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Ultimo Aggiornamento: 18/01/2013 01:18
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13/09/2009 17:55
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DOMENICA 13 SETTEMBRE 2009

La Principessa, il Papa e la Liturgia di sempre

Estratto di un'intervista della Principessa Gloria von Thurn und Taxis (nella foto).

- Molti cattolici La associano, principessa, alla difesa strenua ed indefettibile della liturgia tradizionale della Chiesa. Perché si impegna in maniera particolare per la 'forma straordinaria' del rito romano?

Si prova certo più facilmente l'atmosfera sacra nell'antico rito. Non ho mai visto una forma di messa come quella, che pur essendo obbligatoria per mezzo millennio, fu proibita dalla sera alla mattina. E ciò che mi ha naturalmente irritato è che le messe per anziani, per le famiglie, per i bambini, quelle rock e pop sono ovunque ben viste mentre per contro il rito tradizionale è sottoposto ad un boicottaggio di ostacoli.


- Un po' dappertutto si parla da qualche tempo di una 'riforma della riforma' della liturgia romana. Lei conosce bene il Santo Padre ormai da anni, per cui mi permetto in quest'occasione di porLe la domanda se Lei conta sul fatto che il papa Benedetto XVI progetta dei mutamenti importanti nel 'nuovo rito' della liturgia romana.

La riforma della riforma è senza dubbio un'espressione d'effetto per quel che deve presto arrivare. Nella liturgia concreta attuale - non nella forma stampata e prescritta - la messa è diventata alla fine il più sovente un pasto in comunità. La ripresentazione non cruenta del sacrificio del Cristo sulla Croce si cancella o meglio, non si vede quasi più e non è nemmeno più un riferimento. Questo difetto dev'essere eliminato perché ciò comporta una protestantizzazione del nostro rito. E' purtroppo il caso, sicché in effetti si parla di diversità liturgica, tuttavia la comunione sulla lingua e gli inginocchiamenti sono spesso eliminati quando non sono perfino proibiti in certe parrocchie. La messa degnamente celebrata secondo il messale di Paolo VI sarebbe già un gran progresso, se le curiose interpretazioni in parte avventurose della Santa Messa potessero scomparire. Si toglierebbe fondamento a certe argomentazioni di parecchi tradizionalisti basate su ciò. Nel quotidiano si è talmente soggetti a tanti arbitri liturgici che si deve spesso correre dai tradizionalisti per pura disperazione. Così mi è capitato per esempio a New York o a Parigi, ma anche a Monaco di Baviera dove ho già vissuto le cose le più assurde nella Santa Messa.


Fonte: Kathnews e Forum Catholique


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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La riforma della riforma è in marcia

Dal National Catholic Register, una notizia che non farà del bene all'atra bile dei riformatori bugninisti i quali, avendo bloccato le lancette dell'orologio agli "anni formidabili" della loro turbolenta giovinezza, vivono con orrore l'amara constatazione che il mondo e la Chiesa vanno avanti e non possono restare bloccati al 1970:

La Congregazione per il Culto Divino ha rifiutato di commentare ulteriormente circa le informazioni che il Vaticano sta studiando una 'riforma della riforma' della liturgia, ma una pronunzia ufficiale sulla materia è attesa a breve.

Un funzionario ha riferito al Register questa mattina che "ogni cosa è in corso di studio e sta procedendo", ma ha aggiunto di non poter dire di più finché il card. Antonio Llovera Cañizares, Prefetto della Congregazione, o la Sala Stampa della S. Sede, non emanino una dichiarazione ufficiale.

Alla fine di agosto il vaticanista veterano Andrea Tornielli ha riferito che cardinali e vescovi della Congregazione per il Culto Divino avevano votato quasi unanimemente alla loro plenaria di marzo 'in favore' di 30 proposte volte ad incrementare la riverenza nella liturgia.

Tornielli ha detto che i vescovi hanno riaffermato l'importanza di ricevere la comunione sulla lingua piuttosto che in mano e che il card. Canizares stava studiando la possibilità di 'recuperare' la pratica di celebrare Messa con il prete rivolto ad oriente. Comunque, ci sono voci confliggenti circa il fatto che queste due ultime proposte fossero incluse nelle proposte che Tornielli ha riferito siano state consegnate a Papa Benedetto XVI il 4 aprile.

Il vicedirettore della Sala Stampa vaticana, il Padre passionista Ciro Benedettini, ha sminuito il rapporto di Tornielli, dicendo che non ci sono “proposte istituzionali esistenti circa una modifica dei libri liturgici attualmente in uso”. Comunque, Tornielli ha confermato la sua versione, aggiungendo che non aveva parlato di 'proposte istituzionali', ma aveva riferito invece che un periodo di 'studi era iniziato' su quello che porterà ad una riforma a lungo termine dopo moltissime consultazioni.

L'assenza di chiarezza su questa questione è in parte dovuta all'assenza dei capi dicastero, specialmente il card. Cañizares, che è in vacanza e tornerà a Roma più avanti in questo mese. Anche il nuovo Segretario della Congregazione per il Culto Divino, l'arcivescovo americano Augustine Di Noia, è stato appena nominato e non è preparato al momento a commentare in luogo del cardinale.

“Stiamo aspettando che il cardinale torni alla fine del mese”, ha detto il funzionario della Congregazione. “Ci sarà una pronunzia della Sala Stampa o dello stesso cardinale”.


Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Eliminato Baglioni dalla santa hit parade

di Tommaso Cerno

Via le chitarre, banditi gesti e autori profani. Il cardinale Cafarra mette all'indice un elenco di brani. E la Cei vara il canzoniere benedetto Prima il crocifisso che torna al centro dell'altare papale, poi il prete che può voltare le spalle ai fedeli, secondo il rito di San Pio V, e adesso l'Indice dei canti proibiti a messa. Il restyling della liturgia, caro a Benedetto XVI, passa al setaccio anche gli spartiti musicali. Le chitarre resteranno chiuse nelle custodie, saranno vietati i canzonieri scout e i tamburi verranno banditi dai templi. Nell'era di YouTube, la Chiesa rispolvera il canto gregoriano e lancia un nuovo anatema: niente accordi facili da gita in tenda, niente battimani, sotto le volte affrescate delle basiliche risuoneranno le polifonie degli organi rinascimentali e le partiture sacre. A Bologna, il cardinale Carlo Caffarra si è mosso in anticipo, depennando di proprio pugno i canti indigesti. "Mai più", ha vergato al fianco di brani scout diventati ormai dei classici, come 'Alleluja la nostra festa', che si intona gesticolando, oppure 'Osanna eh', che contiene però un errore teologico e, in un verso, confonde il Padre con il Figlio. "Basta canzoni sciatte", tuona il porporato nel libro intervista di Alessandra Borghese. Ma la controriforma musicale non si fermerà sotto la Madonna di San Luca. La Conferenza episcopale sta per trasmettere le nuove regole a tutti i parroci italiani. Si chiama 'Repertorio nazionale per i canti della liturgia', è già stato compilato, e la pubblicazione è attesa entro settembre.

Non la si può certo definire una hit parade sacra, ma l'effetto sarà lo stesso. Da San Gennaro a Sant'Ambrogio, spariranno i Gen Rosso e le melodie orecchiabili come 'Dolce sentire', interpretata da Claudio Baglioni, per privilegiare i testi ispirati ai salmi, dal 'Kyrie eleison' di Berthier, al 'Gloria' di Lécot, passando per messale romano e tradizione italiana. Nessuna censura, ripetono alla Consulta per la liturgia, semmai il problema è opposto. E cioè che quelle canzonette non avrebbero dovuto mai varcare i santi portoni: "Si vuole riprendere la prima proposta fatta nel 1979, pur consapevoli che questa selezione non è in grado di venire incontro a tutte le esigenze locali", spiegano alla Cei. Ogni eventuale integrazione, per essere ammessa, dovrà tenere conto "della verità dei contenuti in rapporto alla fede vissuta nella chiesa" e, per gli accompagnamenti, della qualità della composizione. "È un richiamo al valore della liturgia, a messa si canta la fede, non solo parole e sentimenti", avverte don Manlio Sodi, presidente della Pontificia accademia di teologia di Roma. Come a dire che nemmeno in Parlamento si entra senza cravatta, e che preservare il rispetto di un luogo religioso non va considerata una censura.


Questa è la teoria, poi c'è la pratica fatta di canzonieri e lupetti dell'Agesci, che celebrano la messa nel bosco e strimpellano davanti al fuoco. La chitarra è il simbolo di quel modo di pregare, "visto che non si può scalare una montagna con l'organo in spalla", ripete chi ha intonato i canti religiosi e ne ha pure composti alcuni di celebri. La capo scout Lucia Spaccia è l'autrice, assieme a Laura Fiori, dell'Alleluja gestuale che sarà escluso dal repertorio. Nelle sue raccolte si trova un po' di tutto, dall''Ave Maria' fino a Beatles e De Andrè, perché negli anni c'è stata una contaminazione con i canti delle parrocchie: "Esiste una tradizione trentennale di strumenti diversi dall'organo nei canti liturgici, non va dispersa", dice Lucia. Per il resto gli scout sono d'accordo che non tutto possa essere suonato in chiesa. Già oggi, ripetono i gruppi da Milano a Roma, si distingue fra messa dei ragazzi e cerimonia solenne. "L'organo è affascinante, ma pretende una conoscenza che può diventare un limite fuori dalle cattedrali, dove Gesù comunque ascolta".

© Copyright Espresso, 18 settembre 2009


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LETTURE/ Quel libro proibito di Mosebach che gli restituì la fede

Giuseppe Reguzzoni

Non si può che essere grati alla piccola ma coraggiosa casa editrice Cantagalli di Siena per aver pubblicato, dopo un lungo periodo di voluta censura da parte di altre e più consolidate case editrici cattoliche, il bel libro di Martin Mosebach, Eresia dell’informe. La liturgia romana e il suo nemico, duecentocinqua pagine che si leggono d’un fiato, per diciassette euro, spesi benissimo. Merito, certamente, anche dell’accurata edizione in lingua italiana, curata da Leonardo Allodi.
Un solo, piccolissimo rilievo iniziale: l’edizione italiana è stata condotta su quella tedesca del 2007, cosa molto corretta sul piano editoriale, ma forse al lettore italiano può sfuggire che la prima edizione originale è del 2002, data che non è indicata e che ha una sua importanza. Non è filologismo.
La distanza cronologica tra l’edizione italiana e la prima edizione tedesca testimonia la censura che su questo volume è stata stesa da un certo establishment editoriale cattolico e, dunque, il suo estremo interesse.
Questo, infatti, è uno di quei libri che fanno davvero riflettere, nati dal coraggio di pensare, ma anche dalla gratitudine e dallo stupore.
Né si dimentichi che questo era accaduto persino a certe pagine dell’allora cardinal Ratzinger dedicate al medesimo argomento di cui tratta questo libro: la liturgia.
Martin Mosebach, in ogni caso, non è un liturgista di professione e, nel corso della sua opera, più volte ripete di non essere nemmeno teologo. Un po’ come certi poeti, che di se stessi dicono di non essere poeti, che è poi una delle forme più alte di poesia. Mosebach, in effetti, è soprattutto un grande romanziere e novelliere, nato a Francoforte sul Meno nel 1951, ma particolarmente legato all’Italia, come spesso accade ed è accaduto al fiore degli intellettuali tedeschi, quelli più autentici e più critici nei confronti della cultura dominante e, proprio per questo, meno graditi al proprio tempo. A Mosebach, tuttavia, non sono mancati dei pubblici riconoscimenti tra cui, in particolare, il prestigioso premio letterario Büchner, il Nobel della letteratura tedesca, conferitogli nel 2007, con grande ira della cricca progressista e politicamente corretta che governa la cultura tedesca (e quella europea). Vuol dire che, malgrado tutto, qualche volta i premi letterari ci azzeccano.

Che, poi, Mosebach sia un grande narratore, lo si vede anche da questo saggio, che ha come tema principale la crisi della liturgia cattolica dopo il concilio Vaticano II.

Si dovrebbe dire la crisi della liturgia della Chiesa latina, perché, come forse non è noto, i cattolici orientali non hanno introdotto variazioni nella loro prassi liturgica negli anni successivi al Concilio, ma oggi, ben pochi usano ancora parlare di Chiesa latina per indicare la molteplicità di chiese nazionali legate alla tradizione liturgica della Chiesa di Roma. Detto questo, spazziamo subito via un equivoco e ricordiamo che Mosebach non è un tradizionalista negatore del concilio Vaticano II che, come può verificare chiunque, nella Sacrosanctum Concilium non solo non ha affatto abolito l’antica liturgia romana, ma ne ha ribadito il valore, quanto alla lingua sacra, il latino, e quanto alla sostanza teologica.
Questo volume è, appunto, un saggio, ma con pagine che risultano narrate e quasi parlate, innovativo, dunque, nella forma, che riesce ad andare al di là della trattatistica convenzionale, e nei contenuti.
Il tema centrale è dunque la crisi che ha investito la liturgia latina a partire dalla riforma liturgica di papa Paolo VI.
La critica che percorre tutta l’opera va contro ciò è ormai molti studiosi chiamano l’ideologia postconciliare, che è altra cosa dal Concilio come tale e che ha come presupposto sostanziale la cosiddetta ermeneutica della rottura.
È da questo fronte, non a caso, che è scaturita la censura a posizioni intelligenti e storicamente coerenti come quella di Mosebach. Sul piano liturgico, e su quello collaterale della musica sacra e dell’architettura, l’assenza di forma, la Formlosigkeit, è la spaccatura tra forma e contenuto introdottasi nel modo di pensare la riforma liturgica postconciliare.
La liturgia è questione di salvezza e la forma della liturgia è Cristo stesso, così come ci è stato comunicato e tramandato nella Chiesa, che è una nel presente e nel passato in forza della comunione dei santi.
Mosebach non è un tradizionalista, nel senso negativo oggi attribuito a questo termine, perché non nega affatto che «si possa celebrare degnamente e con riverenza anche la nuova liturgia di papa Paolo VI» (45), ma evidenzia come proprio il fatto che se ne parli come di una possibilità costituisce un argomento ad essa contrario «nel momento in cui per la sua celebrazione diventa necessario un bravo e devoto sacerdote».
È un rilievo che Mosebach condivide con un testimone di eccezione: «Rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l'impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente era stato realizzato da Pio V nel 1570, facendo seguito al concilio di Trento; era quindi normale che, dopo quattrocento anni e un nuovo Concilio, un nuovo papa pubblicasse un nuovo messale. Ma la verità storica è un'altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli. Non diversamente da lui, anche molti dei suoi successori avevano nuovamente rielaborato questo messale, senza mai contrapporre un messale a un altro. [...] Ora, invece, la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell'antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche. [...] si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l’edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti. [...] In questo modo si è sviluppata l’impressione che la liturgia sia “fatta”, che non sia qualcosa che esiste prima di noi, qualcosa di “donato”, ma che dipenda dalle nostre decisioni» (Joseph Ratzinger, La mia vita).

L’idea di liturgia come dono e come mistero, che caratterizza la teologia liturgica di Ratzinger, ha molto in comune con l’idea di forma liturgica sostenuta e difesa da Mosebach.
Quanto al problema – teologico e dogmatico - della continuità, è stata proprio la sua chiara percezione a spingere papa Giovanni Paolo II, prima, a promulgare l’indulto che rendeva possibile l’uso dell’antico messale, previa autorizzazione del vescovo, e papa Benedetto XVI, poi, a liberalizzare completamente il suo uso, anche senza l’autorizzazione del vescovo, con il Motu proprio Summorum pontificum, del 7 luglio 2007.
Le patene portate in fonderia, le tovaglie arcobaleno buttate sulla tavola della celebrazione, i canti orrendi e spesso eretici (“sei grande Dio sei grande come il mondo mio”), le invenzioni continue a cui siamo costretti ad assistere in certe messe domenicali, la sopravvalutazione della predica e della parola rispetto alla dimensione sacramentale, gli orrori e le devastazioni architettoniche degli edifici ecclesiastici sono conseguenza diretta di questa rottura della tradizione e sono la manifestazione evidente dell’«assenza di forma».
«Alle numerosi ondate di distruzione che nella storia del nostro Paese si sono abbattute sui nostri santuari – la riforma, la secolarizzazione [napoleonica] con le sue centinaia di migliaia di profanazioni – ne è seguita una più recente, assolutamente degna dei suoi predecessori per forza distruttiva» (59). Quella che stiamo vivendo per Mosebach è una crisi iconoclasta che mette in qualche modo e in gradi diversi in dubbio il dogma centrale dell’Incarnazione e, dunque, della visibilità e rappresentabilità del Mistero nella storia. La Tradizione, in senso teologico, non ammette soluzione di continuità.
C’è da commuoversi quando Mosebach racconta nel suo volume di come abbia scoperto la bellezza nascosta di questa tradizione e di come essa gli abbia restituito la fede.
«Non sono né un convertito né un proselito», dice di se stesso proprio al principio del saggio, ma lentamente le radici atrofizzate e dormienti della fede hanno in lui ripreso vigore ed è stato, come per molti, «l’incontro con l’antica liturgia cattolica ad aver generato un processo che non è ancora giunto alla fine» (27). Viene in mente Claudel che si converte entrando a Nôtre Dame, stupito dalla bellezza della liturgia che vi veniva celebrata. È l’affermazione di questa domanda di salvezza presente, di bellezze e verità come unità profonda, a vaccinare la posizione di Mosebach da ogni rischio di estetismo.
Questo libro è dunque anche una testimonianza, di come la Tradizione nella Chiesa cristiana sia la strada che può portare sino al principio, alla Forma che dà senso e bellezza alla vita e alle opere dei cristiani; ed è certamente anche un grido, sbigottito come quello del cardinal Ratzinger, di fronte al dramma che ha investito la Chiesa e, dunque, il mondo.
Ma questo libro è anche un viaggio, che ci porta a incontrare luoghi in cui l’antica liturgia è viva l’antico si mostra in tutto il suo splendore contro una febbre di novità che è già vecchia nel momento in cui nasce: il monastero benedettino di Fontgombault, continuatore della gloria di Solesmes; l’umile cappellina ricavata nei locali di un appartamento di Francoforte, dove un sacerdote celebra in quasi clandestinità la Messa tridentina secondo l’indulto di papa Giovanni Paolo II e dove le donne presenti, senza nemmeno saperlo, riscoprono l’antica reverenza verso gli oggetti sacri e, con essa, il valore di una sacralità così vicina al quotidiano. La madre di famiglia che lava con cura il purificatoio con cui il sacerdote ha pulito il calice e che ha raccolto qualche piccola goccia del sangue di Cristo, rovesciando poi quell’acqua nell’angolo del suo giardinetto dove spuntano i fiori più belli, con questo semplice suo gesto riafferma il valore totale e assoluto della transustanziazione, sine glossa, senza condizionamenti e travisamenti che non sono poi che adattamenti allo spirito del nostro tempo.
Cristo è il giudice del tempo, non è ne è il suddito. E proprio per questo - paradossale motivo di speranza - può anche esserci, e c’è, l’«ubbidienza disubbidiente» di tanti sacerdoti che riscoprono la continuità della Tradizione, magari, contro le opposizioni aperte o subdole dei loro vescovi al Motu proprio di papa Benedetto XVI.
È l’ubbidienza disubbidiente che già fu di sant’Atanasio, il coraggioso vescovo che si oppose all’arianesimo ormai accettato da gran parte dei suoi confratelli nell’episcopato. Mosebach quest’ultimo esempio non lo fa, è troppo umile, troppo legato alla presentazione della situazione presente. Ma è un esempio che balza alla mente a chi ha affrontato lo studio delle grandi crisi attraversate dalla Chiesa nella sua storia.
La lex credendi è la lex orandi. Se cade l’una, cade anche l’altra. Si crede quel che si prega e si prega quel che si crede. Non si prega che in ginocchio, scrive Mosebach, e, allo stesso modo, non si crede che in ginocchio, perché chi entra in chiesa cerca il mistero, il sacro; non l’orizzontalità in cui siamo già immersi, ma la verticalità capace di ridare significato a quest’ultima. Dopo anni di ubriacatura comunitaria si torna a parlare di mistero e, per dirla con Guardini, di “santi segni”.
È velato il mistero della liturgia. Sin dal suo principio è un continuo velarsi, tant’è che i suoi riti iniziano «con la copertura del celebrante rivestito con diverse vesti che, insieme, hanno un carattere simbolico», in cui «diventa chiaro che le qualità del carattere e virtù come la castità, la fortezza e l’umiltà, associate con brevi preghiere ai singoli capi di abbigliamento, vengono realmente accolte come parti dell’armatura, di cui parla san Paolo» (147).
Ma questo velarsi, tanto misterioso, è altra cosa dal misticismo misterico: «un razionalismo particolarmente sobrio attraversa la letteratura liturgica occidentale, un non-voler-sapere particolarmente accentuato di quale sia la relazione tra la singola norma liturgica e la storia delle religioni». «Non c’è nulla che la Chiesa cattolica tema di più quanto l’essere associata nei suoi riti, alla magia e alla prassi» magica» (163). È velato questo mistero, di un velo che non è stato posto da mani d’uomo, perché «l’offerta velata è Cristo prima della Crocifissione, non ancora sacrificato, non ancora segno di contraddizione sollevato in alto, essa è anche Cristo velato che attende di essere spogliato dei suoi vestiti». In questo velarsi e disvelarsi il Mistero si fa presente ed è un mistero di kenosi, di annichilimento nell’abbandono. Forse la tragedia che ha investito la Chiesa latina in questo lungo autunno è parte di questa kenosi, forse si tratta di una grande prova di fede. All’inizio del suo libro Mosebach constata con amarezza che la riforma liturgica ha già sortito un effetto nel momento in cui ci costringe a parlare di liturgia, a discuterla come se fossimo noi a decidere di essa, ma, almeno, forse, questa amarezza può, se lo desideriamo autenticamente, divenire consapevolezza e libera scelta di cercare e riabbandonarci al Mistero.

© Copyright Il Sussidiario, 25 settembre 2009


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PAPA: CARD. CANIZARES GLI CONSEGNA COMPENDIO EUCARISTICO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 21 ott.

Per iniziativa della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, la Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato nei giorni scorsi un "Compendium Eucharisticum" che raccoglie testi del Catechismo della Chiesa Cattolica, orazioni, spiegazioni delle Preghiere Eucaristiche del Messale e quant'altro possa rivelarsi utile per la corretta comprensione, celebrazione e adorazione del Sacramento dell'altare.
La prima copia del volume e' stata consegnata oggi dal card. Antonio Canizares Llovera, prefetto del dicastero, a Benedetto XVI che aveva sollecitato pubblicamente tale pubblicazione nell'Esortazione apostolica post-sinodale "Sacramentum Caritatis", nel febbraio 2007 a conclusione dell'XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi tenutasi a Roma nel 2005 sul tema dell'Eucaristia.
"La pubblicazione del Compendio - scrisse il Papa - accoglie la richiesta che i Padri hanno avanzato "per aiutare il popolo cristiano a credere, celebrare e vivere sempre meglio il Mistero eucaristico".
Nella "Sacramentum Caritatis", il Papa tedesco esprimeva inoltre l'auspicio che il "Compendio" potesse "contribuire a fare si' che il memoriale della Pasqua del Signore diventi ogni giorno di più fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa". "Cio' stimolera' ogni fedele - concludeva - a fare della propria vita un vero culto spirituale".

© Copyright (AGI)


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Liturgia, fonte di vita

Una prospettiva teologica per la prassi liturgica

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 21 ottobre 2009 (ZENIT.org).

E’ appena arrivato nelle librerie l'ultimo volume di don Mauro Gagliardi dal titolo “Liturgia fonte di vita. Prospettive teologiche” (Fede & Cultura).
Si tratta di un libro che ha il pregio di proporre una visione della liturgia principalmente in prospettiva teologica e cerca di rispondere alle domande di fondamento della liturgia indicando una prassi celebrativa più consona ai sacri misteri.
Nella prefazione al libro monsignor Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero, ha scritto che “l’autore offre ciò di cui oggi più si avverte l’esigenza: un consistente e al tempo stesso accessibile approccio teologico alla liturgia” anche perchè “il Concilio vaticano II ricorda che l’approccio alla liturgia è innanzitutto di tipo teologico”.
L’Arcivescovo Segretario della Congregazione per il Clero precisa che “tra gli elementi principali che qualificano il sacerdozio vi è senz’ombra di dubbio il servizio liturgico e, in modo del tutto speciale il ministero dell’altare” per questo motivo “comprendere teologicamente e spiritualmente il senso della liturgia significa pertanto comprendere davvero il proprio sacerdozio”.
“E’ nostra convinzione - conclude monsignor Piacenza - che il presente volume possa realmente contribuire a questa necessaria riscoperta del fatto che il sacerdote è innanzitutto un uomo scelto dal Signore per stare davanti a Lui e per servirlo”.

Don Mauro Gagliardi, nato nel 1975, nel 1999 è stato ordinato presbitero dell’Arcidiocesi di Salerno, nella quale svolge il ministero di Viceparroco e di Assistente diocesano della FUCI.
Dottore in Teologia (Gregoriana, Roma 2002) ed in Filosofia (L’Orientale, Napoli 2008), dal 2007 è Ordinario della Facoltà di Teologia dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma.
Dal 2008 è Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. Ha pubblicato diversi volumi, articoli e contributi a miscellanee, sia in Italia che all’estero.

Per cercare di comprendere il rapporto tra teologia e liturgia, ZENIT lo ha intervistato.

Perché un docente di teologia, quale lei è, ha deciso di scrivere un libro sulla liturgia?

Gagliardi: Direi che ci sono diversi motivi, alcuni dei quali sono circostanziali ed altri toccano maggiormente il merito dello studio teologico. Negli ultimi anni, mi sono trovato, per una serie di eventi occasionali, ad approfondire lo studio della liturgia. Inizialmente, i miei studi erano rivolti quasi esclusivamente alla teologia dogmatica, che è il mio campo principale di specializzazione e di insegnamento. Un giorno, durante il mio ultimo anno di dottorato in teologia, mi capitarono tra le mani alcuni libri che mi incuriosirono: essi presentavano il tema della liturgia in un modo diverso da quello cui ero abituato: mi appassionai nella lettura di essi e, in seguito, di altri saggi analoghi. Cominciai così a farmi una cultura liturgica.
Per dirla in breve, l’approccio di quei volumi presentava la liturgia non solo dal punto di vista storico – che pure non veniva trascurato – ma anche da quello teologico. Ciò che non avevo mai conosciuto bene era una teologia della liturgia e, quando questa mi venne incontro, la accolsi con gioia, quasi in modo connaturale. In seguito, ho letto e riletto tante volte l’eccezionale libro del cardinale Ratzinger Introduzione allo spirito della liturgia e gli altri suoi saggi in materia liturgica. Penso di averli letti tutti e ognuno più volte. Nel 2007, pubblicai un libro sull’Eucaristia (Introduzione al Mistero eucaristico. Dottrina – Liturgia – Devozione), nel quale sviluppavo sia l’aspetto dogmatico, che liturgico, che spirituale del grande Sacramento dell’altare.
In effetti, il mio approccio restava teologico-dogmatico, ma ora, grazie ai nuovi studi, potevo vedere meglio il fecondo legame tra dottrina, liturgia e devozione. Il libro uscì tra l’altro quasi contemporaneamente all’Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, che tratta dell’Eucaristia proprio sviluppando queste tre dimensioni. Fu per me una conferma autorevolissima dello studio che avevo fatto per scrivere il libro.
Nel 2008, sono stato poi nominato Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. Anche a motivo di ciò, il mio studio in ambito liturgico continua e si approfondisce, anche se deve dividersi il campo con la ricerca nell’ambito dogmatico, che ovviamente deve proseguire.
Esponendo queste circostanze, credo di aver spiegato anche come mai un dogmatico si interessi di liturgia: eventi concreti mi ci hanno portato, ma questi eventi non facevano altro che stimolare in me l’interesse per aspetti non ancora sviluppati e che sono strettamente connessi al dogma stesso. Nel caso specifico del mio ultimo libro (La liturgia fonte di vita. Prospettive teologiche, Fede e Cultura, Verona 2009), l’occasione mi è stata fornita da un invito a tenere un seminario monografico intensivo, nell’ambito del Corso Internazionale per i Formatori di Seminari: un’importante iniziativa che si tiene ogni estate a Leggiuno, in provincia di Varese, organizzata, ormai da vent’anni, dall’Istituto Sacerdos.
Il corso offre a rettori, professori, padri spirituali e formatori dei seminari di tutto il mondo un programma ampio e molto ben strutturato di formazione e di aggiornamento, sulle tematiche attinenti alla formazione dei futuri sacerdoti. Nel luglio del 2008, parlai per tre giorni della liturgia a questi confratelli sacerdoti, provenienti dai cinque continenti, ed anche a un vescovo orientale che pure partecipava al corso, e mi accorsi del loro grande interesse per il taglio teologico che davo alla mia trattazione. I dati biblici, storici e filologici certamente contano e io cercavo di non farli mancare, assieme all’analisi di casi concreti, ma l’interesse era suscitato soprattutto da una comprensione teologica della liturgia. Dopo questa esperienza positiva, decisi di sistemare bene le mie dispense e ne è nato il libro.

In un mondo che sembra sempre più secolarizzato perché un libro sulla liturgia?

Gagliardi: Direi al contrario che, proprio perché spesso il mondo moderno – almeno il mondo occidentale – ci appare sempre più lontano dalla fede e dalla religione, c’è bisogno di ricordare alcuni punti fermi e, tra questi, certamente c’è il culto divino, o sacra liturgia.
A volte si è pensato che, dinanzi alle sfide della «città secolare», anche il cristianesimo, se vuole essere accettato, debba secolarizzarsi. Non posso ovviamente qui entrare nei dettagli di un tema che è molto ampio, anche se si è esaurito negli stessi anni in cui sorse all’interno della teologia. Per la liturgia vale un discorso simile.
Sembra che in molti casi vi sia stata una tendenza a secolarizzarla, quasi a «de-mitizzarla», a renderla meno divina e più umana, in modo che le persone potessero riconoscervisi maggiormente, stanti la mentalità e la cultura tipiche del nostro tempo. È chiaro che la liturgia si forma e cambia, attraverso i secoli, anche in base all’influsso delle culture. Bisogna però prudentemente verificare quando si tratta di cambiamenti omogenei con la tradizione, e quindi generalmente parlando positivi, e quando no.
Anche in questo caso, è impossibile qui entrare nei dettagli, ma alla Sua domanda rispondo: proprio in un mondo che sembra spesso lontano da Dio, c’è bisogno ancor più di una liturgia davvero divina e sacra.
Non è corretto dire – come spesso si è fatto – che oggi i problemi della Chiesa sarebbero “ben altri”. Il culto che noi dobbiamo dare a Dio pubblicamente, e la corretta forma nel rendere questo culto, sono di importanza capitale per l’uomo di ogni epoca, qualunque siano i problemi che ci si trovi a fronteggiare.
Anzi, a pensarci bene, si fatica ad individuare qualche problema che sia più importante per l’uomo del suo rapporto con Dio, di cui la liturgia sacra è momento apicale.

Quali sono i temi rilevanti analizzati nel libro? Che cosa intende comunicare ai lettori? Quali sono gli obiettivi che pensa di raggiungere?

Gagliardi: Comincio dalle ultime due domande e rispondo semplicemente che ciò che mi propongo, quando studio, insegno o scrivo, è la ricerca personale della verità e la conseguente diffusione di essa. Perciò non mi propongo mai di escogitare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno ha mai saputo o detto prima. Cerco di dire in modo chiaro e, quando è possibile, anche in modo nuovo, ciò che la Chiesa ha sempre saputo e che incessantemente continua ad insegnare ed approfondire nello sviluppo della sua vita.
Per quanto riguarda i temi del mio libro, ho trattato, a livello di temi fondamentali e generali, del concetto di liturgia, del ruolo del sacerdote ministro e dei fedeli nella celebrazione, del modo in cui la liturgia è per noi fonte di vita, ossia sorgente della grazia, della santificazione liturgica del tempo e dello spazio, della dinamica teologica dell’Eucaristia, della bellezza liturgica, nonché del rapporto tra liturgia ed etica e liturgia e devozione, concludendo sulla formazione liturgica. Inoltre ho proposto un capitolo con una breve storia della riforma liturgica dal Concilio di Trento ai nostri giorni. Nel libro si trovano anche diversi temi specifici e concreti quali: l’orientamento nella preghiera liturgica, la lingua da utilizzare nella celebrazione, l’atteggiamento migliore per ricevere la Santa Comunione ed altri.

C’è ancora molta polemica sull’esito delle riforma liturgica post-conciliare. Può illustrarci i termini del dibattito e qual è il suo parere in proposito?

Gagliardi: Circa i termini della questione, detto in estrema sintesi: dopo il Vaticano II, una commissione a ciò deputata ha operato per condurre a termine la riforma generale della liturgia, chiesta dal Concilio. I risultati concreti di questa riforma, per ammissione dell’allora cardinale Ratzinger e di tanti altri studiosi, non corrispondono in tutti i concreti dettagli al testo della Sacrosanctum Concilium.
Qui le posizioni divergono: alcuni parlano di tradimento del Concilio e, ancor più, della Chiesa e della sua immemorabile tradizione liturgica e vorrebbero un annullamento completo della riforma, cui faccia seguito una restaurazione della liturgia alla situazione del 1962, se non prima. Altri, al contrario, tendono quasi ad operare una canonizzazione della riforma nel modo in cui è stata condotta e nei suoi risultati e si dimostrano a volte persino aggressivi quando qualcuno avanza l’ipotesi non certo di annullarla, ma anche solo di rivederla e correggerla.
Entrambi gli schieramenti, a mio avviso, sono in errore. E queste prospettive impediscono anche di valutare nel modo giusto alcune importanti decisioni che il Santo Padre ha operato.
Tuttavia esiste una terza via, che è quella giusta, che consiste nel favorire lo sviluppo omogeneo della tradizione liturgica della Chiesa.

Secondo un sondaggio recente, due praticanti su tre andrebbero alla Messa tridentina almeno una volta al mese se l’avessero in parrocchia, ma sembra che diversi Vescovi e parroci non abbiano in simpatia questo rito. È vero? Che cosa ne pensa?

Gagliardi: Ho letto di questo recente sondaggio, condotto dalla Doxa, una nota società che opera nel settore. I risultati dovrebbero quindi, in linea di massima, corrispondere alla situazione reale, per quanto possibile ad un sondaggio.
Dalla pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum, ormai più di due anni fa, molte volte i giornali, le riviste e i siti web hanno riportato notizie di dichiarazioni e/o decisioni di membri del clero, che sembrano andare in una direzione diversa da quella auspicata dal documento pontificio.
In questo senso, si può dire che una parte, che non saprei quantificare, di vescovi e sacerdoti pare non essere entusiasta all’idea di vedere un nuovo diffondersi della celebrazione della Messa secondo l’uso più antico. I motivi di questo atteggiamento possono essere diversi ed è chiaro che non possiamo fare qui un’analisi approfondita e puntuale.
Il mio parere personale è che, se il Santo Padre ha deciso di favorire, attraverso la sua decisione, quelli che desiderano celebrare o partecipare alla forma più antica del rito romano, coloro che non amano particolarmente tale forma – e quindi non desiderano personalmente avvalersi della facoltà concessa – non dovrebbero frapporre ostacoli all’attuazione di una normativa che, essendo stata emanata dalla Suprema Autorità, ha valore per tutta la Chiesa.
Certo, ci possono essere dei casi particolari, in cui gli estimatori del rito di San Pio V avanzano pretese eccessive.
Questi casi vanno valutati singolarmente da parte dei vescovi, che restano, nelle loro diocesi, i responsabili principali della vita liturgica (e si ricordi che agli stessi vescovi compete vigilare non solo su questi casi, ma anche sull’attenta osservanza delle norme fissate nei libri liturgici post-conciliari).
Mi pare, tuttavia, che i casi di eccesso da parte degli estimatori del rito più antico siano stati, da due anni a questa parte, meno frequenti di dichiarazioni o azioni volti a scoraggiare la celebrazione di quel rito.
In breve, direi che è essenziale che nessuno anteponga la sua autorità particolare o la sua visione personale alle decisioni del Santo Padre, che è il centro di unità visibile della Chiesa.

Molti fedeli lamentano un impoverimento della attuale prassi celebrativa. Quali sono le cose che lei consiglia di fare per rinnovare e rendere più bella e intensa la liturgia?

Gagliardi: Ce ne sono tante, che espongo nel mio libro e quindi, per rispondere alla Sua domanda, non dovrei far altro che rimandare alla lettura di esso. Tuttavia, posso almeno dire che alla base delle tante cose da fare o da rinnovare – tanto a livello più generale, quanto a livello di dettaglio – credo che ci sia una verità teologico-liturgica attorno alla quale ruota tutto il resto: il protagonista della sacra liturgia non è l’individuo né la comunità – che pure hanno parte rilevante – bensì il Dio trinitario ed il suo Cristo. Tutto sta qui.
Questo è davvero l’essenziale. Ogni accorgimento, ogni disposizione, ogni atteggiamento corporeo e spirituale, ogni oggetto utilizzato nella liturgia deve essere una manifestazione di questo fatto: non celebriamo noi stessi o la nostra comunità. Il nostro culto è rivolto a Dio Padre, attraverso Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questo culto in spirito e verità ci santifica e ci dischiude la vita eterna.

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31/10/2009 11:44
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Intervista al card. Cañizares sulla riforma della riforma

Il blog New Liturgical Movement pubblica la parte "liturgica" di una recente intervista rilasciata dal cardinal prefetto della Congregazione per il Culto Divino, Antonio Cañizares Llovera:


- A breve sarà trascorso un anno dalla Sua nomina a prefetto della Congregazione per il Culto Divino ... Come valuta il suo debutto nella Curia romana?

Non spetta a me valutare il mio operato. Tutto ciò che ho da dire è che è un periodo molto importante per tutti, c’è un lavoro intenso ed ha avuto luogo una plenaria della Congregazione, sono state avanzate delle proposte che il Santo Padre ha approvato e costituiscono la nostra base di lavoro [NLM: questo sembra riferirsi alle “proposte di riforma della riforma” menzionate da Andrea Tornielli in agosto, cfr. qui]. Il grande obiettivo è ravvivare lo spirito della liturgia nel mondo

- Quali sono state le prove più urgenti che ha dovuto affrontare?

Qui c’è ogni mattina un affare urgente, relativamente agli eccessi ed errori che vengono compiuti in campo liturgico, ma al di sopra di tutti, la sfida più urgente ovunque è il recupero del senso della liturgia. Non si tratta di cambiare le rubriche o introdurre cose nuove, si tratta semplicemente di vivere la liturgia e metterla al centro della vita della Chiesa. La Chiesa non può esistere senza la liturgia, poiché la Chiesa è qui per la liturgia, per lodare, ringraziare, offrire il sacrificio del Signore, per glorificare... Questo è fondamentale, senza tutto ciò non ci sarebbe la Chiesa. Anzi, non ci sarebbe l’umanità. Pertanto questo è un compito estremamente urgente e pressante.

- Come si può recuperare il senso della liturgia?

Al presente lavoriamo con calma su diverse questioni relative a progetti educativi. Questa è la prima necessità: una buona e genuina formazione liturgica. Il soggetto della formazione liturgica è critico perché in realtà non c’è sufficiente educazione [al momento]. La gente crede che la liturgia sia una questione di forme e realtà esteriori, e noi crediamo sia necessario recuperare il senso del culto, ad esempio il senso di Dio in quanto Dio. Questo senso di Dio può essere riscoperto solo attraverso la liturgia. Di conseguenza il Papa è molto impegnato a sottolineare la priorità della liturgia nella vita della Chiesa. Quando uno vive lo spirito della liturgia, entra nello spirito del culto, nella riconoscenza verso Dio e in comunione con Lui, ed è questo che trasforma l’uomo in una persona nuova. La liturgia è sempre rivolta a Dio, non alla comunità; non è la comunità che fa la liturgia, ma Dio. È Lui che viene ad incontrarci e a offrirci di partecipare alla Sua vita, alla Sua grazia e al Suo perdono... Quando si vive davvero la liturgia e Dio è davvero al centro di essa, tutto cambia.

- Siamo così lontani oggi dal vero senso del mistero?

Sì, attualmentec’è una grande secolarizzazione, il senso del mistero e del sacro è andato perduto, non si vive più secondo lo spirito di rendere culto a Dio e di lasciarLo essere Dio. Allora crediamo necessario fare continui cambiamenti in liturgia, innovare e rendere creativa ogni cosa. Non è necessario questo nella liturgia, bensì rendere vero culto, cioè riconoscere Colui che ci trascende e che si offre per salvarci. Il mistero di Dio che è l’incredibile mistero del Suo amore, non è qualcosa di vago, ma è Qualcuno che viene ad incontrarci. Dobbiamo riscoprire l’uomo che adora. Dobbiamo riscoprire il senso del mistero. Dobbiamo recuperare ciò che non si sarebbe mai dovuto perdere. Il più grande male che può essere fatto all’uomo è tentare di eliminare dalla sua vita la trascendenza e la dimensione del mistero. Oggi ne sperimentiamo conseguenze in tutti gli ambiti della vita. Sono la tendenza a rimpiazzare la verità con l’opinione, la confidenza col disagio, il fine con i mezzi… Per questo è così importante difendere l’uomo contro tutte le ideologie che ne intaccano la triplice relazione col mondo, con Dio, con gli altri e con Dio. Mai prima si era tanto parlato di libertà e mai c’erano state così tante schiavitù.

- Dopo molti anni vissuti tra l’insegnamento e il ministero episcopale, come ha vissuto la chiamata a servire nella Curia Romana come “ministro del Papa”?

L’ho accettata con grande gioia, perché significa compiere la volontà di Dio. Quando uno fa la volontà di Dio è felicissimo, benché devo ammettere che non mi aspettavo qualcosa del genere. Allo stesso tempo il fatto di lavorare insieme al Papa mi permette di vivere intensamente il mistero della comunione. Mi sento davvero unito a lui, lieto di aiutarlo a realizzare le sue richieste e come è noto, uno dei suoi obiettivi principali riguarda la liturgia.




Cañizares non scende nei dettagli ma, dell'intervista si è occupato anche il giornalista Marco Tosatti (La Stampa, 29 ottobre 2009) il quale ripete che "Secondo indiscrezioni pubblicate da “Il Giornale” ad agosto, la Plenaria avrebbe deciso in favore di una maggiore sacralità del rito, di un recupero del senso dell’adorazione eucaristica, di un recupero della lingua latina nella celebrazione e del rifacimento delle parti introduttive del messale per porre un freno ad abusi, sperimentazioni selvagge e inopportune creatività. Si sarebbero anche detti favorevoli a ribadire che il modo usuale di ricevere la comunione secondo le norme non è sulla mano, ma in bocca. C’è, è vero, un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire l’ostia anche sul palmo della mano, ma questo dovrebbe in futuro rimanere un fatto straordinario. Il «ministro della liturgia» di Papa Ratzinger, Cañizares, starebbe anche facendo studiare la possibilità di recuperare l’orientamento verso Oriente del celebrante almeno al momento della consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia i fedeli che il prete guardavano verso la Croce e il sacerdote dava dunque le spalle all’assemblea."


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Il Papa ci salvi dalle brutte chiese

Francesco Borgonovo

Quando a Foligno è stata inaugurata la chiesa a forma di cubo progettata da Massimiliano Fuksas, i cittadini umbri hanno tempestato il web di messaggi per protestare contro l’opera, da alcuni considerata tra gli edifici più brutti d’Italia.
Quel caso ha permesso che fra critici e architetti si aprisse un dibattito, di cui ha dato conto su queste pagine Caterina Maniaci qualche tempo fa.
Ora la questione viene sollevata nientemeno che di fronte a Papa Benedetto XVI, tramite un appello che sarà reso pubblico il prossimo 4 novembre, in previsione dell’incontro con gli artisti provenienti da tutto il mondo che si terrà il 21 del mese.
Il documento sta ancora circolando fra gli esperti, ma finora pare abbia raccolto adesioni importanti. Per esempio quella dello scrittore Martin Mosebach, autore di Eresia dell’informe, del giornalista Sandro Magister, dell’architetto Ciro Lomonte, del filosofo Enrico Maria Redaelli. E ancora compaiono lo storico Paul Badde (corrispondente del giornale Die Welt), il filologo Francesco Colafemmina, il teologo Michele Loconsole e l’editore Manuel Grillo.

Strutture poco amate dai fedeli

Il fatto è che molte delle nuove chiese - come quella di Dio Padre Misericordioso nel quartiere di Tor Tre Teste a Roma, quella di San Giovanni Rotondo progettata da Renzo Piano o quella di Gesù Redentore a Modena ideata da Mauro Galantino - non spiccano per bellezza e, soprattutto, non sono amate dai fedeli.
«Vediamo crescere di giorno in giorno edifici sacri spogliati del sacro e costruiti senza alcuna cognizione della liturgia, ma modellati sul funzionalismo o sull’estro inconsulto e arbitrario dell’architetto creatore», recita l’appello. «Vediamo le nostre chiese pullulare di immagini e simbolismi più genericamente “religiosi”, ma che non illustrano alcuna realtà genuinamente cattolica». Secondo gli estensori, «l’arte e l’architettura sacre oggi non sembrano favorire l’incontro dolce e vivificante» con Dio, ma piuttosto «ostacolano e pervertono costantemente».
Di chi è la responsabilità se i credenti si devono raccogliere in edifici orrendi? Non solo degli architetti che li progettano, ma anche di chi commissiona le opere.
Ecco che, su questo punto, l’appello fa riferimento al Discorso intorno alle immagini sacre e profane del cardinal Gabriele Paleotti, risalente al 1582, secondo il quale «gli abusi non sono tanto da ascrivere agli errori che gli artisti commettono nel dar forma alle immagini, quanto piuttosto agli errori dei signori che le commissionano e che trascurano di commissionarle come si dovrebbe: essi sono le vere cause degli abusi, in quanto gli artisti non fanno che seguire le loro indicazioni».
Insomma, anche i committenti si fanno spesso incantare dalle sirene della moda, motivo per cui si affidano ad archistar come Massimiliano Fuksas o Renzo Piano, forse senza pensare che i trend passano, ma gli edifici restano.
«L’opera artistica e architettonica», scrivono Lomonte e gli altri, «a differenza della liturgia, permane anche dopo la conclusione della liturgia stessa. Essa ha perciò il compito aggiuntivo di essere eco della liturgia, una volta che questa sia terminata. Pertanto la decorazione della chiesa e la sua struttura architettonica debbono rivendicare una inalienabile funzione pedagogica e protrettica verso la fedeltà al messaggio evangelico e liturgico».

Il sito internet per le adesioni

Dunque basta con le chiese che assomigliano a capannoni o cubi di cemento, meglio qualcosa di più semplice, che però si adatti al ruolo che gli edifici sacri devono svolgere.
Il documento, come dicevamo, sarà disponibile online dal prossimo 4 novembre sul sito internet www.appelloalpapa.blogspot.com/.

Per aderire, invece, basta scrivere una email all’indirizzo appelloalpapa@gmail.com. Chissà che Benedetto XVI non decida di prendere personalmente in mano la questione.

© Copyright Libero, 1° novembre 2009


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20/11/2009 23:20
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Che cosa significa per la Chiesa la fine dell’esilio musicale della scuola romana

Paolo Rodari

Il ritorno in basilica di San Pietro del 92enne maestro Domenico Bartolucci e del suo coro polifonico – ieri pomeriggio, ore cinque, durante una messa celebrata all’altare della Cattedra dal cardinale arcivescovo Angelo Comastri – ha un significato importante non soltanto per lui ma anche per la chiesa. Fu, infatti, nel 1997 che Bartolucci, maestro perpetuo (e, dunque, a vita: dal 1956 per volere di Pio XII) della Cappella musicale pontificia sistina (il coro che accompagna le liturgie presiedute dal Papa) venne messo in pensione. Dopo anni trascorsi ad accompagnare ogni celebrazione eucaristica papale, gli venne chiesto di fare un passo indietro. E la cosa venne chiesta non soltanto a lui, ma anche alla sua musica: erano i tempi in cui, anche in Vaticano, si sperimentavano nuove forme e percorsi di musica liturgica. Tempi in cui il gregoriano e la musica polifonica romana, quella che ebbe come maggiore esponente Giovanni Pierluigi da Palestrina, ebbero poco spazio nelle liturgie papali. Tempi in cui ancora nessuno oltre il Tevere ebbe il coraggio di proporre, in campo musicale, quella riforma della riforma più volte auspicata da Joseph Ratzinger da quando è salito al soglio di Pietro.
Alle cinque del pomeriggio di ieri il cardinale Comastri ha fatto il suo ingresso in basilica preceduto dalla processione di concelebranti. Bartolucci, in talare e cotta, si è alzato in piedi e con un breve cenno della mano destra ha dato il là al canto iniziale, poi al Gloria. Di colpo i dodici anni d’esilio dalla basilica vaticana sono stati spazzati dall’incedere delle note, dal ritorno della cosiddetta “scuola romana”. In particolare, il ritorno della sensibilità tutta particolare del maestro: la sua musica affonda le radici nel gregoriano e nella polifonia palestriniana, si riallaccia al loro linguaggio modale, rivissuto e riarricchito con una sensibilità moderna particolarmente fedele alla cantabilità della scuola romana, pur con gli accorgimenti che il tempo e l’evoluzione del linguaggio hanno comportato. In sostanza, la sintesi del credo musicale di Bartolucci è un ragionato ossequio alla tradizione, alla cui base si colloca, come dice lui stesso, “una nobile severità di canto e quella limpida e solida polifonicità”. Un credo musicale che piace a Ratzinger se è vero – come è vero – che fu l’attuale Pontefice a dolersi più di altri dell’allontanamento di Bartolucci dal coro della Cappella sistina.
Fu Benedetto XVI ad offrire, da quando il 19 aprile del 2005 venne eletto Papa, segnali importanti ai palati più fine d’oltre Tevere quanto a musica liturgica. E nel darli, c’entra sempre in qualche modo Bartolucci. A sorpresa, infatti – era il 24 giugno 2006 – chiamò il maestro a dirigere un concerto nella Cappella sistina. E non mancò chi sottolineò la cosa leggendovi l’intenzione papale di restituire alla Sistina il prestigio di secoli di musica liturgica.
Poi, un anno dopo, un secondo segnale: per la prima volta, su indicazione dell’ufficio delle cerimonie liturgiche diretto dal successore di Piero Marini, ovvero Guido Marini, ogni celebrazione natalizia fu preceduta da qualche minuto di ascolto di musica e letture, sì da “disporre l’animo dei fedeli al clima di preghiera e di raccoglimento”.
Ma sono tutte le celebrazioni liturgiche di Benedetto XVI che hanno detto qualcosa alla chiesa. Tanti i segnali lanciati dal Papa a cominciare dal Motu proprio Summorum Pontificum che liberalizzando l’antico rito rivisto nel 1962 da Giovanni XXIII riabilita (se mai avesse bisogno di riabilitazione) il canto gregoriano. Ciò che a detta di molti ancora manca, è un ufficio vaticano interamente dedicato alla musica sacra. Ne aveva parlato, in un intervento tenuto in convegno a Trento e ripreso anche dall’Osservatore Romano nel novembre di due anni fa, Valentìn Miserachs Grau, preside del Pontificio istituto di musica sacra: “In nessuno degli ambiti toccati dal Concilio si sono prodotte maggiori deviazioni che in quello della musica sacra – disse –. E per ovviare a questa situazione “sarebbe opportuna l’istituzione di un ufficio dotato di autorità in materia”.

Pubblicato sul Foglio venerdì 20 novembre 2009


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VENERDÌ 27 NOVEMBRE 2009

La comunione al tempo del colera

La diffusione dell'influenza suina (o influenza A, o N1H1; il colera non c'entra nulla, se non a parafrasare il romanzo di Garcìa Marquez) ha creato allarmi di pandemìa un po' in tutto il mondo e la cosa ha avuto risvolti anche liturgici.

E' parso infatti che alcuni vescovi non aspettassero altro per sfruttare l'occasione come pretesto per proibire la comunione sulla lingua ed imporla sulle mani: e con tanto maggiore impegno, in quanto occorre contrastare il buon esempio che il Papa si sforza di dare, per il ritorno alla corretta postura nel ricevere l'Eucarestia.

La moda del divieto è iniziata in Messico (il paese per primo colpito dall'epidemia) e si è poi diffusa, al pari del virus, qua e là per il mondo.

Il minimo buon senso ha poi portato ad accorgersi che, ben più del rischio (tutto sommato remoto) di scambi salivari mediante la comunione sulla lingua, altri comportamenti a Messa rappresentano fonti di ben maggior pericolo di contagio: massimamente lo scambio della pace (sulle mani si concentrano virus, bacilli, germi e batteri, specie allorché ci si ripara la bocca con le mani, tossendo o starnutendo); il tenersi per mano al Padrenostro; la comunione sotto le due specie effettuata bevendo al calice. Come dire: ce n'è per i tradizionalisti, ma ce n'è ancor più per i novusordisti.

Sicché, normalmente i vescovi si preoccupano equanimemente di vietare sia la comunione sulla lingua, sia lo scambio della pace. Ma la cosa preoccupa poco i modernisti: convincere le persone ad abbandonare il tradizionale modo di comunicarsi, sanno bene, produce di norma effetti irreversibili. Le pestifere strette di mano, invece, riprenderanno senza problemi passata la pestilenza, grazie alla pressione sociale: come si fa a snobbare sdegnosamente la mano tesa del vicino?

Ora, chiariamo un punto. Noi non siamo in linea di principio contrari a norme eccezionali, temporanee e giustificate da serie ragioni sanitarie, che imponessero rivolgimenti liturgici come il divieto di comunicarsi sulla lingua. In tempo di pestilenza, è lecito perfino sciogliere dal precetto domenicale. Né è accettabile un contegno di chi voglia assumere rischi inutili dicendo di confidare nella protezione divina: quella non è Fede, è fideismo; anzi, è un tentare Dio: Gesù Cristo respinse la tentazione del demonio, che gli suggeriva di gettarsi dal pinnacolo confidando nel soccorso degli angeli inviati dal Padre. Spesso, forme di fideismo sono state le migliori alleate delle epidemie: Manzoni ci ricorda come la peste si diffuse in Milano in un lampo, per effetto della calca e della promiscuità verificatesi durante la solennissima processione che era stata indetta proprio per impetrare protezione da quella peste.

Questo, in linea di principio. Ma che nel caso attuale un divieto di comunicarsi sulla lingua abbia giustificazione, è del tutto indimostrato. Pertanto salutiamo con favore una lettera della Congregazione per il Culto Divino, che ricorda come comunicarsi nel modo tradizionale sia un diritto per ogni fedele non altrimenti impedito. Quel che più conta, la Congregazione promette di intervenire per far rispettare quel diritto.

Ecco il testo della lettera pubblicata da Rorate Caeli e da noi tradotta.


Roma, 24 luglio 2009

Egregio ****

Questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti desidera accusare ricevuta della Sua lettera datata 22 giugno 2009 concernente il diritto del fedele a ricevere la S. Comunione sulla lingua.

Questo dicastero osserva che la sua Istruzione Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004) chiaramente osserva che "ogni fedele ha diritto a ricevere la S. Comunione sulla lingua" (n. 92), né è lecito negare la S. Comunione ad alcun fedele di Cristo che non sia impedito per legge a ricevere la Sacra Eucarestia (cfr. n. 91).

Questa Congregazione La ringrazia per aver portato questa importante questione alla sua attenzione. Sia certo che saranno effettuati gli opportuni interventi.

Possa Ella perseverare nella fede e nell'amore per N. Signore e la Sua S. Chiesa e nella continua devozione al SS. Sacramento.

Con ogni augurio ed i migliori saluti

Suo in Cristo

P. Anthony Ward S.M., Sotto-Segretario

C'è anche chi, fiutando l'affare delle fobie ipocondriache, si è andato a inventare il distributore di ostie perfettamente igienizzato; eccovelo qua sotto; se vi interessa saperne di più, andate a leggere su Cantuale Antonianum e sul blog di Fr. Z.


Nella pubblicità dell'aggeggio è un piccolo capolavoro di blasfemia la frase: "per ridurre il costo, il tempo e il personale necessario a distribuire la comunione, fino al 50%". Almeno servisse a togliere di mezzo un po' di ministri straordinari dell'Eucarestia...


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Domani, domenica 29 novembre, Radio Maria trasmetterà la Santa Messa secondo il rito tridentino

Cari amici, ricordo che domani mattina, 29 novembre 2009, Prima Domenica di Avvento (nel rito romano), alle ore 10.30, Radio Maria trasmetterà la Santa Messa secondo il rito tridentino dalla Chiesa Sant' Antonio - Acireale (Catania). R.


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LUNEDÌ 30 NOVEMBRE 2009

New York Times: "40 anni di nuova messa hanno portato caos e banalità"

Ci sono degli eventi in apparenza piccoli che, più di molti altri, danno una precisa indicazione dei 'segni dei tempi' e dell'evoluzione della società e delle opinioni. Uno di questi ci appare con sicurezza il fatto che l'articolo che segue, che fino a pochissimi anni fa sarebbe stato liquidato come nostalgico, reazionario, integralista, ecc., sia apparso ieri sul prestigioso (e diffusissimo) New York Times. E' la dimostrazione che quanto leggerete, e che noi sottoscriviamo convinti, sta diventando sempre più la convinzione comune della più larga parte della società. In particolare dei meno anziani. E specie negli Stati Uniti, una nazione di gente pragmatica, meno permeabile alle ideologie e quindi meglio in grado di giudicare con buon senso se qualcosa (nel caso: la riforma liturgica di 40 anni fa) ha funzionato oppure ha miseramente fallito. E, ricorrendo quest'ultimo caso, in che modo reagire. Una lettura che raccomandiamo, in particolare, ai vescovi della nostra Penisola ed a tutti i chierici dai sessant'anni in su. Anche per loro, non è mai troppo tardi...



L’Appeal della Messa in latino


Entrando in chiesa, 40 anni fa, in questa prima Domenica di Avvento, molti Cattolici si saranno chiesti dov’erano finiti. Non solo il sacerdote parlava in inglese invece che in latino, ma era rivolto verso la congregazione invece che verso il tabernacolo; persone laiche si davano da fare intorno all’altare con funzioni che prima erano esclusive ai sacerdoti e musica popolare riempiva l’aria. I grandi cambiamenti del Concilio Vaticano II avevano preso il via.

Tutto questo fu una radicale rottura dalla Messa Tradizionale in Latino, codificata nel 16° secolo dal Concilio di Trento. Per secoli quella Messa era servita come un sacrificio strutturato con precise regole, chiamate rubriche, che non erano opzionali. Si deve fare così, diceva il libro. Nel 1947 poi, Papa Pio XII emise un’enciclica sulla liturgia che rinnegava la modernizzazione – scriveva che l’idea di eventuali cambiamenti alla Messa Tradizionale in Latino gli causava grave dolore.

Paradossalmente, comunque, fu Papa Pio stesso largamente responsabile per i notevoli cambiamenti del 1969. Fu lui a nominare, nel 1948, l’architetto responsabile della nuova Messa, Annibale Bugnini, a capo della commissione liturgica.

Bugnini nacque nel 1912 e fu ordinato sacerdote Vincenziano nel 1936. Non aveva ancora compiuto dieci anni di lavoro parrocchiale che Pio XII lo nominò segretario della Commissione per la riforma della liturgia. Negli anni ‘50, Bugnini diresse la grossa revisione alle liturgie per la Settimana Santa. Di conseguenza, il Venerdi Santo del 1955, i fedeli si riunirono al sacerdote nella preghiera del Padre Nostro e il sacerdote si rivolgeva alla congregazione per alcune parti della liturgia.

Il successore, Giovanni XXIII, nominò Bugnini segretario alla commissione preparatoria per la liturgia del Concilio Vaticano II; in quella posizione collaborò con sacerdoti cattolici e, sorprendentemente, anche con dei pastori protestanti per la riforma liturgica. Nel 1962 scrisse quella che sarebbe poi divenuta la Costituzione della Sacra Liturgia, il documento che diede forma alla nuova Messa.

Molte delle riforme di Bugnini erano dirette a favorire i non-cattolici, e molti cambiamenti furono effettuati emulando i servizi protestanti, incluso sistemare l’altare in modo da rivolgersi verso il popolo invece del sacrificio verso l’oriente liturgico. Come disse: ‘Dobbiamo spogliare la nostra [..] liturgia cattolica di tutto quanto può essere l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri fratelli separati, cioè, per i Protestanti’ (Paradossalmente, gli Anglicani che si riuniranno alla Chiesa grazie all’accoglienza dell’attuale Papa, useranno una liturgia che spesso prevede il sacerdote che assieme al popolo è rivolto ad orientem).

Come ha potuto Bugnini effettuare tali grandi cambiamenti? In parte perché nessuno dei papi per i quali lavorava erano liturgisti. Bugnini ha cambiato così tante cose che il successore di Giovanni, Paolo VI, non riusciva a stare al passo con le ultime direttive. Una volta il papa fece un’osservazione sui paramenti liturgici che gli avevano preparato esclamando che erano del colore sbagliato, ma gli fu risposto che lui stesso aveva eliminato la celebrazione dell’ottava di Pentecoste e quindi non poteva più indossare i relativi paramenti color rosso per la Messa. E il cerimoniere del papa fu testimone che Paolo VI scoppiò in lacrime.

Bugnini cadde in disgrazia nel 1970. Furono diffuse voci dalla stampa italiana che era un massone, cosa che se fosse stata vera avrebbe meritato la scomunica. Il Vaticano non ha mai negato le affermazioni, e nel 1976 Bugnini, allora arcivescovo, fu esiliato in un posto cerimoniale in Iran. Morì, in gran parte dimenticato, nel 1982.

Ma la sua eredità continuò a vivere. Papa Giovanni Paolo II ha proseguito le liberalizzazioni della Messa, consentendo alle femmine di servire al posto di chierichetti e permettendo ad uomini e donne non ordinati di distribuire la comunione nelle mani dei destinatari in piedi. Anche organizzazioni conservatrici, come l'Opus Dei, hanno adottato le riforme liturgiche liberali.

Ma Bugnini, può avere finalmente incontrato il suo avversario in Benedetto XVI, un celebrato liturgista egli stesso, che non è fan degli ultimi 40 anni di cambiamento. Cantando in latino, con indosso paramenti antichi e distribuendo la Comunione solo sulla lingua (piuttosto che nelle mani) di cattolici in ginocchio, Benedetto XVI ha lentamente invertito le innovazioni dei suoi predecessori. E la Messa in latino è tornata, almeno entro certi limiti, in luoghi come Arlington, Virginia, dove una su cinque parrocchie offrono la vecchia liturgia.

Benedetto capisce che i suoi sacerdoti più giovani e seminaristi - la maggior parte nati dopo il Vaticano II - stanno aiutando a condurre una controrivoluzione. Essi apprezzano il valore della bellezza della Messa solenne e il canto di che l’accompagna, l'incenso e la solennità. Sacerdoti in tonaca e suore in abito sono di nuovo comuni; enti tradizionalisti come l'Istituto di Cristo Re si stanno espandendo.

All'inizio di questo decennio, Benedetto XVI (allora cardinale Joseph Ratzinger) ha scritto: "Il girarsi del sacerdote verso il popolo ha trasformato la comunità in un circolo chiuso in se stesso. Nella sua forma esteriore, non si apre più su quello che ci sovrasta e ci trascende, ma è chiuso in se stesso. " Aveva ragione: 40 anni della nuova Messa hanno portato il caos e la banalità nel segno più visibile e esteriore della Chiesa. Benedetto XVI vuole un ritorno all'ordine e al significato. Così, a quanto pare, anche la prossima generazione di cattolici.

Kenneth J. Wolfe

Fonte: New York Times 29.11.2009


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I cambiamenti nella liturgia pontificia introdotti da Benedetto XVI


Intervista a don Mauro Gagliardi, Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 21 dicembre 2009 (ZENIT.org).

I fedeli di tutto il mondo hanno potuto constatare in diretta televisiva i cambiamenti avvenuti nella liturgia pontificia sotto Benedetto XVI.
Ne abbiamo parlato con don Mauro Gagliardi, Ordinario della Facoltà di Teologia dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, nonché curatore della rubrica di teologia liturgica “Spirito della liturgia”, pubblicata su ZENIT a cadenza quindicinale.

Leggendo l’articolo di Luigi Accattoli, Il rito del silenzio secondo papa Ratzinger (Liberal, 1° dicembre 2009, p. 10) emerge l’idea di un certo lavorio, sollecitato dallo stesso Santo Padre, per rendere la liturgia papale più in linea con la tradizione. Siccome ci avviciniamo alle solenni celebrazioni delle feste natalizie, che saranno presiedute in San Pietro da Benedetto XVI, vorremmo cogliere l’occasione per parlare con lei di questi cambiamenti.

Gagliardi: L’articolo di Accattoli presenta un’efficace panoramica di alcune delle più visibili tra le recenti decisioni in materia di liturgia pontificia, anche se ve ne sono altre, probabilmente non menzionate per brevità o perché di più difficile comprensione da parte del grande pubblico. Il noto e stimato vaticanista sottolinea a più riprese che questi cambiamenti sono quasi ispirati dallo stesso Santo Padre il quale, come tutti sanno, è esperto di liturgia.

Accattoli comincia la sua ricostruzione menzionando le vesti papali che erano state dismesse negli ultimi decenni: il camauro, il saturno rosso, la mozzetta con pelliccia di ermellino. Inoltre menziona i cambiamenti avvenuti per quanto riguarda il pallio.

Gagliardi: Si tratta di elementi delle vesti proprie del Pontefice, come pure il colore rosso delle calzature, non ricordato esplicitamente dall’articolista. Se è vero che negli ultimi decenni i Sommi Pontefici hanno scelto di non utilizzare queste vesti, o di modificarne la foggia, è anche vero che esse non sono mai state abolite e quindi ogni Papa può utilizzarle. Non va dimenticato che, al pari della maggioranza degli elementi visibili della liturgia, anche le vesti di uso extraliturgico rispondono sia a necessità pratiche che simboliche. Ricordo che quando Papa Benedetto utilizzò per la prima volta il camauro – un copricapo invernale che protegge bene dal freddo – un noto settimanale italiano pubblicò il volto sorridente del Santo Padre, che indossava appunto il camauro, e sotto la foto aggiunse una didascalia che diceva: «Ha fatto bene!», riferendosi al fatto che anche il Papa ha ben diritto di ripararsi dal freddo. Ma non ci sono solo ragioni pratiche. Non dobbiamo dimenticare chi è e che ruolo svolge la persona che usa queste vesti: perciò esse hanno anche un valore simbolico, che si esprime con la loro bellezza ed il loro particolare decoro.
Diverso è il caso del pallio, che è invece un indumento liturgico. Giovanni Paolo II ne utilizzava uno uguale a quello che indossano i metropoliti. All’inizio del pontificato di Benedetto XVI, ne era stato preparato uno di foggia diversa, che riprendeva usi antichi e che il Santo Padre ha usato per qualche tempo. In seguito a studi attenti, ci si è resi conto che era preferibile tornare alla forma usata da Giovanni Paolo II, anche se sono state apportate piccole modifiche in modo che risalti chiaramente la differenza tra il pallio dei metropoliti – imposto ad essi dal Papa – e il pallio del Sommo Pontefice. Maggiori informazioni su questo si possono trovare nell’intervista a mons. Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, pubblicata sull’Osservatore Romano del 26 giugno 2008.

Che cosa può dirci della ferula scelta da Benedetto XVI al posto del crocifisso dello scultore Scorzelli, utilizzato da Paolo VI e dai due Giovanni Paolo, fino alla prima parte di pontificato dello stesso Papa Benedetto?

Gagliardi: Si potrebbe dire che anche qui vale lo stesso principio. Si può menzionare una ragione pratica: l’attuale pastorale di Benedetto XVI, che egli utilizza dall’inizio del presente anno liturgico, pesa ben 590 grammi in meno rispetto al crocifisso di Scorzelli, quindi più di mezzo chilo di differenza, che non è poco. A livello storico, poi, il pastorale a forma di croce risponde in modo più fedele alla forma del pastorale tipico della tradizione romana, ossia utilizzato dai sommi pontefici, che è sempre stato a forma di croce e senza crocifisso. D’altro canto, anche qui si potrebbero aggiungere altre riflessioni dal punto di vista simbolico ed estetico.

Accattoli cita anche altri cambiamenti, che potremmo definire più di sostanza: la cura per i momenti di silenzio, la celebrazione verso il crocifisso e con le spalle all’assemblea e la comunione distribuita ai fedeli in ginocchio e sulla lingua.

Gagliardi: Si tratta di elementi di grande significato, che ovviamente non posso qui analizzare in modo dettagliato, ma solo per brevi cenni. L’Institutio Generalis del Messale Romano pubblicato da Paolo VI prescrive in diversi luoghi di osservare il sacro silenzio. L’attenzione nella liturgia papale a questo aspetto non fa altro, quindi, che mettere in pratica le norme stabilite.
Per quanto riguarda la celebrazione verso il crocifisso, vediamo che di norma il Santo Padre sta mantenendo la posizione all’altare cosiddetta «verso il popolo», sia in San Pietro che altrove. Ha celebrato solo poche volte verso il crocifisso: in particolare, nella Cappella Sistina e nella Cappella Paolina, di recente restaurata. Siccome ogni celebrazione della Messa, qualunque sia la posizione fisica del celebrante, è celebrazione rivolta al Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo e mai rivolta «al popolo» o all’assemblea, se non nei pochi momenti dialogati, non è affatto strano che chi celebra l’Eucaristia possa disporsi anche fisicamente «verso il Signore». Particolarmente in luoghi come la Cappella Sistina, dove l’altare è addossato alla parete, è cosa naturale e fedele alle norme celebrare sull’altare fisso e dedicato, rivolti quindi verso il crocifisso, piuttosto che aggiungere un altare mobile per l’occasione.
Per quanto riguarda, infine, il modo di distribuire la Santa Comunione ai fedeli, bisogna distinguere l’aspetto del riceverla in ginocchio da quello del riceverla sulla lingua. Nell’attuale forma ordinaria del rito romano (o Messa di Paolo VI), i fedeli hanno il diritto di ricevere la Comunione stando in piedi o in ginocchio. Se il Santo Padre ha stabilito di comunicarli in ginocchio, penso – ovviamente questa è solo una mia opinione personale – che egli ritenga questo atteggiamento più adatto ad esprimere il senso di adorazione che dobbiamo sempre coltivare davanti al dono dell’Eucaristia. È un aiuto che il Papa dà a coloro che ricevono la Comunione da lui, aiuto a considerare con attenzione chi è Colui che si va a ricevere nella santissima Eucaristia. D’altro canto, nella Sacramentum Caritatis, citando sant’Agostino il Santo Padre aveva ricordato che nel ricevere il Pane eucaristico dobbiamo adorarlo, perché peccheremmo ricevendolo senza adorazione. Prima di comunicarsi, lo stesso sacerdote genuflette davanti all’Ostia: perché non aiutare i fedeli a coltivare il senso di adorazione proprio attraverso simile gesto?
Per quanto riguarda, invece, il ricevere la Comunione sulla mano, va ricordato che questo è oggi possibile in molti luoghi (possibile, non obbligatorio), ma che ciò è e resta una concessione, una deroga alla norma ordinaria che afferma che la Comunione si riceve solo sulla lingua. Questa concessione è stata fatta alle singole Conferenze Episcopali che l’hanno chiesta e non è la Santa Sede a suggerirla o a promuoverla. E, comunque, nessun vescovo membro della Conferenza Episcopale che ha chiesto e ottenuto l’indulto è obbligato ad applicarlo nella sua diocesi: ogni vescovo può sempre decidere che nella sua diocesi si applichi la norma universale, che vige nonostante tutti gli indulti concessi, norma che stabilisce che i fedeli devono ricevere la Santa Comunione sulla lingua. Se nessun vescovo del mondo è obbligato a fruire dell’indulto, come potrebbe esserlo il Papa? È anzi importante che proprio il Santo Padre mantenga la regola tradizionale, confermata ancora una volta da Paolo VI, che vieta ai fedeli di ricevere la comunione sulla mano (per maggiori dettagli, cf. M. Gagliardi, La liturgia fonte di vita, Fede & Cultura, Verona 2009, pp. 170-181).

In conclusione, lei, che fa parte dello staff di Consultori di mons. Guido Marini, che senso vede nelle novità introdotte nella liturgia papale sotto Benedetto XVI?

Gagliardi: Naturalmente posso parlare qui solo a titolo personale, non avendo le mie opinioni alcun carattere di posizione ufficiale dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. A me sembra che ciò che si sta tentando di fare è di coniugare sapientemente cose antiche e cose nuove, di attuare nello spirito e nella lettera, per quanto possibile, le indicazioni del Vaticano II e di fare in modo che le celebrazioni pontificie siano esemplari sotto tutti gli aspetti. Chi assiste alla liturgia papale deve poter dire: «Ecco, così si fa! Così dobbiamo fare anche noi nella nostra diocesi, nella nostra parrocchia!». Vorrei, da ultimo, rilevare che queste “novità”, come lei le definisce, non vengono introdotte semplicemente in modo autoritario. Avrà notato che spesso esse sono spiegate, ad esempio attraverso le interviste che il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie rilascia a L’Osservatore Romano o ad altre testate giornalistiche. Anche noi Consultori di tanto in tanto pubblichiamo degli articoli sul quotidiano della Santa Sede per spiegare il senso storico e teologico delle decisioni che si prendono. Per usare una parola alla moda, direi che c’è un modo “democratico” di procedere, intendendo con questo non che le decisioni siano prese a maggioranza, ma che si cerca di far capire qual è il motivo profondo di questi cambiamenti, che è sempre un motivo storico, teologico e liturgico e mai puramente estetico, tanto meno ideologico. Potremmo dire che ci si sforza di rendere nota la ratio legis e mi pare che anche questo fatto rappresenti una “novità” di una certa importanza.

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Il rito del silenzio secondo Papa Ratzinger - Luigi Accattoli

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"Ritengo che il modo migliore di amministrare la Comunione sia sulla lingua, tant’è che nella mia Diocesi ho vietato la particola nelle mani".

Entrevista al Cardenal Ciprini, arzobispo de Lima, Perú.

(del site "Petrus")


Interviste

Abusi liturgici, il Cardinale Cipriani Thorne invoca maggior rigore: “E anche i Neocatecumenali si adeguino alle direttive della Chiesa”

di Bruno Volpe


CITTA’ DEL VATICANO - Il Cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, Arcivescovo di Lima e Primate del Perù, autorevole esponente del Sacro Collegio e dell’Opus Dei, è uno dei massimi esperti della Chiesa cattolica in teologia morale e liturgia. E proprio sul tema della liturgia, tanto attuale in questo periodo, il porporato ha accettato volentieri di sottoporsi alle domande di ‘Petrus’.

Eminenza, cos’è la vera liturgia?

“Sarò sintetico: è il volto puro della Fede. Non si tratta di mera esteriorità o di rispetto di regole formali, ma nella liturgia si celebra con gioia il Mistero di Cristo morto e Risorto. Dunque, è importante celebrare degnamente e correttamente la Santa Messa, con una liturgia fedele ai canoni della Chiesa, anzitutto per rispetto verso Gesù. Apprezzo, in tal senso, i continui richiami del Santo Padre Benedetto XVI al rispetto del decoro della liturgia”.

Negli ultimi anni si è registrato un preoccupante crescendo degli abusi liturgici. Come si spiega questo trend negativo?

“Si è persa l’idea del peccato, cosicché anche il sacrificio della Santa Messa è stato maltrattato e vilipeso da correnti di pensiero, anche interne alla Chiesa, che tutto giustificavano e tolleravano creando una discutibile dimensione circolare e assembleare della cerimonia Eucaristica. Poi, e questo credo faccia parte delle colpe della Curia romana dopo il Vaticano II, vi è stata una rilassatezza, soprattutto interpretativa, del Concilio. A questa situazione bisogna urgentemente porre rimedio; credo che la dimensione verticale dell’Eucarestia sia assolutamente necessaria perchè il fedele possa comprendere il grande dono di Cristo. Di sicuro, i fedeli rischiano solo di scandalizzarsi e di allontanarsi con le cosiddette Messe-spettacolo nella quali si commette, in nome della libertà e della creatività, ogni sorta di nefandezza”.

Veniamo al modo di amministrare la Comunione…

“Anche in questo caso la ‘rilassatezza’ di molti sacerdoti ha ridicolizzato agli occhi dei cattolici il valore dell’Eucarestia. Personalmente, ritengo che il modo migliore di amministrare la Comunione sia sulla lingua, tant’è che nella mia Diocesi ho vietato la particola nelle mani. Nelle Messe con enorme affluenza, in passato abbiamo trovato persino particole gettate sul pavimento della Chiesa”.

‘Petrus’ si sta occupando dei Neocatecumenali: il Cammino suscita ammirazione ma anche preoccupazione e sospetti.

“Non ho dubbi che le intenzioni dei Neocatecumenali siano lodevoli e che essi realmente cerchino Dio con calore e gioia. E penso che vada instaurato con loro un dialogo sano e, al tempo stesso, fermo nella verità. Il Vaticano stesso sta cercando una soluzione per approvare gli Statuti. Tuttavia, nella celebrazione della Santa Messa da parte dei Neocatecumenali ci sono aspetti che assolutamente non condivido. Ricordo e ribadisco che la liturgia è unica e deve essere rispettata da tutti alla stessa maniera. Insomma, tolleranza sì verso i Neocatecumenali, ma è compito della Chiesa richiamarli al rispetto dell’Eucarestia”.


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Il coraggio di un vescovo argentino

Il libro "Comunione nella mano", del vescovo emerito di San Luis (Argentina) arriva alla 4ta edizione:

COMUNIÓN EN LA MANO Prólogo a la 4ª edición


Hasta el 26 de abril de 1996, el episcopado argentino era uno de los pocos del mundo en rechazar la práctica, introducida al final de los años '60, de distribuir la Santa Comunión en la mano de los fieles. Recién ese día, en el curso de la 710 Asamblea de la Conferencia Episcopal Argentina, se obtuvieron los votos suficientes para poder modificar esta situación, votos que no se habían logrado en reuniones de años anteriores.
El 19 de junio siguiente, el Secretario General de la Conferencia Episcopal Argentina anunció, por la carta protocolo n° 319/96, que había recibido ese mismo día la res-puesta positiva de Roma al pedido. El contenido de esta carta daba a entender que el uso solicitado y concedido debía aplicarse automáticamente y de manera obligatoria en el conjunto de las diócesis que componen la Conferencia Episcopal. Decía en efecto: “a! respecto, la Comisión Ejecutiva de la Conferencia Episcopal Argentina ha estimado conveniente que sea el próximo 15 de agosto, fiesta de la Asunción de la Virgen, la fecha para dar comienzo a esta práctica en forma unánime en todas nuestras diócesis y prelaturas [...] Por lo tanto el Señor Presidente de la Conferencia Episcopal Argentina comunica que el decreto por el que se autoriza esta forma de distribuir la Comunión en la mano comienza a tener vigencia a partir del 15 de agosto próximo”..
Esta carta fue la única notificación que los obispos recibimos. Me sorprendió el no haber recibido el texto mismo del decreto de la Congregación para el Culto Divino, por esta la razón lo pedí a AICA, pero la agencia de información del episcopado tampoco había recibido más que la carta del Secretario de la Conferencia Episcopal.
Sólo después de reiteradas solicitudes ante diversos organismos oficiales conseguí finalmente obtener -de manera informal- un fax con el texto de este Decreto. Éste me evidenció una realidad bien distinta de lo que hasta el momento parecía: esta nueva disposición no se introducía sin más, sino “ad normam” de la Instrucción sobre el modo de administración de la Santa Comunión, conocida también bajo el nombre de Memoriale Domini.
Consulté entonces esta instrucción en las Acta Apostolicae Sedis, donde constaté que la “carta pastoral” indisolublemente unida a la Instrucción, estipulaba que la prohibición de dar la comunión en la mano debía conservarse universalmente, pero que, allí donde el uso ya se había introducido y había arraigado, “[el Santo Padre...] concede que [...] cada obispo, según su prudencia y su conciencia, pueda autorizar en su diócesis la introducción del nuevo rito para distribuir la Comunión”. Advirtiendo entonces que era a mí a quien correspondía tomar la decisión final y que ésta comprometía mi conciencia, consideré que era necesario un estudio a fondo de la cuestión, y más concretamente del instrumento canónico que lo determinaba.
Llegué así a la conclusión de que esta nueva práctica no había sido querida por la Santa Sede ni hacía parte tampoco de la reforma litúrgica, sino que fue tolerada simplemente mediante un indulto otorgado como consecuencia de la presión insistente y tenaz de algunas conferencias episcopales (sobre todo de países con gran presencia protestante) y luego de la introducción de la práctica de manera completamente abusiva, a la cual parecía imposible resistir a pesar de las denuncias y prohibiciones de Roma. Comprobé también cuidadosamente que no existía ningún documento de la Santa Sede posterior a Memoriale Domini, en el cual la posibilidad de introducción de esta forma de comunión hubiera sido ampliada.
Desde el principio sacerdotes y fieles me pidieron que esta disposición no se aplicara en la diócesis de San Luis. Para el 8 de agosto convoqué una reunión de presbiterio en la cual presenté a los sacerdotes a la vez el decreto de Roma y el contenido de la instrucción Memoriale Domini. Unánimemente coincidieron en que, por el bien de los fieles, debía mantenerse la comunión en la boca y afirmaron que en la diócesis no había casos de abuso que justificaran ni siquiera la consideración de la aplicación del indulto para comulgar en la mano.
La consecuencia de esta reunión fue el decreto diocesano por el cual decidí hacerme eco de la solicitud del papa y someterme puntualmente a la ley vigente manteniendo la prohibición de la comunión en la mano.
Sin embargo, una cuestión permanecía sin respuesta: ¿Cómo podía ser que, siendo la Memoriale Domini la única legislación vigente, todo el mundo hubiera adoptado la práctica de la comunión en la mano como si fuese una simple opción propuesta, y hasta recomendada, por la Iglesia?
El deseo de encontrar una explicación a esto y a la vez de defender mi decisión, muy controvertida en los medios de comunicación por parte de algunos sectores eclesiásticos, me llevó a estimular una investigación más profunda acerca de la historia de este uso. Los resultados de esta investigación constituyen el contenido de esta obra.
Casi diez años después, y más allá de las circunstancias vinculadas al tiempo y al lugar que suscitaron este estudio, creemos que éste implica aspectos permanentes que pueden aún ahora interesar al lector, a saber: el acceso a la legislación auténtica relativa a esta materia, absolutamente desconocida entre los fieles y aún por parte de numerosos pastores; la situación histórica en la cual esta legislación se realizó, así como la reflexión sobre las implicaciones de esta materia relacionada con la piedad eucarística, la relación del obispo con la Conferencia Episcopal y su independencia frente a ésta en lo que hace al gobierno de la diócesis; y, en fin, el funcionamiento de algunos "mecanismos de presión" dentro de la Iglesia, capaces de invertir una decisión papal, que reflejan una manera de actuar que fue y es aún utilizada en otros dominios.
Deseamos también presentarlo como contribución a este año de la Eucaristía, esperando que su lectura pueda ayudar a hacer reflexionar sobre algunas de las tantas ofensas que en este aspecto se cometen contra Cristo Dios en su presencia Eucarística.

JUAN RODOLFO LAISE
Obispo emérito de San Luis
(Argentina)

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“Si algunos obispos o “Pastores celosos” han pensado que el Novus Ordo ha abrogado el Vetus Ordo, han cometido un grueso error”

“Es así, el Rito Tridentino contempla a un Dios joven y evidencia la belleza de una fe espontánea. Cómo decirlo, esta Misa contiene elementos lamentablemente descuidados en la visión racionalista del Novus Ordo: la capacidad de asombrarse, el misterio y la trascendencia.”

Entrevista que el reconocido periodista italiano Bruno Volpe ha realizado al Cardenal Luigi Poggi. El texto original se encuentra en Petrus.

***

El Cardenal Poggi, una vida entera al servicio de la gloriosa Tradición de la Iglesia: “Nunca he dejado de celebrar con el Rito Tridentino”

Ciudad del Vaticano - Tiene 91 años, pero conserva la lucidez y el entusiasmo de un jovencito. El cardenal Luigi Poggi, quien fuera Archivista y Bibliotecario de la Santa Sede, es uno de los pocos purpurados que, después de la reforma litúrgica del Concilio Vaticano II ha continuado celebrando la Santa Misa con el Rito Tridentino en latín de San Pío V.

Eminencia, permítanos una provocación amigable: ¿por qué no se ha adecuado a la reforma?

Disculpe, pero ¿por qué me hace esta pregunta?, siempre he celebrado según el Misal de San Pío V que, es bueno recordarlo, el Concilio Vaticano II nunca ha abrogado.

Reformulamos la pregunta: ¿por qué ha elegido continuar con el Rito de San Pío V?

Así está mejor. Veamos: ninguno, y subrayo ninguno, está autorizado a cancelar la Tradición de la Iglesia, tanto menos el Concilio Vaticano II, el cual, que quede bien claro, tiene todo mi respeto. Pero, lo subrayo de nuevo, aquel Concilio no ha sustituido el Rito Tridentino, sino que simplemente ha añadido otro. Si luego algunos obispos o “Pastores celosos” han pensado que el Novus Ordo ha abrogado el Vetus Ordo, han cometido un grueso error.

Sabemos que de la Misa de San Pío V le gustan a usted los silencios, el mirar a Dios, a la Cruz…

¿Cómo podría ser de otro modo? Muchos se equivocan y analizan el problema reduciéndolo a la posición del celebrante. En ninguna parte está escrito que el sacerdote deba dirigirse hacia Oriente, sin embargo me parece que esa es la posición más correcta y teológicamente convincente. El sacerdote no es el protagonista de la Celebración Eucarística, pero habla en nombre de Cristo, por eso mira hacia la Cruz y al Sol naciente, esto es, al Verbo.

Introibo ad altare Dei …

Bellísima fórmula, que da plenamente la sensación y la idea de una procesión, de un devenir, de la indignidad del hombre para acercarse al Sacrificio Divino; pero especialmente me gusta subrayar la segunda parte …

Díganos.

“Qui laetificat juventutem meam”. No es una frase sin sentido, sino que testimonia la juventud de Dios y su inmensa misericordia; la misericordia del Padre que renueva en la fe a sus hijos donando la juventud y la frescura de los que creen. Es así, el Rito Tridentino contempla a un Dios joven y evidencia la belleza de una fe espontánea. Cómo decirlo, esta Misa contiene elementos lamentablemente descuidados en la visión racionalista del Novus Ordo: la capacidad de asombrarse, el misterio y la trascendencia.

Algunos estudiosos, religiosos e incluso rabinos, han hablado de rito antisemita.

Vea, he oído muchas inexactitudes pero, en serio, ésta supera a todas. El Rito Tridentino no quiere ofender a los judíos sino que pide simplemente la conversión. Tanto más siendo que, con extremo buen sentido, el Papa Benedicto XVI ha revisado la oración del Viernes Santo, deseando y confirmando el pedido de conversión de los judíos. A tal propósito, me permito afirmar que cada cristiano está llamado a convertir a los que no creen en Cristo. Por otro lado, ¿qué tiene de malo?

Cardenal Poggi, mientras tanto parece más cercana que nunca la paz oficial entre la Iglesia de Roma y los lefebvristas.

Espero vivamente que esto pueda suceder cuanto antes: no tiene sentido vivir separados.

Eminencia, a los 91 años ¿se siente joven?

Ciertamente. Con un Dios que “laetificat juventutem meam” ¿cómo no podría?


www.unavoce.com.ar


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In una nota del Maestro delle celebrazioni pontificie i riti presieduti da Benedetto XVI

Il tempo di Natale nella liturgia della Chiesa

Le celebrazioni liturgiche del tempo di Natale, a cominciare dalla messa della Notte, conducono i fedeli alla contemplazione del mistero dell'Incarnazione, dove si rende presente la bellezza del Signore e del suo Amore ricco di infinita misericordia. Lo spiega il maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, monsignor Guido Marini, in una nota sui riti natalizi presieduti in San Pietro da Benedetto XVI.
Le celebrazioni hanno la capacità di trasmettere la lieta notizia attraverso le parole, i gesti, i silenzi, i segni, la musica, il canto, il rito nel suo complesso. Ciò che è importante è che il rito risplenda luminoso e sia capace di esprimere ciò che contiene. Non si tratta di fare cose nuove, ma di fare in modo nuovo quanto la Chiesa ci invita a compiere nel rito.
Nella basilica vaticana quest'anno, la scultura lignea policroma raffigurante la Vergine in trono con il Bambino benedicente, è stata collocata accanto all'altare della Confessione già a partire dai primi Vespri di Avvento e vi rimarrà fino all'Epifania, a sottolineare come l'Avvento e quello natalizio siano tempi anche mariani.
L'immagine appartiene alla scuola umbro-laziale della prima metà del xiv secolo: si trova in Vaticano dal 1967 ed è a carico dei Musei Vaticani dal 1978. La corona sul capo della Vergine è andata perduta. La statua è cava, ragion per cui si presume che venisse portata in processione.
Com'è ormai consuetudine nelle liturgie papali, per ogni celebrazione si prevede un tempo di preparazione. A partire da quindici-venti minuti prima dell'inizio dei vari riti, la lettura di alcuni testi e l'esecuzione di brani musicali consentono di disporre l'animo dei presenti al clima di preghiera e di raccoglimento. I testi sono per lo più tratti dalle omelie tenute da Benedetto XVI nello scorso anno. È sempre prevista anche una preghiera di preparazione, scelta tra le numerose orazioni appartenenti alla tradizione ecclesiale.
I libretti riportano, tra le rubriche, l'indicazione di un breve tempo di silenzio previsto dopo l'omelia del Papa e dopo la Comunione: brevi pause che aiutano il raccoglimento e la preghiera, soprattutto per assimilare il dono della Parola di Dio ascoltata e quello dell'Eucaristia di cui ci si è nutriti.
Le lingue scelte per le letture e per le intenzioni della preghiera dei fedeli intendono sottolineare la partecipazione alla celebrazione papale di persone provenienti da diversi Paesi del mondo. Tutti ascoltano e pregano con la propria lingua, come d'altronde tutti ascoltano e pregano con la lingua latina, quella della Chiesa, in cui si ritrova l'unità e la cattolicità, pur nella diversità delle provenienze. In alcune circostanze, per le quali non è prevista la concelebrazione, saranno presenti i cardinali diaconi. Essi, storicamente, hanno sempre garantito l'amministrazione della città di Roma e il servizio liturgico al Papa. Ci troviamo di fronte a una tradizione storica e liturgica propria della vita e della liturgia papale. Dal punto di vista degli abiti, poi, i cardinali diaconi adoperano la dalmatica quando servono il Pontefice. Inoltre essi non concelebrano, a manifestare esteriormente la loro funzione di servitori e collaboratori.
Nella notte di Natale, come già gli anni scorsi, è prevista una breve veglia in preparazione alla messa. Dallo scorso anno la veglia è arricchita dal canto della Kalenda, non più prevista all'interno della celebrazione. Il martirologio romano prevede il canto nel giorno della vigilia di Natale alla conclusione delle Lodi o di un'ora minore della Liturgia delle Ore. In questo senso la collocazione della Kalenda al termine della veglia di preghiera sembra più rispondente alla sua natura. Per lo stesso motivo, al canto del Gloria, dopo l'intonazione del Papa, vengono suonate le campane con l'accompagnamento dell'organo, mentre l'omaggio floreale dei bambini avviene al termine dell'Eucaristia, quando il Santo Padre si reca davanti al presepio per la collocazione dell'immagine del Bambino Gesù. Il servizio liturgico sarà svolto dagli studenti dei Legionari di Cristo.
Il giorno di Natale, come l'anno scorso, per il messaggio Urbi et orbi il Papa non indosserà il piviale, ma la mozzetta con la stola, trattandosi di una benedizione solenne che non comporta un particolare rito liturgico. Svolgeranno servizio due studenti del collegio Mater Ecclesiae.
Nella solennità di Maria Santissima Madre di Dio, al canto dei Vespri del 31 dicembre seguirà, anche quest'anno, l'esposizione del Santissimo Sacramento con il Te Deum di ringraziamento e la conseguente Benedizione eucaristica, a significare la centralità dell'adorazione nella vita della Chiesa e dei discepoli del Signore, e per accompagnare l'inizio del nuovo anno con la benedizione del Signore. Il servizio liturgico sarà svolto dagli studenti della Congregazione san Michele Arcangelo.
Nella messa della solennità le preghiere dei fedeli saranno ispirate al messaggio del Papa per la xlii Giornata mondiale della Pace. Brani del messaggio sono riportati all'inizio del libretto e verranno letti in preparazione alla messa, insieme alla celebre preghiera alla Madonna, composta da san Bernardo, il Memorare. Parteciperanno alla presentazione dei doni e alla lettura delle intenzioni della preghiera dei fedeli alcuni bambini e adulti provenienti dal Libano. Al termine della celebrazione, al canto di un'antifona mariana, Benedetto XVI venererà l'immagine artistica della Madonna. Il servizio liturgico sarà svolto dagli studenti del seminario St. Mark di Erie, Stati Uniti d'America.
All'Epifania, il Papa indosserà una pianeta, come già ha fatto in qualche altra celebrazione, a sottolineare ancora una volta la continuità tra passato e presente, anche attraverso l'uso delle vesti liturgiche. Dopo la proclamazione del Vangelo è previsto il solenne "Annuncio della Pasqua", cantato dal diacono. L'Epifania è una festa della redenzione, perché la pienezza della manifestazione di Dio si avrà negli eventi pasquali. In tale contesto, l'Epifania dei Magi appare come il primo atto di una sequenza di epifanie-manifestazioni che sono il tessuto dell'intera esistenza terrena di Cristo. Lui, luce del mondo, è la meta finale della storia, il punto di arrivo di un esodo, di un provvidenziale cammino di redenzione, che culmina nella sua morte e risurrezione. Per questo, nella solennità dell'Epifania, la liturgia prevede l'"Annuncio della Pasqua": l'anno liturgico riassume l'intera parabola della storia della salvezza, al cui centro sta il triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto. All'Epifania il servizio liturgico sarà svolto dagli studenti del Collegio di Propaganda fide.
Infine nella festa del Battesimo del Signore, domenica mattina 10 gennaio, quattordici neonati riceveranno il sacramento dalle mani del Papa. Per la quarta volta nel suo pontificato Benedetto XVI amministrerà il primo sacramento della vita cristiana nella stupenda cornice della Cappella Sistina. I piccoli sono figli di dipendenti vaticani e saranno accompagnati da genitori, padrini e madrine, e un piccolo gruppo di parenti. Un ruolo particolare avranno i fratellini dei battezzandi: ad alcuni spetterà di portare all'altare i doni durante l'offertorio. Sarà, dunque, una festa della vita e della famiglia.
Il rito del Battesimo sarà inserito nella messa che il Papa presiederà, come è ormai consuetudine, all'altare proprio della Cappella Sistina. Si celebrerà, dunque, all'altare antico per non alterare la bellezza e l'armonia di questo gioiello architettonico - come previsto dalla vigente normativa liturgica - preservando la sua struttura. Ciò significa che in alcuni momenti il Pontefice, insieme con i fedeli, si rivolgerà verso il Crocifisso.
Durante il rito del Battesimo attingerà l'acqua dall'artistico fonte in bronzo, realizzato qualche anno fa dallo scultore Toffetti. Il Pontefice verserà l'acqua sulla testa dei piccoli utilizzando una conchiglia dorata: essa rimanda al pellegrinaggio, simboleggiando il nuovo cammino che i battezzati iniziano una volta entrati a far parte della comunità dei credenti. Il servizio liturgico sarà svolto dagli studenti del preseminario vaticano San Pio x.

(©L'Osservatore Romano - 24 dicembre 2009)


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PAPA: LEGIONARI DI CRISTO CON LUI A ALTARE IN MESSA DI MEZZANOTTE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 23 dic.

Con un gesto di particolare predilezione, Benedetto XVI ha voluto che quest'anno nella messa di mezzanotte il servizio all'altare nella Basilica di San Pietro fosse compiuto da giovani seminaristi della Congregazione dei Legionari di Cristo, sottoposta in questi mesi ad una "visita canonica" dopo le rivelazioni sulla vita del suo fondatore. Lo si apprende da una nota dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche che conferma, tra l'altro, che il Papa celebrera' il 10 gennaio nella Cappella Sistina, rivolto all'altare e al Crocifisso. In quell'occasione, amministrera' il battesimo a 14 neonati, "tutti figli di dipendenti vaticani". L'Ufficio precisa poi che il giorno di Natale la bendizione Urbi et Orbi sara' impartita dalla Loggia della Basilica Vaticana e il Papa indossera' la stola sulla mozzetta e non il piviale, perche' "una benedizione solenne non comporta un particolare rito liturgico".
Il Papa indossera' invece la piu' tradizionale "pianeta" e non la post-concliare "casula" nella messa del 6 gennaio, "a sottolineare ancora una volta la continuita' con il passato e presente nella celebrazione liturgica anche attraverso l'uso delle vesti liturgice". E nello stesso spirito, a Natale, la messa di mezzanotte "sara' arricchita dal canto della Kalenda, non piu' prevista all'interno del rito".

© Copyright (AGI)


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Intervista al cardinale Cañizares. Il culto e la banalizzazione post/conciliare

Paolo Rodari

L’appello del 1971

Era il 6 luglio 1971 quando il Times pubblicava un appello inviato alla Santa Sede da parte di un gruppo di intellettuali, personalità del mondo della cultura e dell’arte per salvaguardare la messa antica.
Furono gli intellettuali, infatti, prima di altri, a percepire l’eliminazione della messa antica come un attentato alle tradizioni di un’intera civiltà. Lo firmò anche Agatha Christie. Con lei Jorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, i registi Bresson e Dreyer, Augusto Del Noce, Julien Green, Jacques Maritain, Eugenio Montale, Cristina Campo, Francois Mauriac, Salvatore Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Gianfranco Contini, Mario Luzi, Andrés Segovia, Harold Acton, Graham Greene, fino al famoso direttore del Times, William Rees-Mogg.

Ecco parte del testo dell’appello:

“Uno degli assiomi dell’informazione contemporanea è che l’uomo moderno sarebbe divenuto intollerante di tutte le forme della tradizione e ansioso di sopprimerle. Come molte altre questa apodittica affermazione è falsa.
Anche oggi è proprio la cultura a riconoscere più ampiamente il valore delle tradizioni. E’ evidente che se un ordine insensato decretasse la demolizione totale o parziale di basiliche e cattedrali, sarebbe ancora una volta la cultura a levarsi per prima e con orrore.
Si dà il caso però che basiliche e cattedrali siano state edificate dai popoli cristiani per celebrarvi un rito antico duemila anni, che fino a pochi mesi fa era una tradizione universalmente vivente. Alludiamo alla messa cattolica tradizionale. Essa dovrebbe cessare di esistere alla fine del 1971. Questo rito ha dato vita a una folla di opere infinitamente preziose: non soltanto di mistici e dottori, ma di poeti, filosofi, musicisti, architetti, pittori e scultori tra i più grandi, in ogni paese e in ogni epoca. I firmatari di questo appello rappresentano ogni ramo della cultura moderna internazionale. Essi chiedono con la massima gravità alla Santa Sede di voler considerare a quale tremenda responsabilità andrebbe incontro di fronte alla storia se non consentisse di lasciar vivere in perpetuità la messa tradizionale, sia pure a fianco di altre forme liturgiche”.

© Copyright Il Foglio, 9 gennaio 2010

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