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Viaggio apostolico in Camerun e Angola

Ultimo Aggiornamento: 02/05/2009 17:13
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30/03/2009 16:45
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Da "Famiglia Cristiana", 29 marzo 2009...

PAPA BENEDETTO XVI IN CAMERUN E ANGOLA

AFRICA RIALZATI

Ha esortato i politici a fare di tutto per eliminare la corruzione, e la società civile a insistere nella domanda di giustizia. A Luanda, capitale di uno Stato con pochi ricchi e ancora troppi poveri, ha indicato l'esempio delle donne per cambiare. In meglio.


Luanda, Angola

L'auto del Papa infila l’ultimo tratto di lungomare. L’aria è ferma, infuocata già al mattino. È allora che le vede. Le baracche di lamiera chiudono ogni orizzonte e abbracciano questa città dove i contrasti sono enormi, dove nessuno conosce il numero degli abitanti, dove ci sono la collina di Miramar con le ville della nomenklatura e una distesa di favelas, che intrappolano milioni di persone, e avanzano occupando ogni spazio libero, ogni anfratto, compresa la spiaggia.

Per chilometri la Papamobile bianca le costeggia, un viaggio infinito dentro la città degli esclusi dalle favolose fortune d’Angola, fino ad arrivare sulla spianata di Cimangola, terra rossa e polvere, pronta a diventare anch’essa baraccopoli in breve tempo.

Luanda è un miraggio. È passata da 800 mila abitanti a oltre sei milioni. C’è un pugno di gente che vive come a Manhattan, ristoranti da 200 dollari a pasto, gipponi americani ed elicotteri per evitare la trappola del traffico infernale. Il mausoleo di Agostinho Neto, una sorta di freccia di cemento armato che si alza nel cielo, padre dell’indipendenza dal Portogallo, è il simbolo ormai del fallimento della via angolana al socialismo che il suo successore, l’ex capo guerrigliero Eduardo Dos Santos, al potere da 30 anni, ha completamente rinnegato, impastando una dittatura socialista in una finta democrazia sotto protettorato cinese.


Prosperità, ma solo per pochi

Gli affari hanno bisogno di stabilità e il partito-Stato di Dos Santos, l’Mpla, che ha ancora la falce e martello nella sua bandiera, che ha vinto la guerra civile con l’Unita, i guerriglieri ribelli sostenuti dal Sudafrica dell’apartheid e dagli Stati Uniti, garantisce, finalmente, pace per tutti, prosperità per pochi, ma soprattutto stabilità per gli affari. Dos Santos ha promesso elezioni presidenziali per il prossimo anno. Ma pochi sono convinti che manterrà la parola. Oppure andrà a finire come le elezioni politiche dell’anno scorso: un plebiscito per il partito e il suo leader.

La tappa angolana del viaggio in Africa di Benedetto XVI era delicata altrettanto quanto quella del Camerun: simili i regimi, simili i presidenti, simili le sofferenze della Chiesa a testimonianza della giustizia per i poveri e della libertà per tutti. Benedetto XVI mette in fila le «nuvole del male» che hanno ottenebrato l’Africa, compresa l’Angola: «Flagello della guerra, frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta, una società veramente e autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori».

Il Papa parla, dopo aver visto le baracche dall’altare di Cimangola, davanti a un milione di persone. All’aeroporto lo aveva accolto il presidente Dos Santos, presentandogli i successi della democrazia popolare sotto la sua guida.


Una lezione di democrazia

Papa Benedetto XVI nel saluto va subito al cuore dei problemi di una nazione ricca, che galleggia su un mare di petrolio, sedotta da un capitalismo sfrenato. Ammette che «il vostro territorio è ricco, la vostra nazione è forte», ma «dentro i confini angolani ci sono ancora tanti poveri che rivendicano il rispetto dei diritti» e «vivono sotto la soglia della povertà assoluta: non deludete le loro aspettative».

Per due volte, Benedetto XVI dice in tre giorni che si tratta di «un’opera immane», che «il lavoro di ricostruzione è penosamente lento e duro», ma sostiene che si può fare con una «più grande partecipazione della società civile», che deve essere «più forte e più articolata sia tra le forze che la compongono come anche nel dialogo con il Governo».

Ma è al Palazzo del popolo, sede della presidenza della Repubblica, davanti ai politici angolani e agli ambasciatori accreditati a Luanda, che propone una decisa lezione di democrazia.

Prima li esorta: «Siate artefici e testimoni di un’Angola che si sta risollevando». Apre una linea di credito sulla pace che «sta mettendo radici» con «stabilità e libertà» e anche con nuove infrastrutture. Ma non basta. E spiega di cosa ha bisogno l’Angola, elenco di tutto ciò che esattamente manca: «Il rispetto e la promozione dei diritti umani, un Governo trasparente, una magistratura indipendente, una comunicazione sociale libera, un’onesta amministrazione pubblica, una rete di scuole e di ospedali che funzionino in modo adeguato e la ferma determinazione, radicata nella conversione dei cuori, di stroncare una volta per tutte la corruzione».

Il Papa ha indicato due esempi al Paese, esempi di donne, perché, ha rimarcato, sono le donne che in mezzo alla guerra e dove abbonda la povertà «vi mantengono intatta la dignità umana, difendono la famiglia e tutelano i valori culturali e religiosi». Il primo è quello di Teresa Gomes, madre di sette figli, che si oppose ai comunisti quando a metà degli anni Settanta, durante la feroce propaganda antireligiosa, chiusero la sua chiesa, e divenne leader dei fedeli che non si arrendevano alle imposizioni delle autorità, «tentando ogni strada per avere di nuovo la Messa».

Il secondo è quello di Maria Bonino, la pediatra del Cuamm, i Medici missionari dell’Africa, la prima Organizzazione non governativa cattolica italiana, morta in Angola quattro anni fa di febbre emorragica, mentre curava i bambini nell’ospedale di Uige, nel Nord del Paese, e sepolta qui. Il Papa le ha definite «donne straordinarie» e ha osservato che «la Chiesa e la società umana» vengono «arricchite della presenza e della virtù delle donne».


Alberto Bobbio


Papa Ratzi Superstar









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