dimentica i problemi della gente, le tribolazioni. Ma sono certo che non dimenticherà neppure le realtà positive di questa città ricca di storia e di santità».

Lei ospiterà il Papa in Arcivescovado, nella sua casa. Anche questa è un’esperienza che ha già vissuto 17 anni fa. Come si sente?

«Nell’attesa allora mi ero sentito molto teso, ma dopo l’atterraggio dell’elicottero subentrò una calma profondissima. Adesso sono passati 17 anni e, se posso dire così, ho più esperienza. Poi, Benedetto XVI - che ho incontrato “in casa” più volte a Les Combes - è di una straordinaria affabilità e cordialità. Mette subito a proprio agio. Nel ‘93 i miei collaboratori fecero funzionare la macchina organizzativa alla perfezione e lo stesso capiterà questa volta».

Il Papa pranzerà in Arcivescovado. Come è stato scelto il menu?

«Il pranzo è offerto dall’Ascom . Tutti sono stati di una gentilezza commovente. Per il menu sono state fatte diverse proposte per offrire qualcosa di adeguato rispettando i tempi: il Santo Padre desidera restare a tavola non più di un’ora».

Per completare l’opera, i fioristi hanno offerto i centritavola di rose bianche e gialle.

«Sì, addobbano la tavola, gli ambienti dell’Arcivescovado e l’appartamento».

L’appartamento papale? Può descriverlo?

«È il più bello dell’Arcivescovado, quello per gli ospiti di riguardo. Ha un grande studio, una camera. Il Santo Padre sicuramente farà una piccola pausa dopo la messa e una dopo il pranzo».

Nessuna preoccupazione, allora?

«Ho visto che domenica ci saranno piogge sparse. Il dono che chiedo al Signore è che si spargano altrove, non qui».

© Copyright La Stampa, 1° maggio 2010


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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A TORINO (2 MAGGIO 2010) - I



INCONTRO CON LA CITTADINANZA IN PIAZZA SAN CARLO


Alle ore 8.15 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI parte in aereo dall’aeroporto di Ciampino (Roma) per la Visita Pastorale a Torino.

All’arrivo - previsto per le 9.15 - all’aeroporto di Torino-Caselle, il Papa è accolto dall’Arcivescovo di Torino, Cardinale Severino Poletto e dall’On. Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rappresentante del Governo Italiano, insieme alle altre Autorità politiche, civili ed ecclesiastiche.

Il Papa raggiunge in auto Piazza San Carlo a Torino, dove incontra la Cittadinanza e riceve il saluto del Sindaco di Torino, Dott. Sergio Chiamparino e dell’Arcivescovo Card. Severino Poletto.



CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN PIAZZA SAN CARLO

Al termine dell’incontro con la cittadinanza, il Santo Padre entra nella vicina Parrocchia di San Carlo Borromeo per rivestire i paramenti liturgici. All’ingresso della chiesa è accolto dal Parroco, P. Mario Azzario, dei Servi di Maria, e dai religiosi della Comunità.

Alle ore 10.45, in Piazza San Carlo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Santa Messa nel corso della quale pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di trovarmi con voi in questo giorno di festa e di celebrare per voi questa solenne Eucaristia. Saluto ciascuno dei presenti, in particolare il Pastore della vostra Arcidiocesi, il Cardinale Severino Poletto, che ringrazio per le calorose espressioni rivoltemi a nome di tutti. Saluto anche gli Arcivescovi e i Vescovi presenti, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i rappresentanti delle Associazioni e dei Movimenti ecclesiali. Rivolgo un deferente pensiero al Sindaco, Dottor Sergio Chiamparino, grato per il cortese indirizzo di saluto, al rappresentante del Governo ed alle Autorità civili e militari, con un particolare ringraziamento a quanti hanno generosamente offerto la loro collaborazione per la realizzazione di questa mia Visita pastorale. Estendo il mio pensiero a quanti non hanno potuto essere presenti, in modo speciale agli ammalati, alle persone sole e a quanti si trovano in difficoltà. Affido al Signore la città di Torino e tutti i suoi abitanti in questa celebrazione eucaristica, che, come ogni domenica, ci invita a partecipare in modo comunitario alla duplice mensa della Parola di verità e del Pane di vita eterna.

Siamo nel tempo pasquale, che è il tempo della glorificazione di Gesù. Il Vangelo che abbiamo ascoltato poc’anzi ci ricorda che questa glorificazione si è realizzata mediante la passione. Nel mistero pasquale passione e glorificazione sono strettamente legate fra loro, formano un’unità inscindibile. Gesù afferma: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui» (Gv 13,31) e lo fa quando Giuda esce dal Cenacolo per attuare il piano del suo tradimento, che condurrà alla morte del Maestro: proprio in quel momento inizia la glorificazione di Gesù. L’evangelista Giovanni lo fa comprendere chiaramente: non dice, infatti, che Gesù è stato glorificato solo dopo la sua passione, per mezzo della risurrezione, ma mostra che la sua glorificazione è iniziata proprio con la passione. In essa Gesù manifesta la sua gloria, che è gloria dell’amore, che dona tutto se stesso. Egli ha amato il Padre, compiendo la sua volontà fino in fondo, con una donazione perfetta; ha amato l’umanità dando la sua vita per noi. Così già nella sua passione viene glorificato, e Dio viene glorificato in lui. Ma la passione - come espressione realissima e profonda del suo amore - è soltanto un inizio. Per questo Gesù afferma che la sua glorificazione sarà anche futura (cfr v. 32). Poi il Signore, nel momento in cui annuncia la sua partenza da questo mondo (cfr v. 33), quasi come testamento ai suoi discepoli per continuare in modo nuovo la sua presenza in mezzo a loro, dà ad essi un comandamento: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri» (v. 34). Se ci amiamo gli uni gli altri, Gesù continua ad essere presente in mezzo a noi, ad essere glorificato nel mondo.

Gesù parla di un "comandamento nuovo". Ma qual è la sua novità? Già nell’Antico Testamento Dio aveva dato il comando dell’amore; ora, però, questo comandamento è diventato nuovo in quanto Gesù vi apporta un’aggiunta molto importante: «Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri». Ciò che è nuovo è proprio questo "amare come Gesù ha amato". Tutto il nostro amare è preceduto dal suo amore e si riferisce a questo amore, si inserisce in questo amore, si realizza proprio per questo amore. L’Antico Testamento non presentava nessun modello di amore, ma formulava soltanto il precetto di amare. Gesù invece ci ha dato se stesso come modello e come fonte di amore. Si tratta di un amore senza limiti, universale, in grado di trasformare anche tutte le circostanze negative e tutti gli ostacoli in occasioni per progredire nell’amore. E vediamo nei santi di questa Città la realizzazione di questo amore, sempre dalla fonte dell’amore di Gesù.

Nei secoli passati la Chiesa che è in Torino ha conosciuto una ricca tradizione di santità e di generoso servizio ai fratelli – come hanno ricordato il Cardinale Arcivescovo e il Signor Sindaco - grazie all’opera di zelanti sacerdoti, religiosi e religiose di vita attiva e contemplativa e di fedeli laici. Le parole di Gesù acquistano, allora, una risonanza particolare per questa Chiesa di Torino, una Chiesa generosa e attiva, a cominciare dai suoi preti. Dandoci il comandamento nuovo, Gesù ci chiede di vivere il suo stesso amore, dal suo stesso amore, che è il segno davvero credibile, eloquente ed efficace per annunciare al mondo la venuta del Regno di Dio. Ovviamente con le nostre sole forze siamo deboli e limitati. C’è sempre in noi una resistenza all’amore e nella nostra esistenza ci sono tante difficoltà che provocano divisioni, risentimenti e rancori. Ma il Signore ci ha promesso di essere presente nella nostra vita, rendendoci capaci di questo amore generoso e totale, che sa vincere tutti gli ostacoli, anche quelli che sono nei nostri stessi cuori. Se siamo uniti a Cristo, possiamo amare veramente in questo modo. Amare gli altri come Gesù ci ha amati è possibile solo con quella forza che ci viene comunicata nel rapporto con Lui, specialmente nell’Eucaristia, in cui si rende presente in modo reale il suo Sacrificio di amore che genera amore: è la vera novità nel mondo e la forza di una permanente glorificazione di Dio, che si glorifica nella continuità dell’amore di Gesù nel nostro amore.

Vorrei dire, allora, una parola d’incoraggiamento in particolare ai Sacerdoti e ai Diaconi di questa Chiesa, che si dedicano con generosità al lavoro pastorale, come pure ai Religiosi e alle Religiose. A volte, essere operai nella vigna del Signore può essere faticoso, gli impegni si moltiplicano, le richieste sono tante, i problemi non mancano: sappiate attingere quotidianamente dal rapporto di amore con Dio nella preghiera la forza per portare l’annuncio profetico di salvezza; ri-centrate la vostra esistenza sull’essenziale del Vangelo; coltivate una reale dimensione di comunione e di fraternità all’interno del presbiterio, delle vostre comunità, nei rapporti con il Popolo di Dio; testimoniate nel ministero la potenza dell’amore che viene dall’Alto, viene dal Signore presente in mezzo a noi.

La prima lettura che abbiamo ascoltato, ci presenta proprio un modo particolare di glorificazione di Gesù: l’apostolato e i suoi frutti. Paolo e Barnaba, al termine del loro primo viaggio apostolico, ritornano nelle città già visitate e rianimano i discepoli, esortandoli a restare saldi nella fede, perché, come essi dicono, «dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22). La vita cristiana, cari fratelli e sorelle, non è facile; so che anche a Torino non mancano difficoltà, problemi, preoccupazioni: penso, in particolare, a quanti vivono concretamente la loro esistenza in condizioni di precarietà, a causa della mancanza del lavoro, dell’incertezza per il futuro, della sofferenza fisica e morale; penso alle famiglie, ai giovani, alle persone anziane che spesso vivono in solitudine, agli emarginati, agli immigrati. Sì, la vita porta ad affrontare molte difficoltà, molti problemi, ma è proprio la certezza che ci viene dalla fede, la certezza che non siamo soli, che Dio ama ciascuno senza distinzione ed è vicino a ciascuno con il suo amore, che rende possibile affrontare, vivere e superare la fatica dei problemi quotidiani. E’ stato l’amore universale di Cristo risorto a spingere gli apostoli ad uscire da se stessi, a diffondere la parola di Dio, a spendersi senza riserve per gli altri, con coraggio, gioia e serenità. Il Risorto possiede una forza di amore che supera ogni limite, non si ferma davanti ad alcun ostacolo. E la Comunità cristiana, specialmente nelle realtà più impegnate pastoralmente, deve essere strumento concreto di questo amore di Dio.

Esorto le famiglie a vivere la dimensione cristiana dell’amore nelle semplici azioni quotidiane, nei rapporti familiari superando divisioni e incomprensioni, nel coltivare la fede che rende ancora più salda la comunione. Anche nel ricco e variegato mondo dell’Università e della cultura non manchi la testimonianza dell’amore di cui ci parla il Vangelo odierno, nella capacità dell’ascolto attento e del dialogo umile nella ricerca della Verità, certi che è la stessa Verità che ci viene incontro e ci afferra. Desidero anche incoraggiare lo sforzo, spesso difficile, di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica: la collaborazione per perseguire il bene comune e rendere la Città sempre più umana e vivibile è un segno che il pensiero cristiano sull’uomo non è mai contro la sua libertà, ma in favore di una maggiore pienezza che solo in una "civiltà dell’amore" trova la sua realizzazione. A tutti, in particolare ai giovani, voglio dire di non perdere mai la speranza, quella che viene dal Cristo Risorto, dalla vittoria di Dio sul peccato, sull’odio e sulla morte.

La seconda lettura odierna ci mostra proprio l’esito finale della Risurrezione di Gesù: è la Gerusalemme nuova, la città santa, che scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo (cfr Ap 21,2). Colui che è stato crocifisso, che ha condiviso la nostra sofferenza, come ci ricorda anche, in maniera eloquente, la sacra Sindone, è colui che è risorto e ci vuole riunire tutti nel suo amore. Si tratta di una speranza stupenda, "forte", solida, perché, come dice l’Apocalisse: «(Dio) asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (21,4). La sacra Sindone non comunica forse lo stesso messaggio? In essa vediamo, come specchiati, i nostri patimenti nelle sofferenze di Cristo: "Passio Christi. Passio hominis". Proprio per questo essa è un segno di speranza: Cristo ha affrontato la croce per mettere un argine al male; per farci intravedere, nella sua Pasqua, l’anticipo di quel momento in cui anche per noi, ogni lacrima sarà asciugata e non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno.

Il brano dell’Apocalisse termina con l’affermazione: «Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"» (21,5). La prima cosa assolutamente nuova realizzata da Dio è stata la risurrezione di Gesù, la sua glorificazione celeste. Essa è l’inizio di tutta una serie di "cose nuove", a cui partecipiamo anche noi. "Cose nuove" sono un mondo pieno di gioia, in cui non ci sono più sofferenze e sopraffazioni, non c’è più rancore e odio, ma soltanto l’amore che viene da Dio e che trasforma tutto.

Cara Chiesa che è in Torino, sono venuto in mezzo a voi per confermarvi nella fede. Desidero esortarvi, con forza e con affetto, a restare saldi in quella fede che avete ricevuto, che dà senso alla vita, che dà forza di amare; a non perdere mai la luce della speranza nel Cristo Risorto, che è capace di trasformare la realtà e rendere nuove tutte le cose; a vivere in città, nei quartieri, nelle comunità, nelle famiglie, in modo semplice e concreto l’amore di Dio: "Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri".

Amen.








VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A TORINO (2 MAGGIO 2010) - II


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI IN PIAZZA SAN CARLO


Al termine della Santa Messa celebrata in Piazza San Carlo a Torino, il Papa guida la recita del Regina Cæli. Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:

PRIMA DEL REGINA CÆLI

Mentre ci avviamo a concludere questa solenne celebrazione, ci rivolgiamo in preghiera a Maria Santissima, che a Torino è venerata quale principale Patrona col titolo di Beata Vergine Consolata. A Lei affido questa Città e tutti coloro che vi abitano. Veglia, o Maria, sulle famiglie e sul mondo del lavoro; veglia su quanti hanno smarrito la fede e la speranza; conforta i malati, i carcerati e tutti i sofferenti; sostieni, o Aiuto dei Cristiani, i giovani, gli anziani e le persone in difficoltà. Veglia, o Madre della Chiesa, sui Pastori e sull’intera Comunità dei credenti, perché siano "sale e luce" in mezzo alla società.

La Vergine Maria è colei che più di ogni altro ha contemplato Dio nel volto umano di Gesù. Lo ha visto appena nato, mentre, avvolto in fasce, era adagiato in una mangiatoia; lo ha visto appena morto, quando, deposto dalla croce, lo avvolsero in un lenzuolo e lo portarono al sepolcro. Dentro di lei si è impressa l’immagine del suo Figlio martoriato; ma questa immagine è stata poi trasfigurata dalla luce della Risurrezione. Così, nel cuore di Maria, è custodito il mistero del volto di Cristo, mistero di morte e di gloria. Da lei possiamo sempre imparare a guardare Gesù con sguardo d’amore e di fede, a riconoscere in quel volto umano il Volto di Dio.

Alla Madonna Santissima affido con gratitudine quanti hanno lavorato per questa mia Visita, e per l’Ostensione della Sindone. Prego per loro e perché questi eventi favoriscano un profondo rinnovamento spirituale.

Regina Cæli…


Conclusa la Celebrazione eucaristica, il Papa raggiunge l’Arcivescovado per il pranzo con i Vescovi del Piemonte e una sosta di riposo.

Alle ore 16.15, prima di lasciare l’Arcivescovado, il Santo Padre saluta gli organizzatori della Visita.






Benedetto XVI a Torino per la Sindone: amare come Gesù, senza limiti, per porre un argine al male. La fede non è mai contro la libertà


Una Torino in festa, sotto un cielo di nuvole, ha accolto il Papa, stamani, in visita nel capoluogo piemontese per l'Ostensione della Sindone. Oltre 50 mila fedeli hanno assistito, in Piazza San Carlo e attraverso i maxischermi in Via Roma e Piazza Castello, alla Messa presieduta da Benedetto XVI, che nell'omelia ha invitato ad amare come Gesù, senza limiti, per porre un argine al male e dare speranza a chi è nella sofferenza. Questo pomeriggio gli incontri con i giovani, sempre in Piazza San Carlo, e con i malati al Cottolengo. E c'è grande attesa per la meditazione del Papa davanti alla Sindone. In serata il rientro a Roma. Il servizio del nostro inviato, Massimiliano Menichetti:

(musica)

Fin dalle prime luci dell’alba la città di Torino ha cominciato a dispiegarsi lungo le transenne che tracciano il percorso al corteo Papale per le vie del centro. La speranza di tutti è vedere Benedetto XVI, stringersi a lui nella preghiera, ascoltare le sue parole. Cinque i momenti di questa visita pastorale: la Santa Messa in Piazza San Carlo, il pranzo con vescovi piemontesi in arcivescovado, l’incontro con i giovani, la meditazione davanti alla Sindone, la visita alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondata da San Giuseppe Cottolengo.

(applausi - coro ‘viva il Papa’)

L’affetto della città si è riflesso nelle tante bandiere gialle e bianche, i colori vaticani, negli applausi accompagnati dai cori di benvenuto che hanno accolto la papa-mobile al suo arrivo in Piazza San Carlo quindi il saluto del sindaco, Sergio Chiamparino:

Questa città oggi l’accoglie in un momento nel quale tutti, credenti e non, sono chiamati a riflettere sul senso profondo che l’immagine della Sindone rappresenta, testimonianza storica o mistero del dolore che riscatta.
Nel suo saluto, il cardinale arcivescovo di Torino Severino Poletto ha ricordato la vocazione alla carità della città esprimendo il sostegno dell’intera Chiesa piemontese al Papa:

E’ Gesù stesso che noi vediamo presente e visibile in Lei, suo Vicario, e che viene ad incontrarci. Ed è con questo spirito di fede e comunione che ci stringiamo intorno a Lei per esprimere il nostro affetto di figli, la nostra totale comunione di intenti e per contribuire con la nostra preghiera a chiedere al Signore forza e consolazione per il suo ministero che Lei svolge con grande autorevolezza di dottrina, offerta con la chiarezza di un vero Maestro della fede e con la delicatezza di un padre che ama la Chiesa e l’umanità intera.
Sulla stessa linea anche il sindaco, Sergio Chiamparino, che parlando anche del volto laico della città ha sottolineato come la Sindone conduca comunque tutti ad una riflessione attenta sulla sofferenza ed il bisogno dell’altro.

Il Papa ha ricambiato questo abbraccio e parlando al cuore dell’intera città è entrato nei problemi sociali, del lavoro, dell’integrazione, esortando alla testimonianza cristiana, alla preghiera e a confidare nell’amore salvifico di Cristo. Punto fondante della sua omelia in Piazza San Carlo la passione, morte e risurrezione del Signore presenti nell’attuale tempo pasquale, “che è il tempo - ha detto - della glorificazione di Gesù”.

Egli ha amato il Padre, compiendo la sua volontà fino in fondo, con una donazione perfetta; ha amato l’umanità dando la sua vita per noi. Così già nella sua passione viene glorificato, e Dio viene glorificato in lui. Ma la passione come espressione realissima e profonda del suo amore, è soltanto un inizio. Per questo Gesù afferma che la sua glorificazione sarà anche futura.
"Gesù ci ha dato se stesso come modello e fonte di amore", ha detto il Papa. Si tratta di un amore senza limiti, universale, in grado di trasformare anche tutte le circostanze negative e tutti gli ostacoli in occasioni per progredire nell’amore. E guardando alla ricca tradizione di santità che, nei secoli passati, la Chiesa torinese ha conosciuto, ha ricordato che “Gesù” chiede “di vivere il suo stesso amore” per vincere le “tante difficoltà che provocano divisioni, risentimenti e rancori”.

Se siamo uniti a Cristo, possiamo amare veramente in questo modo. Amare gli altri come Gesù ci ha amati è possibile solo con quella forza che ci viene comunicata nel rapporto con Lui, specialmente nell’Eucaristia, in cui si rende presente in modo reale il suo Sacrificio di amore che genera amore. E' la vera novità, nel mondo, e la forza di una permanente glorificazione di Dio che si glorifica nella continuità dell'amore di Gesù nel nostro amore.
“A volte”, anche per gli impegni che si moltiplicano, “essere operai nella vigna del Signore può essere faticoso”, ha detto il Papa rivolgendosi ai sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose. Ha indicato la preghiera quale forza dalla quale attingere per portare l’annuncio cristiano ed ha invitato a “ri-centrare l’esistenza sull’essenziale del Vangelo”, “coltivando una reale dimensione di comunione e di fraternità”. Poi guardando alle tante sfide che la città della Sindone vive, ha aggiunto:

Penso, in particolare, a quanti vivono concretamente la loro esistenza in condizioni di precarietà, a causa della mancanza del lavoro, dell’incertezza per il futuro, della sofferenza fisica e morale; penso alle famiglie, ai giovani, alle persone anziane che spesso vivono in solitudine, agli emarginati, agli immigrati. Sì, la vita porta ad affrontare molte difficoltà, molti problemi, ma è proprio la certezza che ci viene dalla fede, la certezza che non siamo soli, che Dio ama ciascuno senza distinzione ed è vicino a ciascuno con il suo amore, che rende possibile affrontare, vivere e superare la fatica dei problemi quotidiani.
Quindi ha ribadito la necessità della testimonianza cristiana, in ogni ambito: lavorativo, culturale, universitario e familiare, in cui ha esortato “a vivere la dimensione cristiana dell’amore nelle semplici azioni quotidiane, superando divisioni e incomprensioni”, coltivando “la fede che rende - ha detto - ancora più salda la comunione”. E parlando a chi è “chiamato ad amministrare la cosa pubblica”. ha aggiunto:

La collaborazione per perseguire il bene comune e rendere la Città sempre più umana e vivibile è un segno che il pensiero cristiano sull’uomo non è mai contro la sua libertà, ma in favore di una maggiore pienezza che solo in una “civiltà dell’amore” trova la sua realizzazione.
Rivolgendosi ai giovani che lo aspetteranno nel pomeriggio, sempre in Piazza San Carlo, ha detto di “non perdere mai la speranza”, quella” che viene da Cristo. “Colui che è stato crocifisso, che ha condiviso la nostra sofferenza, come ci ricorda anche in maniera eloquente la Sacra Sindone – ha precisato – è colui che è risorto e ci vuole riunire tutti nel suo amore”.

In essa vediamo, come specchiati, i nostri patimenti nelle sofferenze di Cristo: “Passio Christi. Passio hominis”. Proprio per questo essa è un segno di speranza: Cristo ha affrontato la croce per mettere un argine al male; per farci intravvedere, nella sua Pasqua, l’anticipo di quel momento in cui anche per noi ogni lacrima sarà asciugata e non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno.

(canto)
Infine, l’esortazione alla Chiesa torinese “a restare salda” nella fede e “a non perdere mai la luce della speranza nel Cristo Risorto, che è capace di trasformare la realtà e rendere nuove tutte le cose”. Poi, nella ricorrenza del mese mariano, prima della preghiera del Regina Coeli Benedetto XVI ha affidato alla Vergine tutti coloro che abitano nella città di Torino:

Veglia, o Maria, sulle famiglie e sul mondo del lavoro; veglia su quanti hanno smarrito la fede e la speranza; conforta i malati, i carcerati e tutti i sofferenti; sostieni, o Aiuto dei Cristiani, i giovani, gli anziani e le persone in difficoltà. Veglia, o Madre della Chiesa, sui Pastori e sull’intera Comunità dei credenti, perché siano “sale e luce” in mezzo alla società.






www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2010&videoclip=1367&sett...







Le testimonianze dei pellegrini che hanno venerato la Sacra Sindone


Centinaia di migliaia di pellegrini in questi giorni si stanno recando in visita alla Sindone - esposta nel Duomo di Torino fino al 23 maggio - per rendere omaggio al Sacro Lino che secondo la tradizione avvolse il corpo di Gesù crocifisso. Claudia Di Lorenzi ha raccolto le loro testimonianze:

D. – Perché vieni a vedere la Sindone?

R. – Perché vorrei sapere la verità; vorrei sapere com’è la Sindone di Gesù, se veramente rappresenta il volto di Gesù.

R. – E’ una cosa molto importante, perché c’era un santo che disse che è l’unica reliquia vera che esista al mondo di Dio: quindi, è emozionante!

R. – Essendo il segno di un uomo che ha sofferto un determinato tipo di tortura, perché quelle furono torture, uno riflette comunque anche sul fatto che Gesù Cristo soffrì le medesime sofferenze … Anche chi è scettico è obbligato a farsi qualche domanda. L’uomo viene qui davanti per interrogarsi, mette alla prova la propria razionalità a confronto con la fede e con i dubbi, anche, che la fede può sollevare nell’animo umano.

R. – L’emozione è forte! Comunque, sono venuta abbastanza preparata perché avevo visto anche programmi sulla Sindone … A volte non ci si crede che si sia conservato così bene dopo tanti anni … Il corpo si vede benissimo, è comunque un corpo che sembra aver raggiunto una pace interiore …

R. – Io sono rimasto impressionato perché molti hanno ipotizzato il fatto che potesse essere una pittura. Però, mi sembra proprio palese che sia più che una raffigurazione … Ho avuto proprio l’idea dell’irradiazione, una sorta – per chi ci crede – di risurrezione.

D. – Quale messaggio viene da questo lenzuolo, per lei?

R. – Che è giusto credere. A volte viene un po’ di dubbio: sarà veramente? E lì davanti, c’è la risposta, secondo me …

R. – Eccezionale! E’ la prima volta che la vedo. Veniamo dalla Sicilia …

R. – Sì, veniamo dalla Sicilia. Io non mi vorrei spostare da là davanti: trasmette molta serenità, tanta!

D. – Lei è un volontario…

R. – Sono uno dei responsabili del servizio d’ordine; siamo praticamente impegnati a tempo pieno. Il fatto di aver visto tanti pellegrini uscire estasiati dalla visione della Sindone e di esserlo stato anch’io mi dà la gioia di poter aiutare i pellegrini a provare ancora questa sensazione.

R. – Anche io sono un volontario. E’ sempre una sensazione che ti rimanda al mistero della Passione di Gesù Cristo. Cerco di portarmelo dietro, il messaggio … Ci sono tante cose brutte, tante sofferenze nel mondo e quando vediamo che comunque Gesù ha sofferto per noi, pensiamo anche che abbia un senso soffrire.

R. – Sono un volontario e sono contento di farlo. Un particolare che mi ha impressionato è il volto. Il volto è di una persona che ha sofferto ma esprime una certa tranquillità, una certa pace. Ho visto tantissima gente uscire con le lacrime agli occhi. Sono commosso ora, perché questo volto parla, in tanti modi … Bisogna soltanto stare attenti, guardare ed ascoltare …















L'incontro del Papa con i giovani in Piazza San Carlo


Il Papa questo pomeriggio alle 16.30 incontra i giovani in Piazza San Carlo. Sullo svolgimento dell’evento Massimiliano Menichetti ha intervistato don Maurizio De Angeli, responsabile della pastorale giovanile della diocesi, e alcuni giovani:

R. – La prima parte, che segnerà l’accoglienza dei giovani che arriveranno in Piazza San Carlo, provenienti anche dalle altre diocesi del Piemonte, sarà proprio un momento di accoglienza, di preparazione, di attesa, attraverso quello che per eccellenza è il linguaggio giovanile: quello della musica. Avremo tra noi, oltre al grande coro “Hope” di 270 giovani, alcuni artisti internazionali provenienti dagli Stati Uniti, dalla Guadalupa, dalla Gran Bretagna … Sarà quindi un momento musicale legato però anche ad interventi di testimonianza di fede, e anche di testi della Sacra Scrittura che verranno cantati: sarà perciò un momento non solo di preparazione, ma anche un grande momento di preghiera che preparerà l’incontro con il Santo Padre.

D. – Che cosa significa questa visita del Papa per i giovani di Torino e, più in generale, per i giovani del Piemonte?

R. – Penso che sia, ancora una volta, il segno grande di una Chiesa che pone l’attenzione sui giovani, una Chiesa che crede nei giovani ed una Chiesa, anche, che investe nei giovani.

D. – Abbiamo con noi alcuni giovani. Canterete per il Papa: un coro di 270 persone. Che cosa significa per te questo evento?

R. – E’ bello perché comunque l’idea di non essere da sola ma in tanti, tanti per cantare insieme, tanti per pregare insieme – perché il canto è anche preghiera – è tanta gioia, allegria, forza, speranza … bello! Soprattutto in questo periodo …

D. – Se potessi dire qualcosa al Papa, cosa gli diresti?

R. – Gli direi che gli siamo vicini, che noi giovani siamo vicini al Papa. Da lui mi aspetto soprattutto parole di speranza: speranza e fiducia.

D. – La città di Torino custodisce la Sindone. Che cos’è la Sindone per voi ragazzi che abitate a Torino?

R. – Per me è sempre stata una reliquia alla quale sono molto affezionata, perché veramente è rappresentativa di un uomo che ha sofferto. Per me, quell’uomo che ha sofferto è Gesù Cristo perché più di Lui nessuno ha sofferto per noi. Credo che però abbia un significato molto importante anche per quelle persone che non credono, quelle persone che si avvicinano un po’ per curiosità, un po’ per scetticismo … anche per loro la Sindone è rappresentativa di una persona che ha sofferto, e può essere sicuramente di conforto e di consolazione per le persone che soffrono …






L'incontro con i malati al Cottolengo


L’ultimo appuntamento del Papa a Torino è l’incontro, alle 18,30, con i malati nella Chiesa della Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondata da San Giuseppe Cottolengo. Su questa istituzione del Cottolengo, Massimiliano Menichetti ha sentito il superiore generale, don Aldo Sarotto:

R. – La novità del Cottolengo è legata a lui, in questa esperienza forte del Cristo che lui ha fatto, il Cristo che lui ha visto nei poveri e nei sofferenti: questa è la novità che anche noi dobbiamo ricercare, altrimenti saremmo come una delle tante altre istituzioni che si limitano a fare assistenza. Il Cottolengo a noi ha insegnato altro!

D. – E che cosa dà, oggi, alla città?

R. – E’ un seme ed è un segno.

D. – Una testimonianza?

R. – Sì, certamente. La testimonianza consiste nel dare dignità alla persona, e dare dignità alla persona soprattutto quando viene meno, questa dignità. Lui, ai suoi tempi, ha dato dignità a persone che, probabilmente, non sapevano neanche di averne: gli handicappati, ad esempio, venivano regolarmente nascosti … Quindi, dare dignità ha significato non solamente dare una casa, un vitto ma dare una famiglia. E’ significativo che lui abbia voluto dare una famiglia ed abbia ricercato chi potesse essere il padre, chi potesse essere la madre per cui queste persone si sentissero figli con una propria dignità. Questo è significativo anche oggi quando questo non dovrebbe più succedere, ma senza che ce ne accorgiamo, questo continua a succedere.

D. – Don Aldo, il Papa verrà a farvi visita. Qual è l’attesa?

R. – Il Cottolengo è sempre stato l’emblema della presenza di un’umanità che soffre. La Sindone la si può vedere ed è molto significativa; la Sindone vivente è in quei malati che maggiormente soffrono e soffrono accettando la Croce, perché quello che colpisce in questi malati è la serenità con la quale affrontano la Croce. Non sempre si può essere così sereni; molte volte, a noi basta poco per abbatterci. Invece, noi abbiamo esempi di persone che da tanti anni sono nella nostra casa e che sono maestre nell’insegnarci come si porti la Croce. Mi aspetto che il Papa, attraverso la sua parola, dia ulteriore forza su questo cammino che non è facile, perché la Croce sempre pesa!

D. – In questa città ci sono carismi forti: penso a don Bosco, Cottolengo, Leonardo Murialdo … figure rilevanti all’interno del panorama della Chiesa, concrete … Dall’altra parte, c’è una Torino fortemente laica. Come si compongono queste diversità?

R. – Intanto, Torino è stata fortunata per avere dei santi sociali; ma bisogna essere attenti: prima sono ‘santi’, poi sono ‘sociali’. Nella nostra società siamo portati a dimenticare la prima espressione e quindi ricordiamo soprattutto il ‘sociale’. Le due cose vanno di comune accordo: per noi è molto significativo come il Cottolengo, aprendo questa sua esperienza che diventa concreta, ad un certo punto la completa attraverso la creazione dei monasteri di clausura, quasi a voler dire che serve l’una e l’altra cosa. La contemplazione non è fuori dall’azione. E quindi, questi due elementi fanno sì che la Piccola Casa sia della Divina Provvidenza e non semplicemente una casa in cui si presti un’assistenza. La nostra società, che è portata a dimenticare Dio perché pensa di poter fare a meno di Dio, è una società del benessere, ma in realtà fa fatica ad accorgersi di quello che le manca o di quello che sta perdendo. E allora, la speranza di un Papa che ha il coraggio della fede e soprattutto è maestro di fede, oltre che testimone di fede, è un’aspettativa grande perché la strada la traccia prima lui!











La Piccola Casa della Divina Provvidenza
Parla don Carmine Arice, direttore dell’ufficio pastorale per le comunicazioni

di Chiara Santomiero


TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Quando Benedetto XVI arriverà qui alla Piccola Casa, dopo aver venerato la Sindone nel duomo di Torino, passerà sotto un arco che reca la scritta “Divina Provvidenza” per ricordare anche nella pietra quella che fu sempre la fonte ispiratrice del santo Giuseppe Cottolengo, la cui statua è posta al di sotto dell’arco con il suo motto personale “Caritas Christi urget nos”.

“Il Papa – spiega don Carmine Arice, direttore dell’ufficio pastorale per le comunicazioni della Piccola Casa della Divina Provvidenza - entrerà nella chiesa dall’ingresso di via S. Pietro in vincoli e si fermerà a venerare le spoglie di S. Giuseppe Cottolengo. Quindi proseguirà lungo la navata centrale dove lo aspetteranno, a destra e a sinistra, i nostri ospiti e verrà nel presbiterio dove sarà accolto dai sacerdoti e dal Padre Aldo Sarotto, superiore generale dei cottolenghini. Qui rivolgerà il suo discorso alla Piccola Casa al termine del quale saluterà dieci ammalati in rappresentanza di tutti gli altri e poi uscirà, riattraversando la navata centrale”.

Intorno alla chiesa dedicata a s. Vincenzo de’ Paoli e s. Antonio abate si stendono i 112 mila metri quadrati della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Una vera e propria città che accoglie in modo stabile circa 2 mila persone - tra ospiti e personale religioso -, e che arriva a distribuire “circa 3 mila pranzi ogni giorno di cui 500 per gli assistiti, 208 per i ricoverati in ospedale, quasi 400 alla mensa degli senza fissa dimora, almeno 600 alle suore tra le quali quelle anziane o a riposo…”. Davanti alla grande cucina generale, sono pronti dei furgoncini ape che a mezzogiorno caricano e distribuiscono il cibo in tutti i padiglioni.

“Accogliere in maniera stabile – aggiunge Arice - circa cinquecento deboli mentali, anziani, malati di Alzhemeir, terminali, richiede una struttura notevole”. Attenzione però a non chiamare la Piccola Casa struttura sanitaria, di ricovero o Casa di riposo.

“L’ha chiamata ‘Casa’”

“San Giuseppe Cottolengo – spiega Arice – non aveva in mente un istituto, un ricovero: l’ha chiamata Casa, per tutti quelli che erano rifiutati dagli altri ospedali o vivevano in stato di abbandono”.

“Il campo semantico usato – aggiunge - è sempre quello delle relazioni familiari: padre, madre, figlio, sorella dei poveri. Anche i reparti sono chiamati famiglie”.

La Piccola Casa si estende nel quartiere torinese di Valdocco che evidentemente attira santità e le grandi opere perché accanto c’è la Casa madre dei salesiani di don Bosco. “I due santi – afferma Arice – certamente si sono conosciuti perché don Bosco è diventato prete nel 1841 e Cottolengo è morto nel 1842”. Una leggenda racconta anche di un consiglio dato dal Cottolengo al giovane don Bosco: “questa talare è troppo sottile e vi si attaccheranno molti ragazzi: prendetene una più robusta”.

Il Cottolengo arriva qui il 27 aprile 1832. Il primo nucleo di accoglienza aperto nel centro della città (il Deposito della Porta rossa), è stato chiuso dalle autorità per timore del diffondersi di epidemie e lui si sposta in periferia, “portando – ricorda una targa – “su un somarello e un carrettino i primi due ospiti della Piccola Casa della Divina Provvidenza”.

“Inizia un’opera – racconta Arice - che si allarga in cerchi concentrici; ogni volta che incontrava una domanda si provvedeva a una risposta: invalidi, deboli mentali, orfani, scuole, ospedali per acuti, ospedale per cronici”.

All’inizio c’erano dei laici di buona volontà ad aiutare il Cottolengo, poi “mano a mano che la realtà si è espansa, alcuni chiamati alla vita consacrata hanno dato più stabilità al servizio, dapprima suore, e fratelli e poi sacerdoti”.

Il Cottolengo “ha fondato sedici famiglie religiose, maschili e femminili, di cui sei di vita contemplativa e dieci di vita apostolica, ciascuna per la risposta a un diverso bisogno”.

“Costringere la Provvidenza ad intervenire”

Tutto questo “nell’arco di dieci anni, dal 1832 al 1842; a 56 anni muore in un’epidemia di tifo petecchiale che si diffonde a Torino”. Questa grande attività viene realizzata, afferma Arice, seguendo “una sequenza interessante. Di solito, all’emergere di un bisogno si cercano delle risorse per farvi fronte e poi si risponde. Invece, nel caso del Cottolengo, la sequenza era: domanda-risposta-intervento della Provvidenza”. Il santo affermava, infatti, che bisognava “costringere in qualche modo la divina Provvidenza ad intervenire”.

La spiritualità della Piccola Casa è fondata su tre elementi: “la fede in Dio Padre provvidente; la carità di Cristo come motore dell’esperienza verso i poveri nei quali si riconosce il Suo volto e lo stile di comunione”. I religiosi, infatti “fanno famiglia con le persone accolte. Una parte della Casa dove ci sono gli ospiti è per la comunità religiosa; mangiamo sotto lo stesso tetto lo stesso pane e condividiamo la vita”.

I buoni figli

Tra gli ospiti preferiti del santo Cottolengo ci sono “i buoni figli, così lui chiamava i deboli mentali. Con questa definizione intendiamo una persona con un handicap mentale, un po’ come un invalido fisico a cui manca un braccio. Ai suoi tempi, i deboli mentali erano considerati persone ‘un po' meno persone’. Ma non sono malati e da noi compiono un percorso di normalizzazione e socializzazione. Vivono in Casa e ogni mattino hanno un’attività organizzata: piscina, terapia, catechesi, laboratorio”.

La grande intuizione del Cottolengo è stata “dare un lavoro a tutti gli ospiti così che ognuno collabora alle necessità della vita quotidiana. Lui diceva che ‘anche i piccoli hanno diritto alla loro piccola dignità’ e il lavoro dà dignità”. “Adesso non capita quasi più – racconta Arice -, ma qui vivono persone con alle spalle sessant’anni di Cottolengo, lasciate dietro la porta dai familiari oppure portate con l’inganno, la promessa di una gita a Torino e poi abbandonate”.

Il primo lavoro è la preghiera

Santi innocenti, S. Giovanni Battista, Angeli custodi, S. Elisabetta: ogni famiglia di ospiti o di religiosi cottolenghini abita in un padiglione che la tradizione della Piccola Casa affida esclusivamente alla protezione dei santi dichiarati tali ufficialmente. Con un’eccezione: “il padiglione Pier Giorgio Frassati – sorride Arice che è un ‘tifoso’ del giovane beato torinese -. Quando la sua famiglia, nel 1933, finanziò la costruzione di un padiglione in sua memoria, le perplessità dei responsabili del Cottolengo furono superate dal card. Gamba, allora arcivescovo di Torino, che affermò ‘se non è santo adesso, lo sarà’. Aveva guardato lontano”.

All’interno della “città” ci sono anche le scuole pubbliche elementari e medie per 210 allievi, un ospedale convenzionato con la Regione Piemonte, una farmacia, un corso di laurea in scienze infermieristiche, un corso di specializzazione in scienze infermieristiche e ginecologia, un master in coordinamento infermieristico, un seminario, case di formazione per i religiosi e le religiose, un dormitorio, una mensa e altri servizi per persone senza fissa dimora cui si collegano due comunità alloggio per minori e donne in difficoltà a Torino e tre comunità terapeutiche per tossicodipendenti nella provincia.

A questo si aggiungono le 80 succursali della Piccola Casa in Svizzera, Stati Uniti, Kenya, India, Ecuador e Tanzania. La famiglia del Cottolengo conta anche sei monasteri di clausura tra l’Italia e l’estero “perché, come ricordava il santo, il primo e fondamentale compito nella Piccola Casa è quello di pregare e di questo si è nutrita la sua fede nella Provvidenza”.










Cottolengo, un santo alla ricerca della volontà di Dio
Intervista a padre Aldo Sarotto, superiore generale dei Cottolenghini

di Chiara Santomiero


TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Questa domenica Benedetto XVI venererà le spoglie di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore nel 1832 dell'opera da lui stesso denominata "Piccola Casa della Divina Provvidenza".

Sebbene considerato soprattutto un santo sociale, spiega in questa intervista a ZENIT padre Aldo Sarotto, superiore generale dei Cottolenghini, tuttavia l'aspetto dominante in Giuseppe Benedetto Cottolengo era il suo interrogare e mettersi in ascolto della volontà di Dio.

Qual è il significato di un'opera come il Cottolengo?

Padre Sarotto: Il Cottolengo è sempre stato un punto di riferimento per la città di Torino e per la Chiesa. E' significativo come questo santo che ha fatto di tutto per nascondersi agli occhi degli uomini sia riuscito a colpire tante persone che sono venute qui, dall'Italia e dall'estero, per cogliere quella spinta iniziale che ha dato vita alla Piccola Casa della Divina Provvidenza così che sono nate molte altre istituzioni religiose, di varia natura, soprattutto in America latina.

Va sottolineato, però, che l'aspetto più importante di quest'opera non è la risposta alla povertà o all'esclusione sociale. Ciò che bisogna rimarcare in san Giuseppe Cottolengo è la sua determinazione nel ricercare ciò che voleva Dio da lui; senza accontentarsi semplicemente di essere un bravo e stimato sacerdote. E' l'evento di fede che colpisce nella sua vita, perché la povertà c'era ieri, c'è oggi e ci sarà domani, ma il suo ricercare la volontà di Dio gli ha fatto scoprire un modo nuovo di mettere al centro la persona, qualsiasi essa sia. Ciò che ha fatto al suoi tempi per diverse categorie di malati, infatti, è stato mettere al centro persone che non erano considerate tali.

Molte volte si coglie il Cottolengo come un grande santo sociale che ha dato origine a benemerite opere di carità: in lui c'è senz'altro la carità, ma è quella di Cristo che lo provoca ad agire. I due momenti non vanno confusi. Dopo aver focalizzato meglio la volontà di Dio, in lui non ci sono stati confini: tutte le sfaccettature della povertà sono state prese in considerazione, con l'attenzione a dare alle persone una casa, un futuro, una realizzazione propria.

Cosa significa il rispetto per i poveri?

Padre Sarotto: Il rispetto è mettere il povero al centro, far sentire la sua dignità di persona. Non solo fare, ma fare con intelligenza e sapienza, rendendo il povero protagonista. Le tentazioni sono sempre molto sottili anche nell'oggi: facciamo "qualcosa". Il Cottolengo ha creato un'istituzione con un concetto chiaro di famiglia, con figure femminili e maschili. Alcune persone, all'epoca, non avevano il diritto nemmeno di vivere nella propria famiglia perché considerati una vergogna. Lui ha ridato loro dignità e rispetto di sé.

Come si vive oggi l'equilibrio tra l'agire in prima persona e l'abbandono alla Divina Provvidenza?

Padre Sarotto: L'abbandono del Cottolengo alla Divina Provvidenza è straordinario, tanto che non c'è mai il minimo accenno a "io ho fatto questo o quello" . Non si trattava solo di un modo di dire o di schernirsi - sotto questo aspetto riesce a confondere anche noi che siamo i suoi figli -; la sua era una sapienza interiore molto profonda. Lui era solito dire che se Dio dà tanto a chi confida ordinariamente in lui, a chi straordinariamente confida provvederà in maniera straordinaria. L'equilibrio del suo agire lo trovava in Dio; per noi è più difficile, ma seguiamo questa indicazione. Si tratta di un equilibrio dinamico, da ricercare volta per volta.

C'è stato un cambiamento dei bisogni che interrogano il Cottolengo?

Padre Sarotto: Le realtà mutano con il trascorrere degli anni e cambiano i bisogni. Al termine della guerra il Cottolengo ha aperto le porte a persone colpite fisicamente, e non solo, dal conflitto. La famiglia degli invalidi era grande e l'attenzione era soprattutto per i giovani, per trovare il modo di farli crescere e dare loro un futuro. Per questo sono stati impiantati laboratori di sartoria e radiotecnica e molti sono usciti di qui con un mestiere e hanno dato vita a una famiglia. Durante la contestazione ciò ha provocato forti polemiche perché si vedeva il Cottolengo come un'istituzione chiusa. Adesso questa fase è terminata ed anche l'accoglienza dei disabili mentali ci viene chiesta sempre meno.

L'emergenza è costituita, invece, dagli anziani, compresi i disabili. Se si è innalzata l'età media, spesso l'invecchiamento è segnato da cattiva salute, incapacità di autogestione, malattie geriatriche. In famiglie sempre più spesso costituite da genitori con figli unici o da single, gli anziani diventano un problema. Quello che sempre di più ci viene chiesto è un'accoglienza capace di dare una risposta globale alla persona la quale chiede di essere inserita in una relazione e non soltanto di ricevere assistenza medica. Al Cottolengo è una casa che li accoglie, sono le relazioni che diventano "sananti", pure per un malato terminale.

Riceviamo lettere di persone che chiedono di poter venire a morire qui "degnamente, cristianamente" e anche richieste da parte dei familiari in questo senso. E' una comunità sanante che si fa carico della persona, pur con tutti i limiti che ci possono essere. Un'altra categoria di persone che chiede accoglienza e assistenza è quella di chi diventa gravemente disabile a causa dei sempre più numerosi incidenti stradali che coinvolgono soprattutto i giovani. Anche in questo seguiamo la strada tracciata dal santo Cottolengo: non cercare risposte da dare, ma accogliere la domanda.

Cosa rappresenta la visita del Papa?

Padre Sarotto: C'è una sensibilità particolare di Benedetto XVI verso il Cottolengo che ha nominato già nella sua prima enciclica, sebbene non sia mai venuto prima a visitare la Piccola casa. E' venuto, prima di lui, Giovanni Paolo II e ci ha rivolto un discorso che rimane un punto di riferimento per noi e anche per altri.

La visita al Cottolengo mi sembra renda evidente la volontà del Papa di incontrare il volto di Cristo insieme al volto dell'uomo.

Se il tema dell'Ostensione è Passio Christi, Passio hominis, così come la Sindone consente di venerare il volto di Cristo sofferente, allo stesso modo la Piccola casa è il luogo dove venerare oggi il volto della sofferenza umana, della passione dell'uomo.

Cosa significherà questa visita per gli ospiti e quanti vivono e collaborano con il Cottolengo?

Padre Sarotto: E' molto importante per tutti perché la visita del Papa è sempre una grande gioia e le sue parole significative per il nostro cammino. Soprattutto sarà importante per i laici che affiancano i religiosi cottolenghini perché stiamo affrontando la sfida del futuro immettendo sempre più laici e investendo sulla loro formazione: la visita del Papa è un'opportunità per mettere meglio a fuoco il carisma del Cottolengo e il modo con il quale si deve portarlo avanti. Benedetto XVI ci aiuterà a non perdere di vista il filo conduttore del nostro agire.

02/05/2010 18:47
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Papa/ Piazza San Carlo gremita dalle 8 in attesa del Santo Padre

Alle 10 la Messa e alle 12 il Regina Coeli

Torino, 2 mag. (Apcom)

In attesa dell'arrivo del Santo Padre la folla ha riempito piazza San Carlo e le vie del centro cittadino. Già dalle otto di questa mattina è iniziata la lunga processione di fedeli e pellegrini per arrivare al "salotto di Torino". Rigorosamente a piedi, perchè tutte le vie limitrofe alla piazza sono bloccate da transenne per motivi di sicurezza. Sono duemila gli uomini delle forze dell'ordine al lavoro per questa giornata. Gli accessi a piazza San Carlo limitati e rigorosamente controllati.
Già da un'ora la folla ha riempito la piazza, dove alla 10 il Pontefice celebrerà la Messa e alle 12 pronuncerà il Regina Coeli. Sono attesi 30 vescovi di cui otto cardinali, 600 autorità, 700 sacerdoti e diaconi con le tonache bianche, 250 cantori diretti dal maestro Alessandro Ruo Rui. Sull'altare, dove spicca la cattedra papale realizzata in legno e velluto porpora dai maestri artigiani del Friuli, ci saranno i giovani studenti del seminario maggiore pronti a ricoprire il ruolo di ministranti.
Il resto dello spazio, diviso in quattro quadrati recintati, è riservato alle parrocchie. Sono venticinquemila i biglietti distribuiti ai fedeli, anche se la piazza potrebbe ospitare il doppio delle persone. Ma per ragioni di sicurezza l'accesso è stato ridotto al minimo.
Nelle prime posizioni, a sinistra del palco, sono ospitati i fedeli ammalati. Quattromila volontari della Sindone in gilet viola aiutano le persone che stanno arrivando a sistemarsi negli ultimi posti disponibili.

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Sindone/ Papa arrivato a Torino, inizia la visita alla città

Sull'aereo Gianni Letta. Pontefice accolto da Cota, Chiamparino

Il Papa è arrivato all'aeroporto di Torino-Caselle. Inizia la visita pastorale alla città piemontese durante la quale Benedetto XVI venererà la Sindone conservata al duomo. Ratzinger è stato accolto dal neo-presidente della Regione Piemonte, il leghista Roberto Cota: è il primo incontro tra i due, da quando il leghista è stato eletto governatore. Ad accogliere il Pontefice anche il presidente della Provincia Antonio Saitta e il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Da parte ecclesiale, il Papa è stato accolto dal cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino, dal nunzio monsignor Giuseppe Bertello, dal vescovo ausiliare, monsignor Guido Fiorino. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ha viaggiato sullo stesso aereo del Papa, un Airbus A319, decollato dall'aeroporto militare di Ciampino alle 8:35. Non è la prima volta che Letta fa compagnia al Papa sullo stesso velivolo. Torino è già in festa per la visita del Pontefice. Era dal 1998 che un Papa non faceva visita alla città piemontese.

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Sindone/ Il Papa a Torino benedice nuova chiesa del Sermig

E' intitolata a ragazza 17enne morta in incidente stradale

Prima della solenne celebrazione in piazza San Carlo, a Torino, dove è giunto da poco, il Papa ha benedetto la prima pietra della nuova chiesa del Sermig (Sermizio missionario giovanile, fondato da Ernesto Olivero) che viene costruita all'interno dell'Arsenale della Pace, nella periferia di Torino. La nuova chiesa è intitolata a Maria Madre dei giovani e viene costruita in memoria di Cecilia Gilardi, ragazza di 17 anni di Torino, morta l'anno scorso in un incidente stradale. Alla benedizione, avvenuta all'interno della chiesa di San Carlo, erano presenti il fondatore del Sermig, Ernesto Olivero, e i genitori della ragazza.

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PAPA:25MILA FEDELI LO ACCOLGONO IN PIAZZA SAN CARLO A TORINO

Oltre 25 mila fedeli hanno accolto con applausi e manifestazioni di affetto Benedetto XVI in piazza San Carlo a Torino.
E due ali ininterrotte di folla hanno assistito al passaggio della Papamobile nel centro della citta', proveniente dall'aeroporto di Torino-Caselle, dove il Pontefice e' stato accolto dall'arcivescovo di Torino, card. Severino Poletto e Gianni Letta. .

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Il Papa accolto da 25mila fedeli in piazza a Torino

Pellegrino della Sindone fra due ali di folla

Il Papa è arrivato a piazza San Carlo, a Torino, per il primo grande appuntamento pubblico con la città: la solenne celebrazione e la recita del Regina Caeli. A bordo della papamobile, Ratzinger ha attraversato tra due ali di folla la piazza, accolto dai calorosi applausi dei fedeli, oltre 25mila fedeli. Durante il percorso il Papa ha anche preso in braccio e baciato una bimba di pochi mesi, infagottata dentro una coperta bianca. Alla messa partecipano anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il neo-presidente della Regione, il leghista Roberto Cota e il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Gianni Letta, ha viaggiato sullo stesso aereo del Papa, un Airbus A319, decollato dall'aeroporto militare di Ciampino alle 8:35. Era dal 1998 che un Papa non faceva visita alla città piemontese. Già dalle otto di questa mattina è iniziata la lunga processione di fedeli e pellegrini per arrivare al "salotto di Torino". Rigorosamente a piedi, perchè tutte le vie limitrofe alla piazza sono bloccate da transenne per motivi di sicurezza. Sono duemila gli uomini delle forze dell'ordine al lavoro per questa giornata. Alla Messa partecipano 30 vescovi di cui otto cardinali, 600 autorità, 700 sacerdoti e diaconi con le tonache bianche, 250 cantori diretti dal maestro Alessandro Ruo Rui. Sull'altare, dove spicca la cattedra papale realizzata in legno e velluto porpora dai maestri artigiani del Friuli, ci sono i giovani studenti del seminario maggiore pronti a ricoprire il ruolo di ministranti. Nelle prime posizioni, a sinistra del palco, sono ospitati i fedeli ammalati. Quattromila volontari della Sindone in gilet viola hanno aiutano la folla a distribuirsi.

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Sindone/ Oltre 50mila fedeli per la messa del Papa a Torino

In piazza San Carlo 25mila pellegrini,il resto nelle zone vicine

Torino, 2 mag. (Apcom)

Oltre 50mila, secondo gli organizzatori, hanno assistito alla messa in piazza San Carlo, a Torino, presieduta da Papa Benedetto XVI.
La piazza conteneva circa 25mila fedeli, mentre altrettanti pellegrini si sono riversati nelle vie limitrofe e soprattutto in piazza Castello, dove sono allestiti maxischermi per poter seguire gli appuntamenti della giornata del pontefice.

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Papa: sindone testimonia anche le nostre sofferenze

(AGI) - Torino, 2 mag.

(di Salvatore Izzo)

La fragilita' delle famiglie, caustata dalla secolarizzazione, e la precarieta' del lavoro legata alla attuale crisi economica sono i problemi piu' preoccupanti della societa' di oggi.
"La vita cristiana - dice il Papa nella grande messa celebrata a piazza San Carlo per 25 mila fedeli - non è facile; so che anche a Torino non mancano difficoltà, problemi, preoccupazioni: penso, in particolare, a quanti vivono concretamente la loro esistenza in condizioni di precarietà, a causa della mancanza del lavoro,dell’incertezza per il futuro, della sofferenza fisica e morale; penso alle famiglie, ai giovani, alle persone anziane che spesso vivono la solitudine, agli emarginati, agli immigrati".
"Esorto le famiglie - scandisce - a vivere la dimensione cristiana dell'amore nelle semplici azioni quotidiane, nei rapporti familiari superando divisioni e incomprensioni, nel coltivare la fede che rende ancora piu' salda la comunione".
In visita al capoluogo del Piemonte in occasione dell'Ostensione della Sindone ("pellegrino con altri due milioni di fedeli", come ha ricordato nel suo discorso di saluto il card. Severino Poletto) il Pontefice preferisce non usare la parola "reliquia" non entrando cosi' nella disputa sulla datazione del lenzuolo donato dai Savoia (Vittorio Emanuele e Marina Doria sono presenti in prima fila con il sottosegretario Letta, il sindaco Chiamparino, il governatore Roberto Cota e il procuratore generale Caselli).
"La Sacra Sindone - spiega - ci ricorda in maniera eloquente che Colui che e' stato crocifisso e ha condiviso la nostra sofferenza, e' colui che e' risorto e ci vuole riunire tutti nel suo amore. In essa vediamo, come specchiati, i nostri patimenti nelle sofferenze di Cristo. E' un segno di speranza: Cristo ha affrontato la croce per mettere un argine al male; per farci intravvedere, nella sua Pasqua, l'anticipo di quel momento in cui anche per noi, ogni lacrima sara' asciugata e non ci sara' piu' la morte".
Per Benedetto XVI, dunque, se "la vita porta ad affrontare molte difficoltà, molti problemi, è proprio la certezza che ci viene dalla fede, la certezza che non siamo soli, che Dio ama ciascuno senza distinzione ed è vicino a ciascuno con il suo amore, che rende possibile affrontare, vivere e superare la fatica dei problemi quotidiani".
La Chiesa intende, spiega, "incoraggiare lo sforzo, spesso difficile, di chi e' chiamato ad amministrare la cosa pubblica: la collaborazione per perseguire il bene comune e rendere la Citta' sempre piu' umana e vivibile e' un segno che il pensiero cristiano sull'uomo non e' mai contro la sua liberta', ma in favore di una maggiore pienezza che solo in una 'civilta' dell'amore' trova la sua realizzazione". Lo afferma il Papa nell'omelia pronunciata in piazza San Carlo. "Affido al Signore - assicura - la citta' di Torino e tutti i suoi abitanti in questa celebrazione eucaristica, che, come ogni domenica, ci invita a partecipare in modo comunitario alla duplice mensa della Parola di verita' e del Pane di vita eterna".
Nel mondo di oggi, sottolinea ancora il Pontefice, serve "una Chiesa generosa e attiva, a cominciare dai suoi preti". "A volte - ammette rivolto ai sacerdoti presenti - essere operai nella vigna del Signore puo' essere faticoso, gli impegni si moltiplicano, le richieste sono tante, i problemi non mancano". "Gesu' - ricorda il Papa - ci chiede di vivere il suo stesso amore, che e' il segno davvero credibile, eloquente ed efficace per annunciare al mondo la venuta del Regno di Dio. Ovviamente con le nostre sole forze siamo deboli e limitati. C'e' sempre in noi una resistenza all'amore e nella nostra esistenza ci sono tante difficolta' che provocano divisioni, risentimenti e rancori. Ma il Signore ci ha promesso di essere presente nella nostra vita, rendendoci capaci di questo amore generoso e totale, che sa vincere tutti gli ostacoli. Se siamo uniti a Cristo, possiamo amare veramente in questo modo".
Per il Pontefice teologo, "amare gli altri come Gesu' ci ha amati e' possibile solo con quella forza che ci viene comunicata nel rapporto con Lui, specialmente nell'Eucaristia, in cui si rende presente in modo reale il suo Sacrificio di amore che genera amore". "Vorrei dire - conclude - una parola d'incoraggiamento in particolare ai sacerdoti e ai diaconi di questa Chiesa, che si dedicano con generosita' al lavoro pastorale, come pure ai religiosi e alle religiose. Sappiate attingere quotidianamente dal rapporto di amore con Dio nella preghiera la forza per portare l'annuncio profetico di salvezza; ri-centrate la vostra esistenza sull'essenziale del Vangelo; coltivate una reale dimensione di comunione e di fraternita' all'interno del presbiterio, delle vostre comunita', nei rapporti con il Popolo di Dio; testimoniate nel ministero la potenza dell'amore che viene dall'Alto".

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Papa a Torino: vicino a disoccupati e immigrati

Grande accoglienza per Benedetto XVI, in migliaia in piazza per la messa

ROMA- Papa Benedetto XVI è a Torino per l'Ostensione della Sindone, il lenzuolo che, secondo la tradizione, avvolse il corpo di Gesù nel Sepolcro di Gerusalemme.
La vicinanza ai disoccupati, ai precari, alle famiglie in difficoltà, agli emarginati e agli immigrati è stata espressa da Papa Benedetto XVI durante la messa in piazza San Carlo a Torino. "Qui - ha detto il pontefice nell'omelia - non mancano problemi e sofferenze, ma - ha osservato - la stessa sacra reliquia della Sindone invita i credenti alla speranza".
Troppi "rancori, divisioni, risentimenti" contraddistinguono la nostra esistenza, ha detto papa Benedetto XVI, durante la messa. Il pontefice ha preso spunto dal messaggio di Cristo "come io ho amato voi, così amatevi gli uni con gli altri". Un comandamento che deve essere seguito , anche se "ovviamente con le nostre forze siamo deboli e limitati". "C'é sempre in noi - ha spiegato - una resistenza all'amore e nella nostra esistenza ci sono tante difficoltà che provocano divisioni, risentimenti e rancori".
Il Papa esorta quindi i politici a perseguire sempre il "bene comune", anche quando può apparire difficile. "Desidero - ha detto - incoraggiare lo sforzo, spesso difficile, di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica". "La collaborazione - ha aggiunto - per rendere la città sempre più umana e vivibile è un segno che il pensiero cristiano sull'uomo non è mai contro la libertà, ma in favore di una maggiore pienezza che solo nella 'civilta' dell'amoré trova la sua realizzazione".
Erano dodici anni, dall'Ostensione della Sindone avvenuta nel 1998, che un Papa non si recava nel capoluogo piemontese. Il rientro di Benedetto XVI è previsto questa sera a Ciampino.

CHIAMPARINO: TORINO CITTA' DI SANTI SOCIALI E ACCOGLIENZA

"Benvenuto a Torino, Santità. Benvenuto". Con queste parole il sindaco di Torino Sergio Chiamparino ha iniziato il suo discorso di saluto al Pontefice in piazza San Carlo. Un saluto in cui il sindaco ha voluto ricordare Torino come la città di "santi sociali", tra cui Giovanni Bosco ed il beato Frassati, che "scelsero i poveri". Una città, ha aggiunto il sindaco, che sa, "anche in momenti difficili", "accogliere ed integrare" chi cerca lavoro o chi fugge "dalla guerra e dalla fame". A Torino, ha poi detto Chiamparino, "la accolgono fede e ragione, unite".

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Sindone/ Papa: passano gli anni, emozionato davanti all'Icona

Porto nel mio cuore tutta la Chiesa e tutta l'umanità

E' la meditazione davanti alla Sacra Sindone di Torino il discorso centrale della giornata di trasferta del Papa nella città piemontese. "Questo è per me un momento molto atteso. In u'altra occasione - ha detto - mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto - ha aggiunto Benedetto XVI - perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l'umanità". Nella sua meditazione, il Papa utilizza sempre il termine Icona, e mai reliquia.
Il Papa definisce la Sindone "l'Icona del Sabato Santo", perchè "è un telo sepolcrale", che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù

La Sindone è un'Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L'immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell'acqua parlano di vita. E' come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.

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Papa a Torino: in preghiera davanti alla Sindone

"Sindone simbolo umanita' oscurata XX secolo"

TORINO

Di fronte alla Sindone, nell'oscurità del duomo di Torino, papa Benedetto XVI ha confessato di essere diventato, con il passare degli anni, ancor più sensibile al "messaggio di questa straordinaria icona", simbolo del Sabato santo, del "nascondimento di Dio", ma anche prefigurazione della sua resurrezione. Ratzinger ha spiegato come tutti abbiano sentito la sensazione "spaventosa di abbandono" della morte. "Gesù Cristo - ha detto - rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine umana per guidare anche noi a oltrepassarla con Lui".

"Questo - ha osservato il papa in un commovente discorso - è per me un momento molto atteso. In un'altra occasione mi sono trovato davanti alla Sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la chiesa, anzi, tutta l'umanità". "Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare - ha proseguito - anche noi ad oltrepassarla con Lui".
"Tutti - ha constatato il papa - abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare". "Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato santo: nel regno della morte - ha detto - è risuonata la voce di Dio". "E' successo - ha continuato - l'impensabile: che cioé l'amore è penetrato negli 'inferi'; anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta, noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori".

Visibilmente commosso, il Papa è rimasto in preghiera per diversi minuti davanti alla Sacra Sindone esposta nel Duomo di Torino, in un silenzio assoluto. Accanto al Papa, inginocchiato davanti al Sacro Lino, l'arcivescovo di Torino cardinale Severino Poletto.

La Sindone, simbolo del Sabato Santo, del "nascondimento di Dio", di una "terra di nessuno", è un'icona che interpella, in tutta la sua attualità, l'umanità oscurata dalle guerre, dalle violenze, e in particolare dagli orrori del secolo scorso. E' quanto ha detto Benedetto XVI, in una riflessione pronunciata oggi davanti al Sacro Telo, esposto nel Duomo di Torino.

"Cari fratelli, nel nostro tempo, specialmente dopo avere attraversato il secolo scorso, l'umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del sabato santo", ha spiegato il pontefice. "Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell'uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più". Benedetto XVI ha citato la famosa frase di Nietzsche, in cui il filosofo affermava: "Dio è morto. E noi lo abbiamo ucciso". Ratzinger ha osservato come questa espressione, a ben vedere, sia "presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana". "Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore - ha sottolineato - un sabato santo: l'oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità". "Tuttavia - ha aggiunto - la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazareth, ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza".

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Sindone/ Decine di migliaia di persone per il Papa a Torino

Oltre 50mila a messa, quasi flop per manifestazioni di protesta

In decine e decine di migliaia di persone si sono mobilitate oggi a Torino per accogliere il Papa. La stazione di Porta nuova in fermento già dalle prime ore della mattina, le vie del centro gremite di fedeli in marcia verso piazza san Carlo già dalle otto. Una città che si è svegliata blindata, con 14 chilometri di transenne, quasi duemila uomini delle forze dell'ordine a presidiare il centro. Sono accorsi in più di 50mila per la messa delle 10, i 25mila prenotati tramite le parrocchie nella piazza "salotto di Torino" e migliaia lungo via Roma, piazza Castello, fino al Duomo, a seguire dai sei maxischermi installati. Una folla che ha esultato all'arrivo del Santo padre con cori quasi da stadio "Be-ne-detto, Be-ne-detto", gridavano. Oltre venti le persone svenute solo nella prima ora a causa della ressa. Nessuno grave. E i fedeli hanno voluto seguire il Papa anche fuori dalla sede dell'arcivescovado, lungo via Arsenale, mentre prnzava con i 40 vescovi piemontesi e, dopo, nella stessa sede in via riservata, salutava i vertici del mondo industriale torinese, tra cui John Elkann e i Savoia. Ma il momento più festoso è stato quello dei giovani, che hanno trasformato nel pomeriggio sotto la pioggia l'elegante e quasi austera piazza san carlo in un'allegra marea di ombrelli colorati, sotto le note delle canzoni del coro Hope, i 200 ragazzi ai due lati del Santo Padre in magliette gialle, verdi, viola e blu. Bar aperti e affollati per tutto il giorno, venditori di bandierine con lo stemma del Vaticano a tre euro l'una, i fazzoletti gialli dei giovani della diocesi a sventolare per le vie del centro fino a sera, anche quando la pioggia si è fatta acquazzone. E' stata questa la domenica del Papa dei torinesi, che hanno trascurato quasi del tutto i momenti di protesta. Poche le persone al sit-in dei radicali organizzato alle 12 in piazza Savoia ai piedi del monumento eretto nell'Ottocento per le elggi Siccardi. E non tante quante ci si aspettava (ieri erano 800 i prenotatai su Facebook) alla manifestazione anticlericale No Sindone No Papa day. Erano circa duecento i giovani, tra cui molti anarchici, che vi hanno aderito sotto il mercato coperto di piazza Madama Crisitna. Tra spettacolini teatrali e discodance, non hanno creato problemi alle forze dell'ordine dispiegate numerose di fronte a loro.

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Sindone/ Il saluto affettuoso dei giovani in tragitto verso Duomo

I giovani al Papa: "E' bello averla qui, siamo con lei"

Dopo un incontro durato poco più di mezz'ora sotto la pioggia e sulle note di Laudato si, cantato dal coro Hope, il Papa ha salutato i giovani di piazza San carlo e, salito sulla papamobile, si è diretto verso il Duomo per venerare la Sacra Sindone. Affollatissima nonostante il cattivo tempo la piazza, una marea di ombrelli colorati. C'erano i ragazzi di Comunione e liberazione, i salesiani di Don Bosco, esponenti della Gioventù ardente mariana, dei Focolari e delgi oratori. "Santità, quante volte anche noi di fronte al male e alla sofferenza e alla morte - ha detto un rappresentante dei giovani al Papa dopo il saluto di Poletto - cadiamo nella crisi di una fede che pare non sappia rispondere alle nostre piccole grandi difficoltà. E, soprattutto, una fede che vorremmo a volte piu tangibile e sperimentabile. Viviamo cosi rincorrendo sempre nuove esperienze e cercando di avere tutto e subito senza riuscire a dare un senso alla nostra esistenza. Davanti alla Sindone però tutto puo rivedersi e ravvedersi perchè la vita di ognuno di noi ha la fortuna di, citando il nostro arcivescovo, specchiarsi davanti alla Sindone". "Santo padre - ha concluso il giovane dinnanzi al Santo Padre a nome di tutta la gioventù della diocesi di torino - crediamo che una delle maggiori sfide per noi giovani oggi, considerando la precarietà della nostra società, sia proprio l'impegno a costruire delle vite coerenti bene ancorate in questo mondo, ma altrettanto desiderose di tenere lo sguardo verso l'alto. Felici di condividere lo stesso cammino di fede, la salutiamo con affetto e le diciamo che è bello averla qui con noi, ma sappia anche che Torino, che i giovani sono con lei".

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Il Papa: i cristiani devono essere strumento concreto dell'amore di Dio
L'incontro in piazza San Carlo a Torino



ROMA, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- I cristiani devono farsi interpreti della speranza del Risorto e strumento dell'amore di Dio. E' il forte appello lanciato questa domenica da Benedetto XVI parlando agli oltre 50 mila fedeli che lo hanno accolto in piazza San Carlo, a Torino, dove ha celebrato la Messa.

Giunto sull’altare, il Papa è stato salutato dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino, che dopo aver ricordato i numerosi santi sociali torinesi e piemontesi, ha sottolineato come la città “da sempre ha saputo e sa riconoscere il valore pubblico della religiosità, in un momento nel quale tutti, credenti e non, sono chiamati a riflettere sul senso profondo che l’immagine della Sindone rappresenta”.

E' poi toccato al Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo di Torino, fare gli onori di casa sottolineando come le comunità e le chiese della sua arcidiocesi si siano preparate a questo “autentico evento di grazia” con una speciale Novena di preghiere.

“Torino – ha continuato – è una città stupenda e complessa, che ha saputo svolgere nella sua millenaria storia cristiana la missione di annunziare il Vangelo ed offrire a tutti il servizio della carità”.

“I nostri numerosi santi del passato e del presente – ha aggiunto – ci hanno aiutato ad essere anche oggi, e forse più che nel passato, capaci di farci carico di tutte le croci e sofferenze dei fratelli, così come ci richiama a fare l’Ostensione della santa Sindone”

La Sindone, ha infatti evidenziato, ci sollecita “a contemplare l’immensa sofferenza di Gesù affrontata nella sua passione, ma anche ad allargare il nostro sguardo sulle sofferenze delle donne e degli uomini del nostro tempo, così da realizzare l’obiettivo indicato nel motto 'Passio Christi, Passio hominis', che è quello di trovare dalla passione di Gesù la forza necessaria per farci prossimo nei confronti di tutti i nostri fratelli e sorelle provati dall’esperienza quotidiana della croce”.

Successivamente nel corso dell'omelia il Papa ha riflettuto sul Vangelo di Giovanni, letto questa domenica, in cui Gesù fa dono agli apostoli di un "comandamento nuovo" esortandoli a “vivere il suo stesso amore”.

“Amare gli altri come Gesù ci ha amati – ha detto il Pontefice – è possibile solo con quella forza che ci viene comunicata nel rapporto con Lui, specialmente nell’Eucaristia, in cui si rende presente in modo reale il suo Sacrificio di amore che genera amore”.

Riflettendo sull'attualità il Santo Padre ha quindi parlato delle difficoltà che colpiscono anche la città di Torino: “penso, in particolare, a quanti vivono concretamente la loro esistenza in condizioni di precarietà, a causa della mancanza del lavoro, dell’incertezza per il futuro, della sofferenza fisica e morale; penso alle famiglie, ai giovani, alle persone anziane che spesso vivono la solitudine, agli emarginati, agli immigrati”.

“Sì, la vita porta ad affrontare molte difficoltà, molti problemi, ma è proprio la certezza che ci viene dalla fede, la certezza che non siamo soli, che Dio ama ciascuno senza distinzione ed è vicino a ciascuno con il suo amore, che rende possibile affrontare, vivere e superare la fatica dei problemi quotidiani”, ha esclamato.

“E’ stato l’amore universale di Cristo risorto a spingere gli apostoli ad uscire da se stessi, a diffondere la parola di Dio, a spendersi senza riserve per gli altri, con coraggio, gioia e serenità”, ha continuato.

Questo perché, “il Risorto possiede una forza di amore che supera ogni limite, non si ferma davanti ad alcun ostacolo. E la Comunità cristiana, specialmente nelle realtà più impegnate pastoralmente, deve essere strumento concreto di questo amore di Dio”.

Il Papa ha quindi rivolto un incoraggiamento speciale ai sacerdoti: “sappiate attingere quotidianamente dal rapporto di amore con Dio nella preghiera la forza per portare l’annuncio profetico di salvezza; ri-centrate la vostra esistenza sull’essenziale del Vangelo; coltivate una reale dimensione di comunione e di fraternità all’interno del presbiterio, delle vostre comunità, nei rapporti con il Popolo di Dio; testimoniate nel ministero la potenza dell’amore che viene dall’Alto”.

Rivolgendosi poi alle famiglie le ha esortate “a vivere la dimensione cristiana dell’amore nelle semplici azioni quotidiane, nei rapporti familiari superando divisioni e incomprensioni, nel coltivare la fede che rende ancora più salda la comunione”.

Alle Università e al mondo della cultura ha rivolto l'invito a testimoniare l'amore “nella capacità dell’ascolto attento e del dialogo umile nella ricerca della Verità, certi che è la stessa Verità che ci viene incontro e ci afferra”.

“Desidero anche incoraggiare lo sforzo, spesso difficile, di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica: la collaborazione per perseguire il bene comune e rendere la Città sempre più umana e vivibile”, ha sottolineato.

Non poteva mancare poi un pensiero particolare ai giovani, che il Papa ha esortato a “non perdere mai la speranza, quella che viene dal Cristo Risorto, dalla vittoria di Dio sul peccato e sulla morte”.

Infine il Papa ha voluto incoraggiare tutti i fedeli della Chiesa di Torino “a restare saldi in quella fede che avete ricevuto e che dà senso alla vita; a non perdere mai la luce della speranza nel Cristo Risorto, che è capace di trasformare la realtà e rendere nuove tutte le cose; a vivere in città, nei quartieri, nelle comunità, nelle famiglie, in modo semplice e concreto l’amore di Dio: 'Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri'".











Il Papa invita i giovani a “vivere e non vivacchiare”
Dà loro appuntamento per la GMG di Madrid che si terrà nell'agosto del 2011



TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Nonostante la pioggia, Torino ha fatto questa domenica da sfondo per un incontro di festa e di fede di giovani provenienti da questa città e da altre diocesi del Piemonte con Benedetto XVI, che li ha incoraggiati a vivere con coraggio e fedeltà le scelte definitive.

“Siate testimoni di Cristo in questo nostro tempo!”, ha detto loro in una piazza San Carlo stracolma di ombrelli variopinti.

Per due ore, prima dell'incontro, la piazza è stata animata da musica ma anche da interventi di testimonianza. Presenti il grande coro “Hope” formato da 270 giovani, ma anche alcuni artisti internazionali provenienti dagli Stati Uniti, dalla Guadalupa e dalla Gran Bretagna.

“La sacra Sindone – ha detto il Papa riflettendo sul sacro Telo di cui è in corso in questi giorni a Torino l'ostensione – sia in modo del tutto particolare per voi un invito ad imprimere nel vostro spirito il volto dell’amore di Dio, per essere voi stessi, nei vostri ambienti, con i vostri coetanei, un’espressione credibile del volto di Cristo”.

Durante l'incontro i giovani hanno intonato l'inno “Santo Volto dei Volti” composto per questa occasione.

Benedetto XVI ha dato appuntamento ai giovani per la Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà a Madrid nell'agosto del 2011.

“Auspico di cuore che tale straordinario evento, al quale spero possiate partecipare in tanti, contribuisca a far crescere in ciascuno l’entusiasmo e la fedeltà nel seguire Cristo e nell’accogliere con gioia il suo messaggio, fonte di vita nuova”, ha detto il Pontefice.

Come modello il Pontefice ha quindi indicato un giovane di questa città: Piergiorgio Frassati, membro dell’Azione Cattolica, figlio del fondatore e direttore del quotidiano “La Stampa”, e aderente all’Apostolato della Preghiera, della Congregazione Mariana e dell’Adorazione Notturna.

Per stare vicino ai minatori Piergiorgio Frassati decise di studiare Ingegneria Mineraria presso il Politecnico di Torino. Entrò poi nella Gioventù Cattolica (CGI) e nella Federazione Universitaria Cattolica (FUCI) e prese attivamente parte a congressi, riunioni e manifestazioni.

Appassionato di montagna, faceva delle sue escursioni un’opportunità di apostolato e di preghiera in comune. Poco prima di ottenere il titolo di Ingegnere Minerario, si ammalò di poliomielite. Morì, dopo una settimana di sofferenza, il 4 luglio 1925. Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 20 maggio 1990.

“La sua esistenza fu avvolta interamente dalla grazia e dall’amore di Dio e fu consumata, con serenità e gioia, nel servizio appassionato a Cristo e ai fratelli”, ha ricordato il Pontefice.

“Giovane come voi – ha aggiunto – visse con grande impegno la sua formazione cristiana e diede la sua testimonianza di fede, semplice ed efficace. Un ragazzo affascinato dalla bellezza del Vangelo delle Beatitudini, che sperimentò tutta la gioia di essere amico di Cristo, di seguirlo, di sentirsi in modo vivo parte della Chiesa”.

Alla luce della sua testimonianza, il Papa ha incoraggiato i ragazzi e le ragazze ad avere “il coraggio di scegliere ciò che è essenziale nella vita”.

“Vivere e non vivacchiare” ripeteva il beato Piergiorgio Frassati.

“Come lui, scoprite che vale la pena di impegnarsi per Dio e con Dio, di rispondere alla sua chiamata nelle scelte fondamentali e in quelle quotidiane, anche quando costa!”, ha concluso il Santo Padre.





Il messaggio della Sindone, secondo il Papa: “Icona scritta col sangue”
Venera nel Duomo di Torino il sudario che, secondo la tradizione, ha avvolto Gesù



TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Sindone di Torino è “un’Icona scritta col sangue”, sangue che mostra l'amore di Dio per l'uomo. Lo ha detto questa domenica Benedetto XVI nel venerare il sudario che, secondo la tradizione, avvolse il corpo di Gesù crocifisso.

Nella tappa più importante della sua visita a Torino il Papa si è inginocchiato davanti alla Sindone, di cui è in corso l’ostensione fino al 23 maggio nel Duomo di Torino sul tema: “Passio Christi – Passio hominis”.

Nel suo discorso, subito dopo, il Pontefice ha fatto riferimento al valore storico e scientifico della Sindone, riflettendo sul silenzio del Santo Sepolcro nell'orizzonte di speranza della Resurrezione.

“Mi sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa”, ha constatato.

Secondo il Pontefice, “se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore”.

Questo è il potere della Sindone, ha affermato il Vescovo di Roma, “dal volto di questo 'Uomo dei dolori', che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati - 'Passio Christi. Passio hominis' - promana una solenne maestà, una signoria paradossale”.

“Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio".

“Come parla la Sindone?”, ha chiesto il Papa.

“Parla con il sangue, e il sangue è la vita!”, ha quindi risposto. “La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita”.

“Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita – ha aggiunto –. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo”.





La Piccola Casa della Divina Provvidenza
Parla don Carmine Arice, direttore dell’ufficio pastorale per le comunicazioni

di Chiara Santomiero


TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Quando Benedetto XVI arriverà qui alla Piccola Casa, dopo aver venerato la Sindone nel duomo di Torino, passerà sotto un arco che reca la scritta “Divina Provvidenza” per ricordare anche nella pietra quella che fu sempre la fonte ispiratrice del santo Giuseppe Cottolengo, la cui statua è posta al di sotto dell’arco con il suo motto personale “Caritas Christi urget nos”.

“Il Papa – spiega don Carmine Arice, direttore dell’ufficio pastorale per le comunicazioni della Piccola Casa della Divina Provvidenza - entrerà nella chiesa dall’ingresso di via S. Pietro in vincoli e si fermerà a venerare le spoglie di S. Giuseppe Cottolengo. Quindi proseguirà lungo la navata centrale dove lo aspetteranno, a destra e a sinistra, i nostri ospiti e verrà nel presbiterio dove sarà accolto dai sacerdoti e dal Padre Aldo Sarotto, superiore generale dei cottolenghini. Qui rivolgerà il suo discorso alla Piccola Casa al termine del quale saluterà dieci ammalati in rappresentanza di tutti gli altri e poi uscirà, riattraversando la navata centrale”.

Intorno alla chiesa dedicata a s. Vincenzo de’ Paoli e s. Antonio abate si stendono i 112 mila metri quadrati della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Una vera e propria città che accoglie in modo stabile circa 2 mila persone - tra ospiti e personale religioso -, e che arriva a distribuire “circa 3 mila pranzi ogni giorno di cui 500 per gli assistiti, 208 per i ricoverati in ospedale, quasi 400 alla mensa degli senza fissa dimora, almeno 600 alle suore tra le quali quelle anziane o a riposo…”. Davanti alla grande cucina generale, sono pronti dei furgoncini ape che a mezzogiorno caricano e distribuiscono il cibo in tutti i padiglioni.

“Accogliere in maniera stabile – aggiunge Arice - circa cinquecento deboli mentali, anziani, malati di Alzhemeir, terminali, richiede una struttura notevole”. Attenzione però a non chiamare la Piccola Casa struttura sanitaria, di ricovero o Casa di riposo.

“L’ha chiamata ‘Casa’”

“San Giuseppe Cottolengo – spiega Arice – non aveva in mente un istituto, un ricovero: l’ha chiamata Casa, per tutti quelli che erano rifiutati dagli altri ospedali o vivevano in stato di abbandono”.

“Il campo semantico usato – aggiunge - è sempre quello delle relazioni familiari: padre, madre, figlio, sorella dei poveri. Anche i reparti sono chiamati famiglie”.

La Piccola Casa si estende nel quartiere torinese di Valdocco che evidentemente attira santità e le grandi opere perché accanto c’è la Casa madre dei salesiani di don Bosco. “I due santi – afferma Arice – certamente si sono conosciuti perché don Bosco è diventato prete nel 1841 e Cottolengo è morto nel 1842”. Una leggenda racconta anche di un consiglio dato dal Cottolengo al giovane don Bosco: “questa talare è troppo sottile e vi si attaccheranno molti ragazzi: prendetene una più robusta”.

Il Cottolengo arriva qui il 27 aprile 1832. Il primo nucleo di accoglienza aperto nel centro della città (il Deposito della Porta rossa), è stato chiuso dalle autorità per timore del diffondersi di epidemie e lui si sposta in periferia, “portando – ricorda una targa – “su un somarello e un carrettino i primi due ospiti della Piccola Casa della Divina Provvidenza”.

“Inizia un’opera – racconta Arice - che si allarga in cerchi concentrici; ogni volta che incontrava una domanda si provvedeva a una risposta: invalidi, deboli mentali, orfani, scuole, ospedali per acuti, ospedale per cronici”.

All’inizio c’erano dei laici di buona volontà ad aiutare il Cottolengo, poi “mano a mano che la realtà si è espansa, alcuni chiamati alla vita consacrata hanno dato più stabilità al servizio, dapprima suore, e fratelli e poi sacerdoti”.

Il Cottolengo “ha fondato sedici famiglie religiose, maschili e femminili, di cui sei di vita contemplativa e dieci di vita apostolica, ciascuna per la risposta a un diverso bisogno”.

“Costringere la Provvidenza ad intervenire”

Tutto questo “nell’arco di dieci anni, dal 1832 al 1842; a 56 anni muore in un’epidemia di tifo petecchiale che si diffonde a Torino”. Questa grande attività viene realizzata, afferma Arice, seguendo “una sequenza interessante. Di solito, all’emergere di un bisogno si cercano delle risorse per farvi fronte e poi si risponde. Invece, nel caso del Cottolengo, la sequenza era: domanda-risposta-intervento della Provvidenza”. Il santo affermava, infatti, che bisognava “costringere in qualche modo la divina Provvidenza ad intervenire”.

La spiritualità della Piccola Casa è fondata su tre elementi: “la fede in Dio Padre provvidente; la carità di Cristo come motore dell’esperienza verso i poveri nei quali si riconosce il Suo volto e lo stile di comunione”. I religiosi, infatti “fanno famiglia con le persone accolte. Una parte della Casa dove ci sono gli ospiti è per la comunità religiosa; mangiamo sotto lo stesso tetto lo stesso pane e condividiamo la vita”.

I buoni figli

Tra gli ospiti preferiti del santo Cottolengo ci sono “i buoni figli, così lui chiamava i deboli mentali. Con questa definizione intendiamo una persona con un handicap mentale, un po’ come un invalido fisico a cui manca un braccio. Ai suoi tempi, i deboli mentali erano considerati persone ‘un po' meno persone’. Ma non sono malati e da noi compiono un percorso di normalizzazione e socializzazione. Vivono in Casa e ogni mattino hanno un’attività organizzata: piscina, terapia, catechesi, laboratorio”.

La grande intuizione del Cottolengo è stata “dare un lavoro a tutti gli ospiti così che ognuno collabora alle necessità della vita quotidiana. Lui diceva che ‘anche i piccoli hanno diritto alla loro piccola dignità’ e il lavoro dà dignità”. “Adesso non capita quasi più – racconta Arice -, ma qui vivono persone con alle spalle sessant’anni di Cottolengo, lasciate dietro la porta dai familiari oppure portate con l’inganno, la promessa di una gita a Torino e poi abbandonate”.

Il primo lavoro è la preghiera

Santi innocenti, S. Giovanni Battista, Angeli custodi, S. Elisabetta: ogni famiglia di ospiti o di religiosi cottolenghini abita in un padiglione che la tradizione della Piccola Casa affida esclusivamente alla protezione dei santi dichiarati tali ufficialmente. Con un’eccezione: “il padiglione Pier Giorgio Frassati – sorride Arice che è un ‘tifoso’ del giovane beato torinese -. Quando la sua famiglia, nel 1933, finanziò la costruzione di un padiglione in sua memoria, le perplessità dei responsabili del Cottolengo furono superate dal card. Gamba, allora arcivescovo di Torino, che affermò ‘se non è santo adesso, lo sarà’. Aveva guardato lontano”.

All’interno della “città” ci sono anche le scuole pubbliche elementari e medie per 210 allievi, un ospedale convenzionato con la Regione Piemonte, una farmacia, un corso di laurea in scienze infermieristiche, un corso di specializzazione in scienze infermieristiche e ginecologia, un master in coordinamento infermieristico, un seminario, case di formazione per i religiosi e le religiose, un dormitorio, una mensa e altri servizi per persone senza fissa dimora cui si collegano due comunità alloggio per minori e donne in difficoltà a Torino e tre comunità terapeutiche per tossicodipendenti nella provincia.

A questo si aggiungono le 80 succursali della Piccola Casa in Svizzera, Stati Uniti, Kenya, India, Ecuador e Tanzania. La famiglia del Cottolengo conta anche sei monasteri di clausura tra l’Italia e l’estero “perché, come ricordava il santo, il primo e fondamentale compito nella Piccola Casa è quello di pregare e di questo si è nutrita la sua fede nella Provvidenza”.






Discorso del Papa nell'incontro con gli ammalati nella chiesa del Cottolengo


TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI nell'incontrarsi nella chiesa del Cottolengo, a Torino, con gli ammalati e gli ospiti della Piccola Casa della Divina Provvidenza.

* * *

Signor Cardinale,

cari fratelli e sorelle!

Desidero esprimere a voi tutti la mia gioia e la mia riconoscenza al Signore che mi ha condotto fino a voi, in questo luogo, dove in tanti modi e secondo un carisma particolare si manifestano la carità e la Provvidenza del Padre celeste. E’ un incontro, il nostro, che si intona molto bene al mio pellegrinaggio alla sacra Sindone, in cui possiamo leggere tutto il dramma della sofferenza, ma anche, alla luce della Risurrezione di Cristo, il pieno significato che essa assume per la redenzione del mondo. Ringrazio Don Aldo Sarotto per le significative parole che mi ha rivolto: attraverso di lui il mio grazie si estende a quanti operano in questo luogo, la Piccola Casa della Divina Provvidenza, come la volle chiamare san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Saluto con riconoscenza le tre Famiglie religiose nate dal cuore del Cottolengo e dalla “fantasia” dello Spirito Santo. Grazie a tutti voi, cari malati, che siete il tesoro prezioso di questa casa e di questa Opera.

Come forse sapete, durante l’Udienza Generale di mercoledì scorso, insieme alla figura di san Leonardo Murialdo, ho presentato anche il carisma e l’opera del vostro Fondatore. Sì, egli è stato un vero e proprio campione della carità, le cui iniziative, come alberi rigogliosi, stanno davanti ai nostri occhi e sotto lo sguardo del mondo. Rileggendo le testimonianze dell’epoca, vediamo che non fu facile per il Cottolengo iniziare la sua impresa. Le molte attività di assistenza presenti sul territorio a favore dei più bisognosi non erano sufficienti a sanare la piaga della povertà, che affliggeva la città di Torino. Il Cottolengo cercò di dare una risposta a questa situazione, accogliendo le persone in difficoltà e privilegiando quelle che non venivano ricevute e curate da altri. Il primo nucleo della Casa della Divina Provvidenza non ebbe vita facile e non durò a lungo. Nel 1832, nel quartiere di Valdocco, vide la luce una nuova struttura, aiutata anche da alcune famiglie religiose.

Il Cottolengo, pur attraversando nella sua vita momenti drammatici, mantenne sempre una serena fiducia di fronte agli eventi; attento a cogliere i segni della paternità di Dio, riconobbe, in tutte le situazioni, la sua presenza e la sua misericordia e, nei poveri, l’immagine più amabile della sua grandezza. Lo guidava una convinzione profonda: “I poveri sono Gesù - diceva - non sono una sua immagine. Sono Gesù in persona e come tali bisogna servirli. Tutti i poveri sono i nostri padroni, ma questi che all’occhio materiale sono così ributtanti sono i nostri padronissimi, sono le nostre vere gemme. Se non li trattiamo bene, ci cacciano dalla Piccola Casa. Essi sono Gesù”. San Giuseppe Benedetto Cottolengo sentì di impegnarsi per Dio e per l’uomo, mosso nel profondo del cuore dalla parola dell’apostolo Paolo: La carità di Cristo ci spinge (cfr 2 Cor 5,14). Egli volle tradurla in totale dedizione al servizio dei più piccoli e dimenticati. Principio fondamentale della sua opera fu, fin dall’inizio, l’esercizio verso tutti della carità cristiana, che gli permetteva di riconoscere in ogni uomo, anche se ai margini della società, una grande dignità. Egli aveva compreso che chi è colpito dalla sofferenza e dal rifiuto tende a chiudersi e isolarsi e a manifestare sfiducia verso la vita stessa. Perciò il farsi carico di tante sofferenze umane significava, per il nostro Santo, creare relazioni di vicinanza affettiva, familiare e spontanea, dando vita a strutture che potessero favorire questa vicinanza, con quello stile di famiglia che continua ancora oggi.

Recupero della dignità personale per san Giuseppe Benedetto Cottolengo voleva dire ristabilire e valorizzare tutto l’umano: dai bisogni fondamentali psico-sociali a quelli morali e spirituali, dalla riabilitazione delle funzioni fisiche alla ricerca di un senso per la vita, portando la persona a sentirsi ancora parte viva della comunità ecclesiale e del tessuto sociale. Siamo grati a questo grande apostolo della carità perché, visitando questi luoghi, incontrando la quotidiana sofferenza nei volti e nelle membra di tanti nostri fratelli accolti qui come nella loro casa, noi facciamo esperienza del valore e del significato più profondo della sofferenza e del dolore. Cari malati, voi svolgete un’opera importante: vivendo le vostre sofferenze in unione con Cristo crocifisso e risorto, partecipate al mistero della sua sofferenza per la salvezza del mondo.

Offrendo il nostro dolore a Dio per mezzo di Cristo, noi possiamo collaborare alla vittoria del bene sul male, perché Dio rende feconda la nostra offerta, il nostro atto di amore. Cari fratelli e sorelle, tutti voi che siete qui, ciascuno per la propria parte: non sentitevi estranei al destino del mondo, ma sentitevi tessere preziose di un bellissimo mosaico che Dio, come grande artista, va formando giorno per giorno anche attraverso il vostro contributo. Cristo, che è morto sulla Croce per salvarci, si è lasciato inchiodare perché da quel legno, da quel segno di morte, potesse fiorire la vita in tutto il suo splendore. Questa Casa qui è uno dei frutti maturi nati dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo, e manifesta che la sofferenza, il male, la morte non hanno l’ultima parola, perché dalla morte e dalla sofferenza la vita può risorgere. Lo ha testimoniato in modo esemplare uno di voi, che voglio ricordare: il Venerabile fratel Luigi Bordino, stupenda figura di religioso infermiere.

In questo luogo, allora, comprendiamo meglio che, se la passione dell’uomo è stata assunta da Cristo nella sua Passione, nulla andrà perduto. Il messaggio di questa solenne Ostensione della Sindone: “Passio Christi – Passio hominis”, qui si comprende in modo particolare. Preghiamo il Signore crocifisso e risorto perché illumini il nostro pellegrinaggio quotidiano con la luce del suo Volto; illumini la nostra vita, il presente e il futuro, il dolore e la gioia, le fatiche e le speranze dell’umanità intera. A tutti voi, cari fratelli e sorelle, invocando l’intercessione di Maria Vergine e di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, imparto di cuore la mia Benedizione: vi conforti e vi consoli nelle prove e vi ottenga ogni grazia che viene da Dio, autore e datore di ogni dono perfetto. Grazie.

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Meditazione del Papa dopo l’atto di venerazione della Sindone
Icona del mistero del Sabato Santo



TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la meditazione pronunciata questa domenica da Benedetto XVI dopo l’atto di venerazione della Sindone nel Duomo di Torino, nel salutare le monache di clausura di diversi monasteri della diocesi e i membri del Comitato della Sindone presenti.

* * *

Cari amici,

questo è per me un momento molto atteso. In un’altra occasione mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal sottotitolo di questa solenne Ostensione: “Il mistero del Sabato Santo”. Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio.

Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole membro del Sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, comprò un lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il Vangelo di San Marco, e con lui concordano gli altri Evangelisti. Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato.

Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”.

Cari fratelli e sorelle, nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità.

E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”. E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale. In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui.

Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”.

Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione. Ed ecco, mi sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore. Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati - “Passio Christi. Passio hominis” - promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.

Cari amici, lodiamo sempre il Signore per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità. Grazie.

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Discorso di Benedetto XVI all'incontro con i giovani a Torino
“Dio ci ha creato in vista del 'per sempre'”



TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI nell'incontrare in piazza San Carlo i giovani dell’arcidiocesi di Torino e delle diocesi limitrofe.

* * *

Cari giovani di Torino!

Cari giovani che venite dal Piemonte e dalle Regioni vicine!

Sono veramente lieto di essere con voi, in questa mia visita a Torino per venerare la sacra Sindone. Vi saluto tutti con grande affetto e vi ringrazio per l’accoglienza e per l’entusiasmo della vostra fede. Attraverso di voi saluto l’intera gioventù di Torino e delle Diocesi del Piemonte, con una preghiera speciale per i giovani che vivono situazioni di sofferenza, di difficoltà e di smarrimento. Un particolare pensiero e un forte incoraggiamento rivolgo a quanti fra voi stanno percorrendo il cammino verso il sacerdozio, la vita consacrata, come pure verso scelte generose di servizio agli ultimi.

Ringrazio il vostro Pastore, il Cardinale Severino Poletto, per le cordiali espressioni che mi ha rivolto e ringrazio i vostri rappresentanti che mi hanno manifestato i propositi, le problematiche e le attese della gioventù di questa città e regione. Venticinque anni fa, in occasione dell’Anno Internazionale della Gioventù, il venerabile e amato Giovanni Paolo II indirizzò una Lettera apostolica ai giovani e alle giovani del mondo, incentrata sull’incontro di Gesù col giovane ricco di cui ci parla il Vangelo (Lettera ai Giovani, 31 marzo 1985). Proprio partendo da questa pagina (cfr Mc 10,17-22; Mt 19,16-22), che è stata oggetto di riflessione anche nel mio Messaggio di quest’anno per la Giornata Mondiale della Gioventù, vorrei offrirvi alcuni pensieri che vi aiutino nella vostra crescita spirituale e nella vostra missione all’interno della Chiesa e nel mondo.

Il giovane del Vangelo chiede a Gesù: “Che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Oggi non è facile parlare di vita eterna e di realtà eterne, perché la mentalità del nostro tempo ci dice che non esiste nulla di definitivo: tutto muta, e anche molto velocemente. “Cambiare” è diventata, in molti casi, la parola d’ordine, l’esercizio più esaltante della libertà, e in questo modo anche voi giovani siete portati spesso a pensare che sia impossibile compiere scelte definitive, che impegnino per tutta la vita. Ma è questo il modo giusto di usare la libertà? E’ proprio vero che per essere felici dobbiamo accontentarci di piccole e fugaci gioie momentanee, le quali, una volta terminate, lasciano l’amarezza nel cuore? Cari giovani, non è questa la vera libertà, la felicità non si raggiunge così. Ognuno di noi è creato non per compiere scelte provvisorie e revocabili, ma scelte definitive e irrevocabili, che danno senso pieno all’esistenza. Lo vediamo nella nostra vita: ogni esperienza bella, che ci colma di felicità, vorremmo che non avesse mai termine. Dio ci ha creato in vista del “per sempre”, ha posto nel cuore di ciascuno di noi il seme per una vita che realizzi qualcosa di bello e di grande. Abbiate il coraggio delle scelte definitive e vivetele con fedeltà! Il Signore potrà chiamarvi al matrimonio, al sacerdozio, alla vita consacrata, a un dono particolare di voi stessi: rispondetegli con generosità!

Nel dialogo con il giovane, che possedeva molte ricchezze, Gesù indica qual è la ricchezza più grande della vita: l’amore. Amare Dio e amare gli altri con tutto se stessi. La parola amore - lo sappiamo - si presta a varie interpretazioni ed ha diversi significati: noi abbiamo bisogno di un Maestro, Cristo, che ce ne indichi il senso più autentico e più profondo, che ci guidi alla fonte dell’amore e della vita. Amore è il nome proprio di Dio. L'Apostolo Giovanni ce lo ricorda: “Dio è amore”, e aggiunge che “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio”. E “se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1Gv 4,8.10.11). Nell’incontro con Cristo e nell’amore vicendevole sperimentiamo in noi la vita stessa di Dio, che rimane in noi con il suo amore perfetto, totale, eterno (cfr 1Gv 4,12). Non c'è nulla, quindi, di più grande per l'uomo, un essere mortale e limitato, che partecipare alla vita di amore di Dio. Oggi viviamo in un contesto culturale che non favorisce rapporti umani profondi e disinteressati, ma, al contrario, induce spesso a chiudersi in se stessi, all’individualismo, a lasciar prevalere l’egoismo che c’è nell’uomo. Ma il cuore di un giovane è per natura sensibile all’amore vero. Perciò mi rivolgo con grande fiducia a ciascuno di voi e vi dico: non è facile fare della vostra vita qualcosa di bello e di grande, è impegnativo, ma con Cristo tutto è possibile!

Nello sguardo di Gesù che fissa, come dice il Vangelo con amore il giovane, cogliamo tutto il desiderio di Dio di stare con noi, di esserci vicino. C'è un desiderio di Dio che desidera il nostro “sì”, il nostro amore. Sì, cari giovani, Gesù vuole essere vostro amico, vostro fratello nella vita, il maestro che vi indica la via da percorrere per giungere alla felicità. Egli vi ama per quello che siete, nella vostra fragilità e debolezza, perché, toccati dal suo amore, possiate essere trasformati. Vivete questo incontro con l'amore di Cristo in un forte rapporto personale con Lui; vivetelo nella Chiesa, anzitutto nei Sacramenti. Vivetelo nell’Eucaristia, in cui si rende presente il suo Sacrificio: Egli realmente dona il suo Corpo e il suo Sangue per noi, per redimere i peccati dell’umanità, perché diventiamo una cosa sola con Lui, perché impariamo anche noi la logica del donarsi. Vivetelo nella Confessione, dove, offrendoci il suo perdono, Gesù ci accoglie con tutti i nostri limiti per darci un cuore nuovo, capace di amare come Lui. Imparate ad avere familiarità con la parola di Dio, a meditarla, specialmente nella lectio divina, la lettura spirituale della Bibbia. Infine, sappiate incontrare l’amore di Cristo nella testimonianza di carità della Chiesa. Torino vi offre, nella sua storia, splendidi esempi: seguiteli, vivendo concretamente la gratuità del servizio. Tutto nella comunità ecclesiale deve essere finalizzato a far toccare con mano agli uomini l’infinita carità di Dio.

Cari amici, l’amore di Cristo per il giovane del Vangelo è il medesimo che egli ha per ciascuno di voi. Non è un amore confinato nel passato, non è un’illusione, non è riservato a pochi. Voi incontrerete questo amore e ne sperimenterete tutta la fecondità se con sincerità cercherete il Signore e se vivrete con impegno la vostra partecipazione alla vita della comunità cristiana. Ciascuno si senta “parte viva” della Chiesa, coinvolto nell’opera di evangelizzazione, senza paura, in uno spirito di sincera armonia con i fratelli nella fede e in comunione con i Pastori, uscendo da una tendenza individualista anche nel vivere la fede, per respirare a pieni polmoni la bellezza di far parte del grande mosaico della Chiesa di Cristo.

Questa sera non posso non additarvi come modello un giovane della vostra Città: il beato Piergiorgio Frassati, di cui quest’anno ricorre il ventesimo anniversario della beatificazione. La sua esistenza fu avvolta interamente dalla grazia e dall’amore di Dio e fu consumata, con serenità e gioia, nel servizio appassionato a Cristo e ai fratelli. Giovane come voi visse con grande impegno la sua formazione cristiana e diede la sua testimonianza di fede, semplice ed efficace. Un ragazzo affascinato dalla bellezza del Vangelo delle Beatitudini, che sperimentò tutta la gioia di essere amico di Cristo, di seguirlo, di sentirsi in modo vivo parte della Chiesa. Cari giovani, abbiate il coraggio di scegliere ciò che è essenziale nella vita! “Vivere e non vivacchiare” ripeteva il beato Piergiorio Frassati. Come lui, scoprite che vale la pena di impegnarsi per Dio e con Dio, di rispondere alla sua chiamata nelle scelte fondamentali e in quelle quotidiane, anche quando costa!

Il percorso spirituale del beato Piergiorgio Frassati ricorda che il cammino dei discepoli di Cristo richiede il coraggio di uscire da se stessi, per seguire la strada del Vangelo. Questo esigente cammino dello spirito voi lo vivete nelle parrocchie e nelle altre realtà ecclesiali; lo vivete anche nel pellegrinaggio delle Giornate Mondiali della Gioventù, appuntamento sempre atteso. So che vi state preparando al prossimo grande raduno, in programma a Madrid nell’agosto 2011. Auspico di cuore che tale straordinario evento, al quale spero possiate partecipare in tanti, contribuisca a far crescere in ciascuno l’entusiasmo e la fedeltà nel seguire Cristo e

nell’accogliere con gioia il suo messaggio, fonte di vita nuova. Giovani di Torino e del Piemonte, siate testimoni di Cristo in questo nostro tempo! La sacra Sindone sia in modo del tutto particolare per voi un invito ad imprimere nel vostro spirito il volto dell’amore di Dio, per essere voi stessi, nei vostri ambienti, con i vostri coetanei, un’espressione credibile del volto di Cristo. Maria, che venerate nei vostri Santuari mariani, e san Giovanni Bosco, Patrono della gioventù, vi aiutino a seguire Cristo senza mai stancarvi. E vi accompagnino sempre la mia preghiera e la mia Benedizione, che vi dono con grande affetto. Grazie per la vostra attenzione.


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03/05/2010 16:00
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Il cardinale Poletto: grande risposta della città alla visita del Papa


Per un bilancio della visita del Papa a Torino ascoltiamo l’arcivescovo della città, il cardinale Severino Poletto, al microfono di Massimiliano Menichetti:

R. – Io considero che la venuta del Santo Padre è stato un evento di grazia da un fatto molto verificabile, e cioè la risposta di Torino, la partecipazione non solo agli eventi, ma lungo la strada del percorso del Papa. Il Papa stesso si meravigliava nel vedere nel pomeriggio, durante gli spostamenti, quando ad un certo punto è anche piovuto, la massa di gente che c’era lungo le strade dove lui passava. Questa risposta di Torino indica che tutti hanno avvertito che la venuta del Santo Padre è stato il momento più forte di tutte le sei settimane dell’Ostensione. Poi, le varie tappe sono state un crescendo, oserei quasi dire, - anche se il momento più importante è stato quello dell’Eucaristia del mattino - di annunci, di messaggi, d’idee, riflessioni che il Papa ha proposto e che ci hanno condotto a leggere l’evento della Sindone come un’occasione grande di rinnovamento della vita cristiana e di attenzione ai sofferenti, ai poveri, ai problemi della città.


D. – Il primo incontro con la cittadinanza si è tenuto in Piazza San Carlo. 50 mila persone lo hanno accolto. Che cosa porta con sé di questo primo incontro con il Papa?


R. – La celebrazione in Piazza San Carlo con tantissime persone. Io ho sentito un silenzio profondo. Dopo l’omelia del Papa c’è stato un tempo non piccolo di silenzio: non si sentiva muovere nessuno. Dopo la Comunione è stato richiesto ancora un momento di ringraziamento. E mentre in papa-mobile tornavamo verso il vescovado, dopo la Messa, il Santo Padre mi ha detto: “Una Messa stupenda per il raccoglimento e per i bei canti”. E’ stata veramente una celebrazione vissuta con fede, con raccoglimento. Con una massa così enorme di persone, normalmente, si sente brusio, gente che si muove, e invece no, c’era un silenzio tale che sembrava di essere veramente ad una celebrazione nel contesto di un corso di esercizi. La cosa che più mi ha colpito della celebrazione eucaristica è stata questa, oltre naturalmente alla parola del Papa.


D. – Dopo il pranzo in arcivescovado, l’incontro con i giovani che lo attendevano in Piazza San Carlo. Intenso è stato lo scambio con loro. Il Papa ha ribadito la necessità di non cedere ad un mondo autoreferenziale, ad un mondo relativista, e ha esortato a seguire le scelte definitive imperniate in Cristo, come la vocazione al matrimonio e la vocazione al sacerdozio...


R. – Ha accennato anche alla necessità di non avere paura di affrontare le sfide che i giovani incontrano. E’ la grande sfida del Papa. E anch’io, dando il saluto, ho detto: “Qui ci sono giovani impegnati, ci sono giovani, che magari hanno affievolito la loro fede, ma non hanno ancora voltato le spalle al Cristo. Altri invece hanno abbandonato il Signore, ma le sue parole sicuramente li riporterà, perché lei sa spiegare la Scrittura come Gesù lungo le vie di Emmaus, quando si è rivelato a quei due discepoli scoraggiati e sfiduciati”. E naturalmente il Papa ha prospettato ai giovani la necessità di affrontare la vita con la forza di andare controcorrente e sentire che la vita è una cosa seria, capace d’impegni definitivi e ha additato il matrimonio come scelta di vita che deve durare per sempre, ha additato il sacerdozio e la vita religiosa come possibilità, quindi invitandoli ad essere loro la forza di una comunità cristiana e di una società civile. Bisogna essere dietro a Cristo, alla sequela di Cristo, il quale vi vuole fare felici, perché questo è importante. Cristo non ci chiede di seguirlo per impedire o tarpare qualcosa della nostra umanità, che aspira alla libertà, all’amore, alla gioia, alla felicità, ma ci chiede proprio di seguirlo, dicendo dei no, per avere poi un sì definitivo ai valori grandi della vita.


D. – Come anche lei prima ha accennato, in un crescendo si è spostato nel Duomo. Qui ha venerato la Sacra Sindone e ha indicato il volto di Cristo attraverso il Sacro Lino. Cristo, morendo, è entrato nel giorno dell’oscurità, portando la luce e la vita, raggiungendo così l’uomo nel punto di maggiore solitudine…


R. – Da un punto di vista teologico, il Papa, partendo dalla realtà del Sabato Santo - la realtà del silenzio, dell’oscurità della morte, del silenzio di Dio - ha voluto ricordare e collegare l’esperienza che Gesù ha fatto nella sua discesa agli inferi, cioè nell’abisso della morte, con le vicende del secolo scorso dell’umanità: la bomba atomica, Hiroshima e Nagasaki, i gulag e i campi di concentramento, la Shoah e così via. Quindi, tutto quello che poi è stato letto da tanti come un silenzio di Dio. Ma il Papa ha voluto mettere in evidenza come il silenzio di Dio sia illuminato dalla luce della resurrezione e la luce della resurrezione, fatta riflettere in retrospettiva sulle vicende precedenti, ha illuminato di significato profondo la sofferenza, l’abbandono, anche l’esperienza spirituale di un silenzio di Dio, che tace non perché ci abbandona, ma perché vuole che noi, attraverso una purificazione totale che il sacrificio di Cristo ci offre, che è la sofferenza e la morte, giungiamo alla gloria della resurrezione. Per cui è stato molto bello il fatto che il Papa abbia anche accennato al sangue. La Sindone è un negativo fotografico, che sviluppata diventa un positivo. Allora, anche la nostra vita ha un positivo e ha un negativo: ha una gioia e ha una sofferenza. Perciò lui dice: “Guardate nella Sindone il segno del sangue, il sangue che è il simbolo della vita nella Bibbia”.


D. – Dopo la venerazione della Sindone il Santo Padre si è recato al Cottolengo, qui, prima di tutto, ha colpito l’abbraccio che gli ospiti di questa struttura hanno rivolto spontaneamente, riccamente, a cuore aperto al Santo Padre…


R. – Ogni volta che si va al Cottolengo, lei nota un’esplosione di gioia di queste persone, l’esultanza, anche dei più gravi, anche dei più segnati dalla sofferenza. Al Cottolengo c’è il miracolo della carità. Il miracolo della carità lo si vede nella gioia di queste persone, che scoprendo, dopo anni che sono al Cottolengo, i loro genitori o la famiglia, non vogliono tornare a casa e cercano di rimanere lì, perché dicono “questa è la mia famiglia”, in quanto si sentono amati.


D. – Che cosa lascia, secondo lei, questa visita di Benedetto XVI alla città?


R. – Lascia una percezione di vicinanza della città al Papa e del Papa a questa città. Il ricordo che, secondo me, rimane è di un Papa che si è messo dentro la città. Oserei quasi dire che si è fatto cittadino di Torino e si è fatto pastore di una comunità cristiana forte, generosa. Ha lodato la laboriosità e l’impegno pastorale dei sacerdoti, perché proprio così è il clero di Torino. Torino ha sentito il Papa vicino e si è dimostrata vicina al Papa. Una città che ama il Papa e che si stringe vicino a lui, anche nei momenti in cui lui ha delle responsabilità e dei problemi da affrontare e che ha sentito il Papa vicino con il cuore, con la parola, con l’affetto, con l’abbraccio, alle proprie realtà e ai propri problemi. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


E per concludere ascoltiamo, sulla visita del Papa a Torino, i commenti di alcuni fedeli, sempre al microfono di Massimiliano Menichetti:

R. - Come sempre il Papa sa dare parole molto forti a tutti noi e soprattutto a coloro che in maniera particolare si sono avvicinati alla fede, come nel mio caso, da adulto. Il Santo Padre quando viene è il nostro papà: è il papà di tutti noi.


D. – Che cosa lascia questa visita del Papa?


R. - Un messaggio di pace, di speranza, sicuramente.


D. - Ha confermato l’intera Chiesa piemontese nella fede...


R. - Ha confermato l’intera Chiesa ma ha confermato ognuno di noi proprio in maniera personale in questo momento di attacco alla Chiesa e a lui in modo particolare.


R. - E’ un’emozione forte, sicuramente. Questi sono eventi di grazia che ci aiutano e ci sostengono.


D. - Che cosa lascia questa visita del Papa?


R. - E’ una testimonianza che è vicino e attento a tutte le problematiche che la città vive.


R. - Senti proprio questo calore che il Papa trasmette, questo amore che ha verso tutti noi. Ma anche noi dobbiamo dare a lui, dobbiamo sostenerlo con la preghiera.

R. - Per me è importante avere Pietro che mi dice: vai avanti. Specialmente in questo mondo dove tutto è in dubbio, almeno abbiamo qualcosa di solido che ci conferma davvero nell'andare avanti. Io penso che questo sia importantissimo, specialmente per i giovani che sono demotivati oggi, vivono senza meta, e io penso sia importante che possano trovare un punto di riferimento davvero solido.


D. – Che cosa ha significato per lei incontrare il Papa?


R. – E’ una cosa incredibile … Abbiamo già avuto la fortuna di essere a tre Ostensioni e quindi una cosa bellissima.


D. – Il Papa e l’Ostensione insieme…


R. – E’ una cosa di fede.


D. – Che cosa ha rappresentato per lei l’incontro con Benedetto XVI?


R. – Una esperienza indimenticabile, unica. Mi ha riempito di qualcosa di spirituale che finora mi mancava.

R. – E’ una cosa straordinaria! Per me il Papa è la Chiesa, è tutto.


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