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I lefebvriani

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2013 22:40
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25/01/2009 18:59
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Re: Dal blog di Lella...

Paparatzifan, 25/01/2009 18.53:


E anche Oltretevere cresce il malumore: «Si nega l’operato di Wojtyla e Paolo VI»

Di tutt’altra opinione sono autorevoli prelati di curia che, dietro anonimato, fanno presente che il rientro dei lefebvriani non sarà a costo zero.

© Copyright Il Messaggero, 25 gennaio 2009





Cresce il malumore in me di sapere quanta opposizione c'è dentro la curia vaticana.
Ratzi, c'è ancora molta spazzatura nei corridoi!!!!
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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Resta aperta la questione conciliare

È una lunga lotta la storia dello scisma di monsignor Marcel Lefebvre. È la storia della lotta contro il Concilio Vaticano II e la si può leggere per intero in una monumentale biografia del vescovo francese, morto scomunicato da Papa Wojtyla nel 1991, scritta alcuni anni fa da Bernard Tissier de Mallerais, il principale collaboratore di Lefebvre, rettore del seminario scismatico di Econe, in Svizzera, uno dei quattro vescovi tradizionalisti ordinati proprio da lui il 30 giugno 1988, e uno dei quattro a cui ieri il Papa ha revocato la scomunica. La questione del Concilio infatti resta sul tavolo, anche dopo la cancellazione della scomunica. Quell'idea di Roncalli di convocare un Concilio non era mai piaciuta a Lefebvre, allora vescovo di Dakar in Senegal e non smetterà mai per tutta la vita di rievocare «le vittorie dell'ala liberale che piegarono fin dai primi giorni il corso del Concilio investito dalla forze progressiste», al punto da trarne l'impressione che «stesse accadendo qualcosa di anormale». Alla fine del Concilio Lefebvre accusa addirittura Paolo VI di aver stabilito un «nuovo dogma», cioè la «dignità della persona umana», che profila il «primato dell'uomo su Dio» e quindi la «detronizzazione di Cristo». Insomma, nota De Mallerais, Il Concilio è la «più grande tragedia che abbia mai subito la Chiesa», la «cassa di risonanza di nuovi eretici», che «con le sue innovazioni ha squassato la verità cattolica».
La liturgia è solo l'arma più visibile per colpire tutto il Concilio. Lefebvre interviene 14 volte, ma della liturgia parla una volta sola il 29 ottobre 1962. Gli altri interventi tutti fortemente critici sono sulla collegialità, l'ecumenismo, la libertà religiosa. Ma è ottimista sul fatto che non passeranno né la collegialità, né l'ecumenismo. Nel 1988, poco prima di essere scomunicato da Wojtyla, si pentirà in una lettera di averlo pensato: «L'ottimismo riguardo al Concilio e al Papa era davvero mal fondato». Tuttavia firma tutti i documenti conciliari. Al termine del Concilio va per la sua strada. Fonda la Fraternità a Econe. Paolo VI lo richiama più volte. De Mallerais ricostruisce con molti particolari inediti scontri durissimi. Alla Fraternità viene revocata l'autorizzazione, ma Lefebvre ordina ugualmente alcuni sacerdoti. Il Papa nel 1976 lo sospende a divinis. Ma Lefebvre pochi giorni dopo celebra, in segno di sfida, la «messa proibita», alla Fiera commerciale di Lille. È il 29 agosto 1976. Dieci giorni dopo avviene il drammatico colloquio a Castelgandolfo tra Montini e il vescovo ribelle. La rottura è totale e tale rimarrà. Finché Giovanni Paolo II nel 1982 incarica il cardinale Ratzinger di trovare una soluzione. Ratzinger va da Lefebvre. Passano cinque anni, ma Lefebvre non cede e nel 1987 annuncia di aver intenzione di ordinare vescovi entro l'anno. Ci sono nuovi incontri a Roma. Ratzinger manda ad Econe il cardinale Gagnon. Le due commissioni raggiungono un accordo, la Lefebvre all'ultimo momento si tira indietro. Il 30 giugno 1988 Lefebvre ordina quattro vescovi. È immediatamente scomunicato e lo scisma è consumato. Il 25 marzo 1991 Lefebvre muore senza essersi riconciliato con la Chiesa. Il nuovo superiore monsignor Fellay continua a contestare Concilio, ecumenismo e la messa conciliare. Ma nel 2000 seimila tradizionalisti vanno in pellegrinaggio a Roma e il 30 dicembre Wojtyla riceve Fellay. È un cammino che ricomincia. Fellay alla morte di Giovanni Paolo II esprime il suo cordoglio, ma ribadisce le critiche all'ecumenismo di Wojtyla. Ratzinger appena eletto mette mano alla questione e il 28 agosto 2005 riceve Fellay. Il cammino verso una prima riconciliazione è avviato. L'autorizzazione a celebrare la messa in latino, secondo il rito di Giovanni XXIII, è un passo importante, che porta al decreto di ieri. Ma la partita non è chiusa. Resta la questione più difficile: il Concilio Vaticano II.
A. B.

© Copyright Eco di Bergamo, 25 gennaio 2009

le tappe

La revoca delle scomuniche ai vescovi lefebvriani, annunciata ieri, è un passo fondamentale per la fine dello scisma dei cattolici tradizionalisti. Quelle che seguono sono le tappe fondamentali della vicenda.

1962-1965 - Si svolge il Concilio Vaticano II; Lefebvre vi partecipa e ne sottoscrive quasi tutti i documenti.

1970 - Lefebvre fonda la Fraternità San Pio X, che ha sede presso il seminario di Econe, in Svizzera, ed entra presto in contrasto con i vescovi locali per il rifiuto del Concilio.

1975 - Revocata l'autorizzazione vescovile alla fraternità San Pio X; Paolo VI richiama Lefebvre. Ma il vescovo si ribella ed ordina tre sacerdoti. Un motivo di scontro è la Messa, che i lefebvriani celebrano secondo il vecchio rito, in latino.

1976 - Lefebvre sospeso a divinis; non può amministrare i sacramenti e ordinare sacerdoti (se lo fa, l'ordinazione è valida, ma illecita e può essere punito). Ma Lefebvre continua.

1982 - Giovanni Paolo II incarica il cardinal Ratzinger di cercare una soluzione. Il 20 luglio Lefebvre incontra Ratzinger.

1987 - Lefebvre conferma di avere intenzione di ordinare dei vescovi entro un anno. Nuovi incontri a Roma con Ratzinger, ed invio ad Econe del visitatore apostolico, cardinal Edouard Gagnon.

5 MAGGIO 1988 - Raggiunto un accordo fra la commissione nominata da Lefebvre e quella vaticana guidata da Ratzinger. Ma, all'ultimo momento, Lefebvre si tira indietro.

16 GIUGNO 1988 - Il Vaticano invita Lefebvre a non ordinare dei vescovi, e compiere così «un atto scismatico».

30 GIUGNO 1988 - Lefebvre ordina quattro vescovi, e da Roma scattano le scomuniche. Il papa concede a chi resta nella Chiesa di chiedere la celebrazione della Messa secondo il rito antico.

25 MARZO 1991 - Lefebvre muore senza riconciliazione col Papa.

12 LUGLIO 1994 - Bernard Fellay eletto superiore della San Pio X. Sotto la sua guida i lefebvriani continuano a contestare il Concilio, l'ecumenismo, e il rito della Messa.

2000 - In agosto pellegrinaggio di seimila lefebvriani a Roma per il Giubileo. Il 30 dicembre Wojtyla riceve Fellay.

22 marzo 2001 - Il Vaticano conferma che sono in corso contatti formali con i tradizionalisti.

24 maggio 2003 - Il cardinale Dario Castrillon Hoyos celebra a Santa Maria Maggiore la Messa secondo il rito preconciliare, mandando un segnale di disponibilità ai lefebvriani.

2 maggio 2005 - Muore Giovanni Paolo II. Monsignor Fellay esprime cordoglio, ma ribadisce le critiche all'ecumenismo di Wojtyla.

29 agosto 2005 - Benedetto XVI riceve Fellay a Castelgandolfo.

28 giugno 2007 - Il Papa autorizza la Messa in latino secondo la revisione del canone di Giovanni XXIII.

4 giugno 2008 - Il cardinale Castrillon Hoyos consegna a Fellay le cinque condizioni per il pieno reintegro nella Chiesa.

1 luglio 2008 - La fraternità San Pio X chiede il ritiro dei decreti di scomunica come condizione per il confronto.

15 dicembre 2008 - Lettera di Fellay che chiede al Papa la riammissione nella Chiesa.

24 gennaio 2009 - La Santa Sede annuncia che il Papa ha concesso il perdono pontificio, revocando la scomunica ai vescovi ordinati da Lefebvre.

© Copyright Eco di Bergamo, 25 gennaio 2009


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25/01/2009 19:30
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Intervista a Vittorio Messori: «Agli ebrei dico: lasciateci lavorare»

di Paolo Rodari

Vittorio Messori, il Papa ha accettato la richiesta giunta da Econe di rimettere la scomunica nella quale erano incorsi nel 1988 i quattro vescovi lefebvriani. Ma il fatto che tra questi vescovi vi sia monsignor Richard Williamson, che recentemente ha mosso dichiarazioni revisioniste e negazioniste sull’Olocausto, ha scatenato feroci polemiche nel mondo ebraico e internazionale. L’ultima di ieri è del Rabbino David Rosen. Come commenta?

Mi appello ai princìpi del diritto internazionale secondo i quali ogni Stato è sovrano al suo interno. La revoca della scomunica è un fatto interno alla Chiesa sul quale non riesco a capire perché il mondo ebraico si senta in diritto di intervenire. Insomma, chiedo che ai cattolici venga lasciata la libertà di lavorare in pace portando avanti le proprie azioni. Non mi sembra che il Vaticano si sia mai sentito in dovere di intervenire sulla nomina di un Gran Rabbino o su altre questioni interne al mondo ebraico. Sarebbe corretto, dunque, che gli ebrei avessero il medesimo atteggiamento nei confronti dei cattolici.

Il decreto col quale viene rimessa la scomunica è un primo passo verso la piena comunione?

Non so se si arriverà mai alla piena comunione. Le difficoltà, a mio avviso, più che teologiche sono politiche.

Cioè?

I lefebvriani sono un fenomeno tutto francese. Dietro i lefebvriani c’è un intreccio di religione e politica che Ratzinger conosce bene ma che in Italia si fatica a comprendere appieno. Dietro c’è la rivoluzione francese, la nostalgia monarchica, il gallicanesimo e il giansenismo. C’è la legislazione religiosa di Pétain, punto di riferimento dei lefebvriani. Insomma, è un groviglio non affrontabile soltanto a livello teologico ma anche e soprattutto a livello di filosofia della storia. È una visione delle cose, quella lefebvriana, una Veltanschaung, che poco ha a che vedere con quella cattolica.

Eppure il Papa sembra vicino ai lefebvriani…

Il Papa adotta nei loro confronti una sorta di “ecumenismo paziente”. Benedetto XVI è buono e paziente. Conosce la storia dei lefebvriani e sa bene chi sono. Sa che, allo stesso modo della teologia della liberazione, anche la loro esperienza è necessaria alla Chiesa: le ali estreme servono alla Chiesa perché le permettono di rimanere nel centro, di continuare sulla strada dell’“et-et”. E anche i lefebvriani conoscono bene Ratzinger e infatti lo temono.

In che senso?

Voglio raccontarle un episodio degno di un romanzo di Dan Brown. Un giorno di qualche anno fa venni prelevato (ovviamente col mio consenso) dalla mia casa di Desenzano del Garda da una Mercedes nera con targa svizzera coi vetri oscurati. Mi portarono in uno chalet nascosto in un bosco nel cantone di Zug. Qui mi aspettava il superiore generale della Fraternità San Pio X, monsignor Bernard Fellay.
Mi convocò perché voleva saperne di più di Ratzinger: chi fosse, cosa pensasse di loro etc. Insomma, Fellay temeva Ratzinger molto di più di quanto avrebbe potuto temere un cardinale o un Papa di posizioni teologiche diametralmente opposte alle sue: che so io, un Martini o un vescovo francese. Lo temeva perché sapeva che Ratzinger, proprio perché non apertamente nemico loro, conosceva a fondo la loro storia. E, quindi, conosceva bene che ciò che divideva i lefebvriani da Roma non era e non è innanzitutto la messa in latino o il decreto sulla libertà religiosa del Concilio Vaticano II, quanto l’intreccio religioso-politico tutto francese che sta dietro la stessa esperienza nata con Marcel Lefebvre.

Rispetto al Vaticano II, quali sono le differenze tra Benedetto XVI e i lefebvriani?

Nonostante le semplificazioni giornalisitiche, tutti sanno che Giovanni XXIII era un conservatore. Voleva un Concilio di pochi mesi nel quale si approvassero semplicemente i decreti preparati dal cardinale Ottaviani. E lo stesso Concilio si sarebbe dovuto concludere con la beatificazione di Pio XII.

Ma fu proprio Ratzinger, quale consultore teologico del cardinale arcivescovo di Colonia Joseph Frings, a far sì che il Concilio andasse in altro modo. Ed è principalmente questa l’“onta” che i lefebvriani non hanno mai perdonato a Ratzinger. Questi era un conciliarista vero. Avverso all’ermeneutica dello Spirito del Concilio, ma aperto alle innovazioni portate dal Concilio stesso. E questa fedeltà al Vaticano II propria di Ratzinger è invisa ai lefebvriani.

© Copyright Il Riformista, 25 gennaio 2009


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Quando un gesto di riconciliazione diventa caso mediatico

Un copione sbagliato

In scena è andato un copione sbagliato e così la revoca della scomunica ai vescovi ordinati nel 1988 è diventato un nuovo caso mediatico pieno di toni emotivi. Con tempismo frettoloso si è addossata a Benedetto XVI la colpa non solo di resa a posizioni anticonciliari, ma perfino, se non la connivenza, almeno l'imprudenza di sostenere tesi negazioniste sulla Shoah.
Le parole del Papa ai vespri conclusivi della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani e la sua riflessione alla preghiera dell'Angelus sono state una smentita a queste paure diffuse.
Benedetto XVI ha detto parole importanti garantendo che "gli anziani tra noi certamente non dimenticano" il primo annuncio del Concilio fatto da Giovanni XXIII "il 25 gennaio 1959, esattamente cinquant'anni or sono". Un gesto che oggi Papa Ratzinger definisce "provvida decisione" suggerita dallo Spirito Santo e che il nostro giornale non casualmente ha ricordato con enfasi proprio nel giorno della revoca della scomunica.
È in forza della convinzione nei confronti del concilio quale avvenimento ispirato dall'alto che si deve leggere il gesto di revoca della scomunica. La riforma del concilio non è ancora del tutto attuata, ma è ormai talmente consolidata nella Chiesa cattolica che non può essere messa in crisi da un magnanimo gesto di misericordia. Ispirato per di più al nuovo stile di Chiesa voluto dal concilio che preferisce la medicina della misericordia alla condanna.
La revoca che ha suscitato tanto allarme non conclude una vicenda dolorosa come lo scisma lefebvriano. Con essa il Papa sgombera il campo da possibili pretesti per infinite polemiche, entrando nel merito del vero problema: l'accettazione piena del magistero, compreso ovviamente il concilio Vaticano II. Se infatti è vero che la Chiesa cattolica non nasce con il concilio, è vero altrettanto che anche la Chiesa rinnovata dal concilio non è un'altra Chiesa, ma la stessa Chiesa di Cristo, fondata sugli apostoli, garantita dal successore di Pietro e quindi parte viva della tradizione. Con l'annuncio di Papa Giovanni la tradizione certo non sparisce, ma continua ancora oggi nelle forme proprie di una pastorale e di un magistero aggiornati dall'ultimo grande concilio.

Pertanto appare un esercizio retorico, se non proprio offensivo, pensare che Benedetto XVI possa svendere anche in parte il concilio a chicchessia. Come retorico è il ricorrente chiedersi di alcuni se il Papa sia davvero convinto del cammino ecumenico e del dialogo con gli ebrei.

Gli impegni strategici del suo pontificato sono sotto gli occhi di tutti e i singoli atti pastorali e di magistero procedono limpidamente nell'applicazione della strategia annunciata al momento della sua elezione. Egli persegue quel programma nella condivisione collegiale con l'episcopato degli atti più impegnativi. Il dialogo è parte costitutiva della Chiesa conciliare e Benedetto XVI ha ripetuto più volte, e di nuovo ora, che l'ecumenismo richiede la conversione di tutti - anche della Chiesa cattolica - a Cristo. In una Chiesa convertita "le diversità non saranno più ostacolo che ci separa, ma ricchezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune".
La revoca della scomunica non è ancora la piena comunione. Il percorso di riconciliazione con i tradizionalisti è una scelta collegiale e già nota della Chiesa di Roma e non un gesto repentino e improvviso di Benedetto XVI. Dall'accettazione del concilio discende necessariamente anche una limpida posizione sul negazionismo. La dichiarazione Nostra aetate, che segna la più autorevole svolta cattolica nei confronti dell'ebraismo, deplora "gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo, dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque". Si tratta di un insegnamento non opinabile per un cattolico. Gli ultimi Papi, compreso Benedetto XVI, hanno esplicitato questo insegnamento. In decine di documenti, gesti e discorsi. Le recenti dichiarazioni negazioniste contraddicono questo insegnamento e sono pertanto gravissime e incresciose.

Rilasciate prima del documento di revoca della scomunica, restano - come abbiamo già scritto - inaccettabili.

c. d. c.

(©L'Osservatore Romano - 26-27 gennaio 2009)


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VESCOVI LEFEBVRIANI: VESCOVI BELGI, “NON MESSO IN DISCUSSIONE IL VATICANO II”

“Tutto ciò che contribuisce all’unità dei cristiani è di fatto una cosa buona”.
“Ma come ricorda spesso Benedetto XVI, l’unità non si fa mai a scapito della verità. Con questo gesto di riconciliazione, non è dunque messo in discussione il Concilio Vaticano II e i suoi insegnamenti”.
E‘ il commento di padre Eric de Beukelaer, portavoce della Conferenza episcopale belga, alla revoca della scomunica ai 4 vescovi lefevbriani resa nota sabato scorso dalla Santa Sede.
Il portavoce dei vescovi del Belgio mette in guardia dal rischio di “confondere questa questione con eventuali dichiarazioni di un vescovo tradizionalista che nega la realtà della Shoah” ed aggiunge: “non si può che deplorare tutto questo.
La Shoah resta il simbolo della follia omicida di un regime disumano ossessionato dall’idea di annientare il popolo ebraico. Qualsiasi persona che ne minimizza la portata, si comporta da ideologo più che da storico. Ferisce, facendo così, il nostro dovere di memoria. E’ evidentemente inaccettabile e …poco intelligente”.
Nella nota, diffusa oggi sul sito della Conferenza episcopale belga, c’è anche il commento di un professore di diritto canonico, Alphonse Borras, che definisce la revoca della scomunica come “un atto innegabile della volontà di Benedetto XVI di ricercare con tutti i cristiani separati dalla sede di Roma la via dell’unità”.

© Copyright Sir


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Caso Lefebvre: il Papa non nega il Vaticano II


L'Osservatore Romano risponde al “caso mediatico” sulla revoca della scomunica




CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 26 gennaio 2009 (ZENIT.org).- L'impegno di Benedetto XVI nell'applicazione del Concilio Vaticano II non cambia per il fatto di aver revocate le scomuniche a quattro Vescovi consacrati da monsignor Marcel Lefebvre nel 1988, spiega il quotidiano della Santa Sede constatando la creazione di un “caso mediatico”.

Carlo Di Cicco, Vicedirettore de “L'Osservatore Romano”, in un articolo intitolato “Un copione sbagliato” osserva che in questi giorni “in scena è andato un copione sbagliato e così la revoca della scomunica ai Vescovi ordinati nel 1988 è diventato un nuovo caso mediatico pieno di toni emotivi”.


“Con tempismo frettoloso si è addossata a Benedetto XVI la colpa non solo di resa a posizioni anticonciliari, ma perfino, se non la connivenza, almeno l'imprudenza di sostenere tesi negazioniste sulla Shoah”.


Secondo il quotidiano vaticano, le parole del Papa ai Vespri conclusivi della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani e la sua riflessione alla preghiera dell'Angelus sono state una smentita a queste paure diffuse.

Benedetto XVI ha pronunciato parole importanti garantendo che “gli anziani tra noi certamente non dimenticano” il primo annuncio del Concilio fatto da Giovanni XXIII “il 25 gennaio 1959, esattamente cinquant'anni or sono”.


“Un gesto che oggi Papa Ratzinger definisce 'provvida decisione' suggerita dallo Spirito Santo e che il nostro giornale non casualmente ha ricordato con enfasi proprio nel giorno della revoca della scomunica”.


“È in forza della convinzione nei confronti del Concilio quale avvenimento ispirato dall'alto che si deve leggere il gesto di revoca della scomunica – spiega il vicedirettore –. La riforma del Concilio non è ancora del tutto attuata, ma è ormai talmente consolidata nella Chiesa cattolica che non può essere messa in crisi da un magnanimo gesto di misericordia. Ispirato per di più al nuovo stile di Chiesa voluto dal concilio che preferisce la medicina della misericordia alla condanna”.

“La revoca che ha suscitato tanto allarme non conclude una vicenda dolorosa come lo scisma lefebvriano”, ricorda Di Cicco. “Con essa il Papa sgombera il campo da possibili pretesti per infinite polemiche, entrando nel merito del vero problema: l'accettazione piena del magistero, compreso ovviamente il Concilio Vaticano II”.

“Se infatti è vero – aggiunge – che la Chiesa cattolica non nasce con il Concilio, è vero altrettanto che anche la Chiesa rinnovata dal Concilio non è un'altra Chiesa, ma la stessa Chiesa di Cristo, fondata sugli apostoli, garantita dal successore di Pietro e quindi parte viva della tradizione”.

“Con l'annuncio di Papa Giovanni la tradizione certo non sparisce, ma continua ancora oggi nelle forme proprie di una pastorale e di un magistero aggiornati dall'ultimo grande Concilio”.

“Pertanto appare un esercizio retorico, se non proprio offensivo, pensare che Benedetto XVI possa svendere anche in parte il Concilio a chicchessia – osserva Di Cicco – . Come retorico è il ricorrente chiedersi di alcuni se il Papa sia davvero convinto del cammino ecumenico e del dialogo con gli ebrei”.

“Gli impegni strategici del suo pontificato – prosegue – sono sotto gli occhi di tutti e i singoli atti pastorali e di magistero procedono limpidamente nell'applicazione della strategia annunciata al momento della sua elezione”.

“Egli persegue quel programma nella condivisione collegiale con l'episcopato degli atti più impegnativi – continua Di Cicco –. Il dialogo è parte costitutiva della Chiesa conciliare e Benedetto XVI ha ripetuto più volte, e di nuovo ora, che l'ecumenismo richiede la conversione di tutti – anche della Chiesa cattolica – a Cristo. In una Chiesa convertita 'le diversità non saranno più ostacolo che ci separa, ma ricchezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune'”.


“La revoca della scomunica non è ancora la piena comunione. Il percorso di riconciliazione con i tradizionalisti è una scelta collegiale e già nota della Chiesa di Roma e non un gesto repentino e improvviso di Benedetto XVI. Dall'accettazione del Concilio discende necessariamente anche una limpida posizione sul negazionismo”.

“La dichiarazione Nostra aetate, che segna la più autorevole svolta cattolica nei confronti dell'ebraismo, deplora 'gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo, dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque'”, ricorda poi.

“Si tratta di un insegnamento non opinabile per un cattolico. Gli ultimi Papi, compreso Benedetto XVI, hanno esplicitato questo insegnamento. In decine di documenti, gesti e discorsi. Le recenti dichiarazioni negazioniste contraddicono questo insegnamento e sono pertanto gravissime e incresciose. Rilasciate prima del documento di revoca della scomunica, restano – come abbiamo già scritto – inaccettabili”.

27/01/2009 18:04
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Re:

+PetaloNero+, 27/01/2009 2.11:

Caso Lefebvre: il Papa non nega il Vaticano II

L'Osservatore Romano risponde al “caso mediatico” sulla revoca della scomunica


“Con tempismo frettoloso si è addossata a Benedetto XVI la colpa non solo di resa a posizioni anticonciliari, ma perfino, se non la connivenza, almeno l'imprudenza di sostenere tesi negazioniste sulla Shoah”.




Connivenza con le tesi negazioniste???? [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564]
Ma stiamo scherzando? Ma chi l'ha detto che la revoca delle scomuniche si sposa con le idee dei beneficiari? [SM=g7564]
La questione è solo una: colpire sempre e comunque B16. Manca solo dire che il Papa è come Gesù: che carica con i peccati del mondo!
[SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707]

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Dal blog di Lella...

Shoah. Lefebvriani chiedono scusa al Papa per il loro Vescovo

Sue idee non ci rappresentano. A Williamson divieto di intervento

Roma, 27 gen. (Apcom)

I lefebvriani chiedono "perdono" al Papa per le affermazioni negazionistiche di un loro vescovo, mons. Richard Williamson.

Opinioni, scrive il superiore Fellay, "che non riflettono in nessun caso la posizione della nostra Fraternità".

"Abbiamo avuto conoscenza di un'intervista rilasciata da mons. Richard Williamson, membro della nostra Fraternità San Pio X, alla televisione svedese", afferma il superiore, mons. Bernard Fellay, in un comunicato rilanciato dalla sala stampa della Santa Sede.
"In questa intervista, egli si esprime su questioni storiche, in particolare sulla questione del genocidio degli ebrei da parte dei nazionalsocialisti.
E' evidente che un vescovo cattolico non può parlare con autorità ecclesiastica che su questioni che riguardano la fede e la morale. La nostra Fraternità non rivendica alcuna autorità sulle altre questioni. La sua missione è la propagazione e la restaurazione della dottrina cattolica autentica, esposta nei dogmi della fede. E' per questo motivo che siamo conosciuti, accettati e apprezzati nel mondo intero".

"E' con grande dolore - prosegue Fellay - che costatiamo quanto la trasgressione di questo mandato può far torto alla nostra missione. Le affermazioni di Mons. Williamson non riflettono in nessun caso la posizione della nostra Fraternità. Perciò - spiega il successore di Lefebvre - io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche.

Noi - sottolinea - domandiamo perdono al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche di tale atto. Benché noi riconosciamo l'inopportunità di queste dichiarazioni, noi non possiamo che costatare con tristezza che esse hanno colpito direttamente la nostra Fraternità discreditandone la missione. Questo non possiamo ammetterlo - conclude Fellay - e dichiariamo che continueremo a predicare la dottrina cattolica e di amministrare i sacramenti della grazia di Nostro Signore Gesù Cristo".

Apcom


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Da "Rinascimento Sacro"...

FSSPX: Fellay, "Io credo all'infallibilità della Chiesa".

Mons. Fellay si dice fiducioso per l'avvernire.

Condannate i propositi negazionisti di Mons. Williamson?
Non è mio compito condannarli. Io non ho le competenze per farlo. Ma io deploro che un Vescovo abbia potuto dare l’impressione d’impegnare la Fraternità in un punto di vista che non è assolutamente il nostro.

Secondo alcuni osservatori la decisione del Papa potrebbe creare divisioni in seno alla Fraternità. Non tutti i fedeli e preti sarebbero pronti per l’unità.
Io non lo credo. Ci può essere sempre una voce discordante, qui o là. Ma lo zelo che i fedeli hanno messo nel pregare per domandare la cancellazione della scomunica la dice lunga sulla nostra unione; 1.700.000 rosari sono stati detti in due mesi e mezzo.

Nella vostra lettera ai fedeli del 24 gennaio, voi manifestate il desiderio di esaminare con Roma le cause profonde della “crisi senza precedenti che investe la Chiesa oggi”. Quali sono queste cause?
Essenzialmente, questa crisi è dovuta ad un nuovo approccio del mondo, ad una nuova visione dell’uomo, cioè ad un antropocentrismo che consiste in un’esaltazione dell’uomo a scapito di Dio. La comparsa dei filosofi moderni, con il loro linguaggio meno preciso, ha condotto ad una confusione nella teologia.

Anche il Concilio Vaticano II è responsabile della crisi della Chiesa, secondo voi?
Non tutto viene dalla Chiesa. Ma è anche vero che noi respingiamo una parte del Concilio. Benedetto XVI stesso ha condannato quelli che rivendicano lo spirito del Concilio Vaticano II per domandare una evoluzione della Chiesa in rottura con il passato.

Al centro delle critiche che fate al Concilio c’è l’ecumenismo e la libertà religiosa.
La ricerca dell’unità tra tutti nel corpo mistico della Chiesa è il nostro desiderio più caro. D’altra parte, il metodo utilizzato non è adeguato. Oggi si insiste così tanto sui punti che ci uniscono alle altre confessioni cristiane che si elimina ciò che ci divide. Noi pensiamo che coloro che hanno lasciato la Chiesa cattolica, cioè gli ortodossi e i protestanti, devono tornarci. Noi concepiamo l’ecumenismo come un ritorno all’unita nella Verità.

Riguardo alla libertà religiosa, bisogna distinguere due situazioni: la libertà religiosa dell’individuo e le relazioni tra la Chiesa e lo Stato. La libertà religiosa implica la libertà di coscienza. Noi siamo d’accordo sul fatto che non esiste il diritto di forzare qualcuno ad accettare una religione. Quanto alla nostra riflessione sulle relazioni tra Chiesa e Stato, questa si basa sul principio della tolleranza. Ci sembra evidente che la dove ci sono più religioni, lo stato deve garantire l’intesa e la pace. Ma - d'altra parte - non c’è che una religione vera, le altre non lo sono. Ma noi tolleriamo questa situazione per il bene di tutti.

Cosa succederà se i negoziati falliscono?
Io sono fiducioso. Se la Chiesa dice qualcosa oggi in contraddizione con ciò che insegnava ieri e ci ha costretti ad accettare questo cambiamento, allora ci deve spiegare la ragione. Io credo nell’infallibilità della Chiesa e penso che arriveremo ad una completa soluzione.

Traduzione di Lucpip per Oriens.



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Fuoco di polemiche sul vescovo negazionista

I vescovi svizzeri prendono carta e penna e, in una nota, condannano quanto affermato dal vescovo negazionista.
Monsignor Kurt Koch, presidente della Conferenza episcopale elvetica definisce "intollerabile" la negazione della Shoah e chiede ai lefebvriani di riconoscere esplicitamente il Concilio vaticano II e la dichiarazione conciliare "Nostra aetate" sui rapporti con l’ebraismo.
I vescovi svizzeri sono particolarmente sensibili alla "questione lefebvriana" anche perché il quartier generale dei seguaci di monsignor Lefebvre si trova proprio in Svizzera, ad Econe.

Resta la sospensione a divinis

"Con un decreto firmato dal prefetto per la Congregazione per i vescovi, il cardinale Giovanni Battista Re, il Papa Benedetto XVI ha revocato il 21 gennaio la pena della scomunica contro i quattro vescovi della Fraternità sacerdotale San Pio X. Questo decreto è l’espressione della volontà del Papa di riassorbire lo scisma con una comunità che conta nel mondo alcune centinaia di migliaia di fedeli e 493 preti. Si è tuttavia prestata poca attenzione - sottolinea il presidente dei vescovi svizzeri - al fatto che questi quattro vescovi rimangono sospesi a divinis. Non è loro permesso, pertanto, di esercitare il loro ministero episcopale".

Evitare equivoci

"Diverse reazioni - prosegue Koch - hanno manifestato una grande preoccupazione di fronte a questa decisione del Papa che tende la mano per la riconciliazione. Qui bisogna evitare equivoci: secondo il diritto della Chiesa, la revoca della scomunica non è la riconciliazione o la riabilitazione, ma l’apertura della strada verso la riconciliazione. Questo atto non è, dunque, la fine, ma il punto di partenza per un dialogo necessario sulle questioni controverse. Di fronte a queste profonde divergenze, questo cammino potrà essere lungo".

Intervista inquietante

"L’intervista concessa da uno di questi vescovi alla televisione svedese poco prima della pubblicazione della revoca della scomunica - prosegue il presidente dei vescovi svizzeri - ha aggravato le preoccupazioni. Monsignor Richard Williamson vi affermava che non ’è evidenza storica dell’esistenza delle camere a gas e che solo due-trecentomila ebrei sono stati uccisi dai nazisti e non sei milioni. La Chiesa cattolica - sottolinea il presule - non può in alcun modo accettare questa negazione dell’Olocausto. Il portavoce vaticano ha preso posizione al momento della pubblicazione del decreto su queste affermazioni assurde e le ha definite totalmente inaccetabili. Noi, vescovi svizzeri, facciamo nostra questa condanna e preghiamo i membri delle comunità ebraiche svizzere di scusare le irritazioni di questi ultimi giorni. Coloro che conoscono Benedetto XVI e il suo atteggiamento positivo nei confronti dell’ebraismo sanno che non può tollerare gli sbandamenti indifendibili di monsignor Williamson".

© Copyright Il Giornale online


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Intervista a Francesco Cossiga: «Che c’entra il Papa? È Williamson che sparla sulla Shoah»

di Paolo Rodari

Gen 27, 2009 il Riformista

Presidente Francesco Cossiga, gli ebrei hanno detto che attendono dal Papa un «gesto positivo». Lo accusano perché tra i quattro vescovi lefebvriani ai quali egli ha concesso la revoca della scomunica c’è Richard Williamson il quale, qualche settimana fa, negò in un’intervista l’esistenza delle camere a gas naziste…

Lei ha detto bene. Williamson ha negato l’esistenza delle camere a gas ma non ha negato l’Olocausto. Questo va detto come premessa.

Comunque una frase ridicola…

Sì. Ma probabilmente Williamson “non c’è con la testa”. Le sue dichiarazioni andrebbero meno valorizzate.

Da quando Joseph Ratzinger è stato eletto Papa questo è il momento più duro nei rapporti Chiesa cattolica-ebrei?

Non è un momento facile. Ma non bisogna dimenticare che un forte sentimento antiebraico è connaturato al popolo cattolico. E non bastano di certo due Pontefici (mi riferisco a Wojtyla e a Ratzinger) a eliminarlo.

Benedetto XVI come sta lavorando con gli ebrei?

Più di quello che ha fatto cosa deve fare? Durante il suo primo viaggio apostolico fuori i confini italiani (in Germania) visitò la Sinagoga di Colonia. E lo scorso aprile, negli Stati Uniti, ha visitato la Sinagoga di Park East a New York, accolto dal rabbino Arthur Schneier. C’era la moglie di Schneier: era vestita di nero, con tanto di velo. Quando ha visto il Papa gli ha pure baciato l’anello, segno di una profonda stima verso di lui.

Nell’introduzione all’ultimo libro di Marcello Pera, Benedetto XVI spiega come un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non sia possibile, mentre urge un dialogo interculturale. Forse un certo malcontento ebraico verso il Papa nasce anche da questa affermazione?

È singolare come un Papa attento gli ebrei, un Papa ecumenico (il suo è un “ecumenismo realista”) come è Benedetto XVI, non venga capito proprio su questi temi. Egli ha detto una cosa ovvia: il dialogo interreligioso è impossibile perché cade nel sincretismo. Più intelligente è un dialogo interculturale. Del resto anche le radici giudaico-cristiane dell’Europa altro non sono che un insieme di culture diverse: Roma, Atene e Gerusalemme.

I lefebvriani possono stare nella Chiesa cattolica?

Benedetto XVI, in quanto “Papa ecumenico”, non poteva non provarci anche con loro. È un tentativo legittimo. Ma per ora è soltanto un tentativo.

Cioè?

Cosa è successo fino a ora? Semplicemente questo: la Congregazione dei vescovi ha revocato la scomunica con un decreto. I quattro lefebvriani non erano eretici: avevano soltanto posto in essere un atto di disobbedienza, un illecito. Ovvero erano stati consacrati senza il mandato pontificio. Oggi questi quattro non sono più scomunicati, ma ciò non significa che vi sia piena comunione con Roma. La piena comunione arriverà, forse, in futuro.

La cosa ha scandalizzato molti nella stessa Chiesa.

Ha scandalizzato perché si dice che con questo decreto sia stato compiuto un passo indietro rispetto al Concilio. Ma non è così. Non c’è stato nessun confronto dottrinale coi lefebvriani. Non c’è stata alcuna trattativa. C’è stato soltanto il gesto del Papa che ha voluto revocare una scomunica comminata per disobbedienza.

Non si poteva aspettare lo svolgersi di una trattativa che portasse i lefebvriani a pronunciare parole chiare sul Concilio Vaticano II?

Credo che il Papa non abbia voluto ripetere l’errore commesso da Pio IX coi vetero-cattolici. La Chiesa vetero-cattolica raggruppa quelle comunità che si separarono da Roma nel 1870-71, in polemica con la proclamazione del dogma dell’infallibilità papale promosso da Pio IX. Se il fenomeno fosse stato arginato in tempo, oggi avremmo queste comunità ancora nella Chiesa. A mio avviso Benedetto XVI non è voluto incappare nello stesso errore del suo predecessore.

© Copyright Il Riformista, 27 gennaio 2009


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ASSIEME A PIETRO

Poche le eccezioni al plauso per la revoca della scomunica ai vescovi ordinati illecitamente

Da Bagnasco a Kasper da Zollitsch a Ricard, da Vingt-Trois allo storico Riccardi, apprezzamento per la scelta. «Il Papa tende la mano alla Fraternità, tocca a loro afferrarla»

«La misericordia verso i lefebvriani rafforza la Chiesa»

DI GIANNI CARDINALE

Nonostante qualche rara critica – ma rumoro­sa anche perché opportunamente amplifi­cata dal circuito mediatico –, il provvedi­mento di revoca della scomunica dei quattro vesco­vi «lefebvriani», è stato accolto positivamente nel se­no della Chiesa cattolica.
Anche perché si è ben com­preso che il gesto pontificio di per sé non ha ancora chiuso la vicenda (pur senza la scomunica la «piena comunione» ancora non c’è) e soprattutto che non ha nulla a che fare con le false e improvvide afferma­zioni «negazioniste» fatte lo scorso novembre da u­no dei quattro vescovi illecitamente ordinati da mon­signor Marcel Lefebvre (vale a dire Richard William­son) e diffuse in Italia solo quando autorevoli indi­screzioni avevano anticipato la notizia del perdono vaticano.
Parole di plauso all’iniziativa pontificia sono state e­spresse da subito da parte dei lea­der dei tre episcopati che storica­mente hanno avuto più a che fare col fenomeno tradizionalista. E cioè dal presidente della Confe­renza episcopale tedesca, l’arcive­scovo di Friburgo Robert Zollit­sch: «Papa Benedetto XVI tende la mano alla Fraternità sacerdotale san Pio X. Con lui spero e prego che essa venga afferrata». Dal presidente della Conferen­za episcopale elvetica, il vescovo di Basilea Kurt Ko­ch: «Benedetto XVI è stato guidato dalla convinzione che dopo il riconoscimento del magistero e dell’au­torità del Papa vi sono buone prospettive che i pen­denti colloqui sulle questioni ancore irrisolte dell’e­redità vincolante del Concilio Vaticano II possano giungere a buon fine». E dal presidente della Confe­renza episcopale francese, il cardinale di Parigi André Vingt-Trois: «Ogni volta che la Chiesa sospende una pena io me ne rallegro. È una opportunità, una por­ta aperta, che permette a dei cristiani di ritrovare la pienezza della comunione con la Chiesa. A condi­zione che essi lo desiderino e lo accettino. È un gesto di apertura per fortificare l’unità della Chiesa».
Ieri un altro cardinale residenziale francese, l’arcive­scovo di Bordeaux, Jean-Pierre Ricard, ha dichiarato: «La remissione di una scomunica non è mai un fine ma l’inizio di un processo di dialogo. Benedetto XVI ha voluto andare fino in fondo a ciò che poteva fare come mano tesa, come invito alla riconciliazione.
Il Papa, teologo e storico della teologia, conosce il dram­ma che rappresenta uno scisma nella Chiesa. Lui stes­so si è sentito investito della missione di ricucire i fi­li sfilacciati dell’unità ecclesiale».
Da parte sua Il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, cui afferisce la Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, intervistato da «Repubblica» ha ribadito che «negare l’Olocausto è i­naccettabile e non è assolutamente la posizione del­la Chiesa cattolica», e ha invocato: «non mescoliamo le due questioni: la revoca della scomunica per i ve­scovi della Fraternità San Pio X e le dichiarazioni di Williamson».

Invocazione che non è stata raccolta da Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comu­nità ebraiche italiane, che ieri ha rilasciato dichiarazioni con cui – aldilà delle intenzioni pro­clamate – ha sostanzialmente continuato a confondere i due piani.

Parole simili a quelle di Kasper sono state pronunciate dallo storico Andrea Riccardi, fonda­tore della Comunità di Sant’E­gidio, che interpellato dal «Corriere della sera», ha fat­to notare che «se la ricomposizione dell’unità andasse avanti, probabilmente avrebbe un effetto positivo, proprio riguardo ai negazionisti», nel senso che «l’am­biente dove circolano queste idee, se circolano, sa­rebbe sottratto diciamo così ad una deriva settaria e inscritto nel sentire più vasto della Chiesa».
Ieri infine il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, nella prolu­sione al Consiglio permanente, ha espresso l’ap­prezzamento dell’episcopato «per l’atto di miseri­cordia del Santo Padre» e ha manifestato «il dispia­cere per le infondate e immotivate dichiarazioni» di Williamson circa la Shoah, «dichiarazioni peraltro re­se alcuni mesi ori sono e solo adesso riprese con in­tento strumentale; dichiarazioni già ripudiate dalla stessa Fraternità»

© Copyright Avvenire, 27 gennaio 2009


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Gianni Baget Bozzo

“È stato corretto l’errore di Wojtyla”

Don Gianni Baget Bozzo, lei analizza da decenni le crisi del post-Concilio. Graziare i vescovi lefebvriani è uno schiaffo a Wojtyla che li ha scomunicati?

«Joseph Ratzinger ha preparato questa svolta nell’ombra, durante i lunghi anni in cui è stato prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Diventato Papa ha messo in atto il piano anti-scisma il cui punto fondamentale è stato nel settembre 2007 il motu proprio «Summorum Pontificum» con cui Benedetto XVI ha ristabilito nei suoi diritti la messa tridentina. Non a caso i seguaci dell’arcivescovo Lefebvre espressero subito al Papa compiacimento e gratitudine. Tra Wojtyla e Ratzinger il salto decisivo è stato questo: permettere l’uso della messa in latino secondo il rito anteriore alla riforma liturgica, in via ordinaria e senza richiesta al vescovo. A quel punto non aveva più senso per i lefebvriani restare fuori dalla Chiesa. Né per la Chiesa tenerli fuori».

È il Vaticano che si è spostato sulle posizioni dei lefebvriani o viceversa?

«C’è stato un mutamento da entrambe le parti. È cambiato il quadro generale, perciò la sanzione ecclesiastica andava rimossa in cambio del ritorno alla piena obbedienza. Giovanni Paolo II tenne duro perché le ordinazioni episcopali senza il suo permesso avrebbero scardinato il sistema e la Santa Sede ne sarebbe uscita indebolita. Giovanni Paolo II sapeva che la partita era più grande, era consapevole, per esempio, che, se avesse ceduto, si sarebbe ritrovato con i vescovi cinesi consacrati dal governo. Ratzinger, invece, non ha mai abbandonato la speranza di riannodare i fili e ha lavorato in silenzio attraverso la pontificia commissione Ecclesia Dei. In modo graduale ma inesorabile ha creato le condizioni favorevoli prosciugando l’acqua al dissenso lefebvriano».

In che modo?

«Ratzinger aveva capito da molto tempo che a rendere forti e compatti i lefebvriani era stato il cambio di liturgia. Tornando alla liturgia antica, Benedetto XVI ha rimosso il principale ostacolo. Da fine teologo ha compreso che lo scisma lefebvriano aveva per il 95% motivazioni liturgiche. Per questo, appena eletto al Soglio di Pietro, ha subito chiarito che la liturgia, come il dogma, rimane perenne, quindi il suo predecessore Paolo VI non aveva diritto di abrogare il rito antico. Era il segnale che i lefebvriani attendevano e che Wojtyla non era stato in grado di dare».

© Copyright La Stampa, 25 gennaio 2009


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Da "Repubblica"...

Per lo studioso tedesco "gli ultimi eventi sono il segno della continua marcia indietro e dell'irrigidimento del Vaticano"

L'attacco del "teologo ribelle" Küng

'Nella Chiesa c'è una restaurazione'
"Il Papa vive nel suo mondo, si è allontanato dagli uomini"


dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI


Il teologo tedesco Hans Küng
BERLINO - "Voglio aspettare a prendere una posizione su questa polemica, perché in gioco ci sono problemi di fondo. Voglio prepararmi a dire la mia sugli aspetti cruciali del processo in corso. Perché la questione di questi quattro vescovi è solo da vedere nel contesto generale di una restaurazione". Così il famoso "teologo ribelle" tedesco il professor Hans Küng commenta al telefono con La Repubblica e altri media internazionali la situazione nella Chiesa cattolica dopo il ritiro della scomunica del vescovo negazionista Williamson e degli altri tre presuli della Confraternita ultraconservatrice fondata da Monsignor Lefebvre. Nella Chiesa cattolica tedesca prevalgono pareri fortemente contrari, La teologa Uta Ranke-Heinemann parla di "responsabilità vergognose".

Professor Küng, quanto è importante la revoca della scomunica contro i quattro vescovi?
"I significati fondamentali li ha il processo generale in corso. La questione della revoca della scomunica ai quattro vescovi sopra citati secondo me, da sola, di per sé non è davvero importante, ma ha un significato e va vista e inquadrata in un contesto generale di restaurazione".

Che significato hanno questo contesto generale e gli ultimi eventi?
"Nel contesto generale gli ultimi eventi sono un segno del continuo irrigidimento del Vaticano, la continua marcia indietro, il continuo susseguirsi di un passo indietro dopo l'altro. Voglio pensare e prendere posizione sugli eventi in questo contesto, sto riflettendo ancora su come farlo".

Quanto è preoccupante e serio questo processo?
"È molto preoccupante. Ma voglio aspettare ancora qualche giorno, farò attendere ancora un po' la mia voce".

Eppure per il caso Williamson fedeli e opinioni pubbliche sono sotto shock, che ne dice?
"Williamson è solo un aspetto del contesto generale. Non l'unico. Per quanto l'antisemitismo sia ributtante e da respingere, l'insieme dello sviluppo in corso è molto più carico di serie conseguenze. Stiamo parlando di persone che non hanno ancora sottoscritto la dichiarazione sulla libertà di religione e il decreto sugli ebrei (i documenti conciliari, ndr)".

Cioè il problema non è solo la polemica cristiani-ebrei bensì le idee di fondo della Chiesa sul suo posto nel mondo moderno?
"Sì. La questione è l'insieme del corso che Papa Ratzinger ha fatto imboccare alla Chiesa. Purtroppo un percorso significativamente all'indietro".

Anche rispetto a Papa Wojtyla?
"Sì. Certo, Papa Wojtyla ha saputo evitare alcuni errori, e sapeva meglio parlare alla gente. E fu lui a scomunicare i vescovi di Lefebvre. Ecco un altro esempio di passo indietro oggi. In generale, la volontà di riconciliazione con i membri della confraternita è da valutare positivamente. Ma insisto resta del tutto non chiaro se questi vescovi riconoscano il Concilio Vaticano II o se rispettino il decreto sulla libertà religiosa".

Il Papa vive davvero nel mondo moderno, capisce i fedeli?
"Il Pontefice vive nel suo mondo, si è allontanato dagli uomini, e oltre a grandi processioni e pompose cerimonie, non vede più i problemi dei fedeli - risponde Küng alla tv svizzera - Per esempio la morale sessuale, la cura pastorale delle anime, la contraccezione. La Chiesa è in crisi, io spero che egli lo riconosca. Sarei felice di passi di riconciliazione specie verso gli ambienti dei fedeli progressisti. Ma Benedetto non vede che sta alienando se stesso dalla gran parte della Chiesa cattolica e della cristianità. Non vede il mondo reale, vede solo il mondo vaticano".

(27 gennaio 2009)


Ma parli sul serio? [SM=g7564] Il mondo reale non lo vedi tu! [SM=g7707] Dimmi un po' chi ti segue? O sarà che sei invidioso e non vuoi vedere le folle che seguono il Papa! Bahhhh!!!
[SM=j7808] [SM=j7808] [SM=j7808] [SM=j7808] [SM=j7808] [SM=j7808] [SM=j7808]

Papa Ratzi Superstar









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I lefebvriani chiedono perdono al Papa per le parole di mons. Williamson sulla Shoah

In merito all’intervista rilasciata da Mons. Richard Williamson alla televisione svedese sulla Shoah, monsignor Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X, in una nota, ha scritto che "Le affermazioni di Mons. Williamson non riflettono in nessun caso la posizione della Fraternità" e dunque di avergli proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche. “Noi domandiamo perdono al Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche di tale atto – dice monsignor Fallay - Benché noi riconosciamo l’inopportunità di queste dichiarazioni, noi non possiamo che costatare con tristezza che esse hanno colpito direttamente la nostra Fraternità discreditandone la missione. E’ evidente che un vescovo cattolico non può parlare con autorità ecclesiastica che su questioni che riguardano la fede e la morale”.

www.radiovaticana.org





Tentativi di ricucire uno scisma


La revoca delle scomuniche favorirebbe il dialogo con gli ortodossi





ROMA, martedì, 27 gennaio 2009 (ZENIT.org).- La revoca della scomunica ai quattro Vescovi della Fraternità Sacerdotale S. Pio X (FSSPX) sta suscitando un intenso dibattito.

Diversi e moltissimi i temi sollevati. Per cercare di chiarire i termini della questione, ZENIT ha intervistato don Alfredo Morselli, parroco nella Diocesi di Bologna e uno dei sacerdoti incaricati dal Cardinale Carlo Caffarra di celebrare la Messa Tridentina

Qual è il significato della revoca della scomunica?

Don Alfredo: Mi pare che il significato sia duplice: in primo luogo si tratta di un atto di paternità nei confronti degli stessi Vescovi e di tutti i fedeli legati alla fraternità San Pio X. Sono molto significative le parole di mons. Fellay in una recentissima intervista: “L’ho capito dalla prima udienza in cui lo incontrai poco dopo la sua elezione. Pur muovendoci dei rimproveri, il Santo Padre aveva un tono dolce, veramente paterno... E’ un atto gratuito e unilaterale che mostra che Roma ci vuole realmente bene. Un bene vero”.

Ma questo gesto è soprattutto un messaggio a tutta la Chiesa e a tutto il mondo, la più energica riproposizione della chiave ermeneutica di questo pontificato: l’ “ermeneutica della riforma e della continuità”.

Può spiegare meglio quest’ultimo punto?

Don Alfredo: Ci sono persone che dopo il Concilio Vaticano II hanno parlato dell' “ermeneutica della discontinuità”, mentre il Pontificato di Benedetto XVI sostiene che “la Chiesa e la sua fede non possono cambiare e non sono cambiate”.

Il Pontefice si sta impegnando, con tutta la forza del suo Magistero, a “spiegare come la fede della Chiesa, pur insidiata dalla tentazione della discontinuità e della rottura, non è mai andata soggetta a trasmutazione”.

E sembra che mons. Fellay stia accettando questa prospettiva. Se ho ben capito le sue parole, egli afferma che nel Papa “traspaiono, insieme, la consapevolezza dei tempi in cui viviamo, la fermezza nel porvi rimedio e l’attenzione a tutti i suoi figli”.

Rilevante la dichiarazione di mons. Fellay rilasciata ad un giornale francese: “Io credo nell’infallibilità della Chiesa e penso che arriveremo ad una soluzione vera”. (http://www.letemps.ch/Facet/print/Uuid/68fdc1aa-eb30-11dd-b87c-1c3fffea55dc/Je_crois_à_linfaillibilité_de_lEglise)

Molti hanno parlato della fine di uno scisma, di un atto che non ha precedenti nella storia. Qual è il suo commento in merito?

Don Alfredo: Diciamo che se alla buona volontà del Papa corrisponderà altrettanta buona volontà da parte della FSSPX, avremo evitato uno scisma.

E’ vero che i Vescovi i sacerdoti e i fedeli della Fraternità sacerdotale di San Pio X hanno sempre riconosciuto e pregato per il Papa?

Don Alfredo: Questo è verissimo. Mons. Lefebvre definì anni addietro “Colpo da maestro di satana” l’allontanamento dei fedeli dalla Tradizione credendo di obbedire. Ma sarebbe stato ancora più grave riuscire a staccare da Pietro i Tradizionalisti, che hanno nel loro DNA il massimo amore alla Sede Apostolica: e così si capisce un certo malcontento progressista per la felice soluzione del caso.


Perché la Fraternità sacerdotale di San Pio X ha così tante vocazioni al sacerdozio?

Don Alfredo: La Messa Tridentina – contra factum non fit argumetum – è una fucina di vocazioni: nel rito romano antico viene proposto un modello di sacerdozio dove la singolarità del prete scompare e dove emerge invece tutto il valore delle parole della ordinazione: “Imitate ciò che trattate”.

Una vera “vita spericolata” affascina, per imitare prima Cristo in stato di vittima, e, alla fine, seguirlo nella Sua gloria; al contrario, tanti abusi liturgici finiscono col far pensare che animare una celebrazione come un presentatore è un po’ poco per lasciare tutto.

Pensa che le dichiarazioni del vescovo Williamson possano compromettere il processo di riammissione nella Chiesa cattolica?

Don Alfredo: Bisogna diffidare da interviste rispolverate ad arte mesi dopo le dichiarazioni stesse. Questo “polverone” non fermerà la volontà del Papa, che ripresenta – qui e ora – la volontà di Gesù Cristo: che tutti siamo “uno” come Lui e il Padre sono “uno”.

La ricucitura di questo scisma e l’attenzione per la liturgia, potrebbero essere segnali importanti anche per rinnovati e migliori rapporti con le Chiese ortodosse?

Don Alfredo: Ma certo! In questi casi, dove il Papa scende in campo in prima persona come buon pastore, si vede proprio che il successore di Pietro è il “Servo dei Servi di Dio”, come si leggeva nelle intestazioni dei vecchi documenti pontifici: e si vede pure che la comunione con Pietro non minaccia nessuna realtà ecclesiale particolare, ma la rafforza.

Da un punto di vista pratico, la soluzione che si troverà per regolarizzare la posizione giuridica della FSSPX, darà garanzie agli ortodossi di ampie autonomie future. Già non erano mancati segnali di apprezzamento, da parte degli Ortodossi, del Motu Proprio “Summorum Pontificum”.

Lei ha conosciuto nella sua vita diversi sacerdoti della FSSPX? Che cosa ci può dire di questa esperienza?

Don Alfredo: Certamente non ho condiviso la scelta delle ordinazioni dei Vescovi e di quanto - al di là delle intenzioni personali – potesse anche solo sembrare disobbedienza al Magistero. Ma il loro amore per la Santa Messa e la loro spiritualità sacerdotale, incentrata sulla Santa celebrazione del Santo Sacrificio, rimangono esemplari.

Alcuni dicono che senza di loro non sarebbe arrivato il Motu Proprio. Correggerei l’affermazione con: “Il Signore, per meritarci la grazia del Motu Proprio, ha versato nel calice del Suo Preziosissimo Sangue la 'goccia d’acqua' della sofferenza dei Tradizionalisti; di quelli legati alla Fraternità San Pio X e di quelli che, spesso emarginati nel lungo 'inverno liturgico' - in cui si è tollerato di tutto fuorché la Messa di San Pio V -, non di meno sono rimasti nella più perfetta obbedienza”.




Remissione delle scomuniche: inizio e non fine di un cammino


Afferma il Cardinale Jean-Pierre Ricard




BORDEAUX, martedì, 27 gennaio 2009 (ZENIT.org).- La remissione della scomunica imposta nel 1988 ai quattro Vescovi consacrati illegittimamente dall'Arcivescovo francese Marcel Lefebvre, resa pubblica dalla Congregazione per i Vescovi il 24 gennaio, “non è la fine ma l'inizio di un processo di dialogo” in cui restano ancora questioni da chiarire.


Lo ha affermato il Cardinale Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux e membro della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, in una dichiarazione diffusa sabato dalla Conferenza Episcopale Francese.

Secondo il porporato, perché lo scisma possa ritenersi terminato devono ancora essere regolate due questioni fondamentali: “l'integrazione della struttura giuridica della Fraternità di San Pio X nella Chiesa” e “un accordo su questioni dogmatiche ed ecclesiologiche”.

Tra gli argomenti da dibattere, il Cardinale Ricard si è riferito alla questione del Concilio Vaticano II come “testo magisteriale di prima importanza. Questo è fondamentale”.

Il porporato ha anche alluso a questioni di tipo culturale e politico, come “le ultime dichiarazioni, inaccettabili, di monsignor Williamson negando il dramma dello sterminio degli ebrei”.

“Il cammino sarà senz'altro lungo, e richiederà una migliore conoscenza e stima reciproche, ma la remissione della scomunica permetterà di percorrerlo insieme”, ha aggiunto.

Il Cardinale Ricard ha spiegato che la scomunica è stata sollevata dopo varie richieste in questo senso da parte di monsignor Fellay, Superiore Generale della Fraternità di San Pio X, “soprattutto dopo una lettera indirizzata al Cardinale Castrillón Hoyos, il 15 dicembre scorso, a nome dei quattro Vescovi interessati”.

L'Arcivescovo di Bordeaux spiega anche che Benedetto XVI “ha voluto andare il più lontano possibile con la mano tesa, come invito a una riconciliazione”, per la sua missione di “fare il possibile per tornare a tessere i fili spezzati dell'unità ecclesiale”.

“Il Papa, teologo e storico della teologia, conosce il dramma che rappresenta uno scisma nella Chiesa – aggiunge –. Comprende la questione che spesso si presenta nella storia degli scismi: sono stati veramente usati tutti i mezzi per evitarli?”.

Non bisogna dimenticare, osserva, che il Pontefice “conosce bene il caso perché Giovanni Paolo II lo incaricò di mettersi in contatto con monsignor Lefebvre per cercare di impedire che commettesse l'atto irrimediabile delle consacrazioni episcopali”.

“L'allora Cardinale Ratzinger rimase colpito dall'insuccesso della sua missione”, ha confessato.

Il porporato si è detto fiducioso che “la dinamica suscitata dalla remissione della scomunica aiuti ad avviare il dialogo voluto dal Papa” e ha chiesto ai fedeli di “pregare per l'unità dei cristiani”.

“Non dimentichiamo che il cammino più sicuro per avanzare nell'unità dei discepoli di Cristo continua ad essere la preghiera”, ha concluso.



28/01/2009 17:39
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Re:

+PetaloNero+, 28/01/2009 2.02:

I lefebvriani chiedono perdono al Papa per le parole di mons. Williamson sulla Shoah

Alcuni dicono che senza di loro non sarebbe arrivato il Motu Proprio. Correggerei l’affermazione con: “Il Signore, per meritarci la grazia del Motu Proprio, ha versato nel calice del Suo Preziosissimo Sangue la 'goccia d’acqua' della sofferenza dei Tradizionalisti; di quelli legati alla Fraternità San Pio X e di quelli che, spesso emarginati nel lungo 'inverno liturgico' - in cui si è tollerato di tutto fuorché la Messa di San Pio V -, non di meno sono rimasti nella più perfetta obbedienza”.




Una di loro, una che soffre da molti anni le Messe alla meglio, sono io! [SM=g7966] [SM=g7966] [SM=g7966] [SM=g7966] [SM=g7966]

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La Fraternità San Pio X chiede perdono a Benedetto XVI


Monsignor Fellay prende le distanze dalle dichiarazioni del Vescovo Williamson




CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 28 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo il comunicato di monsignor Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, in merito alle dichiarazioni rilasciate da monsignor Richard Williamson circa il genocidio degli ebrei, diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede questo martedì sera.






* * *

Abbiamo avuto conoscenza di un'intervista rilasciata da Mons. Richard Williamson, membro della nostra Fraternità San Pio X, alla televisione svedese. In questa intervista, egli si esprime su questioni storiche, in particolare sulla questione del genocidio degli ebrei da parte dei nazionalsocialisti.

E' evidente che un vescovo cattolico non può parlare con autorità ecclesiastica che su questioni che riguardano la fede e la morale. La nostra Fraternità non rivendica alcuna autorità sulle altre questioni. La sua missione è la propagazione e la restaurazione della dottrina cattolica autentica, esposta nei dogmi della fede. E' per questo motivo che siamo conosciuti, accettati e apprezzati nel mondo intero.

E' con grande dolore che constatiamo quanto la trasgressione di questo mandato può far torto alla nostra missione. Le affermazioni di Mons. Williamson non riflettono in nessun caso la posizione della nostra Fraternità. Perciò io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche.

Noi domandiamo perdono al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche di tale atto. Benché noi riconosciamo l'inopportunità di queste dichiarazioni, noi non possiamo che constatare con tristezza che esse hanno colpito direttamente la nostra Fraternità discreditandone la missione.

Questo non possiamo ammetterlo e dichiariamo che continueremo a predicare la dottrina cattolica e di amministrare i sacramenti della grazia di Nostro Signore Gesù Cristo.

Menzingen, 27 gennaio 2009

+ Bernard Fellay, Superiore Generale

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PAPA: CON MONITO A LEFBVRIANI RISPONDE A RABBINATO

(AGI) - CdV, 28 gen. -

(di Salvatore Izzo)

Benedetto XVI ha pronunciato oggi parole chiarissime di condanna di ogni negazionismo sull'Olocausto e lanciato un monito ai vescovi lefbevriani spiegando di aver tolto loro la scomunica come atto di misericordia e di attendersi ora che aderiscano al Concilio Vaticano II per ristabilire la piena comunione. Lo ha fatto al termine dell'Udienza Generale, rispondendo cosi' in modo insolitamente rapido all'annuncio di interruzione del dialogo fatto bproprio questa mattina dal Gran Rabbinato di Israele, che rappresenta un macigno sulla prospettiva della visita che il Papa vuole fare in Terra Santa nel prossimo mese di maggio. "In questi giorni nei quali ricordiamo la Shoah - ha detto testualmente al termine dell'Udienza Generale - mi ritornano alla memoria le immagini raccolte nelle ripetute visite ad Auschwitz, uno dei lager nei quali si e' consumato l'eccidio efferato di milioni di ebrei, vittime innocenti di un cieco odio razziale e religioso". "Mentre rinnovo con affetto l'espressione della mia piena e indiscutibile solidarieta' con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza - ha continuato con voce ferma il Pontefice - auspico che la memoria della Shoah induca l'umanita' a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell'uomo".
La Shoah, ha raccomandato, deve essere "per tutti monito contro l'oblio, la negazione o il riduzionismo, perche' la violenza fatta contro un solo essere umano e' violenza contro tutti". "Nessun uomo e' un'isola", ha aggiunto citando la celebre frase di John Donne.
"La Shoah - ha scandito - insegni specialmente sia alle vecchie sia alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell'ascolto e del dialogo, dell'amore e del perdono, conducie i popoli, le culture e le religioni del mondo all'auspicato traguardo della fraternita' e della pace nella verita'. Mai piu' la volenza umili la dignita' dell'uomo!".
"Le parole del Papa, nelle diverse occasioni in cui gia' in passato si e' espresso, e che oggi sono state pronunciate ancora una volta sul tema della Shoah, dovrebbero essere piu' che sufficienti per rispondere alle attese di chi esprime dubbi sulle posizioni del Papa e della Chiesa cattolica sull'argomento", ha subito sottolineato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, scendendo in Sala Stampa per incontrare i giornalisti. "Ci auguriamo - ha aggiunto il gesuita - che, anche alla luce di esse, le difficolta' presentate dal Rabbinato di Israele possano essere oggetto di ulteriore e piu' approfondita riflessione, in dialogo con la Commissione per i rapporti con l'ebraismo del Consiglio per l'unita' dei cristiani, in modo che il dialogo della Chiesa Cattolica con l'ebraismo possa continuare con frutto e serenita'".
Il Gran Rabbinato di Gerusalemme aveva dichiarato di voler interrompere i rapporti ufficiali con il Vaticano "indefinitamente", in segno di protesta per la decisione di Benedetto XVI di revocare la scomunica a mons. Richard Williamson, che in una intervista alla tv svedese ha negato le camere a gas e le proporzioni dell'Olocausto. Il superiore generale Bernard Fellay ieri sera aveva chesto scusa al Papa e a tutti gli uomini di buona volonta' per le "inopportune" parole del suo confratello, assicurando di avergli imposto il silenzio.
Ma Papa Ratzinger ha voluto anche chiarire di aver concesso la remissione della scomunica in cui erano incorsi i quattro vescovi ordinati nel 1988 da mons. Lefebvre senza mandato pontificio unicamente come "atto di paterna misericordia perche' ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare". "Auspico che a questo mio gesto - ha affermato - faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando cosi' vera fedelta' e vero riconoscimento del magistero e dell'autorita' del Papa e del Concilio Vaticano II".
Anche nella catechesi all'Udienza generale, il Papa ha ricordato che il vescovo deve godere "di buona testimonianza presso i non cristiani", citando le raccomandazioni di San Paolo a Timoteo. Due i "richiami" di fondo dei testi paolini: l'invito a "leggere la Scrittura in modo spirituale"', ossia come "parola dello Spirito Santo attraverso cui possiamo conoscere il Signore e la sua presenza nella storia"', e non come "oggetto di curiosita'"', ha ricordato per spiegare che nell'identikit tracciato dall'Apostolo al vescovo veniva consentito di sposarsi (ma una volta soltanto). Il secondo invito di Paolo ricordato dal Papa puo' essere applicato ugualmente alla controversia sui lefbvriani, perche' alcuni nel mondo cattolico hanno interpretato il perdono di Ratzinger ai lefebvriani come un allontanarsi dal Concilio: bisogna prestare attenzione, ha spiegato il Pontefice, al "buon deposito"', cioe' alla Tradizione della fede apostolica, "da custodirsi con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi, da considerarsi come criterio di fedelta' all'annuncio del Vangelo"'.
Come e' noto i lefbvriani denunciano invece l'allontanarsi della Chiesa dal Concilio. Il Papa dice invece che il Concilio va letto (e integrato) nella Tradizione.
"La revoca della scomunica non va messa insieme con le affermazioni stolte e infondate di uno di loro, da cui hanno preso netta distanza sia la Cei sia il Vaticano", sottolinea da parte sua il Sir, per il quale, "incapaci di fare distinzioni, molti commentatori e giornalisti hanno messo insieme la revoca della scomunica con tale farneticante dichiarazione, come se questa fosse avallata dal Papa, per il fatto che lui l'ha perdonato.
L'ha perdonato per un altro motivo, evidentemente, ma la gente, purtroppo, seguendo le notizie dei media, e' portata a facili quanto infondate deduzioni".


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Con la revoca della scomunica ai lefebvriani il Papa non abbraccia le loro idee, ma spiega le sue

Il ritorno della San Pio X all’unità della Chiesa avallerebbe la tesi di Benedetto, secondo cui il Concilio fu in continuità con la tradizione. Contrariamente a quel che pensano alcuni cattolici

di Gianni Baget Bozzo

Papa Benedetto XVI ha rimosso la scomunica che aveva colpito i quattro vescovi consacrati dal vescovo Marcel Lefebvre per la Fraternità sacerdotale San Pio X, ma con questo gesto non ha chiuso la questione aperta con l’anatema.
Ha voluto aprire la via, ma la conclusione ha ancora da venire.
La Chiesa cattolica ha tolto le scomuniche alla Chiesa di Costantinopoli e alle Chiese ortodosse in comunione con essa, e ha compiuto una dichiarazione comune sulla giustificazione con i luterani e con i metodisti.
Con ciò, però, non ha accettato le posizioni ortodosse e luterane sulla Chiesa, che rimangono diverse da quelle cattoliche, tanto è vero che non è nata nessuna comunione ecclesiale.
Il Papa ha voluto togliere una sanzione giuridica per poter giungere a una comunione reale, ma questo non è avvenuto né con gli ortodossi né con i luterani. E non è avvenuto nemmeno con la Fraternità San Pio X, che non ha ancora riconosciuto la legittimità del Concilio Vaticano II.
Con la rimozione della scomunica, cioè, si è superata la dimensione formale dello scisma, ma non è avvenuta la composizione del conflitto nell’unità della Chiesa. Rimangono quindi differenti opinioni rilevanti riguardo alla stessa realtà ecclesiale sia nel caso dell’ortodossia e dei luterani che in quello dei lefebvriani. E a maggior ragione non sono state approvate nemmeno le opinioni dei singoli lefebvriani, come quelle del vescovo Williamson che nega la realtà della Shoah.
Che dei cattolici abbiano visto nel gesto del Papa altro rispetto alla carità usata nei confronti di tutte le divisioni e di tutti gli scismi avvenuti nei corpi dei cristiani sorprende. Essi dovrebbero comprendere, ancora più degli ebrei, come la posizione della Chiesa circa l’antisemitismo e l’antigiudaismo non sia certamente cambiata da questo gesto di bontà. Gesto che è la premessa di un accordo che, se verrà, comprenderà certamente anche punti dottrinali come la posizione della Chiesa circa Israele.
Il vero fatto rimane perciò la ricerca della comprensione della Fraternità San Pio X e della convergenza sulle differenze ancora esistenti. Il Papa sa che la riforma liturgica è stata occasione di una sofferenza ecclesiastica che non poteva essere superata con atto di autorità e che ha rappresentato una ferita aperta nella Chiesa anche oltre la fraternità di Ecône.
Papa Benedetto XVI ha riconosciuto che la liturgia cattolica tradizionale non era stata abolita e non poteva esserlo, perché la liturgia è la sorgente permanente della Chiesa, è la sua identità che non può essere tolta.
La Fraternità San Pio X ha avuto il merito di mantenere viva l’antica liturgia, ha testimoniato l’esistenza della continuità liturgica tra la Chiesa preconciliare e quella conciliare. Ha avuto quindi una funzione positiva nel mantenere nella fede coloro che sentivano il cambiamento della liturgia come cambiamento dell’identità della Chiesa o come un venir meno di essa. Questo fenomeno è certamente accaduto. Per questo il cardinal Siri si preoccupò a lungo di giungere a un accordo della Santa Sede con Lefebvre, e fu per lui una sconfitta non essere riuscito a comporre l’accordo prima della consacrazione dei vescovi in forma scismatica.
Il Papa spera di riuscire a concludere un ritorno pieno della comunità di Ecône all’unità della Chiesa e all’accettazione del Vaticano II.
Un accordo avallerebbe la tesi che sostiene Benedetto: quella secondo cui il Concilio fu in continuità con la tradizione e non ruppe con essa. Non fu una rivoluzione ma un rinnovamento. Alcuni cattolici pensano che la propria identità sia determinata dal Concilio come rottura della tradizione. La composizione dello scisma lefebvriano mostrerebbe quanto questo pensiero sia fuori dall’unità della Chiesa.

© Copyright Tempi, 28 gennaio 2009


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28/01/2009 21:55
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Dall'udienza generale di oggi...

Nell’omelia pronunciata in occasione della solenne inaugurazione del mio Pontificato dicevo che è "esplicito" compito del Pastore "la chiamata all’unità", e commentando le parole evangeliche relative alla pesca miracolosa ho detto: "sebbene fossero così tanti i pesci, la rete non si strappò", proseguivo dopo queste parole evangeliche: "Ahimè, amato Signore, essa – la rete - ora si è strappata, vorremmo dire addolorati". E continuavo: "Ma no – non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa che non delude e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l’unità che tu hai promesso…. Non permettere, Signore, che la tua rete si strappi e aiutaci ad essere servitori dell’unità".

Proprio in adempimento di questo servizio all’unità, che qualifica in modo specifico il mio ministero di Successore di Pietro, ho deciso giorni fa di concedere la remissione della scomunica in cui erano incorsi i quattro Vescovi ordinati nel 1988 da Mons. Lefebvre senza mandato pontificio.

Ho compiuto questo atto di paterna misericordia, perché ripetutamente questi Presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare.

Auspico che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II.


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