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Viaggio apostolico in Camerun e Angola

Ultimo Aggiornamento: 02/05/2009 17:13
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17/03/2009 18:46
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Nell'incontro con i giornalisti durante il viaggio aereo il Papa propone una lettura dell'attuale crisi alla luce dei valori cristiani

Più solidarietà per l'Africa




dal nostro inviato Mario Ponzi

Il Papa non va in Africa con programmi politici o economici ma con un programma religioso, un programma di fede, una proposta etica. È stato lo stesso Benedetto XVI a puntualizzare così le motivazioni del suo viaggio parlando ai giornalisti durante il volo verso la capitale del Camerun, Yaoundé.
La crisi economica mondiale e i suoi riflessi sul continente sono stati uno dei temi centrali della tradizionale conferenza stampa a bordo dell'aereo, decollato da Fiumicino alle 10.25 di martedì 17 marzo. La causa della recessione - ha detto il Papa - è soprattutto di carattere etico, perché "dove manca l'etica, la morale, non può esserci correttezza nei rapporti". Durante la sua visita il Pontefice parlerà di Dio e dei grandi valori della vita cristiana, offrendo su questo terreno anche un contributo all'analisi e alla comprensione della crisi economica.
Al riguardo Benedetto XVI ha assicurato che farà appello alla comunità internazionale perché sia solidale con l'Africa. "La solidarietà e la carità - ha affermato - fanno parte della cattolicità. Dunque, è proprio dai cattolici che mi aspetto qualcosa di più". Il Papa ha accennato anche alla prossima enciclica dedicata ai temi sociali, rivelando che era già pronta e stava per uscire. Ma poi - ha spiegato - si è scatenata la tempesta e, di conseguenza, sono state riviste alcune cose alla luce dei nuovi avvenimenti per cercare risposte sempre più confacenti.
A chi gli chiedeva un commento sull'immagine di un Pontefice "solo" diffusa in questi giorni dai media dopo la recente lettera ai vescovi del mondo, Benedetto XVI ha risposto: "Devo dire che mi viene un po' da ridere del mito della solitudine del Papa". E ha assicurato che quotidianamente riceve i suoi più stretti collaboratori, incontra presuli e ha colloqui con tutti i vescovi che vengono in Vaticano. Nei giorni scorsi ha anche ricevuto alcuni vecchi compagni di ordinazione sacerdotale. Dunque "nessuna solitudine", perché - ha confidato - "sono strettamente circondato da amici".
Il Papa ha poi confermato di andare in Africa con gioia, per incontrare un popolo ricco di fede. Riferendosi in particolare alla comunità cattolica, Benedetto XVI ha parlato di una Chiesa molto vicina alla gente, presente con tutte le sue istituzioni accanto ai poveri e ai sofferenti. Certo - ha ammesso - la Chiesa non è "una società perfetta". Per questo egli farà appello anche a "una purificazione alla Chiesa". Ma si tratta - ha specificato - di una purificazione non delle strutture, ma del cuore e della coscienza, perché le strutture sono il risultato di ciò che è il cuore.
Una delle domande ha preso in esame il contesto religioso generale del continente. A questo proposito il Pontefice ha riconosciuto che l'ateismo in Africa quasi non si pone, perché per gli africani è inconcepibile vivere senza Dio. Quanto al rapporto tra fede cattolica e sette religiose, ha ricordato che l'annuncio cristiano è un annuncio sereno, perché propone un Dio vicino all'uomo e dà vita a una grande rete di solidarietà.
Sulla diffusione dell'Aids nel continente africano, il Pontefice ha risposto che non ci sono realtà più efficienti nella lotta contro la terribile epidemia di quelle legate alla presenza della Chiesa. Del resto - ha puntualizzato - non si può vincere l'Aids con il denaro, tantomeno con la distribuzione dei preservativi. Due le risposte offerte dalla Chiesa: umanizzare la sessualità e aiutare l'uomo anche nelle situazioni di sofferenza.
Il Papa concludendo la conversazione - di cui pubblicheremo la trascrizione integrale - ha parlato dei "segni di speranza" che si possono cogliere oggi nella realtà africana. La nostra fede - ha detto - è speranza. Chi porta la fede porta speranza. In Africa - ha rilevato - ci sono nuovi Governi, nuove disponibilità nella lotta contro la corruzione, che è uno dei più grandi mali da sconfiggere. E le stesse religioni tradizionali si stanno aprendo al messaggio evangelico, perché cominciano a vedere che il Dio dei cattolici non è un Dio lontano. Il Papa ha ribadito la sua fiducia nel dialogo interreligioso e parlando dei rapporti con i musulmani ha assicurato che con loro sta crescendo il rispetto reciproco nella comune responsabilità etica.



(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)






La giovane Chiesa del Camerun e Benedetto XVI

Un mosaico di razze e culture
dove i cattolici sono in continuo aumento




dal nostro inviato Mario Ponzi

È una Chiesa fresca d'annuncio quella che in Camerun accoglie il Papa. Giovane - ha poco più di cento anni - ma straordinariamente viva, in forte crescita tra la popolazione, che conta oggi oltre 18 milioni di persone. Un traguardo importante, raggiunto in questi ultimi anni grazie al sacrificio di tanti missionari e all'impegno di un laicato attento, ben formato e pronto a portare il Vangelo in ogni angolo del Paese. E non deve essere stata una cosa facile viste le numerose etnie presenti sul territorio e l'uso quotidiano di oltre 80 lingue. Eppure in questo mosaico di razze e culture è cresciuta una comunità compatta, che ha saputo in poco tempo dar vita a una Chiesa ricca di energie e pronta a offrire la sua realtà come sfondo al messaggio che Benedetto XVI porta all'intero continente.
Il Papa va in Camerun per riprendere un discorso iniziato a Yaoundé nel 1995. Un discorso teologico-pastorale, che coinvolge dunque soprattutto i pastori del grande continente nero e che riguarda il futuro di quella "Ecclesia in Africa", disegnata dalla prima assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi nell'ottobre del 1994. Nel 1995 fu Giovanni Paolo II a recarsi nella capitale del Camerun, per consegnare il documento post-sinodale. Oggi è Benedetto XVI a portare, di nuovo a Yaoundé, il documento base per la riflessione della seconda assemblea speciale per l'Africa del sinodo, che si terrà a ottobre a Roma.
Il Camerun diventa così l'emblema della continuità del magistero africano del Vescovo di Roma. E la scelta non è casuale: il Paese gode della fama di essere un'isola felice, dove la gente vive in pace pur nella molteplicità delle etnie che la popolano, lontana dalle guerre, con una certa stabilità politica, senza troppi problemi nel far quadrare i conti.
In molti ne parlano come di un'"Africa in miniatura", poiché rispecchierebbe le componenti sociali e quelle più profonde dell'anima africana. Ma qualcosa, negli anni più recenti, in Camerun, non è andata per il verso giusto. L'anno appena concluso è stato infatti scosso da una tormenta finanziaria di proporzioni gigantesche. I provvedimenti adottati per fronteggiarla hanno favorito l'inasprimento della pressione fiscale e i prezzi, soprattutto quelli dei generi alimentari e della benzina, sono finiti alle stelle con pesantissime ricadute sulla popolazione. La ribellione è scesa sulle piazze; si sono verificati scontri violenti; è rimasto nell'aria un clima piuttosto pesante.
Qualcosa di simile era già accaduto nel 2007, quando la gente era scesa in piazza per dimostrare contro i tagli dell'energia elettrica. Sono i segnali di quelle contrarietà che hanno segnato in qualche modo il volto del Paese. Prima fra tutte il declino del settore agricolo che non accenna a diminuire. La causa va ricercata nella perdurante difficoltà di accesso alla proprietà delle terre da coltivare. Ne consegue un massiccio esodo dalle zone rurali, soprattutto di giovani. I terminali finiscono per essere naturalmente le grandi città. E mentre vengono sottratte braccia all'agricoltura, si creano immense fasce di povertà che stringono d'assedio le metropoli.
Un quadro di difficoltà abbastanza comune in tutti i Paesi africani. Ma se nel Camerun la situazione è vissuta in modo quasi drammatico, è proprio perché esso è poco avvezzo a confrontarsi con difficoltà così gravi.
Infatti a metà degli anni Ottanta dello scorso secolo il Paese aveva conosciuto un trend di crescita senza precedenti, che gli era valso il titolo di oasi felice, abitata da una popolazione costituita per la maggior parte da persone qualificate e ben formate, molte delle quali uscite da istituzioni educative di ottimo livello universitario.
Tale stato di benessere è stato il frutto della stabilità politica assicurata da una democrazia paternalista, che però ha ben funzionato. Libertà, giustizia indipendente, pacifica convivenza tra le diverse etnie, azzeramento pressoché totale del debito internazionale, riduzione dell'analfabetismo (al 32 per cento contro il 58 per cento dell'intero continente), crescita costante del Pil, un guadagno medio annuo di 800 dollari pro capite (negli altri Paesi dell'Africa oscilla dai 100 ai 300). E non ultima circostanza favorevole: il Paese non è stato attraversato da guerre.
Questa bella impalcatura cominciò a scricchiolare negli anni Novanta a causa del crollo del prezzo del caffè e del cacao sul mercato internazionale. Le prime istituzioni a risentire della crisi furono quelle educative. A seguire la regressione investì la sanità e poi tutte le attività produttive.
Per di più si continuava a registrare un forte aumento della popolazione, con relativo ingigantirsi della spesa sociale. Anche sul piano internazionale il Camerun cominciò a perdere peso e considerazione. Si fecero sentire i riflessi delle crisi politiche e militari che si verificavano negli altri Paesi africani.
Le decisioni assunte per rispondere alle sollecitazioni del Fondo monetario internazionale si rivelarono disastrose per la traballante economia locale. Il risultato fu la paralisi della maggior parte dei servizi pubblici.
La piaga peggiore è comunque la corruzione a tutti i livelli. Non è un caso che i vescovi all'inizio di quest'anno abbiano lanciato un appello ai fedeli "a denunciare le piaghe che flagellano la nazione, a cominciare dalla corruzione che ostacola lo sviluppo".
Nel 2006 il governo mise in campo una vasta operazione anticorruzione. Gli effetti si fecero sentire nell'immediato, ma alla lunga la piaga si è mostrata ancora di nuovo. Circa l'80 per cento delle persone intervistate nel corso di una recente inchiesta hanno ammesso di aver dovuto pagare una tangente per ricevere un qualcosa di dovuto.
Di qui la preoccupazione espressa dall'episcopato, che non ha risparmiato neppure la comunità cristiana. Philipe Stevens, vescovo di Maroua-Mokolo, si è chiesto dove fossero in questo periodo "i quadri cristiani? Purtroppo - ha aggiunto - sono rimasti anch'essi coinvolti nelle appropriazioni indebite dei fondi pubblici destinati a scuole e ospedali. È un grande motivo di sofferenze sapere che in questa catena di corruzione dei mercati pubblici siano presenti anche persone che si dichiarano cristiane". Di qui l'appello rivolto ai fedeli di "abbandonare le vecchie pratiche che non rendono onore al loro essere cristiani" e invece si adoperino "nel cooperare allo sviluppo reale, che richiede una giusta ripartizione delle terre e l'impegno di tutti nella lotta contro la corruzione, ovunque essa si annidi". Identica preoccupazione i presuli l'hanno espressa per il futuro dei giovani.
Nonostante il quadro c'è chi è pronto ancora a scommettere sul futuro. Importante sarebbe, avvertono i vescovi, riscoprire i principi cristiani della giustizia e della verità, combattere gli abusi, evitare lo spreco di risorse pubbliche e farla finita con i favoritismi: tutte cose "che uccidono la speranza".
Una forza è rimasta in Camerun: quella della pace che unisce comunque 18 milioni di persone nonostante parlino ottanta lingue diverse. E su questa forza dovranno basarsi per ricostruire quell'immagine di isola felice che li ha portati oggi al centro del cuore della Chiesa. Il Papa viene tra loro per sostenerli ancora.



(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)





Dal Pontefice un messaggio di riconciliazione e di speranza

L'Africa non vuole essere la terra delle sofferenze dimenticate




Théodore Adrien Sarr
Cardinale arcivescovo di Dakar
Presidente della Conferenza episcopale regionale
dell'Africa occidentale

"Solidarietà pastorale organica": è stata la parola chiave della pastorale della Chiesa universale durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Tale è rimasta anche in quello di Benedetto XVI, che ha continuato la felice tradizione dei viaggi apostolici. Il successore di Pietro va da un punto all'altro del mondo conferendo così alla collegialità un dinamismo concreto di sinodalità a livello dei continenti e anche delle conferenze regionali.
È in questa luce che vediamo il primo viaggio di Benedetto XVI in Africa. Noi tutti abbiamo ammirato un anno fa, il 1° gennaio 2008, il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace, sul tema "Famiglia umana, comunità di pace". In quel documento il Pontefice, in numerosi punti, ha inteso sviluppare in modo luminoso dimensioni inattese dell'ecclesiologia della Chiesa famiglia di Dio e ha fatto dell'attenzione alla famiglia un criterio fondamentale della pace. Da parte sua, la Conferenza episcopale regionale dell'Africa occidentale (Cerao), insieme a tutte le Conferenze episcopali dell'Africa e del Madagascar (Sceam), è particolarmente attenta all'ecclesiologia della Chiesa famiglia di Dio e ne ha fatto il nucleo di un lavoro teologico e di un vissuto ecclesiale intenso, che si può osservare in quasi mezzo secolo d'esistenza. La prima visita in Africa di Benedetto XVI si situa per tutti noi in una duplice luce: quella della Chiesa famiglia di Dio e della fraternità di Cristo.
Ciò che la Chiesa regionale dell'Africa occidentale si aspetta da Benedetto XVI è, dunque, prima di tutto uno stimolo nuovo per l'edificazione della Chiesa come casa e famiglia di Dio e come fraternità di Cristo. Ci aspettiamo quindi che si manifestino quelle fibre teologiche profonde che legano Benedetto XVI, Papa eminentemente missionario per le sue convinzioni teologiche più forti, e la Chiesa in Africa. Immergendoci nelle sue stesse fonti spirituali, ci aspettiamo dal suo viaggio un'evidenziazione ancora più precisa delle ragioni per cui la famiglia è la linea profetica più importante della conoscenza di Dio, della pastorale e della missione, non solo della Chiesa in Africa, ma anche della Chiesa universale. L'opzione preferenziale per i poveri è stata un contributo proprio della Chiesa in America Latina alla Chiesa universale. La Chiesa come famiglia di Dio e la famiglia come linea profetica futura per la nostra umanità costituiscono la linea profetica africana? L'Africa sarebbe lieta di ascoltare Benedetto XVI dirlo per animarci lungo le vie della missione. Ci aspettiamo da lui che ci illumini sui vincoli intimi esistenti fra l'ecclesiologia della Chiesa famiglia di Dio e l'ecclesiologia della Chiesa regno di Dio che sta germinando. E che ci motivi, a partire da questa angolatura teologica e spirituale, ad assumerci meglio le nostre responsabilità nell'ambito delle gravi questioni sociali che lacerano l'Africa: la migrazione massiccia, con la conseguente fuga di cervelli, e l'incapacità dell'Africa di strutturarsi come spazio abitabile per i suoi figli, da cui derivano anche il sottosviluppo crescente, la corruzione, la povertà e la miseria, il malgoverno, la pandemia dell'Aids, l'annientamento sotto il peso del debito.
Se la Chiesa in Africa rappresenta l'immensa speranza della Chiesa universale, questa Chiesa scopre in Benedetto XVI un'opportunità eccezionale affinché questa speranza non deluda. Perciò si aspetta dal Papa luci per articolare sempre meglio la sua visione, la sua missione e i suoi obiettivi strategici. Si aspetta che le insegni a unire organicamente verità e metodo nella pianificazione pastorale, come i padri fondatori della Cerao ambivano a fare. La Chiesa in Africa si aspetta dal Pontefice che l'aiuti a individuare i nuovi areopaghi missionari per farne luoghi di annuncio della buona novella che Dio è amore e ama e salva oggi l'uomo africano, che ha subito e subisce le conseguenze di quello che i suoi predecessori hanno chiamato il magnum scelus o "l'olocausto sconosciuto". L'Africa non vuole essere il continente delle sofferenze dimenticate.
L'Africa attende l'aiuto di Benedetto XVI nel campo del dialogo interreligioso e dell'inculturazione. È lieta che il Pontefice ricordi al mondo e anche a essa il carattere assolutamente centrale della questione: chi è Dio e qual è il suo disegno per l'uomo in Gesù Cristo. In lui vede il pastore accorto e lungimirante, che vuole aiutare a uscire dalla "dittatura del relativismo", a qualunque livello essa si trovi. L'Africa si aspetta indicazioni in materia di dialogo, invitando ogni credente, a partire dal più profondo della sua fede, a conferire alla ragione - principio di verità e non di relatività - il suo diritto, affinché le religioni liberino veramente l'uomo e contribuiscano alla pace del mondo. Il relativismo è oggi la fonte più seria d'intolleranza e di violenza. L'Africa si aspetta da questo Papa, difensore dei diritti della ragione, che l'aiuti a lasciare che le due ali della fede e della ragione si dispieghino verso la verità di Dio, perché la Chiesa in Africa diventi anch'essa Chiesa missionaria ad gentes.
La Chiesa in Africa riceverà da lui lo "strumento di lavoro" della seconda assemblea speciale continentale del Sinodo dei vescovi. I problemi relativi alla cultura, all'inculturazione o al radicamento culturale della fede nel cuore dell'uomo - che è fonte e culmine della cultura - continuano a essere preoccupanti, ma lo sono anche i problemi sociali, e la Chiesa in Africa vuole guardarli in faccia. Il piano di azione, frutto dei risultati di questo secondo sinodo africano, fungerà per la Cerao da primo piano di azione durante la sua assemblea plenaria prevista per dicembre 2010 a Yamoussoukro.
Ci auguriamo, in definitiva, che la nostra Chiesa regionale viva sempre nella piena e totale disponibilità allo Spirito Santo che ha caratterizzato i nostri padri fondatori, affinché le nostre comunità contribuiscano a una autentica rinascita africana che ci farà uscire dalle nostre schiavitù antiche e moderne.



(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)








Una “Casa della Speranza” per i bambini di strada del Camerun


Parla il coordinatore, padre Alfonso Ruiz Marrodán





di Nieves San Martín

YAOUNDÉ, martedì, 17 marzo 2009 (ZENIT.org).- A Yaoundé – una città estesa, con circa due milioni di abitanti distribuiti su un terreno pieno di colline, in cui le abitazioni e la vegetazione si intrecciano fondendosi con il paesaggio – si possono trovare, come in altre capitali dei Paesi in via di sviluppo, numerosi bambini che sopravvivono come possono in strada.

Molti di loro hanno trovato una mano tesa nella “Casa della Speranza” diretta da un missionario gesuita spagnolo, Alfonso Ruiz Marrodán.

In un'intervista concessa a ZENIT, Alfonso Ruiz – che i bambini chiamano affettuosamente “padre”, in spagnolo – ha spiegato in cosa consiste questa risposta ecclesiale a una realtà così dolorosa come l'infanzia che si perde nelle strade.

Il sacerdote vive da undici anni in Camerun, e prima ha trascorso vent'anni in Ciad.

La “Casa della Speranza”, in cui lavora su richiesta dell'Arcivescovo della capitale, è in realtà “un insieme di iniziative, di opere, che hanno tutte lo scopo di reinserire i bambini di strada nelle loro famiglie, il reinserimento sociale dei giovani di strada e dei minori del carcere di Yaoundé”, ha spiegato il sacerdote.

“C'è un gruppo di educatori che lavora in strada e ha come retroguardia una piccola casa in affitto in cui i più piccoli possono andare per lavarsi, dormire un po', lavare i vestiti, parlare con gli educatori”.

“Ci sono anche attività di ogni tipo: manuali, pittura, ecc. Il pomeriggio però se ne vanno e tornano al loro lavoro, in strada”.

Il sacerdote ha spiegato che quando qualcuno di questi giovani vuole rientrare in famiglia, alcuni vanno a trovarla se si trova nei dintorni di Yaoundé, mentre in altri casi si viene portati qui, in quella che viene chiamata “La Casa del Fratello Yves”, “in onore del nostro fondatore, Yves Lescanne, un religioso francese della congregazione di padre De Foucauld che nel 2002 è stato assassinato da uno dei suoi ex bambini di strada, con problemi psichici, che lo ha ucciso a colpi di ascia in testa. La Diocesi ha messo a disposizione il terreno per la fondazione”.

In questa casa i giovani vengono accolti e accuditi a carico dell'organizzazione. Vivono, mangiano, vanno a scuola e svolgono una serie di attività di base, come i compiti scolastici e il mantenimento di due ettari di palmeti con i cui frutti si fa l'olio da consumare in casa. A volte ci sono anche apprendisti carpentieri o meccanici.

“A poco a poco, si prende contatto con le famiglie per vedere come li possiamo reinserire”, ha aggiunto padre Ruiz Marrodán.

La filosofia dell'organizzazione è che “il miglior posto per un bambino è la sua famiglia”, ma “ci sono ragazzi che rimangono qui quattro anni e quando dobbiamo dire loro che non possono più rimanere andranno di nuovo in strada perché la famiglia o non esiste o è così disgregata che non può accoglierli”.

La “Casa della Speranza” lavora anche nel carcere minorile.

“Tutti i giorni della settimana tranne la domenica ci sono lì nostri educatori – ha osservato il gesuita –. Si cerca di far sì che sfruttino in modo positivo il tempo che devono trascorrere in carcere”.

In uno spazio previsto per 60 persone, quest'anno sono arrivati a essere 290 e ora sono 240, ricorda. Ciò vuol dire che “in tutte le attività che vogliamo organizzare troveremo difficoltà, ad esempio organizzare la scuola, che va dall'alfabetizzazione al baccalaureato”.

“I professori sono carcerati. In uno spazio previsto per 700 persone vivono in più di 4.000”.

Secondo il sacerdote, si tratta di un'“impresa improba” perché bisogna anche cercare il materiale necessario per poter fare lezione ed essere d'accordo con tutte le autorità della prigione.

“Chiaramente i risultati non sono molto positivi perché forse arriviamo a presentare dieci persone per gli esami scolastici e solo due vengono promossi, ma occupano il tempo in modo positivo e imparano, anche se il livello non è quello di una scuola”.

“Ci sono anche laboratori artigianali, animazione sportiva e altre attività – ha proseguito il presbitero spagnolo –. Un altro aspetto importante è la comunicazione con le famiglie. Molti di questi bambini provengono dalla strada, le loro famiglie non sanno che sono in carcere e si cerca il contatto per preparare l'uscita”.

“Il problema è che passano più tempo in carcere di quanto dovrebbero. Ci sono bambini che, quando arriva la sentenza, sono condannati a sei mesi e hanno già trascorso in carcere un anno e mezzo”, denuncia.

In questo momento in cui il Paese accoglie il Papa, padre Alfonso Ruiz conclude affermando che Chiesa rappresenta un enorme fattore di umanizzazione per il Camerun.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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