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Motu Proprio "Summorum Pontificum" ed Istruzione Universae Ecclesiae" - Commenti e notizie

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2012 21:25
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15/07/2010 10:18
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PAPA: CARD. CANIZARES, MESSA IN LATINO MIGLIORA IL NUOVO RITO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 14 lug.

Grazie al motu proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI, "la comprensione della liturgia nella tradizione della Chiesa e' cresciuta e lo stesso vale per l'ermeneutica della continuita'.
Tutto questo contribuisce non solo all'accettazione del motu proprio, ma a portare avanti un rinnovamento della liturgia, nel senso che lo spirito della liturgia viene nuovamente vissuto in profondita'".
Lo afferma il card. Antonio Canizares, prefetto della Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti.
"Sarebbe un errore - chiarisce - porsi polemicamente a favore di un rito o dell'altro".
Infatti, facendo convivere i due rituali, come il Papa aveva scritto nella Lettera ai vescovi di tutto il mondo che accompagnava le nuove norme riguardo alla messa tradizionale, i valori di questa avrebbero potuto arricchire la forma ordinaria, cioe' quella post conciliare nelle diverse lingue locali, correggendo gli abusi che ha di fatto favorito.
"Esiste - ricorda il porporato in un'intervista al Tagespost - un'unica liturgia.
Conseguentemente le due forme del rito vanno entrambe bene appunto perche' si tratta di una sola ed unica liturgia.
Circa questo punto bisogna osservare - aggiunge - come la Chiesa, sulla base dell'ermeneutica della continuita', non abbia mai ne' congelato ne' interrotto la continuita' con il Messale di Giovanni XXIII.
La tradizione della Chiesa viene integrata dallo sviluppo seguente il Concilio Vaticano II, pertanto la formazione liturgica di tutti deve sempre essere orientata dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium.
Alla luce della ricchezza del rito romano nella sua integrita', alla quale appartengono sia il Messale di Giovanni XXIII che la riforma liturgica postconcliliare, non e' possibile contrapporre le due forme: esse sono espressione della medesima ricchezza liturgica".
A tre anni dalla pubblicazione del Summorum Pontificum continuano pero' da parte di alcuni vescovi quelle che il Papa stesso defini' "dure opposizioni" riguardo alla liberalizzazione dell'uso del vecchio messale che permette l'attuale convivenza delle due forme.
"Il clima - ammette il card. Canizares - e' sostanzialmente rimasto lo stesso.
Credo tuttavia che sia in corso un cambiamento. Viene compreso sempre piu' quale sia l'oggetto del motu proprio". In proposito, il cardinale spagnolo (noto come "il piccolo Ratzinger" per la sua vicinanza al Pontefice oltre che per le una certa somiglianza fisica e la bassa statura) cita come un esempio positivo da seguire la scelta del Vescovo di Tolone, che ha voluto che i suoi seminaristi fossero educati alla celebrazione in entrambe le forme.
"Egli - spiega - vede la tradizione della Chiesa proprio secondo l'ermeneutica della continuita'.
E poiche' la 'Sacrosanctum Concilium' resta ovviamente valida, egli le da' seguito secondo una formazione liturgica nella quale viene appresa la celebrazione in entrambe le forme. I buoni frutti di questa scelta sono gia' visibili nella Diocesi di Tolone".
"I giovani - ricorda Canizares - devono essere allevati nello spirito della liturgia. Essi hanno bisogno di essere condotti al senso della preghiera e del mistero di Dio.
Deve essere trasmessa loro la lode ed il ringraziamento che la Chiesa attraverso i secoli ha espresso nella liturgia. Cio' che oggi manca ai giovani e' soprattutto una buona formazione liturgica, indipendentemente dalla forma in cui questa avviene.
Questa e' la grande sfida per il prossimo futuro, anche per la Congregazione per il Culto Divino ed i Sacramenti. Oggi abbiamo bisogno di un nuovo movimento liturgico, come esisteva nel secolo Diciannovesimo e Ventesimo. Non si tratta dunque di una forma o dell'altra, ma della liturgia in quanto tale".
"Dobbiamo riscoprire - sottolinea il porporato - il Diritto di Dio, lo 'ius divinum': prima lo si fa, meglio e'. Purtroppo oggi si ha spesso l'impressione che la liturgia sia qualcosa di cui l'uomo puo' disporre e nella quale sia lui stesso ad agire.
Questo rispecchia la secolarizzazione del nostro tempo, che mette altri aspetti in secondo piano. Cio' ha fatto si' che la riforma liturgica del Concilio Vaticano II non abbia prodotto i frutti desiderati".
Per Canizares, ad esempio, "i sacerdoti devono tornare a prepararsi alla messa cosi' com'e' previsto nel rito straordinario. Lo stesso vale per l'atto penitenziale e la consapevolezza che non siamo noi a rendere noi stessi degni di celebrare, ma la nostra fiducia nella misericordia e nel perdono di Dio che ci avvicinano alla presenza di Dio nella celebrazione.
Un tesoro da non dimenticare e' la dimensione del Sacrificio cosi' com'e' descritta nei testi di preghiere. Da tutto questo emerge un atteggiamento molto profondo che dovremmo interiorizzare".
In concreto, per Canizares, "abbiamo bisogno di una nuova introduzione al Cristianesimo. Anche per bambini e ragazzi. Una introduzione alla liturgia non consiste soltanto in cio' che si deve sapere sulla celebrazione, anche se ovviamente questa resta ineludibile in ambito teologico e dottrinario.
Giovani e bambini devono prendere parte a liturgie solenni, permeate dal mistero di Dio. Partecipazione attiva non vuol dire fare qualcosa, ma fare il proprio ingresso nel rito nel ringraziamento, nel silenzio, nell'ascolto, nella preghiera ed in tutto cio' in cui realmente la liturgia consiste.
Finche' cio' non avra' luogo, non potra' esistere alcun rinnovamento liturgico. Dobbiamo compiere una svolta di centottanta gradi. La pastorale giovanile dovra' essere un luogo in cui possa verificarsi l'incontro con Cristo vivente nella Chiesa. Li' dove Cristo si mostra come qualcuno che appartiene al passato, non e' possibile ne' partecipazione attiva ne' formazione liturgica.
Nessun rinnovamento, per quanto possa essere necessario, potra' mai aver luogo, se la consapevolezza del Cristo vivente non si risvegliera'".

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LEFEBVRIANI: CARD. CANIZARES, ORDINAZIONI OSTACOLANO IL DIALOGO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 14 lug.

Il card. Antonio Canizares, prefetto della Congregazione per il Culto e la disciplina dei sacramenti interviene neldibattito sulle ordinazioni illecite della Fraternità Sacerdotale San Pio X, con la quale e' in corso un dialogo teologico voluto dal Papa per favorire il rientro dei seguaci di mons. Marcel Lefebvre nella piena comunione.
"Le ordinazioni - afferma il cardinale in un'intervista al Tagespost - rappresentano un momento delicato in un tempo ricco di decisioni importanti. Sarebbe stato auspicabile che si aspettasse a procedere, dal momento che se un giorno si desse una concreta opportunità di accordo, questa potrebbe essere ostacolata proprio dal fatto delle ordinazioni".

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Chiesa: Vaticano, no a bambine chierichette e laici in messa in latino

Citta' del Vaticano, 11 ago. (Adnkronos)

Nell'antica messa in latino, cioe' il rito di San Pio V liberalizzato da Benedetto XVI con il motu proprio ''Summorum pontificum'', non sono ammessi ne' chierichette ne' laici, vale a dire ne' ''persone di sesso femminile che prestano servizio all'altare, ne' laici che danno la comunione''. E' quanto precisa mons. Raymond Leo Burke, prefetto della Segnatura apostolica, il supremo tribunale della Santa Sede, nell'introduzione a uno studio che fa il punto sull'applicazione del motu proprio del Papa, appena uscito in Germania, a poche settimane dalla scadenza del prossimo settembre quando cadono i tre anni dall'entrata in vigore della messa in latino.

© Copyright Adnkronos

Vaticano/ Burke: Chierichette non è diritto, mai in messa latino

Dopo l'elogio dell''Osservatore romano'. No a letture dei laici

Fare i chierichetti non è un "diritto".
Per questo motivo il servizio non può essere assolto da "persone di sesso femminile" nella cosiddetta messa in latino. Così, con una posizione divergente rispetto a quella assunta solo pochi giorni fa dall''Osservatore romano', si esprime monsignor Raymond Leo Burke, prefetto della Segnatura apostolica.
Nell'introduzione al 'Commento' al motu proprio Summorum Pontificum del tedesco Gero P. Weishaupt, il vescovo americano spiega che per affrontare alcune questioni liturgiche pratiche è necessario tener presenti due principi. Il primo è che, per la celebrazione del rito straordinario liberalizzato dal motu proprio, si devono "rispettare attentamente" le norme liturgiche in vigore nel 1962. In base al secondo principio, la successiva disciplina liturgica va applicata al rito romano "solo se tale disciplina tocca un diritto dei credenti che deriva direttamente dal sacramento del battesimo e serve alla salvezza delle loro anime". L'applicazione congiunta di questi due principi, spiega Burke, "porta alla conclusione che non appartengono ai diritti fondamentali del battezzato né il servizio all'altare di persone di sesso femminile, né l'uso dei laici per le letture o per la distribuzione straordinaria della comunione. Di conseguenza questi sviluppi più recenti non sono da introdurre nella forma straordinaria del rito romano per rispetto per l'integrità della disciplina liturgica contenuta nel missale romanum del 1962". In un editoriale di prima pagina scritto in occasione del raduno europeo di chierichetti a Roma, l''Osservatore romano' ha fatto un elogio delle chierichette.
"Anche se forse molti parroci si sono rassegnati alle chierichette solo in assenza di ragazzi disponibili - ha scritto Lucetta Scaraffia - per le giovani superare questa frontiera è stato molto importante, e così infatti è stato compreso: lo dimostra la presenza di una maggioranza femminile al decimo raduno dei ministrantes che si è appena svolto alla presenza del Papa. Per le ragazze entrare nello spazio dell'altare ha significato la fine di ogni attribuzione di impurità al loro sesso, ha significato la possibilità di vivere anch'esse questa esperienza formativa di straordinaria importanza nell'educazione religiosa - ha concluso il giornale vaticano - ha significato un'attenzione diversa alla liturgia e un avvicinamento alla fede nell'accostarsi al suo stesso cuore".

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Intervista

Ieri come oggi c’è chi vorrebbe ridurre la Messa a “palestra di socialità”

“Il Papa frenato da forze negative”

Mons. Negri fa il punto sulla “riforma della riforma

Paolo Facciotto

DOMAGNANO - “Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”: lo dice Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel primo volume della sua opera omnia, “Teologia della liturgia”. Il 27 novembre ai Vespri d’inizio Avvento, il Papa ha inoltre definito la liturgia “il luogo dove viviamo la verità e dove la verità vive con noi”.

Affrontiamo questi temi a tu per tu con il vescovo di San Marino - Montefeltro, mons. Luigi Negri, che si prepara alla visita del Papa nel 2011.

Eccellenza, il tratto distintivo di questo pontificato è il rapporto tra fede e ragione: perché insistere sulla liturgia?

«La liturgia è la vita di Cristo che si attua nella Chiesa e coinvolge esistenzialmente i cristiani. La liturgia non è semplicemente un culto che si elevi dall’uomo a Dio, come nella stragrande maggioranza delle formulazioni religiose naturali.
La liturgia è l’attuarsi ampio dell’avvenimento della vita, passione, morte e resurrezione del Signore che prende forma nell’organismo sacramentale e coinvolge i cristiani in senso sostanziale e fondamentale, facendoli appartenere a Cristo e alla Chiesa attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana, e poi li accompagna nelle grandi scelte e nelle grandi stagioni della loro vita. Nelle grandi scelte vocazionali - matrimonio, ordine - o nelle stagioni della vita. Ora, la liturgia difende la fattualità di Cristo e della Chiesa. Per questo ho molta gratitudine verso il professor De Mattei, il suo straordinario volume sulla storia del Vaticano II e le pagine dedicate a un lento e inesorabile “socializzarsi” della liturgia, già prima del Concilio: come se il valore della liturgia fosse nella possibilità che il cosiddetto popolo cristiano partecipasse attivamente a un evento che era poi svuotato di fatto della sua sacramentalità e finiva per essere un’iniziativa di socialità cattolica.
E io credo che sulla liturgia si giochi la verità della fede perché si gioca la grande alternativa che Benedetto XVI ha messo all’inizio della “Deus caritas est”: il cristianesimo non è un’ideologia di carattere religioso, non è un progetto di carattere moralistico, ma è l’incontro con Cristo che permane e si svolge nella vita della Chiesa e nella vita di ogni cristiano.
La liturgia rende il fatto di Cristo presente nel flusso e nel riflusso delle generazioni: “Fate questo in memoria di me”. Io credo che anche la difesa di una coscienza esatta del dogma dipenda dalla verità con cui viene vissuta la liturgia. In questo senso da sempre la Chiesa ha affermato che “lex orandi, lex credendi”: è la legge del pregare che fa nascere la legge del credere, ma soprattutto che la vigila in maniera adeguata e positiva.»

Due aspetti mi sembrano centrali nel libro di Ratzinger “Teologia della liturgia”: la prevalenza purtroppo verificatasi, di un senso della messa come assemblea, “evento di un determinato gruppo o Chiesa locale”, cena, quindi la partecipazione intesa come l’agire di varie persone che secondo l’autore si trasforma talvolta in parodia. E poi la celebrazione verso il popolo che per una serie di equivoci e fraintendimenti “appare oggi come il frutto del rinnovamento liturgico voluto dal Concilio”, scrive il Papa: conseguenze, la comunità come cerchio chiuso in se stesso, e una clericalizzazione mai vista prima dove tutto converge verso il celebrante.

«Io sono d’accordo che il Papa dovrà continuare una “riforma della riforma” liturgica del Concilio, usando un’espressione di don Nicola Bux. Ma deve essere detto con estrema chiarezza che il Papa sta facendo fatica a fare questa “riforma della riforma”.
Esistono delle tendenze negative di resistenza, neanche tanto passiva. La riforma liturgica venuta dopo il Concilio, il più delle volte si è sostanziata di pseudo-interpretazioni, o ha fatto valere casi eccezionali come norma - basti per tutti il problema della lingua, o quello della distribuzione della comunione sulla mano. Ci sono stati veri e propri colpi di mano delle Conferenze episcopali nei confronti di Roma.
C’è stata certamente una debolezza della reazione vaticana, dovuta probabilmente a tensioni e contro-tensioni anche all’interno delle strutture che dovevano regolare l’interpretazione esatta e l’attuazione del Concilio. Ora, pur tenendo presente questi dati condizionanti con cui un governo della Chiesa deve fare realisticamente i conti, l’alternativa è fra una sociologizzazione della liturgia - come dire, un funzionamento adeguato delle leggi e dei comportamenti della comunità cristiana radunata per celebrare l’eucaristia, che diventa il soggetto della celebrazione eucaristica, anziché l’interlocutore privilegiato - e il riportare al centro il vero soggetto della celebrazione eucaristica, che è Gesù Cristo in persona. La struttura della tradizione liturgica così come anche la Chiesa del Concilio l’ha ricevuta, salva i diritti di Cristo e la presenza di Cristo. Allora tutto ciò che viene fatto per estenuare o ridurre la coscienza della presenza di Cristo a tutto vantaggio della modalità con cui la comunità è presente, è una perdita del valore ultimo della liturgia, del valore ontologico, direbbe don Giussani, e quindi metodologico e educativo. Nel tempo in cui andava in vigore per la prima volta la riforma del Concilio Vaticano II, una altissima personalità vaticana - non posso dirle quale, ma è vero perché l’ho letto coi miei occhi - scrisse che così finalmente la celebrazione della messa ritornava ad essere “una sana palestra di socialità cattolica”. Anziché la memoria della presenza di Cristo che muore e risorge, che crea il popolo nuovo, che sostiene e lancia il popolo nuovo nella missione, “una sana palestra di socialità cattolica”.»

Mi può dire almeno se era un gradino più in su di monsignor Bugnini?

«Molti gradini più in su di monsignor Bugnini.»

“In Italia, salvo poche lodevoli eccezioni, i vescovi e i superiori degli Ordini religiosi si sono opposti all’applicazione del motu proprio”: lo ha dichiarato pubblicamente il vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei a un anno di distanza dalla “Summorum Pontificum” con cui Benedetto XVI ha “liberalizzato” la liturgia tradizionale tridentina. Una denuncia molto forte di disobbedienza dell’episcopato italiano. A che punto siamo nell’applicazione del motu proprio? Nella sua diocesi, sono presenti celebrazioni della liturgia nella forma straordinaria del Messale Romano del 1962?

«Io ho cercato di attuare, oltre che di recepire e di spiegare al mio clero il senso profondo di questo motu proprio, che per me è una possibilità data a chi vuole nella Chiesa di valorizzare una ricchezza più ampia e articolata di quello che è a disposizione di tutti. E’ come se il Papa avesse riaperto la possibilità di una celebrazione liturgica che il singolo e il gruppo sente più corrispondente al suo desiderio di crescita e ai suoi princìpi.
Devo dire però che sono mancate fino ad ora le norme applicative, che noi stiamo aspettando da anni.
Sostanzialmente per quello che si può fare oggi, là dove il vescovo ha obbedito, come nel mio caso, si celebrano non molte, ma tutte quelle messe che sono state chieste, secondo la modalità precisamente identificata dal motu proprio. Quando precedentemente ho detto che il Papa fa fatica a far passare la “riforma della riforma” avevo esattamente in mente un motu proprio che manca, a più di tre anni dalla sua promulgazione, delle dimensioni applicative. Ma mi pare che il rifiuto, la resistenza siano stati non tanto sul motu proprio, bensì sul fatto che la riforma liturgica del Vaticano II, così come i testi vengono interpretati e come la liturgia si è andata determinando, sembra non possa più essere messa in discussione. La resistenza è sulla possibilità stessa, che invece il Papa ha aperto, di avere altre forme di attuazione della vita liturgico-sacramentale: è questo in questione, non le applicazioni. Mentre il Papa ha detto: c’è una ricchezza liturgico-sacramentale a cui tutta la Chiesa, se vuole, può accedere senza che tutto sia ricondotto a una sola forma; secondo me, c’è un largo strato della ecclesiasticità che ritiene che invece la riforma del Concilio Vaticano II azzeri tutto ciò che vien prima. E’ quella ermeneutica della discontinuità su cui il Papa è intervenuto con molta chiarezza e decisione.»

Per un sondaggio della Doxa il 71% dei cattolici troverebbe normale che nella propria parrocchia convivessero le due forme del rito romano, tradizionale e nuovo. Il 40% di chi va a messa tutte le domeniche, se la trovasse in parrocchia, preferirebbe andare tutte le settimane alla messa di san Pio V. Come commenta questi dati, da prendere con le molle come ogni sondaggio?

«Rimango dell’avviso che, a parte questi dati, oggi la Chiesa deve essere molto disponibile a offrire forme e modi di partecipazione alla vita di Cristo, che corrispondano nella loro diversità alla diversità inevitabile che esiste fra gli uomini e fra i giovani. Io credo che ci debba animare un sincero entusiasmo missionario. Nel momento in cui le chiese si svuotano e ci sono tante difficoltà a una percezione adeguata del mistero di Cristo e della Chiesa, tutto ciò che può facilitare questo va utilizzato, ma non per affermare le proprie opzioni ideologiche! Lo scontro tradizionalismo-progressismo non ha più ragion d’essere, e di questo superamento siamo veramente debitori a Benedetto XVI. Sono contrapposizioni ideologiche che ipostatizzano punti di vista, sensibilità, forme, anziché chiedersi che cosa serve di più la missione della Chiesa e quindi il suo compito educativo.»

Come celebrava messa don Luigi Giussani? Qual era il suo pensiero sulla liturgia e come recepì la riforma?

«Ho visto Giussani celebrare secondo il rito di san Pio V: lo celebrava con la consapevolezza profonda di diventare protagonista di un evento di grazia che apriva al cuore e alla vita degli uomini. E l’ho visto celebrare secondo la liturgia riformata, allo stesso modo. Giussani andava all’essenziale ed era per sua natura non incline a sottolineare eccessivamente i particolari. Non posso dire come ha reagito alla riforma perché a memoria mia non ne abbiamo mai parlato, né fra noi due, anche se abbiamo avuto centinaia di ore di colloquio su tutti i problemi della vita della Chiesa e della società, né pubblicamente. Ma l’immagine della liturgia che aveva è contenuta in quel bellissimo volumetto “Dalla liturgia vissuta, una proposta”. Credo che la liturgia tradizionale come la liturgia riformata, se si mantengono nella identità che viene riconosciuta loro dal magistero, possano favorire che una vita diventi una proposta di vita: la liturgia è una vita, la vita di Cristo coi suoi, che diventa proposta di vita. Non credo che fosse disposto a morire per salvare la liturgia di san Pio V, ma non credo neanche - per come l’ho conosciuto in cinquant’anni di convivenza - che dicesse immediatisticamente che la liturgia del Vaticano II fosse la migliore possibile. Anzi, credo che come su altre questioni del Concilio Vaticano II, avesse qualche difficoltà interpretativa, come poi adesso è riconosciuto da parte della stragrande maggioranza dei pastori e dei teologi intelligenti. E’ così vero che dopo quarant’anni, Benedetto XVI dice che comincia adesso una vera interpretazione del Concilio.»

Che caratteristiche avrà la parte religiosa ed ecclesiale della visita del Papa a San Marino nel 2011?

«Ci sarà una celebrazione della Messa a San Marino per tutta la diocesi, allo stadio di Serravalle, la mattina del 19 giugno, secondo il programma ufficioso che piano piano sta diventando ufficiale.»

In questi giorni Lei è stato fatto oggetto della osservazione di un giornalista, su di un giornale laico, sulla sproporzione fra la sua personalità - “punta di diamante” - e la diocesi che Le è stata affidata, definita “diocesi da operetta”...

«Sono grato a questo giornalista per gli elogi, anche un po’ immeritati, che mi ha fatto, non soltanto in questo caso ma anche in altri momenti. Nei cammini tortuosi che si concludono con una provvista di una determinata chiesa particolare, oppure di una responsabilità anche centrale nella conduzione della Chiesa, nessuno, meno che mai il sottoscritto, è così ingenuo da non capire che ci sono movimenti, contro-movimenti, reazioni, contro-reazioni, interessi, solidarietà, che hanno un grosso peso. Io stesso ho scritto qualche cosa sul carrierismo nella mia rubrica “Opportune et importune” su “Studi Cattolici”, perciò tutta questa fenomenologia di una presenza di atteggiamenti politici non mi risulta così eccezionale o scandalosa. Io sono di quella generazione di preti e di vescovi che ritiene che comunque alla fine, e sopra tutto questo sciabattare di correnti, contro-correnti, amicizie, veti incrociati, sta la volontà di Dio interpretata dal Santo Padre. Quando il Santo Padre ti chiama puoi essere certo che è Dio che ti chiama, e se ti chiama a quella realtà a cui ti chiama, è perché Iddio ritiene che sia il meglio per te in quel momento. E’ con questo stato d’animo, molto abbandonato alla volontà di Dio e molto lieto, che io faccio il vescovo di una diocesi definita “da operetta” da qualcuno; ma mi pare di aver portato questa diocesi a una sua presenza e a una sua visibilità nel contesto ecclesiale e sociale italiano, e non solo.»

D’altra parte molte nomine vanno a persone non sempre all’altezza delle responsabilità loro affidate, un problema grave oggi, quando la Chiesa dovrebbe dare il massimo quanto a vigore della proposta culturale e pastorale. Eccellenza, non crede che ciò sia un freno o un impedimento alla missione della Chiesa?

Ma qui monsignor Negri non risponde e chiude il colloquio. Mi guarda profondamente coi suoi occhi chiari e fa silenzio.
E’ il giorno di santa Lucia, il pomeriggio sta per cedere alla “notte più lunga che ci sia”. A Domagnano scendono i primi radi fiocchi di neve. Invece più giù, a Rimini, tutto si scioglie in acqua.

© Copyright La Voce di Romagna, 15 dicembre 2010


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Una Messa da manuale

Il teologo Nicola Bux spiega perché in cima alle preoccupazioni di Benedetto XVI c’è il «crollo della liturgia». E perché il restauro delle forme di culto passa necessariamente per il discusso Motu proprio sul rito in latino

di Valerio Pece

«In questo modo si impedisce pure “ai fedeli di rivivere l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: ‘E i loro occhi si aprirono e lo riconobbero’”». Ecco spiegato in modo mirabile di cosa si parla quando si parla di cattiva liturgia. La citazione è presa da Redemptionis sacramentum, documento fortemente voluto da Giovanni Paolo II.
Sono rimasti in pochi oramai a negare che in campo liturgico ai documenti ufficiali del Concilio Vaticano II si sia sostituito abusivamente un invasivo “Spirito del Concilio”.
Due esempi su tutti: il canto gregoriano e il latino, l’uso dei quali era indicato tra le “consegne” liturgiche più importanti del Concilio. Non si sa bene come, nella prassi, com’è noto, tutto è svanito. «Effettivamente come questo sia successo se lo chiedono in molti», dice a Tempi il teologo don Nicola Bux.

«È una pagina ancora da chiarire.

I fatti sono questi: Paolo VI costituì il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, con il compito, appunto, di “eseguire” ciò che era nella Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium. Su questa esecuzione è poi accaduto di tutto, perché confrontando la lettera del testo e le applicazioni successive appaiono differenze notevoli.
Prendiamo il gregoriano. Al numero 116 della Sacrosanctum Concilium si legge che la Chiesa lo riconosce come “il canto proprio della liturgia romana” e come tale gli riserva “il posto principale”. Ora, “canto proprio” è un’espressione specifica, significa che il gregoriano è tutt’uno con il rito latino. Eliminare il canto proprio è come strappare la pelle di dosso a una persona. È quello che è stato fatto». La ragione accampata è che non lo si saprebbe cantare. «Ma questo è un falso problema», spiega il teologo. «Se pensiamo a quanti mottetti la gente canta, solo perché questi sono stati custoditi e perpetuati: la Salve Regina, il Kyrie… E poi basta davvero che il canto sia in italiano perché la gente canti?».

La stessa Chiesa in tutto il mondo

I biografi concordano che il fascino esercitato dal cattolicesimo su convertiti quali Newman, Benson e Chesterton, fu dovuto anche a quell’universalismo della liturgia latina che ancora oggi gioca un ruolo importante nel persuadere molti anglicani a bussare alla Chiesa di Roma. Ebbene, oltre il gregoriano certi occultamenti hanno riguardato anche il latino. Eppure la Sacrosanctum Concilium al n. 36 prescrive espressamente: “L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini”. «Tradurre le letture nelle lingue parlate – sostiene don Bux – è stata cosa buona, dobbiamo capirla. Ma il Papa ha aggiunto che “una presenza più marcata di alcuni elementi latini aiuterebbe a dare una dimensione universale, a far sì che in tutte le parti del mondo si possa dire: Io sono nella stessa Chiesa”. Almeno alla preghiera eucaristica e alla colletta il latino dovrebbe tornare. Tra l’altro Paolo VI stabilì che i messali nazionali fossero pubblicati sempre bilingui, italiano e latino. Per permettere in ogni momento la celebrazione in latino, poi per tenere allenati i sacerdoti, e infine poiché l’italiano cambia e le traduzioni, spesso vere e proprie interpretazioni, tendono sempre più a tradire. C’era una lettera del Papa che lo prescriveva: non gli hanno obbedito».
La liturgia è sacra se ha le sue regole. E se da un lato l’ethos, cioè la vita morale, è un elemento chiaro per tutti, dall’altro lato si ignora quasi totalmente che esiste anche uno jus divinum, un diritto di Dio a essere adorato. Don Bux: «Si dice: Dio, anche se c’è, con la mia vita non c’entra. Invece Dio c’entra con tutto. “Tutto mi appartiene”, si legge nelle Scritture, anche la vita del regista Monicelli gli apparteneva. Attenzione, perché il Signore è geloso delle sue competenze, e il culto è quanto di più gli è proprio. Invece proprio in campo liturgico siamo di fronte a una deregulation». Per sottolineare quanto senza jus ed ethos il culto diventa necessariamente idolatrico, nel suo recentissimo libro (Come andare a Messa e non perdere la fede, Piemme) don Nicola Bux cita un passo dell’Introduzione allo spirito della liturgia di Joseph Ratzinger. Scrive Ratzinger: «In apparenza tutto è in ordine e presumibilmente anche il rituale procede secondo le prescrizioni. E tuttavia è una caduta nell’idolatria (…), si fa scendere Dio al proprio livello riducendolo a categorie di visibilità e comprensibilità». E ancora: «Si tratta di un culto fatto di propria autorità (…) diventa una festa che la comunità si fa da sé; celebrandola, la comunità non fa che confermare se stessa». Il risultato è irrimediabile: «Dall’adorazione di Dio si passa a un cerchio che gira attorno a se stesso: mangiare, bere, divertirsi». Un effetto domino.
È fondamentale notare – scrive don Bux – che «la caricatura del divino in sembianza bestiale» è un chiaro indice del fatto che «lo stravolgimento del culto trascina con sé l’arte sacra». Difficile non pensare all’architettura di tante chiese moderne. Decadimento che riguarda anche musica e costumi, visto che intorno al vitello d’oro si cantava e danzava in modo profano. Insomma, è tutto legato alla liturgia. Non per nulla nella sua autobiografia (La mia vita, San Paolo) Ratzinger dichiarava solennemente: «Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia» .

Un gesto di ecumenismo

Facilmente, frequentando la Messa per dieci domeniche in parrocchie diverse, capiterebbe di assistere a dieci differenti liturgie. E se è vero che cattolico significa universale, qualcosa forse non torna. Eppure l’enciclica Ecclesia de Eucharistia era stata chiarissima: «La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità». La tesi di don Bux è che in soccorso alla liturgia potrebbe andare quel Motu proprio Summorum Pontificum che nel 2007 ha liberalizzato la forma straordinaria del rito latino. Per il teologo «le due forme del rito possono arricchirsi a vicenda, proprio a partire da questo clima religioso di Mistero, il Sitz im Leben, l’ambiente vitale dove è possibile incontrare Dio». Ma si può già fare un primo bilancio del Motu proprio? Don Bux risponde così: «Una settimana fa ero a Parigi. La Messa che dietro richiesta ho celebrato in forma straordinaria era affollatissima di giovani. Il parroco di Sainte-Clotilde mi diceva che celebra tranquillamente con i due riti, senza alcun problema. La verità è che dovremmo tutti liberarci da questa deleteria contrapposizione tra vecchio e nuovo rito, il nostro amato Papa incoraggia e desidera la continuità. E celebrare sia in forma ordinaria che straordinaria significa mettere in pratica questa continuità della Chiesa. Seguiamolo!».
Non si può nascondere, però, che siano molti a boicottare il Motu proprio. Per tutti, l’ex vescovo di Sora, Luca Brandolini, che alla notizia della liberalizzazione del rito straordinario confidò a Repubblica di aver pianto per quel “giorno di lutto”. Eppure in una prospettiva ecumenica la liberalizzazione della Messa antica è un passo avanti. «Lo ha dimostrato – aggiunge don Bux – il defunto patriarca di Mosca Alessio II, il quale applaudì al Motu proprio con parole chiarissime: “Il Papa ha fatto bene. Tutto ciò che è recupero della tradizione avvicina i cristiani tra loro”».
Secondo il teologo «il movimento di giovani creatosi intorno al rito antico è in forte crescita». Ma nessuno, specie se nato negli anni Settanta-Ottanta, può essere “tradizionalista” in nome della nostalgia per i bei tempi che furono. «Molti giovani domandano una sola cosa: incontrare il sacro. Ecco la ragione del successo della Messa gregoriana. Ignorare questa richiesta, che ha un contorno tutto spirituale e per nulla ideologico (come invece si vorrebbe far credere), è almeno contraddittorio per chi, per definizione, dovrebbe “episcopein”, cioè osservare, scrutare». La situazione è paradossale: «Si era fatto di tutto per rinnovare la liturgia e attirare i giovani, e adesso proprio loro non si sentono attratti. È un fatto che con la forma straordinaria del rito non pochi di loro riescano maggiormente ad adorare il Signore. La liturgia serve per dare al Signore la lode e la giusta adorazione. Una liturgia che non mette al primo posto il Signore è una fiction, e loro se ne accorgono. Quando i sacerdoti recitano la preghiera eucaristica (cioè il momento culminante della Messa, quello del Suo sacrificio per noi) continuando a roteare lo sguardo sul popolo invece che guardare alla Croce dinanzi a loro, diventa allora chiaro che non stanno parlando col Signore, non sono rivolti a Lui. E ciò non è senza conseguenze: i fedeli saranno portati a distrarsi, a scapito della partecipazione».

Ma quali “spalle al popolo”

Sta nascendo un movimento liturgico nuovo che guarda al modo di celebrare di Benedetto XVI. «La cosa di gran lunga più importante che il Papa vuol farci comprendere – dice don Bux – è l’orientamento del sacerdote, del suo sguardo soprattutto. “Là dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento” scrive magnificamente Benedetto XVI, ed è appunto questo il nocciolo della questione: il giusto orientamento». Sembra dunque di essere arrivati a uno snodo rischioso. «“In alto i nostri cuori, sono rivolti al Signore”, lo diciamo ma non lo facciamo. Se il sacerdote guardasse la croce, o il tabernacolo, ci sarebbe per i fedeli un effetto fortissimo. Se proprio dall’offertorio alla comunione il sacerdote non vuol stare rivolto ad Dominum, cioè a Oriente, abbia almeno la Croce al centro dinanzi a sé. Si badi bene, questo sarebbe possibile anche con i nuovi altari, per cui senza tornare a distruggere nulla (abbiamo assistito già alla demolizione dissennata di tanti altari antichi e belli), basterebbe porre sull’altare la croce e voltarsi ad essa. Esattamente come fa Benedetto XVI, che interpone la croce tra sé e i fedeli, una croce ben visibile». In fondo Ratzinger aveva in mente proprio questo quando si rammaricava perché «il sacerdote rivolto al popolo dà alla comunità l’aspetto di un tutto chiuso in se stesso». Eppure – si obietta – dare le spalle al popolo o anche solo interporre la croce sull’altare fa venir meno il senso di convivialità. «Conosco l’obiezione: è l’idea di Messa-banchetto che fa tanto “comunità di base anni Settanta”, dura a morire. Per questo fu coniata l’espressione “Messa di spalle al popolo”. Davvero è pensabile che le spalle al popolo del sacerdote farebbero perdere il senso di comunione? Ma questa, per esser tale, non deve venire prima dall’alto? Davvero il mistero della comunione ecclesiale si risolve nel guardare l’assemblea?», chiosa don Bux.

Gli strani intenti di Bugnini

C’è poi la lezione silenziosa di Benedetto XVI sulla comunione data in bocca e in ginocchio. «Un atteggiamento di riverenza – osserva il teologo pugliese – che rallenta la processione di comunione e rende più consapevoli del gesto. Avendo sempre chiaro che la comunione sulla mano è un gesto permesso da un indulto, cioè un atto dalla durata limitata, che invece è diventato regola». Don Bux aggiunge: «Oggi anche il tabernacolo è diventato “segno di conflitto”. Come non comprendere che se il tabernacolo non è più al centro, non sarà più ritenuto nemmeno il centro?». Da qui la sua proposta ai sacerdoti: uno scambio tabernacolo-sede sacerdotale al centro del presbiterio. «La gente tornerà a credere nel santissimo Sacramento, noi preti guadagneremo in umiltà e al Signore sarà restituito il posto che gli spetta ».
Tornando al Concilio “tradito”, Annibale Bugnini, indiscusso protagonista della riforma liturgica, dichiarava tranquillamente all’Osservatore Romano: «Dobbiamo togliere dalle nostre preghiere cattoliche e dalla liturgia cattolica ogni cosa che possa essere l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri fratelli separati, ossia i protestanti». Anche al di là della sua discussa appartenenza massonica su cui tanto è stato scritto (tra gli altri, dal vaticanista Andrea Tornielli su 30 Giorni), la vera domanda è se un intento come quello riportato sia stato ininfluente rispetto alla situazione in cui oggi versa la liturgia, a quella cioè che Benedetto XVI chiama «deformazione al limite del sopportabile». «Delle sue responsabilità – afferma don Bux – Annibale Bugnini risponderà al Signore. Un aiuto a capire la riforma può arrivare dal libro di Nicola Giampietro che contiene la testimonianza del cardinale Ferdinando Antonelli, autorevole protagonista di quel Consilium deputato a eseguire i documenti della riforma. Antonelli ha scritto cose decisamente forti sul clima che aleggiava in quel Consilium di cui Bugnini era il factotum, nonché sul ruolo di quei sei esperti protestanti che ebbero una funzione molto maggiore di quella di semplici osservatori. Servirebbe certamente pubblicare i diari secretati di Annibale Bugnini. Non foss’altro che per una maggiore comprensione di cosa sia stata davvero la riforma liturgica postconciliare».

© Copyright Tempi, 21 dicembre 2010


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Da "Messainlatino.it"...

VENERDÌ 18 FEBBRAIO 2011

APPELLO INTERNAZIONE AL PAPA PER LA DIFESA DI SUMMORUM PONTIFICUM

Ormai le notizie che Messainlatino ha dettagliatamente fornito all'opinione pubblica negli ultimi tre giorni sono definitivamente accertate e confermate dalle più diverse fonti.

Vincolato al segreto e quindi senza dir nulla di preciso ("I am not at liberty at the moment to talk about it too much yet"), ma lasciando intendere molto, Father Z. (che avendo lavorato per anni all'Ecclesia Dei, ha i suoi contatti) invita pressantemente alla preghiera, al sacrificio, al digiuno (vedi qui).

Tornielli, in un commento, con l'aria di voler negare che sia in cantiere un annacquamento del motu proprio, conferma praticamente tutto quello che abbiamo rivelato: dice che l'improbabile Scicluna "ha fatto osservazioni al testo, e alcune sono state accolte"; conferma che il motu proprio non si applicherà alla diocesi di Milano (sì invece, dice, ai riti dei religiosi: ma noi insistiamo che qui si sbaglia); e anche sulle ordinazioni afferma precisamente quanto da noi sostenuto, anche se aggiunge che, non essendo la cosa prevista nel motu proprio, quella non sarà una restrizione. Paralogismo, quest'ultimo, a dir poco esemplare: con la stessa 'logica', visto che nella Costituzione non c'è scritto che si ha diritto di fischiettare, una legge che d'improvviso lo vietasse non sarebbe affatto una restrizione...

Ora anche l'autorevole New Liturgical Movement, dopo aver preso il tempo di verificare sue proprie fonti, conferma "that there is a very real and substantive reason for some concern here" (=che c'è una concretissima e sostanziale ragione per una certa preoccupazione) e addirittura promuove un appello internazione e una raccolta di firme per smuovere il Santo Padre ad intervenire. Aderiamo certamente all'iniziativa e precipitatevi a sottoscrivere cliccando su questo banner:






Nota: se il sistema di archiviazione delle firme dovesse chiedervi di effettuare una donazione, NON fatela. La vostra firma sarà conteggiata egualmente.


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PAPA: APPELLO PERCHE' NON CI SIANO RESTRIZIONI A MESSA IN LATINO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 20feb.

Preoccupati dai "segnali apparenti di un'imminente Istruzione che restringerebbe in qualche modo le previsioni contenute nel motu proprio 'Summorum Pontificum', e limiterebbe il suo vasto campo di applicazione", numerosi sacerdoti, seminaristi e fedeli di tutto il mondo hanno indirizzato un appello a Benedetto XVI, chiedendogli che non siano approvate le "misure restrittive" delle quali si parla in molti blog, e che, limitando la possibilita' concessa dal Papa nel 2007 di celebrare in latino secondo il vecchio rito se cio' viene richiesto da un gruppo stabile di fedeli, "causerebbero scandalo, discordia e sofferenze nella Chiesa e frustrerebbero la riconciliazione che Sua Santita' cosi' ardentemente desidera; inoltre impedirebbero la prosecuzione del rinnovamento liturgico e dello sviluppo nella continuita' con la Tradizione, frutti gia' notevoli del suo Pontificato".
Il motu proprio prevedeva una verifica sulla sua applicazione e la bozza di Istruzione che sarebbe stata preparata deve ancora essere sottoposta al Papa. Ma i timori ingenerati dalle indiscrezioni che circolano su Internet non lasciano tranquilli quanti continuano a sentirsi legati al vecchio rito. "Notiamo con tristezza - scrivono nell'appello - l'opposizione continua e reale all'attuazione del 'Summorum Pontificum' in molte diocesi e da parte di molti membri della Gerarchia, la sofferenza e il disagio che questo continua a causare a molti fedeli di Cristo e l'ostacolo che questa opposizione rappresenta ad un'effettiva riconciliazione all'interno della Chiesa.
Ci rivolgiamo alla Santita' Vostra con filiale fiducia e, come obbedienti figlie e figli, impetriamo che Ella, beatissimo Padre, voglia considerare con sollecitudine le nostre preoccupazioni e intervenire laddove giudichi opportuno.
Manifestiamo - conclude il testo - la nostra speranza, il nostro desiderio e il nostro appello urgente affinche' i positivi effetti che la Santita' Vostra ha gia' ottenuti attraverso il motu proprio non possano essere ostacolati da tali limitazioni". In particolare, l'Istruzione, che dovrebbe portare la data del 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro, ma sara' pubblicata solo in marzo, escluderebbe dall'obbligo di concedere la messa tradizionale le diocesi di Milano e Lugano, in quanto seguono il rito ambrosiano e non quello latino, e riserverebbe alla Santa Sede la possibilita' di concedere l'uso del vecchio rito per le ordinazioni sacerdotali, sciogliendo cosi' in modo negativo uno dei quesiti suscitati dal motu proprio che non citava le ordinazioni tra le celebrazioni che possono essere concesse.
Il blog "messainlatino.it" riporta in proposito una lettera di alcuni seminaristi dell'arcidiocesi di Milano che esprimono la loro amarezza per entrambe queste ipotizzate limitazioni.

© Copyright (AGI)


SIGNORE ASCOLTACI, SANTO PADRE ASCOLTACI!!!!!!


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PAPA:10 MILA FIRMANO APPELLO CONTRO RESTRIZIONI A MESSA IN LATINO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 20 feb.

Sono gia' 10 mila i fedeli che hanno firmato l'appello indirizzato a Benedetto XVI affinche' e non siano approvate "misure restrittive" della possibilita' concessa nel 2007, con il motu proprio "Summorum Pontificum", di celebrare in latino secondo il vecchio rito se cio' viene richiesto da un gruppo stabile di fedeli.
Tali limitazioni, si legge nel testo, "causerebbero scandalo, discordia e sofferenze nella Chiesa e frustrerebbero la riconciliazione che Sua Santita' cosi' ardentemente desidera; inoltre impedirebbero la prosecuzione del rinnovamento liturgico e dello sviluppo nella continuita' con la Tradizione, frutti gia' notevoli del suo Pontificato".
"Notiamo con tristezza - continua l'appello - l'opposizione continua e reale all'attuazione del 'Summorum Pontificum' in molte diocesi e da parte di molti membri della Gerarchia, la sofferenza e il disagio che questo continua a causare a molti fedeli di Cristo e l'ostacolo che questa opposizione rappresenta ad un'effettiva riconciliazione all'interno della Chiesa.
Ci rivolgiamo alla Santita' Vostra con filiale fiducia e, come obbedienti figlie e figli, impetriamo che Ella, beatissimo Padre, voglia considerare con sollecitudine le nostre preoccupazioni e intervenire laddove giudichi opportuno.
Manifestiamo - conclude il testo - la nostra speranza, il nostro desiderio e il nostro appello urgente affinche' i positivi effetti che la Santita' Vostra ha gia' ottenuti attraverso il motu proprio non possano essere ostacolati da tali limitazioni".
Tra i firmatari anche 15 studenti dell'Universita' di Verona che nei giorni scorsi hanno inviato al rettore, al vescovo di Verona e al direttore del Centro Pastorale dicoesano una petizione scritta perche' la messa tridentina sia celebrata almeno ogni mese presso la cappella Universitaria in Campo Marzio. Il gruppo stabile, previsto dal motu proprio, c'e' gia' in Facolta' ed e' formato da un numero maggiore di studenti rispetto ai firmatari mentre anche molti docenti hanno simpatizzato con questa richiesta.
Il sito "messainlatino.it" pubblica inoltre la lettera di una moglie il cui marito e' tornato ad essere praticante grazie alla messa tradizionale.
La signora, catechista da 27 anni, si rivolge ai vescovi italiani e al Santo Padre con una richiesta accorata: "non abbandonateci. Non abbandonate questa strada intrapresa, non uccidete la speranza. Non vogliate imporre l'ingiustizia".
"A voi, amati vescovi, non si chiede - spiega la signora Caterina - l'obbligo di celebrare con quella Forma, ma lasciate davvero che Anime come queste possano ritornare a Dio attraverso la bellezza di una Tradizione che puo' smuovere oggi anche i cuori piu' induriti e difficili che non vogliono 'concelebrare una messa' ma desiderano solo assaporarne il mistero meditativo in silenzio".

© Copyright (AGI)


Grande, Caterina!!!!!!
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Vaticano/ In uscita istruzione applicativa su 'messa in latino'

La 'Universae Ecclesiae' viene pubblicata venerdì

Città del Vaticano, 11 mag. (TMNews)

Viene pubblicata venerdì prossimo l'istruzione Universae Ecclesiae della Pontificia commissione Ecclesia dei sull'applicazione del motu proprio 'Summorum Pontificum' con il quale il Papa, nel 2007, liberalizzò il messale pre-conciliare (la cosiddetta messa in latino).
L'istruzione verrà pubblicata sull'edizione pomeridiana dell''Osservatore romano' che uscirà il 13 pomeriggio, con data 14 maggio.
Nella lettera che accompagnava il motu proprio, nel 2007, Benedetto XVI, dopo aver spiegato il senso della sua iniziativa ed aver prevenuto alcune critiche, si rivolgeva così ai vescovi di tutto il mondo: "Vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l'entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio". Ora l'istruzione dà risposta alle varie osservazioni giunte negli anni in Vaticano.

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MESSA IN LATINO: S.SEDE, VESCOVI DEBBONO GENEROSA ACCOGLIENZA

Salvatore Izzo

(AGI) – CdV, 13 apr. -

I vescovi debbono una “generosa accoglienza” ai sacerdoti e ai fedeli che chiedono di usufruire della possibilita’ di celebrare con il messale precedente alla riforma liturgica, accordata dal Papa con il Motu proprio “Summorum Pontificum” del 7 luglio 2007. Lo raccomanda una Istruzione della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, l’organismo al quale compete di vigilare sull’osservanza e l’applicazione del Motu proprio. A testimoniare che sia questo lo spirito delle nuove norme – ed a smentire il timore dei tradizionalisti che fosse invece in arrivo un ‘dietro front’ rispetto all’apertura del 2007 – in particolare e’ la precisazione contenuta nella nuova Istruzione che il “gruppo stabile” dei fedeli necessario a che il parroco conceda il rito “non deve essere necessariamente costituito da costituito da persone appartenenti a una sola parrocchia, ma puo’ risultare da persone che confluiscono da diverse parrocchie o addirittura da diverse diocesi”. Ma, soprattutto, il documento pubblicato oggi ribadisce il principio fondamentale che la liberalizzazione dell’uso del messale antico su richiesta di un gruppo stabile di fedeli prevede la convivenza di “due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito romano, che si pongono uno accanto all’altro”. “L’una e l’altra forma – si legge nel testo – sono espressione della stessa ‘lex orandi’ della Chiesa”. La Santa Sede riafferma inoltre esplicitamente che “per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore” e chiarisce in modo definitivo che il Motu proprio era stato emanato “per offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’uso piu’ antico, considerata tesoro prezioso da conservare, per garantire e assicurare realmente, a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, e per favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa”.
Il documento, articolato in 23 punti, e’ stato approvato personalmente da Benedetto XVI ed e’ firmato dal cardinale Joseph William Levada, attuale prefetto della Congregazione della dottrina della fede e presidente della Ecclesia Dei. La normativa, precisa una nota della Sala Stampa della Santa Sede, e’ stata emanata “con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione” del Motu proprio. La nota afferma che “era naturale che alla legge seguisse l’Istruzione sulla sua applicazione”. In merito, la Sala Stampa ricorda che nel luglio del 2007, pubblicando il Motu proprio, Papa Ratzinger si era impegnato con una lettera ai vescovi di tutto il mondo ad una verifica della sua applicazione “tre anni dopo l’entrata in vigore” assicurando che “se veramente fossero venute alla luce serie difficolta’”, si sarebbero “cercate vie per trovare rimedio”. “L’Istruzione – dunque – porta in se’ anche il frutto della verifica triennale dell’applicazione della legge, che era stata prevista fin dall’inizio”.
L’Istruzione ricorda i compiti e i poteri della Commissione “Ecclesia Dei”, a cui il Papa “ha conferito potesta’ ordinaria vicaria” nella materia. Cio’ significa che essa puo’ decidere sui ricorsi che le vengano presentati contro eventuali provvedimenti di vescovi o altri ordinari, che sembrino in contrasto con le disposizioni del Motu proprio, ferma restando la possibilita’ di impugnare ulteriormente le decisioni della Commissione stessa presso il Tribunale supremo della Segnatura Apostolica. Inoltre, spetta alla Commissione, con l’approvazione della Congregazione per il Culto Divino, curare l’eventuale edizione dei testi liturgici per la forma extraordinaria del Rito romano (nel seguito del documento si auspica, ad esempio, l’inserimento di nuovi santi e di nuovi prefazi). L’Istruzione poi ribadisce anche la competenza dei vescovi diocesani per l’attuazione del Motu proprio, che dunque non sono esclusi dalla applicazione delle norme del 2007, come poteva sembrare per il fatto che a concedere l’uso del rito straordinario basta il parroco. Ma resta stabilito che “in caso di controversia circa la celebrazione nella forma extraordinaria giudichera’ la Commissione Ecclesia Dei”. E’ chiarito esplicitamente anche che i fedeli richiedenti la celebrazione in forma extraordinaria “non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestino contrari alla validita’ o legittimita’ della forma ordinaria” e/o all’autorita’ del Papa come Pastore Supremo della Chiesa universale. “Cio’ – spiega la Sala Stampa – sarebbe infatti in palese contraddizione con la finalita’ di ‘riconciliazione’ del Motu proprio stesso”. Importanti precisazioni riguardano il “sacerdote idoneo” alla celebrazione in forma extraordinaria che “non deve avere impedimenti dal punto di vista canonico” e “deve conoscere sufficientemente bene il latino e il rito da celebrare”. “Si incoraggiano percio’ i vescovi – spiega la nota – a rendere possibile nei seminari una formazione adeguata a tal fine, e si indica la possibilita’ di ricorrere, se mancano altri sacerdoti idonei, alla collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Commissione Ecclesia Dei”, ad esempio la Fraternita’ San Pietro e i francescani dell’Immacolata che usano normalmente la forma extraordinaria. L’Istruzione ribadisce anche che ogni sacerdote sia secolare sia religioso ha il diritto di celebrare la messa “senza popolo” nella forma extraordinaria se lo desidera. Percio’, se non si tratta di celebrazioni con il popolo, “i singoli religiosi non hanno bisogno del permesso dei superiori”.

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Vaticano: Messa in latino, fissati requisiti idoneità dei preti

Necessaria conoscenza base della lingua, si studi nei seminari

Roma, 13 mag. (TMNews) -

L’Istruzione della Pontificia commissione Ecclesia Dei sull’applicazione della lettera apostolica motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI del 2007 stabilisce anche quali siano i requisiti che rendono un sacerdote “idoneo” a celebrare la messa in latino.
“Ogni sacerdote – si legge nel documento diffuso oggi – che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo”. Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, “è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato”. Per quanto riguarda la conoscenza dello svolgimento del Rito, “si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente”. Si chiede, inoltre, agli Ordinari di offrire al clero “la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito”.
Nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, “i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa”. La facoltà di celebrare la Messa in latino è data dal Motu Proprio “ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso. Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori”.

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Vaticano: Messa in latino è tesoro prezioso da conservare

Va conservata con debito onore, Ecclesia Dei vigilerà

Roma, 13 mag. (TMNews)

La forma straordinaria della messa, quella in Latino secondo il rito antico, è “un tesoro prezioso da conservare” e “per il suo uso venerabile e antico” “deve essere conservata con il debito onore”.
E’ quanto si legge nell’Istruzione della Pontificia commissione Ecclesia Dei sull’applicazione della lettera apostolica motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI del 2007, che liberalizzava la messa in latino secondo il rito preconciliare di San Pio V.
Nel documento pubblicato oggi viene ricordato che il Motu Proprio Summorum Pontificum si propone l’obbietivo di “offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare; garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari; favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa”.
A vigilare sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio sarà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei “anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati”. La Pontificia Commissione avrà anche “il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano”.

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VATICANO

Concedere la messa in latino, mira alla riconciliazione nella Chiesa

Pubblicata oggi l’istruzione della Commissione Ecclesia Dei che regola modi e condizioni per la celebrazione della liturgia nella forma preconciliare. “Generosa accoglienza” per i fedeli che la chiedono, purchè non neghino valore a messa e sacramenti celebrati secondo la riforma e riconoscano l’autorità del Papa.

Città del Vaticano (AsiaNews)

Ha lo scopo fondamentale di “favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa”, l’istruzione pubblicata oggi in Vaticano che regola modi e condizioni per la celebrazione della messa secondo la liturgia precedente la riforma del Concilio Vaticano II. Intitolata “Universae Ecclesiae”, l’istruzione giuridicamente, è mirata all’applicazione del Motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI, in vigore dal 14 settembre 2007 e tiene conto delle osservazioni che i vescovi erano stati invitati a fare.
Il documento, pubblicato dalla commissione “Eclesia Dei”, esplicita due ulteriori finalità: offrire a tutti i fedeli la Liturgia romana nell’uso più antico, considerata “tesoro prezioso da conservare” e garantire e assicurare realmente, a quanti lo domandano, l’uso della “forma extraordinaria”, in quanto sia la liturgia conciliare che quella precedente “sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro”.
In sostanza, l’istruzione afferma la competenza dei vescovi a concedere la celebrazione “straordinaria” e prevede la possibilità di ricorsi alla Commissione contro i provvedimenti episcopali. Quanto alla celebrazione, essa va “concessa” con “generosa accoglienza”, qualora lo chieda “un gruppo di fedeli”, che non debbono essere necessariamente della stessa parrocchia o della stessa diocesi. Ma “i fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale”.
Si vuole insomma evitare che gruppi tradizionalisti anticonciliari (come i lefebvriani) possano pretendere la celebrazione “straordinaria” e aprire un contenzioso con il vescovo che la negasse. Tale preoccupazione emerge anche nelle disposizioni circa il “sacerdote idoneo” alla celebrazione in tale forma. “Naturalmente – sottolinea una nota di padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede – egli non deve avere impedimenti dal punto di vista canonico, deve conoscere sufficientemente bene il latino e conoscere il rito da celebrare. Si incoraggiano perciò i vescovi a rendere possibile nei seminari una formazione adeguata a tal fine, e si indica la possibilità di ricorrere, se mancano altri sacerdoti idonei, alla collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Commissione Ecclesia Dei (che usano normalmente la forma extraordinaria)”.
L’Istruzione, conclude padre Lombardi, appare “un testo di grande equilibrio, che intende favorire – secondo l’intenzione del Papa – il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da parte di sacerdoti e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene spirituale; anzi, che intende garantire la legittimità e l’effettività di tale uso nella misura del ragionevolmente possibile. Allo stesso tempo il testo è animato da fiducia nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto fortemente sullo spirito di comunione ecclesiale che deve essere presente in tutti – fedeli, sacerdoti, vescovi – affinché la finalità di riconciliazione, così presente nella decisione del Santo Padre, non venga ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta”.

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MESSA IN LATINO: S.SEDE,PER ORDINAZIONI RITO SIA QUELLO ORDINARIO

Salvatore Izzo

(AGI) – CdV, 13 mag. -

Nell’Istruzione circa l’uso dell’antico messale pubblicata oggi non e’ previsto che il vescovo possa ordinare sacerdoti utilizzando il rito extraordinario tranne per “gli Istituti che dipendono dalla Commissione Ecclesia Dei”, la cui spiritualita’ cioe’ e’ caratterizzata proprio dalla liturgia latina tradizionale.
E’ questa l’unica “proibizione” contenuta nelle nuove norme, che si spiega con l’esigenza di non creare un clero parallelo nelle diocesi (tuttavia si incoraggiano i seminari a preparare i futuri sacerdoti anche alla celebrazione con il rito tradizionale).
Per il resto la forma extraordinaria e’ utilizzabile in tutte le celebrazioni liturgiche, compreso “il Triduo Sacro nella Settimana Santa per i gruppi di fedeli che chiedono il rito antico”.
Ovviamente non puo’ essere intesa come una restrizione la sottolineatura che per chiedere il rito extraordinario occorre essere in comunione con il Papa, trattandosi di un requisito generale necessario per qualunque attivita’ pastorale come per l’insegnamento sottoposto alla responsabilita’ delle autorita’ ecclesiastiche e ancora di piu’ per le celebrazioni liturgiche.
Da notare, invece, che e’ autorizzato l’uso del messale e dei libri liturgici antichi (come il Rituale, il Pontificale, il Cerimoniale dei vescovi) anche se si ritiene poi di usare la lingua vernacola per le letture, a complemento di quella latina, o anche in alternativa nelle “messe lette”. Infine e’ prevista anche la possibilita’ per i chierici che lo desiderano di usare il breviario precedente alla riforma liturgica, senza che debbano chiedere nessuna autorizzazione specifica.

© Copyright (AGI)

MESSA IN LATINO: PADRE LOMBARDI, GRANDE EQUILIBRIO E APERTURA

Salvatore Izzo

(AGI) – CdV, 13 mag.

L’Istruzione sull’uso del messale antico pubblicata oggi “rappresenta un testo di grande equilibrio, che intende favorire, secondo l’intenzione del Papa, il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da parte di sacerdoti e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene spirituale; anzi, che intende garantire la legittimita’ e l’effettivita’ di tale uso nella misura del ragionevolmente possibile”. Lo sottolinea il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. “Allo stesso tempo – osserva padre Lombardi – il testo e’ animato da fiducia nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto fortemente sullo spirito di comunione ecclesiale che deve essere presente in tutti, fedeli, sacerdoti, vescovi, affinche’ la finalita’ di riconciliazione, cosi’ presente nella decisione del Santo Padre, non venga ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta”.

© Copyright (AGI)


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MESSA IN LATINO: SANTA SEDE CONFERMA APERTURE

(AGI) - CdV, 13 mag.

(di Salvatore Izzo)

"Generosa accoglienza". La Santa Sede raccomanda questo atteggiamento in risposta a quanti chiedono di usufruire della possibilita' di celebrare con il messale precedente alla riforma liturgica, accordata dal Papa con il Motu proprio "Summorum Pontificum" del 7 luglio 2007. E' tutta qui la "mens" dell'attesa Istruzione "Universae Ecclesiae" sull'uso del messale antico pubblicata oggi, "un testo - sottolinea il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi - di grande equilibrio, che intende favorire, secondo l'intenzione del Papa, il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da parte di sacerdoti e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene spirituale; anzi, che intende garantire la legittimita' e l'effettivita' di tale uso nella misura del ragionevolmente possibile".
"Allo stesso tempo - osserva padre Lombardi - il testo e' animato da fiducia nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto fortemente sullo spirito di comunione ecclesiale che deve essere presente in tutti, fedeli, sacerdoti, vescovi, affinche' la finalita' di riconciliazione, cosi' presente nella decisione del Santo Padre, non venga ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta".
L'Istruzione emanata dalla Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", l'organismo al quale compete di vigilare sull'osservanza e l'applicazione del Motu proprio, smentisce il timore dei tradizionalisti che paventavano un possibile 'dietro front' del Vaticano rispetto all'apertura del 2007, come testimonia in particolare la precisazione contenuta nella nuova Istruzione che il "gruppo stabile" dei fedeli necessario perche' si conceda il rito "non deve essere necessariamente costituito da persone appartenenti a una sola parrocchia, ma puo' risultare da persone che confluiscono da diverse parrocchie o addirittura da diverse diocesi".
Soprattutto, pero', il documento pubblicato oggi ribadisce il principio fondamentale che la liberalizzazione dell'uso del messale antico prevede la convivenza di "due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell'unico Rito romano, che si pongono uno accanto all'altro".
"L'una e l'altra forma - si legge nel documento - sono espressione della stessa 'lex orandi' della Chiesa". La Santa Sede riafferma inoltre esplicitamente che "per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore" e chiarisce in modo definitivo che il Motu proprio era stato emanato "per offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell'uso piu' antico, considerata tesoro prezioso da conservare, per garantire e assicurare realmente, a quanti lo domandano, l'uso della forma extraordinaria, e per favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa".
Approvato personalmente da Benedetto XVI e firmato dal cardinale Joseph William Levada, attuale prefetto della Congregazione della dottrina della fede e presidente della Ecclesia Dei, il documento non prevede che il vescovo possa ordinare sacerdoti utilizzando il rito extraordinario tranne per "gli Istituti che dipendono dalla Commissione Ecclesia Dei", la cui spiritualita' cioe' e' caratterizzata proprio dalla liturgia latina tradizionale: e' questa l'unica "proibizione" contenuta nelle nuove norme, un "no" che si spiega con l'esigenza di non creare un clero parallelo nelle diocesi (tuttavia si incoraggiano i seminari a preparare i futuri sacerdoti anche alla celebrazione con il rito tradizionale).
Per il resto la forma extraordinaria e' utilizzabile in tutte le celebrazioni liturgiche, compreso "il Triduo Sacro nella Settimana Santa per i gruppi di fedeli che chiedono il rito antico". Ovviamente non puo' essere intesa come una restrizione la sottolineatura che per chiedere il rito extraordinario occorre essere in comunione con il Papa e accettare le decisioni del Concilio Vaticano II in materia liturgica, trattandosi di un requisito generale necessario per qualunque attivita' pastorale come per l'insegnamento sottoposto alla responsabilita' delle autorita' ecclesiastiche e ancora di piu' per le celebrazioni liturgiche.
I richiedenti, infatti, "non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestino contrari alla validita' o legittimita' della forma ordinaria" e/o all'autorita' del Papa come Pastore Supremo della Chiesa universale perche' "sarebbe in palese contraddizione con la finalita' di 'riconciliazione' del Motu proprio stesso".
Analogamente, il "sacerdote idoneo" alla celebrazione in forma extraordinaria "non deve avere impedimenti dal punto di vista canonico" e "deve conoscere sufficientemente bene il latino e il rito da celebrare".
In proposito si suggerisce di ricorrere, se mancano altri sacerdoti idonei, alla collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Commissione Ecclesia Dei", ad esempio la Fraternita' San Pietro, l'istituto Cristo Re e i francescani dell'Immacolata che usano normalmente la forma extraordinaria. L'Istruzione ribadisce anche che ogni sacerdote, sia secolare sia religioso, ha il diritto di celebrare la messa "senza popolo" nella forma extraordinaria se lo desidera e senza bisogno del permesso dei superiori.
Un chiarimento importante riguarda l'uso del messale e dei libri liturgici antichi (come il rituale, il pontificale, il cerimoniale dei vescovi) possibile anche quando si intende poi usare la lingua vernacola per le letture, a complemento di quella latina, o anche in alternativa nelle "messe lette". La normativa, come precisa la Sala Stampa della Santa Sede, e' stata emanata "con l'animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione" del Motu proprio.
Come e' noto proprio nel luglio del 2007, Papa Ratzinger si era impegnato con una lettera ai vescovi di tutto il mondo ad una verifica della sua applicazione "tre anni dopo l'entrata in vigore" delle disposizioni assicurando che, "se veramente fossero venute alla luce serie difficolta'", si sarebbero "cercate vie per trovare rimedio". "L'Istruzione - dunque - porta in se' anche il frutto della verifica triennale dell'applicazione della legge, che era stata prevista fin dall'inizio". Il documento ricorda i compiti e i poteri della Commissione "Ecclesia Dei", a cui il Papa "ha conferito potesta' ordinaria vicaria" nella materia.
Cio' significa che essa puo' decidere sui ricorsi che le vengano presentati contro eventuali provvedimenti di vescovi o altri ordinari, che sembrino in contrasto con le disposizioni del Motu proprio, ferma restando la possibilita' di impugnare ulteriormente le decisioni della Commissione stessa presso il Tribunale supremo della Segnatura Apostolica.
Inoltre, spetta alla Commissione, con l'approvazione della Congregazione per il Culto Divino, curare l'eventuale edizione dei testi liturgici per la forma extraordinaria del Rito romano (nel seguito del documento si auspica, ad esempio, l'inserimento di nuovi santi e di nuovi prefazi). L'Istruzione poi ribadisce anche la competenza dei vescovi diocesani per l'attuazione del Motu proprio, sottolineando che dunque non sono esclusi dalla applicazione delle norme del 2007, come poteva sembrare per il fatto che a concedere l'uso del rito straordinario basta il parroco. Ma resta stabilito che "in caso di controversia circa la celebrazione nella forma extraordinaria giudichera' la Commissione Ecclesia Dei".

© Copyright (AGI)


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Preti e seminaristi a ripetizione di latino

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

Più latino per preti e seminaristi.
I vescovi dovranno «mettere i sacerdoti in condizione» di apprendere la lingua di Tertulliano e Sant’Agostino affinché possano celebrare la messa secondo il rito antico. Per «la corretta interpretazione e la retta applicazione» del Motu proprio del luglio 2007, la pontificia commissione «Ecclesia Dei», attraverso l’Istruzione «Universae Ecclesiae», chiede all’episcopato di assicurare al clero una preparazione adeguata alla liturgia preconciliare.
Ciò vale sia per i preti a digiuno di declinazioni e formule secolari sia per i seminaristi(«si dovrà provvedere nei seminari alla formazione dei futuri sacerdoti con lo studio del latino»). Nelle diocesi dove non ci siano preti «idonei», interverrà «Ecclesia Dei», competente anche per i ricorsi dei fedeli contro i vescovi che ostacolano la liberalizzazione del rito antico. La Santa Sede, dunque, azzera le opposte forzature dei lefebvriani anti-Concilio e dei progressisti anti-latino. Potrà celebrare con il messale del 1962 solo chi accetta la riforma liturgica e chi condivide l’intento di unità di Benedetto XVI. Il rito antico può essere usato nei vari sacramenti, anche per ordinare preti (ma solo negli istituti riconosciuti). «Generosa accoglienza» verso quanti chiedono il messale precedente alla riforma liturgica, spiega il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, per garantire «la legittimità e l’effettività dell’uso del messale antico e lo spirito di comunione ecclesiale: la finalità papale di riconciliazione non va ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta».
Non si tratta di un ritorno al passato, osserva il teologo Gianni Gennari, bensì di «un recupero di una ricchezza linguistica, liturgica, estetica, musicale, capace di attirare sia i semplici sia i colti». Aggiunge Gennari: «Un prete che non conosce il latino non può accostarsi a quella “Vulgata” di San Girolamo che ha alimentato la teologia, la filosofia e la preghiera di generazioni di sacerdoti e cristiani. San Tommaso letto in latino ha un sapore diverso da ogni traduzione. Il latino è miniera di conoscenze e spiritualità». Questo documento «non cancella nulla del Concilio e della riforma liturgica: la lingua del popolo resta quella della celebrazione ordinaria, con la possibilità a chi lo desidera del modo “straordinario”», precisa Gennari, secondo il quale «il latino allontana chi non conosce il latino e avvicina chi lo conosce.
E’ fuori strada chi pensa che basti questa istruzione per negare l’eredità riformatrice di Roncalli e Montini».

© Copyright La Stampa, 14 maggio 2011


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Dal "Corriere della Sera"...

I SACERDOTI BOCCIATI IN LATINO - IL VATICANO: STUDIATE DI PIU'

E' una vergogna ammettere questo! Ed il CVII parla della celebrazione della Messa anche in latino. Si vede che si prende dal CVII quello che fa più comodo! [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] E adesso... BASTA!!!! [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] E' ora d'iniziare ad ubbidire il Papa con i fatti!!!!!


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Il significato dell'istruzione «Universae Ecclesiae»

di Guido Pozzo

La costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium del concilio Vaticano II, afferma che «la Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella Liturgia una rigida uniformità» (n. 37).
Non sfugge a molti che oggi sia in questione la fede, per cui è necessario che le varietà legittime di forme rituali debbano ritrovare l'unità essenziale del culto cattolico. Il Papa Benedetto XVI lo ha ricordato accoratamente: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (cfr. Giovanni, 13, 1) in Gesù Cristo crocifisso e risorto» (Lettera ai vescovi in occasione della revoca della scomunica ai quattro presuli consacrati dall'arcivescovo Lefebvre, 10 marzo 2009).
Il beato Giovanni Paolo II richiamava a sua volta che «la sacra liturgia esprime e celebra l'unica fede professata da tutti ed essendo eredità di tutta la Chiesa non può essere determinata dalle Chiese locali isolate dalla Chiesa universale» (Enciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 51) e che «la liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i Misteri» (ivi, n. 52). Nella costituzione liturgica conciliare si afferma inoltre: «il Sacro Concilio, in fedele ossequio alla tradizione, dichiara che la Santa Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti legittimamente riconosciuti, e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati» (n. 4).
La stima per le forme rituali è il presupposto dell'opera di revisione che di volta in volta si rendesse necessaria. Ora, le due forme ordinaria e extraordinaria della liturgia romana, sono un esempio di reciproco incremento e arricchimento. Chi pensa e agisce al contrario, intacca l'unità del rito romano che va tenacemente salvaguardata, non svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità a cui hanno diritto.
In continuità col magistero dei suoi predecessori, Benedetto XVI promulgò nel 2007 il motu proprio Summorum Pontificum, con cui ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della liturgia romana, e ora ha dato mandato alla Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» di pubblicare l'istruzione Universae Ecclesiae per favorirne correttamente l'applicazione.
Nell'introduzione del documento si afferma: «Con tale motu proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa» (n. 2). Ciò significa che non si tratta di un indulto, né di una legge per gruppi particolari, ma di una legge per tutta la Chiesa, che, data la materia, è anche una «legge speciale» che «deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962» (n. 28).
Va qui ricordato l'aureo principio patristico da cui dipende la comunione cattolica: «ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l'integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede» (n. 3). Il celebre principio lex orandi-lex credendi richiamato in questo numero, è alla base del ripristino della forma extraordinaria: non è cambiata la dottrina cattolica della messa nel rito romano, perché liturgia e dottrina sono inscindibili. Vi possono essere nell'una e nell'altra forma del rito romano, accentuazioni, sottolineature, esplicitazioni più marcate di alcuni aspetti rispetto ad altri, ma ciò non intacca l'unità sostanziale della liturgia.
La liturgia è stata ed è, nella disciplina della Chiesa, materia riservata al Papa, mentre gli ordinari e le conferenze episcopali hanno alcune competenze delegate, specificate dal diritto canonico. Inoltre, l'istruzione riafferma che vi sono ora «due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell'unico Rito romano (…) L'una e l'altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore» (n. 6). Il numero seguente riporta un passaggio-chiave della lettera del Santo Padre ai vescovi, che accompagna il motu proprio: «Non c'è nessuna contraddizione tra l'una e l'altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c'è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso» (n. 7).
L'istruzione, in linea col motu proprio, non riguarda solo quanti desiderano continuare a celebrare la fede nello stesso modo con cui la Chiesa l'ha fatto sostanzialmente da secoli; il Papa vuole aiutare i cattolici tutti a vivere la verità della liturgia affinché, conoscendo e partecipando all'antica forma romana di celebrazione, comprendano che la costituzione Sacrosanctum concilium voleva riformare la liturgia in continuità con la tradizione.

(©L'Osservatore Romano 15 maggio 2011)


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23/05/2011 23:31
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BAGNASCO: MESSA IN LATINO E' PATRIMONIO DI RISCOPRIRE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 23 mag.

I vescovi italiani daranno piena attuazione all'istruzione "Universae Ecclesiae" volta a dare una corretta applicazione del motu proprio "Summorum Pontificum" (documento che liberalizza l'uso dell'antico messale in latino) del 7 luglio 2007.
Lo ha assicurato il cardinale Angelo Bagnasco che in apertura della 63esima Assemblea Generale dell'Episcopato Italiano ha ricordato l'intento perseguito da due documenti che mirano "al recupero piu' impegnativo e armonioso nell'ambito delle singole Diocesi dell'intero patrimonio liturgico della Chiesa universale".
"In sostanza - ha aggiunto il cardinale - a non ferire mai la concordia di ogni Chiesa particolare con la Chiesa universale, operando piuttosto per unire tutte le forze e restituire alla liturgia il suo possente incanto".

© Copyright (AGI)


Ci auguriamo che mai più ci siamo dei vescovi che vogliano boicottare la Santa Messa tradizionale!


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26/05/2011 20:09
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La messa in latino, dice il Vaticano, non è mai stata cancellata dal Concilio Vaticano II

La Chiesa punta ancora sul latino

Nei seminari si ritornerà a studiarlo come si faceva un tempo

di Marco Bertoncini

Curiosamente, tre eventi si sono accavallati nei medesimi giorni con riferimenti al latino. L'Università cattolica ha celebrato a Milano un convegno dedicato alla presenza classica, per verificare quale possa essere il senso dello studio delle lingue antiche fuori degli specialisti. La Pontificia commissione Ecclesia Dei ha emanato un'istruzione (per applicare la lettera apostolica Summorum pontificum) nella quale alcuni punti sono dedicati alla conoscenza del latino da parte dei sacerdoti.
Infine, organizzato da un'associazione che si richiama a «Giovani e Tradizione», si è svolto nella capitale un convegno sulla Summorum pontificum, in cui il latino ha avuto non secondaria presenza, fino alla celebrazione, in San Pietro, della messa pontificale in «rito romano antico».
Per capirci, la Summorum pontificum è la lettera apostolica motu proprio data da Benedetto XVI, che ha riconosciuto l'esistenza di due forme del medesimo rito romano: una ordinaria, ed è quella celebrata col messale di Paolo VI, l'altra straordinaria, ed è quella (oggi poco celebrata) col messale di Giovanni XXIII.
L'istruzione testé emanata dalla S. Sede conferma che il papa procede lungo la strada intrapresa timidamente da Giovanni Paolo II: poiché nessuno ha cancellato la messa riordinata da Pio V e rimasta fino a Giovanni XXIII, è opportuno che essa sia celebrata ovunque ve ne sia richiesta.
Pare che siano soprattutto taluni vescovi a frapporre ostacoli di vario tipo a tali celebrazioni.
A rodersi il fegato è il variegato mondo progressista, che non teme di cadere in contraddizione con sé stesso, con la brama di dissolvimento dell'autorità pontificia che sempre l'anima e con la ricerca di esperimenti sempre nuovi nella liturgia.
Un'ottima sintesi di queste reazioni si legge nell'acido e bavoso commento di Giancarlo Zizola su la Repubblica, contro la chiesa di Ratzinger che sarebbe «liquida, se non babelica» (l'esatto opposto di quel che di solito si lamenta) e ora consentirebbe «procedure tipicamente anarchiste per scompigliare l'ordine gerarchico nelle diocesi e nelle parrocchie».
Veniamo al latino. Nonostante i testi scritti e dispositivi della Chiesa, partendo dalla Veterum sapientia di Giovanni XXIII per passare agli stessi documenti conciliari e postconciliari (diversamente da quanto si potrebbe credere), abbiano sempre circondato la lingua latina di rispetto e culto, obbligandone allo studio, di fatto la conoscenza di quella che è ancora la lingua ufficiale della S. Sede è andata scemando nel campo ecclesiastico.
Quando si diventava sacerdoti passando esclusivamente dagli studi classici, la questione non si poneva. Oggi, però, che ci sono preti che sono ragionieri o geometri o diplomati in un istituto professionale, diventa arduo rimediare ai buchi dell'istruzione. Bene ha fatto, quindi, l'istruzione dell'Ecclesia Dei a ricordare che i sacerdoti che seguano il rito che fu della Chiesa da Pio V a Giovanni XXIII a disporre di una «conoscenza basilare» della lingua latina. Ma soprattutto è lodevole il suo intervento sui seminari, «dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino».
La classe dirigente europea, almeno sino alla prima guerra mondiale, era abbastanza omogenea quanto a conoscenza delle lingue classiche. Il fatto che sul Times apparissero citazioni in alfabeto greco indica come, nell'età vittoriana, il lettore medio fosse capace d'intenderle, e la presenza del latino trova conferma, per esempio, nelle pagine che hanno come protagonista Sherlock Holmes. Progressivamente, dall'insegnamento sono scomparsi, prima il greco, poi il latino. Una botta tremenda, in Italia, è costituita dalla legge n. 910 del 1969, demagogica e populistica, che parificò l'accesso all'istruzione superiore per tutti i diplomati. Oggi la maggioranza dei laureati non è capace di comprendere due parole latine.
Non che all'estero stiano meglio: basti citare l'invito degli organi di giustizia europei agli avvocati affinché non usino espressioni mutuate dal diritto romano, essendo incomprensibili a molti giudici. All'Università cattolica si è, giustamente, ricordato che il latino non è solo la lingua degli antichi romani. E non è solo la lingua della tradizione cristiana, pur se la Chiesa cattolica (le chiese protestanti e anglicane avevano già provveduto da secoli) negli ultimi decenni le ha inferto colpi durissimi. Il latino fu pure la lingua di cultura per l'intero Medioevo, nel Rinascimento e ancora, almeno in parte, nell'età moderna. Diplomazia e scienza si espressero in latino ben oltre i termini temporali della produzione di lettere latine originali. La decadenza del latino (lasciamo stare il greco, lingua che è ancor oggi la base della terminologia medica e latamente scientifica e che ha alimentato la più alta delle letterature) si paga con un impoverimento culturale e anche linguistico.

© Copyright Italia Oggi, 26 maggio 2011


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Messale festivo tradizionale...

Si può prenotare qui:

http://fedecultura.com/Messale_Festivo_Tradizionale.aspx

Si tratta della nuova edizione!


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