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Documenti emanati dai dicasteri e da altri organismi della Curia Romana e della Santa Sede durante il pontificato di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 25/02/2013 19:30
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03/11/2009 12:51
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL VI CONGRESSO MONDIALE DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E I RIFUGIATI (VATICANO, 9-12 NOVEMBRE 2009)


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell' Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati sul tema: "Una risposta pastorale al fenomeno migratorio nell'era della globalizzazione. A cinque anni dall' Istruzione Erga migrantes caritas Christi" (Vaticano, 9-12 novembre 2009).

Intervengono alla Conferenza Stampa: S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; S.E. Mons. Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; il Rev.mo Mons. Novatus Rugambwa, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:


INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTONIO MARIA VEGLIÒ


Oggi, qualsiasi argomento affrontiamo, dobbiamo collocarlo in contesto mondiale. In effetti, il più piccolo agglomerato urbano, in qualsiasi parte del globo, può essere descritto solo tenendo conto della sua relazione con il resto del mondo, più o meno efficace, ma mai senza conseguenze a breve e lungo termine, mediante il turismo, la tecnologia, l’informatica, i flussi migratori.

Così, il mondo moderno, caratterizzato dalla globalizzazione, persegue un grande progetto umanistico, cioè la realizzazione sulla terra di una civiltà degna della persona umana, vale a dire un modello di vita dove ognuno possa godere legittima libertà e sicurezza, da cui siano eliminate, nella misura più ampia possibile, la sofferenza, le discriminazioni e la paura, con garanzia del rispetto dei diritti umani fondamentali, nell’esercizio dei corrispondenti doveri.

Che ne è di questo progetto? Nel VI Congresso mondiale della pastorale per i migranti e i rifugiati, che celebreremo dal 9 al 12 novembre, in Vaticano, con l’ausilio di esperti e operatori pastorali della mobilità umana, vorremmo dare una risposta a questo interrogativo, sotto il coordinamento del nostro Pontificio Consiglio, per individuare aggiornate dinamiche pastorali nel campo delle migrazioni e del rifugio.

Da un lato, la globalizzazione ha permesso il raggiungimento di mete straordinarie in ogni campo, ma, dall’altro, non si possono nascondere risultati insoddisfacenti. Infatti, sono avvenuti miglioramenti nel campo della cultura, della sanità e del tenore di vita: sono stati debellati flagelli che, insieme con la guerra, costituivano l’incubo delle generazioni precedenti, la durata media della vita si è elevata in misura inimmaginabile nel passato, sono stati resi facili e sicuri i viaggi e i trasporti, le comunicazioni si sono infittite e sono stati incrementati i rapporti commerciali. Con l’abolizione delle distanze, grazie anche all’informatica, il mondo è diventato un "villaggio planetario".

Bisogna altresì riconoscere l’apprezzamento di grandi valori, quali la dignità della persona umana e le libertà fondamentali, la valorizzazione della donna, il senso della tolleranza e del pluralismo, la solidarietà che lega tutti in un solo destino, il rifiuto del razzismo e di ogni discriminazione di ordine culturale, politica o religiosa, il rifiuto della violenza e l’aspirazione alla pace, il senso dell’uguaglianza e della necessità che tutti godano dei beni della terra e, infine, la preferenza data alla democrazia come regime politico in cui la persona umana è rispettata e le sue esigenze meglio soddisfatte.

Tutto ciò ha favorito iniziative importanti, sia sul piano internazionale che su quello locale. Si pensi all’ONU, all’UNESCO o alla FAO; alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e alle altre "Carte" dei diritti umani, alle numerosissime iniziative di volontariato giovanile e a quelle in favore dei profughi e dei rifugiati, delle persone colpite da calamità naturali e di coloro che, purtroppo, ancor oggi soffrono la fame.

Tuttavia, se c’è molto all’attivo del mondo moderno globalizzato, c’è anche molto di incompiuto.

In realtà, in rapporto al passato, oggi le persone sono più istruite, più tutelate e più assistite, ma non sono più felici, poiché spesso sono vittime della solitudine, della incomunicabilità, dell’insoddisfazione, della depressione e dell’angoscia.

Il mondo moderno, infatti, non è ancora riuscito a creare l’agognato ordine sociale giusto e umano. Siamo ancora prigionieri dell’incubo della guerra, nelle sue diverse forme, della fame, della stagnazione economica, delle varie minacce alla salute e alla libertà.

Peraltro la globalizzazione ha creato un nuovo mercato del lavoro e di conseguenza ha spinto molti ad emigrare, anche per fuggire da povertà, miseria, catastrofi naturali e conflitti locali ed internazionali, e altresì da persecuzioni di carattere politico e religioso. Essa ha aperto i mercati all’intervento internazionale, ma non ha abbattuto le mura dei confini nazionali per una libera circolazione delle persone, pur nel rispetto della sovranità degli Stati e delle loro carte costituzionali, con salvaguardia della legalità e della sicurezza. Il fenomeno migratorio, dunque, "solleva una vera e propria questione etica, quella della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra", come abbiamo scritto cinque anni orsono nell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, n. 8.

Sotto tale profilo, direi comunque che il maggior rischio oggi è che l’intero dibattito sulla globalizzazione venga visto quasi esclusivamente in riferimento alla sfera economico-finanziaria, caratterizzata dalla quantità degli aiuti internazionali e dal grado di liberalizzazione del commercio.

Ma noi sappiamo, come cristiani, che il cuore della vita è fondamentalmente spirituale e che la sfida è come promuovere e tutelare ogni persona umana, con preferenza per i più vulnerabili, come appunto, tra altri, sono i migranti e i rifugiati.

Nell’Enciclica "Deus caritas est", il Santo Padre afferma che "tutta l’attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo" (n. 19) e, nella "Caritas in veritate", ribadisce che "ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione" (n. 62). Dunque, la sfida che la società globalizzata lancia a tutti noi è quella di operare un radicale mutamento di prospettiva, compiendo una chiara "scelta per la persona umana", restituendole il posto che Dio le ha assegnato in seno all’unica famiglia dei popoli, "immagine e somiglianza" del Creatore.

La cura pastorale specifica in relazione ai migranti, allora, si riassume nel valore dell’accoglienza (cfr EMCC, nn. 38 e 49-55). Essa si attua in relazione a persone di diversa nazionalità, etnia e religione e contribuisce a rendere visibile l’autentica fisionomia della Chiesa stessa (cfr Gaudium et spes, n. 66 e anche EMCC, n. 40). Perché tale pastorale sia efficace, poi, la cooperazione fra le Chiese d’origine, di transito e di destinazione dei migranti è fondamentale, così come il dialogo tra Chiesa cattolica e Comunità ecclesiali non in piena comunione con essa. Se ne parlerà durante il Congresso. Senza dimenticare, infine, che nel dialogo tra cattolici e aderenti ad altre religioni riveste grande importanza il principio di reciprocità, che salvaguarda giuste relazioni, fondate sul vicendevole rispetto, sulla solidarietà e sulla giustizia, garantendo la pacifica convivenza, in parità di diritti e di doveri (cfr EMCC, n. 64).

In conclusione, l’attuale mondo globalizzato impegna la Chiesa ad affrontare giorno per giorno anche le cause che provocano le migrazioni e le conseguenze di vita a cui gli immigrati sono soggetti, insieme con gli autoctoni. La Chiesa è vicina ai migranti, specialmente alle vittime del traffico di esseri umani, ai rifugiati, ai richiedenti asilo e alle persone che soffrono i drammi della mobilità. Essa è chiamata a difendere la loro causa nei diversi contesti, anche collaborando nel promuovere adeguate normative, a livello locale e internazionale, che favoriscano la buona integrazione.





INTERVENTO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO


"La carità di Cristo verso i migranti ci stimola (cfr. 2 Cor 5,14) ad affrontare [sempre] di nuovo i loro problemi che riguardano ormai il mondo intero. Infatti pressoché tutti i Paesi, per un verso o per l’altro, si confrontano oggi con l’irrompere del fenomeno delle migrazioni nella vita sociale, economica, politica e religiosa, un fenomeno che sempre più va assumendo una configurazione permanente e strutturale".1 Con queste parole si apre l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi (La carità di Cristo verso il migrante) che abbiamo presentato proprio in questa Sala Stampa cinque anni fa. Il Documento fu approvato da Papa Giovanni Paolo II il 1° maggio 2004, Festa di san Giuseppe Lavoratore, e pubblicato dal nostro Pontificio Consiglio il 3 maggio seguente. Lo scopo della nuova Istruzione era "aggiornare la pastorale migratoria … passati ormai trentacinque anni [allora] dalla pubblicazione del Motu proprio di Papa Paolo VI Pastoralis migratorum cura e dalla relativa Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi De pastorali migratorum cura" (EMCC, Introduzione).

Oggi, dopo cinque anni dalla sua promulgazione, il nostro Pontificio Consiglio ha ritenuto opportuno rievocarla anche con la convocazione di un Congresso Mondiale per la pastorale dei Migranti e dei Rifugiati, il sesto della serie, specificatamente sul tema "Una risposta pastorale al fenomeno migratorio nell’era della globalizzzazione (a cinque anni dall’Erga migrantes caritas Christi)". Avrà luogo nell’Aula Magna di Via della Conciliazione n° 5, dal 9 al 12 di questo mese.

Il Congresso inizierà lunedì mattina, 9 novembre, alle ore 8,00, nella Basilica di San Pietro, con la Concelebrazione Eucaristica presieduta da S.Em. il Sig. Cardinale Tarcisio BERTONE, Segretario di Stato. Subito dopo, presso la sede del Congresso, ci sarà la Sessione d’Apertura con il Discorso inaugurale dell’Ecc.mo Presidente del nostro Pontificio Consiglio, S.E. Mons. Antonio Maria VEGLIÒ. Seguiranno poi quattro Interventi Speciali: quelli del Senatore Renato Giuseppe SCHIFANI, Presidente del Senato della Repubblica Italiana, del Sig. William Lacy SWING, Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), del Sig. Laurens JOLLES, Rappresentante Regionale per l’Europa dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e del Rev. P. Pierre Martinot-Lagarde, SJ, Consigliere Speciale per Affari Socio-Religiosi e Partenariati Speciali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Quindi l’Arcivescovo Agostino MARCHETTO, chi vi parla dunque, avrà il piacere di presentare il tema del Congresso, dopodiché ci recheremo all’Udienza Pontificia.

Il pomeriggio del 9 novembre sarà dedicato ai movimenti di popolazioni, sia come causa che quale effetto della globalizzazione. Ascolteremo anzitutto il Prof. Stefano ZAMAGNI, docente al Dipartimento di Scienze Economiche, dell’Università di Bologna. Seguirà poi una Tavola Rotonda dove si cercherà "Una risposta pastorale al fenomeno dell’urbanizzazione e delle migrazioni interne". Interverranno dall’Africa S.Em. il Cardinale John NJUE, Arcivescovo di Nairobi (Kenya), dall’Asia S.Em. il Cardinale Jean-Baptiste PHAM MINH MÂN, Arcivescovo di Thàn-Phô Hô Chí Minh (Viêt Nam) e dal continente Americano S.Em. il Cardinale Odilo Pedro SCHERER, Arcivescovo di São Paulo (Brasile). Rilevo che l’Erga migrantes caritas Christi dedica due numeri alle migrazioni interne, ed è la prima volta in un documento della Santa Sede.

Al termine della sessione, i relatori risponderanno a domande dei partecipanti. Essi poi si divideranno in gruppi per approfondire le tematiche esposte e i risultati del lavoro di gruppo saranno presentati in seduta plenaria alla fine della giornata. Questo sarà, in linea di massima, il metodo di lavoro per ogni sessione.

Martedì, 10 novembre, la mattinata sarà dedicata alla pastorale giovanile fra i migranti e i rifugiati e alla cooperazione delle Chiese di origine e di arrivo tra loro. Così ci parlerà il Superiore Regionale dei Missionari Scalabriniani per l’Europa e l’Africa, il Rev. do Padre Gabriele PAROLIN, su "Una pastorale specifica per i giovani e gli adolescenti migranti e rifugiati". La Tavola Rotonda che seguirà sarà dedicata a "La cooperazione tra Chiesa d’origine e d’accoglienza nella cura pastorale dei migranti e rifugiati" e interverranno S.E. Mons. Paul RUZOKA, Arcivescovo di Tabora (Tanzania), S.E. Mons. Renato Ascencio LEÓN, Vescovo di Ciudad Juárez (Messico) e il Rev.do Mons. Aldo GIORDANO, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. La cooperazione ecclesiale in parola è fondamentale per la realizzazione di una vera pastorale specifica dei migranti e rifugiati.

Martedì pomeriggio e la mattinata di mercoledì, 11 novembre, saranno dedicati al dialogo e alla collaborazione in rapporto al tema del Congresso.

Il relatore di martedì pomeriggio, S.E. Mons. Josef VOSS, Presidente della Commissione Episcopale per i Migranti della Germania, illustrerà l’"Approccio pastorale verso una più stabile integrazione dei migranti e dei rifugiati, nel contesto del dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale". Poi, avremo la gioia di ascoltare i delegati fraterni del Consiglio Ecumenico delle Chiese, del Patriarcato Ecumenico, della Comunione Anglicana e della Federazione Luterana Mondiale.

Mercoledì mattina, invece, ci saranno due relazioni, di cui la prima illustrerà "L’urgenza e le sfide della cooperazione ecumenica e interreligiosa nell’attuale situazione dei migranti e dei rifugiati (l’esperienza dei movimenti ecclesiali)", che sarà svolta dalla Dott.ssa Daniela POMPEI, della Comunità di Sant’Egidio. Seguirà la relazione su "La cooperazione tra istituzioni ecclesiali e civili per una vita migliore dei migranti e rifugiati" del Dott. John KLINK, Presidente della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni.

Infine, il pomeriggio di mercoledì prevede una Tavola-Rotonda sul tema: "La cura pastorale dei migranti e rifugiati in carcere e nei campi di detenzione". Di questo difficile apostolato ci parleranno S.E. Mons. John Charles WESTER, Vescovo di Salt Lake City (Stati Uniti d’America), S.E. Mons. Giovanni Innocenzo MARTINELLI, OFM, Vicario Apostolico di Tripoli (Libia) e il Rev.do Mons. Giorgio CANIATO, Ispettore Generale dei Cappellani del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del Dipartimento della Giustizia Minorile in Italia.

Un graditissimo dono sarà la serata di mercoledì con la Festa dei Popoli, che abbiamo affidata – come organizzazione – alla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana. Sarà un’occasione di lode a Dio e di incontro fraterno culturale.

Giovedì mattina, 12 novembre, il Congresso si concluderà con la proposta del testo del Documento Finale, nelle sue tradizionali tre parti: evento, conclusioni e raccomandazioni.

Punto culminante del Congresso sarà certo l’Udienza con Papa Benedetto XVI che, in occasione dell’ultima Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il 15 maggio dello scorso anno, ebbe a dire: "A nessuno sfugge …che la mobilità umana rappresenta, nell’attuale mondo globalizzato, una frontiera importante per la nuova evangelizzazione. Vi incoraggio perciò a proseguire nel vostro impegno pastorale con rinnovato zelo, mentre, da parte mia, vi assicuro la mia vicinanza spirituale".

________________________

1 Erga migrantes caritas Christ, 1: AAS XCVI (2004) 762.

INTERVENTO DI MONS. NOVATUS RUGAMBWA


1. Il mio intervento a questa Conferenza Stampa ha lo scopo di presentarvi le categorie di persone che parteciperanno al VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati.

A questo importante Incontro, oltre ai 14 principali oratori invitati, saremo lieti di accogliere 53 Vescovi, che hanno confermato la loro partecipazione in qualità di Presidenti o Delegati delle Commissioni Episcopali per la Mobilità Umana e 57 sacerdoti, Segretari Esecutivi o Delegati delle Commissioni Episcopali, o Direttori Nazionali e rappresentanti delle Caritas Nazionali. È anche importante rilevare la presenza di 16 Religiose e 19 Laici, che parteciperanno al Congresso nello stesso ambito di responsabilità e rappresentanza, a nome delle citate Commissioni Episcopali. Quindi il numero di Delegati dalle Commissioni Episcopali ammonta a 144 persone, provenienti dai 5 Continenti: 41 dall’America Latina, 5 dal Nord America (USA e Canada), 23 dall’Africa, 26 dall’Asia e Oceania, 6 dal Medio Oriente e 43 dall’Europa.

Allo stesso modo, due Consigli internazionali di Conferenze Episcopali hanno accettato il nostro invito a prendere parte al Congresso: e così per il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) vi sarà il Segretario Generale e il Segretario della sua Commissione per i Migranti, mentre come rappresentante del CELAM (Consiglio Episcopale Latino-Americano) vi sarà una religiosa, in virtù del suo ruolo di Segretario Esecutivo della sua Commissione per la Mobilità Umana.

2. L’altro importante gruppo di partecipanti proviene da Congregazioni e Istituti Religiosi che, per il benessere dei migranti e dei rifugiati in molte parti del mondo, continuano a investire risorse ed energie, sia in termini di personale che di finanze. È stato, pertanto, nostro profondo desiderio che tali istituzioni religiose, con una rete internazionale di missioni e di attività, fossero propriamente rappresentate prendendo parte alle discussioni e alle delibere di questo Congresso Mondiale. Siamo lieti che si siano iscritte 22 Religiose in rappresentanza di 16 Congregazioni, mentre 16 Religiosi si sono registrati come rappresentanti di 13 Istituti Religiosi, portando a 38 il numero complessivo di Religiosi - uomini e donne - al Congresso.

3. Oltre al coinvolgimento delle Commissioni Episcopali e delle Congregazioni Religiose, ci sono ovviamente le Associazioni e i Movimenti Ecclesiali, che giocano un ruolo davvero vitale nella sollecitudine pastorale della Chiesa nei confronti dei migranti e dei rifugiati in tutto il mondo. Di conseguenza, siamo felici di avere 16 delegati in rappresentanza di 15 Associazioni e Movimenti ecclesiali internazionali nella Chiesa.

4. Mossa dallo spirito del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, la Chiesa Cattolica è sempre desiderosa di aprirsi e condividere, con fiducia e rispetto, i problemi di comune interesse con i Fratelli di altre Chiese e Comunità ecclesiali (Delegati Fraterni). Il nostro Pontificio Consiglio ha quindi avuto il piacere di invitare il Consiglio Ecumenico delle Chiese, il Patriarcato Ecumenico, la Comunione Anglicana e la Federazione Mondiale Luterana a prendere parte a tutto il Congresso e anche a condividere le loro personali esperienze in questo campo della pastorale per i migranti e i rifugiati. Siamo grati alle rispettive gerarchie delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali per aver accettato l’invito. Pertanto, ci saranno 4 delegati fraterni, che rappresenteranno il Patriarcato Ecumenico, la Comunione Anglicana, il Consiglio Ecumenico delle Chiese e la Federazione Mondiale Luterana.

5. Data la particolare rilevanza del tema del Congresso nel mondo di oggi e la missione veramente importante delle Organizzazioni Internazionali in un campo così impegnativo come quello della mobilità umana, siamo ugualmente felici e onorati che, su nostro invito, parteciperanno al Congresso il Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e due funzionari superiori, in rappresentanza rispettivamente dell’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO).

6. È ugualmente importante riconoscere il ruolo svolto dalle Organizzazioni Cattoliche Internazionali per cui saremo lieti di accogliere la partecipazione di tre di esse, e cioè tre Delegati della Caritas Internationalis, incluso il Segretario Generale, 2 Officiali della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni (ICMC) e il Direttore Internazionale del Servizio Rifugiati dei Gesuiti (JRS).

7. Al fine di avere un’atmosfera esperta e qualificata del gruppo delle discussioni e condivisioni, avremo 6 Esperti che, su nostro invito, prenderanno parte al Congresso da Gran Bretagna, Italia, Costa d’Avorio, Polonia e Stati Uniti.

8. In aggiunta a tutte queste persone che parteciperanno all’imminente VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, ci saranno anche 18 Membri e 6 Consultori del nostro Pontificio Consiglio. Accoglieremo anche con gratitudine la presenza di 20 Prelati della Segreteria di Stato e di altri Dicasteri della Curia Romana o i loro rispettivi delegati.

9. Alla Cerimonia di apertura di lunedì 9 Novembre, dalle 9.30 alle 11.00, vi sarà pure la presenza del Presidente del Senato della Repubblica Italiana e di 37 Ambasciatori di Missioni Diplomatiche accreditate presso la Santa Sede o dei loro Delegati.

10. Per concludere, mi è gradito rivolgere una parola di apprezzamento e di ringraziamento ai benefattori di organizzazioni e istituzioni che, da Germania, Francia, Spagna, Giappone e Italia, hanno generosamente contribuito a sostenere la partecipazione di alcuni rappresentanti, specialmente di quanti hanno gravi difficoltà finanziarie. Alcuni enti donatori saranno presenti al Congresso con i loro rappresentanti.

Vi ringrazio per l’attenzione.

Statistiche dei Partecipanti

Relatori
14

Delegati Fraterni
4

Presidenti dei Dicasteri della Curia Romana
20

Missioni Diplomatiche accreditate presso la Santa Sede con sede a Roma
37

Membri del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
18

Consultori del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
6

Organizzazioni Internazionali
4

Organizzazioni Cattoliche Internazionali
6

Esperti e Accademici
7

Presidenti/Delegati delle Commissioni Episcopali per la Mobilità Umana
144

Riunioni Internazionali di Conferenze Episcopali
3

Unione Internazionale dei Superiori Generali donne
1

Congregazioni Religiose femminili
22

Congregazioni Religiose maschili
16

Movimenti/Associazioni Ecclesiali Internazionali
16

Donatori
2

TOTALE
320

05/11/2009 00:29
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La Santa Sede all'ONU sul diritto alla libertà religiosa
In occasione della 64ª sessione dell'Assemblea generale



ROMA, mercoledì, 4 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento sulla libertà religiosa pronunciato il 26 ottobre dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nell'ambito della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, davanti alla Terza Commissione sull'item 69: “Promozione e tutela dei diritti umani: questioni relative ai diritti umani, incluse strategie alternative per migliorare la fruizione effettiva dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.

* * *

Presidente,

poiché ci dedichiamo alla promozione e alla tutela dei diritti umani, sappiamo che è la dignità della persona umana a motivare il nostro desiderio di impegnarci per lavorare alla realizzazione graduale di tutti i diritti umani.

Da un po' di tempo ormai le Nazioni Unite esaminano la nozione di libertà di coscienza a proposito della religione e della libertà della sua espressione. Ciò si è espresso in particolare nel contesto della promozione e della tutela dei diritti umani universalmente riconosciuti e delle libertà fondamentali, della diversità culturale e dell'eliminazione di tutte le forme di intolleranza religiosa nel mondo.

Il diritto alla libertà di religione, nonostante sia stato ripetutamente proclamato dalla comunità internazionale e specificato negli strumenti internazionali nonché nella Costituzione della maggior parte degli Stati, continua a essere oggi ampiamente violato. Purtroppo, non c'è alcuna religione al mondo che sia esente dalla discriminazione. Atti di intolleranza e violazioni della libertà religiosa continuano a essere perpetrati in molte forme. Infatti, sempre più casi vengono sottoposti all'attenzione dei tribunali o degli organismi internazionali per i diritti umani.

Con l'aumento dell'intolleranza religiosa nel mondo, è ben documentato che quello dei cristiani è il gruppo religioso più discriminato perché potrebbero essercene ben più di 200 milioni, di differenti confessioni, che sono in situazioni di difficoltà a causa di strutture legali e culturali che portano alla loro discriminazione.

In questi ultimi mesi, alcuni Paesi asiatici e mediorientali hanno visto molte comunità cristiane attaccate, con molti feriti e altri uccisi. Le loro chiese e abitazioni sono state incendiate. Queste azioni sono state commesse da estremisti in risposta alle accuse mosse ad alcuni individui, percepiti, secondo le leggi contro la blasfemia, in un certo qual modo come irrispettosi dei credi degli altri. In questo contesto, la mia delegazione vede con favore e sostiene la promessa del Governo del Pakistan di rivedere ed emendare tali leggi.

Le leggi contro la blasfemia sono diventate troppo facilmente opportunità per gli estremisti di perseguitare quanti scelgono liberamente di seguire il sistema di credo di una tradizione di fede differente. Queste leggi sono state utilizzate per fomentare l'ingiustizia, la violenza settaria e la violenza fra religioni. I governi devono affrontare le cause che sono alla radice dell'intolleranza religiosa e abrogare queste leggi che fungono da strumenti di abuso.

La legislazione che limita la libertà di espressione non può modificare gli atteggiamenti. Ciò che invece è necessario è la volontà di cambiare. Quest'ultima si può ottenere efficacemente aumentando la consapevolezza degli individui, portandoli a una maggiore comprensione del bisogno di rispettare tutte le persone, indipendentemente dalla loro fede o dalla loro formazione culturale. Gli Stati dovrebbero astenersi dall'adottare restrizioni alla libertà di espressione che hanno spesso condotto ad abusi da parte delle autorità e al mettere a tacere le voci dissenzienti, in particolare quelle di individui appartenenti a minoranze etniche e religiose. L'autentica libertà di espressione può contribuire a un maggiore rispetto per tutte le persone perché può offrire l'opportunità di pronunciarsi contro violazioni come l'intolleranza religiosa e il razzismo e di promuovere la pari dignità delle persone.

Il ricorso all'odio e alla violenza contro religioni specifiche che persiste in vari luoghi suggerisce uno stato mentale caratterizzato da intolleranza. Per questo motivo è imperativo che le persone delle varie tradizioni di fede cooperino per accrescere la comprensione reciproca. C'è qui bisogno di un cambiamento autentico di mente e di cuore. Questo si può raggiungere al meglio attraverso l'educazione, a cominciare dai bambini e dai giovani, all'importanza della tolleranza e del rispetto per la diversità culturale e religiosa.

La cooperazione fra religioni è un prerequisito per la trasformazione della società e deve condurre a un cambiamento di mente e di cuore affinché si possa realmente creare una cultura di tolleranza e di coesistenza pacifica fra i popoli.

Da molti anni questa Organizzazione offre alla comunità internazionale parametri per ciò che i Paesi devono fare per compiere progressi concreti nel rispetto dei diritti umani. Un elemento chiave è aderire agli strumenti fondamentali delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa e applicare fedelmente i principi ivi consacrati cosicché tutte le persone, indipendentemente dalle loro credenze religiose, ottengano rispetto totale in conformità alla loro dignità di membri della comunità umana.



[Traduzione dall'inglese a cura de “L'Osservatore Romano”]



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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON GLI ARTISTI (21 NOVEMBRE 2009)

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell’Incontro del Santo Padre Benedetto XVI con gli Artisti (21 novembre 2009) nel decennale della Lettera di Giovanni Paolo II agli Artisti (4 aprile 1999) e nel 45° anniversario dell’Incontro di Paolo VI con gli Artisti (7 maggio 1964).

Intervengono alla Conferenza: S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa; il Prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani; Mons. Pasquale Iacobone, Incaricato del Dipartimento Arte e Fede del Pontificio Consiglio della Cultura.

Pubblichiamo di seguito una nota informativa:


NOTA INFORMATIVA

In occasione del Decennale della Lettera agli Artisti di Giovanni Paolo II (4 aprile 1999), e a 45 anni dallo storico incontro di Paolo VI con gli artisti, tenutosi nella Cappella Sistina (7 maggio 1964), il Pontificio Consiglio della Cultura ha promosso l’Incontro del Papa Benedetto XVI con gli Artisti, che si terrà, sempre nella Cappella Sistina, il 21 novembre 2009. L’Incontro intende rinnovare l’amicizia e il dialogo tra la Chiesa e gli Artisti e suscitare nuove occasioni di collaborazione.

Gli illustri Artisti invitati, provenienti dai diversi continenti, per il prestigio di cui godono e per l’alta qualità professionale del loro impegno rappresentano le diverse categorie di cui si compone il mondo delle arti (pittura, scultura, architettura, letteratura e poesia, musica e canto, cinema, teatro, danza, fotografia…). Il numero degli invitati è necessariamente limitato, in funzione degli spazi ridotti offerti dalla Cappella Sistina.

L’Incontro col Santo Padre è preceduto da un momento preliminare. Il pomeriggio del 20 novembre gli Artisti visiteranno la Collezione di Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani, realizzata per volere di Paolo VI. Al termine della visita si terrà un ricevimento in loro onore, offerto dallo sponsor unico dell’evento, la Martini e Rossi.

Nella mattinata del 21 novembre gli Artisti si ritroveranno nella Cappella Sistina per incontrare Sua Santità Benedetto XVI. Sono previsti brevi interventi musicali di apertura e chiusura dell’Incontro, eseguiti dalla Cappella Musicale Pontificia "Sistina".

S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, rivolgerà al Santo Padre un indirizzo di saluto, anche a nome degli Artisti presenti. Quindi saranno letti alcuni brani della Lettera agli Artisti di Giovanni Paolo II.

Sua Santità Benedetto XVI pronuncerà allora il suo Discorso agli Artisti.

Dopo il commiato del Santo Padre ai partecipanti all’Incontro, si terrà, nel Braccio Nuovo dei Musei Vaticani, un ricevimento conclusivo dell’evento, offerto sempre dalla Martini e Rossi, ed in cui verrà offerta agli Artisti, a nome del Santo Padre, una Medaglia appositamente coniata per l’evento.

* * *

Il Pontificio Consiglio della Cultura ha inviato circa 500 Inviti ad altrettanti Artisti, di diversi paesi e continenti, appartenenti alle diverse categorie, selezionati da una apposita commissione, la quale ha accolto i suggerimenti di consulenti ed esperti dei settori interessati (Prof. Antonio Paolucci, Dott. Micol Forti, Dott. Boschetti dei Musei Vaticani; Dott. Vittorio Giacci; Dott. Tiziana Di Blasio; P. Andrea dall’Asta; Dott. Ferruccio Parazzoli...).

Gli Artisti proposti sono stati suddivisi in cinque categorie principali, per facilitare il lavoro organizzativo: 1) pittura e scultura, 2) architettura, 3) letteratura e poesia, 4) musica e canto, 5) cinema, teatro, danza, fotografia etc.

La scelta degli invitati è stata motivata, con l’aiuto dei consulenti, soprattutto dal livello artistico da loro raggiunto, e tenendo anche conto della provenienza da contesti geografici, culturali e religiosi diversi.

Lo svolgimento dell’Incontro nella Cappella Sistina, luogo altamente simbolico ed evocativo, giustifica il numero ridotto degli invitati, chiamati a rappresentare le diverse categorie di Artisti. D’altra parte questo appuntamento non si configura come una udienza generale del Santo Padre aperta a qualsiasi artista o esclusivamente a quelli di matrice cristiana, ma intende essere un momento rappresentativo della volontà di dialogo tra la Chiesa e il mondo delle Arti, che dovrà necessariamente svilupparsi in diverse tappe e con diverse modalità, valorizzando di volta in volta le molteplici componenti come anche le istituzioni ecclesiali nazionali o territoriali.

Un ringraziamento speciale va rivolto al Presidente della Martini e Rossi, Dott. Maurizio Cibrario e al suo staff per la collaborazione offerta nella realizzazione dei due ricevimenti previsti.

Tutte le informazioni sull’evento possono essere fornite da:

- Sala Stampa della Santa Sede

- Pontificio Consiglio della Cultura

Via della Conciliazione, 5 - 00120 Città del Vaticano

E-mail: arte@cultura.va

Telefoni: +39.06. 69893805/ 06.69893833 / 334.6540649

Fax: +39.06.69887368

06/11/2009 15:32
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STATEMENT OF THE HOLY SEE AT THE 64th SESSION OF THE UN GENERAL ASSEMBLY ON AGENDA 31: UNITED NATIONS RELIEF AND WORKS AGENCY FOR PALESTINE REFUGEES IN THE NEAR EAST

Here below the statement delivered by H.E. Archbishop Celestino Migliore Apostolic Nuncio Permanent Observer of the Holy See , on 3 November 2009 at the 64th Session of the UN General Assembly before the Special Political and Decolonization Committee (Fourth Committee) on item 31: United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East:

Mr. Chairman,

My Delegation would like to begin by expressing its appreciation to the Commissioner-General of the United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East for the annual report on the works of the agency during the past year. Commissioner-General Karen Abu Zayd’s report is noteworthy for two reasons: first, this is the 60th anniversary of the founding of UNRWA, and second, the past year has been exceptionally difficult for UNRWA.

My Delegation takes this occasion to express gratitude and appreciation for the six decades of service and assistance provided by UNRWA to the Palestine refugees. We also offer sincere condolences for those members of the UNWRA staff killed or injured while carrying out their duties over the last 60 years.

UNRWA was created as a temporary UN body, given the task of serving Palestine refugees until such time as their situation was justly resolved. Now, six decades later, UNRWA’s very existence is a reminder that the question of Palestine refugees remains unresolved.

Mr. Chairman,

This tragic reality brings my Delegation to the second point: namely, that this report speaks of the tragedies and difficulties currently endured by the refugees just as they have been for the past six decades. The Holy See understands precisely how the current situation has impacted the lives of millions with great adversity. Working with its worldwide donors and collaborators, the Pontifical Mission for Palestine, also founded as a temporary agency in 1949, currently provides education, health services, relief, social services and employment programs to the Palestine refugees in Jordan, Lebanon, the Syrian Arab Republic, the West Bank and Gaza along with UNRWA.

Mr. Chairman,

Resolving the Israeli-Palestinian conflict remains key to resolving so many of the situations that bring chaos to the region of the Middle East and which have serious worldwide implications. Regrettably, there is a failure on the part of both concerned parties to engage in significant and substantive dialogue and dispute resolution in order to bring stability and peace to the Holy Land. More than ever before, the international community is needed to continue its efforts to facilitate with haste a rapprochement of the parties. Obviously, those brokering the negotiations will have to maintain a balanced approach, avoiding the imposition of preconditions on either side.

In the hope that the many problems of the region will finally be resolved by negotiation and dialogue, my Delegation further underlines that a lasting solution must include the status of the Holy City of Jerusalem. In light, too, of the numerous incidents of violence and challenges to free movement posed by the Security Wall, the Holy See renews its support for "internationally guaranteed provisions to ensure the freedom of religion and conscience of its inhabitants, as well as permanent, free and unhindered access to the Holy Places by the faithful of all religions and nationalities" (A/RES/ES-10/2).

Finally, we repeat our call to the international community to facilitate significant negotiations between the conflicting parties. Only with a just and lasting peace – not imposed but secured through negotiation and reasonable compromise – will the legitimate aspirations of all the peoples of the Holy Land be fulfilled.

Thank you, Mr Chairman.

07/11/2009 00:07
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La Santa Sede sulla questione dei profughi palestinesi
Intervento alla 64ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 6 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'intervento pronunciato il 3 novembre dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti al Comitato Speciale politico e sulla decolonizzazione (Quarto Comitato) sull'item 31: Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'impiego dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente.

* * *

Signor presidente,

la mia Delegazione desidera cominciare esprimendo il proprio apprezzamento al Commissario Generale dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'impiego dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente per il rapporto annuale sull'operato dell'agenzia nello scorso anno. Il rapporto del Commissario Generale, Karen Abu Zayd, è degno di nota per due motivi: è il sessantesimo anniversario dell'Unrwa e lo scorso anno è stato eccezionalmente difficile per l'Unrwa.

La mia delegazione coglie l'occasione di esprimere gratitudine e apprezzamento per i sei decenni di servizio e di assistenza dedicati dall'Unrwa ai profughi palestinesi. Porgiamo anche sincere condoglianze per i membri dello staff dell'Unrwa che sono rimasti uccisi o feriti nello svolgimento dei loro doveri negli ultimi sessant'anni.

L'Unrwa fu creata come organismo temporaneo delle Nazioni Unite con il compito di aiutare i profughi palestinesi fino a quando la loro situazione non si fosse giustamente risolta. Ora, sei decenni dopo, l'esistenza stessa dell'Unrwa rammenta che la questione dei profughi palestinesi resta irrisolta.

Signor presidente,

questa tragica realtà porta la mia Delegazione al secondo punto, ed esattamente al fatto che questo rapporto riferisce di tragedie e di difficoltà che i profughi vivono attualmente come hanno già fatto negli ultimi sessant'anni. La Santa Sede comprende perfettamente in che modo l'attuale situazione ha colpito la vita di milioni di persone con grande avversità. Operando con i suoi donatori e collaboratori di tutto il mondo, la Pontificia Missione per la Palestina, anch'essa fondata come agenzia temporanea nel 1949, offre attualmente, insieme con l'Unrwa, educazione, assistenza sanitaria, soccorso, servizi sociali e programmi per l'impiego ai profughi palestinesi in Giordania, in Libano, nella Repubblica Araba di Siria, in Cisgiordania e a Gaza.

Signor presidente,

la soluzione del conflitto israelo-palestinese rimane la chiave per risolvere le così tante situazioni che portano il caos nella regione del Medio Oriente e che hanno gravi implicazioni nel mondo. Purtroppo, entrambe le parti interessate falliscono nell'impegnarsi in un dialogo significativo e sostanziale e in una risoluzione delle dispute per portare stabilità e pace in Terra Santa. Ora più che mai, la comunità internazionale deve proseguire gli sforzi per facilitare rapidamente un riavvicinamento delle parti. È ovvio che i mediatori nei negoziati dovranno mantenere un approccio equilibrato, evitando l'imposizione di precondizioni da entrambe le parti.

Nella speranza che i numerosi problemi della regione vengano infine risolti grazie ai negoziati e al dialogo, la mia Delegazione sottolinea ulteriormente che una soluzione duratura deve includere lo status della Città Santa di Gerusalemme. Anche alla luce dei numerosi atti di violenza e delle sfide al libero transito poste dal Muro di Sicurezza, la Santa Sede rinnova il suo sostegno a «disposizioni internazionalmente garantite, atte ad assicurare la libertà di religione e di coscienza dei suoi abitanti, come pure l'accesso permanente, libero e privo di ostacoli ai luoghi santi per i fedeli di tutte le religioni e nazionalità» (A/RES/ES-10/2).

Infine, esortiamo ancora una volta la comunità internazionale a facilitare significativi negoziati fra le parti in conflitto. Soltanto con una pace giusta e duratura, non imposta, ma garantita da negoziati e compromessi ragionevoli, le aspirazioni legittime di tutti popoli della Terra Santa saranno soddisfatte.

Grazie, presidente.

[Traduzione del testo in inglese a cura de “L'Osservatore Romano”]

09/11/2009 16:08
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COSTITUZIONE APOSTOLICA ANGLICANORUM COETIBUS CIRCA L’ISTITUZIONE DI ORDINARIATI PERSONALI PER ANGLICANI CHE ENTRANO NELLA PIENA COMUNIONE CON LA CHIESA CATTOLICA



COMUNICATO STAMPA

Il 20 ottobre 2009, il Cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha annunciato un nuovo documento per rispondere alle numerose richieste pervenute alla Santa Sede da gruppi di ministri e fedeli anglicani di diverse parti del mondo, i quali desiderano entrare nella piena e visibile comunione con la Chiesa Cattolica.

La Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus che oggi viene pubblicata introduce una struttura canonica che provvede ad una tale riunione corporativa tramite l’istituzione di Ordinariati Personali, che permetteranno ai suddetti gruppi di entrare nella piena comunione con la Chiesa Cattolica, conservando nel contempo elementi dello specifico patrimonio spirituale e liturgico anglicano. Contemporaneamente la Congregazione per la Dottrina della Fede ha emanato Norme Complementari, che serviranno alla retta attuazione del provvedimento.

Questa Costituzione Apostolica apre una nuova strada per la promozione dell’unità dei cristiani, riconoscendo nel contempo la legittima diversità nell’espressione della nostra fede comune. Non si tratta di un’iniziativa che abbia avuto origine nella Santa Sede, ma di una risposta generosa da parte del Santo Padre alla legittima aspirazione di tali gruppi anglicani. L’istituzione di questa nuova struttura si colloca in piena armonia con l’impegno per il dialogo ecumenico, che continua ad essere una priorità per la Chiesa Cattolica.

La possibilità prevista dalla Costituzione Apostolica della presenza di alcuni chierici sposati negli Ordinariati Personali non significa in alcun modo un cambiamento nella disciplina della Chiesa per quanto riguarda il celibato sacerdotale. Esso, come dice il Concilio Vaticano Secondo, è segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale e annuncia in modo radioso il regno di Dio (Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1579).



COSTITUZIONE APOSTOLICA ANGLICANORUM COETIBUS

In questi ultimi tempi lo Spirito Santo ha spinto gruppi anglicani a chiedere più volte e insistentemente di essere ricevuti, anche corporativamente, nella piena comunione cattolica e questa Sede Apostolica ha benevolmente accolto la loro richiesta. Il Successore di Pietro infatti, che dal Signore Gesù ha il mandato di garantire l’unità dell’episcopato e di presiedere e tutelare la comunione universale di tutte le Chiese,1 non può non predisporre i mezzi perché tale santo desiderio possa essere realizzato.

La Chiesa, popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,2 è stata infatti istituita da Nostro Signore Gesù Cristo come "il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano."3 Ogni divisione fra i battezzati in Gesù Cristo è una ferita a ciò che la Chiesa è e a ciò per cui la Chiesa esiste; infatti "non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura".4 Proprio per questo, prima di spargere il suo sangue per la salvezza del mondo, il Signore Gesù ha pregato il Padre per l’unità dei suoi discepoli.5

È lo Spirito Santo, principio di unità, che costituisce la Chiesa come comunione.6 Egli è il principio dell’unità dei fedeli nell’insegnamento degli Apostoli, nella frazione del pane e nella preghiera.7 Tuttavia la Chiesa, per analogia al mistero del Verbo incarnato, non è solo una comunione invisibile, spirituale, ma anche visibile;8 infatti, "la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l'assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino."9 La comunione dei battezzati nell’insegnamento degli Apostoli e nella frazione del pane eucaristico si manifesta visibilmente nei vincoli della professione dell’integrità della fede, della celebrazione di tutti i sacramenti istituiti da Cristo e del governo del Collegio dei Vescovi uniti con il proprio capo, il Romano Pontefice.10

L’unica Chiesa di Cristo infatti, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica, "sussiste nella Chiesa Cattolica governata dal successore di Pietro, e dai Vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica."11

Alla luce di tali principi ecclesiologici, con questa Costituzione Apostolica si provvede ad una normativa generale che regoli l’istituzione e la vita di Ordinariati Personali per quei fedeli anglicani che desiderano entrare corporativamente in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Tale normativa è integrata da Norme Complementari emanate dalla Sede Apostolica.

I. § 1. Gli Ordinariati Personali per Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica vengono eretti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede all’interno dei confini territoriali di una determinata Conferenza Episcopale, dopo aver consultato la Conferenza stessa.

§ 2. Nel territorio di una Conferenza dei Vescovi, uno o più Ordinariati possono essere eretti, a seconda delle necessità.

§ 3. Ciascun Ordinariato ipso iure gode di personalità giuridica pubblica; è giuridicamente assimilato ad una diocesi.12

§ 4. L’Ordinariato è formato da fedeli laici, chierici e membri d’Istituti di Vita Consacrata o di Società di Vita Apostolica, originariamente appartenenti alla Comunione Anglicana e ora in piena comunione con la Chiesa Cattolica, oppure che ricevono i Sacramenti dell’Iniziazione nella giurisdizione dell’Ordinariato stesso.

§ 5. Il Catechismo della Chiesa Cattolica è l’espressione autentica della fede cattolica professata dai membri dell’Ordinariato.

II. L’Ordinariato Personale è retto dalle norme del diritto universale e dalla presente Costituzione Apostolica ed è soggetto alla Congregazione per la Dottrina della Fede e agli altri Dicasteri della Curia Romana secondo le loro competenze. Per esso valgono anche le suddette Norme Complementari ed altre eventuali Norme specifiche date per ciascun Ordinariato.

III. Senza escludere le celebrazioni liturgiche secondo il Rito Romano, l’Ordinariato ha la facoltà di celebrare l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, la Liturgia delle Ore e le altre azioni liturgiche secondo i libri liturgici propri della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede, in modo da mantenere vive all’interno della Chiesa Cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della Comunione Anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere.

IV. Un Ordinariato Personale è affidato alla cura pastorale di un Ordinario nominato dal Romano Pontefice.

V. La potestà (potestas) dell’Ordinario è:

a. ordinaria: annessa per il diritto stesso all’ufficio conferitogli dal Romano Pontefice, per il foro interno e per il foro esterno;

b. vicaria: esercitata in nome del Romano Pontefice;

c. personale: esercitata su tutti coloro che appartengono all’Ordinariato.

Essa è esercitata in modo congiunto con quella del Vescovo diocesano locale nei casi previsti dalle Norme Complementari.

VI. § 1. Coloro che hanno esercitato il ministero di diaconi, presbiteri o vescovi anglicani, che rispondono ai requisiti stabiliti dal diritto canonico13 e non sono impediti da irregolarità o altri impedimenti,14 possono essere accettati dall’Ordinario come candidati ai Sacri Ordini nella Chiesa Cattolica. Per i ministri coniugati devono essere osservate le norme dell’Enciclica di Paolo VI Sacerdotalis coelibatus, n. 4215 e della Dichiarazione In June.16 I ministri non coniugati debbono sottostare alla norma del celibato clericale secondo il can. 277, §1.

§ 2. L’Ordinario, in piena osservanza della disciplina sul celibato clericale nella Chiesa Latina, pro regula ammetterà all’ordine del presbiterato solo uomini celibi. Potrà rivolgere petizione al Romano Pontefice, in deroga al can. 277, § 1, di ammettere caso per caso all’Ordine Sacro del presbiterato anche uomini coniugati, secondo i criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede.

§ 3. L’incardinazione dei chierici sarà regolata secondo le norme del diritto canonico.

§ 4. I presbiteri incardinati in un Ordinariato, che costituiscono il suo presbiterio, debbono anche coltivare un vincolo di unità con il presbiterio della Diocesi nel cui territorio svolgono il loro ministero; essi dovranno favorire iniziative e attività pastorali e caritative congiunte, che potranno essere oggetto di convenzioni stipulate tra l’Ordinario e il Vescovo diocesano locale.

§ 5. I candidati agli Ordini Sacri in un Ordinariato saranno formati insieme agli altri seminaristi, specialmente negli ambiti dottrinale e pastorale. Per tener conto delle particolari necessità dei seminaristi dell’Ordinariato e della loro formazione nel patrimonio anglicano, l’Ordinario può stabilire programmi da svolgere nel seminario o anche erigere case di formazione, connesse con già esistenti facoltà di teologia cattoliche.

VII. L’Ordinario, con l’approvazione della Santa Sede, può erigere nuovi Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica e promuoverne i membri agli Ordini Sacri, secondo le norme del diritto canonico. Istituti di Vita Consacrata provenienti dall’Anglicanesimo e ora in piena comunione con la Chiesa Cattolica per mutuo consenso possono essere sottoposti alla giurisdizione dell’Ordinario.

VIII. § 1. L’Ordinario, a norma del diritto, dopo aver sentito il parere del Vescovo diocesano del luogo, può, con il consenso della Santa Sede, erigere parrocchie personali, per la cura pastorale dei fedeli appartenenti all’Ordinariato.

§ 2. I parroci dell’Ordinariato godono di tutti i diritti e sono tenuti a tutti gli obblighi previsti nel Codice di Diritto Canonico, che, nei casi stabiliti nelle Norme Complementari, sono esercitati in mutuo aiuto pastorale con i parroci della Diocesi nel cui territorio si trova la parrocchia personale dell’Ordinariato.

IX. Sia i fedeli laici che gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che provengono dall’Anglicanesimo e desiderano far parte dell’Ordinariato Personale, devono manifestare questa volontà per iscritto.

X. § 1. L’Ordinario nel suo governo è assistito da un Consiglio di governo regolato da Statuti approvati dall’Ordinario e confermati dalla Santa Sede.17

§ 2. Il Consiglio di governo, presieduto dall’Ordinario, è composto di almeno sei sacerdoti ed esercita le funzioni stabilite nel Codice di Diritto Canonico per il Consiglio Presbiterale e il Collegio dei Consultori e quelle specificate nelle Norme Complementari.

§ 3. L’Ordinario deve costituire un Consiglio per gli affari economici a norma del Codice di Diritto Canonico e con i compiti da questo stabiliti.18

§ 4. Per favorire la consultazione dei fedeli nell’Ordinariato deve essere costituito un Consiglio Pastorale.19

XI. L’Ordinario ogni cinque anni si deve recare a Roma per la visita ad limina Apostolorum e tramite la Congregazione per la Dottrina della Fede, in rapporto anche con la Congregazione per i Vescovi e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, deve presentare al Romano Pontefice una relazione sullo stato dell’Ordinariato.

XII. Per le cause giudiziali il tribunale competente è quello della Diocesi in cui una delle parti ha il domicilio, a meno che l’Ordinariato non abbia costituito un suo tribunale, nel qual caso il tribunale d’appello sarà quello designato dall’Ordinariato e approvato dalla Santa Sede.

XIII. Il Decreto che erigerà un Ordinariato determinerà il luogo della sede dell’Ordinariato stesso e, se lo si ritiene opportuno, anche quale sarà la sua chiesa principale.

Vogliamo che queste nostre disposizioni e norme siano valide ed efficaci ora e in futuro, nonostante, se fosse necessario, le Costituzioni e le Ordinanze apostoliche emanate dai nostri predecessori, e ogni altra prescrizione anche degna di particolare menzione o deroga.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 novembre 2009, Memoria di San Carlo Borromeo.

BENEDICTUS PP XVI

_________________

1 Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 23; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio, 12; 13.

2 Cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 4; Decr. Unitatis redintegratio, 2.

3 Cost. dogm. Lumen gentium 1.

4 Decr. Unitatis redintegratio, 1.

5 Cf. Gv 17,20-21; Decr. Unitatis redintegratio, 2.

6 Cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 13.

7 Cf. Ibidem; At 2,42.

8 Cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 8; Lett. Communionis notio, 4.

9 Cost. dogm. Lumen gentium, 8.

10 Cf. CIC, can. 205; Cost. dogm. Lumen gentium, 13; 14; 21; 22; Decr. Unitatis redintegratio, 2; 3; 4; 15; 20; Decr. Christus Dominus, 4; Decr. Ad gentes, 22.

11 Cost. dogm. Lumen gentium, 8; Decr. Unitatis redintegratio, 1; 3; 4; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, 16.

12 Cf. Giovanni Paolo II, Cost. Ap. Spirituali militum curae, 21 aprile 1986, I § 1.

13 Cf. CIC, cann. 1026-1032.

14 Cf. CIC, cann. 1040-1049.

15 Cf. AAS 59 (1967) 674.

16 Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione del 1° aprile 1981, in Enchiridion Vaticanum 7, 1213.

17 Cf. CIC, cann. 495-502.

18 Cf. CIC, cann. 492-494.

19 Cf. CIC, can. 511.



NORME COMPLEMENTARI ALLA COSTITUZIONE APOSTOLICA ANGLICANORUM COETIBUS

Dipendenza dalla Santa Sede

Articolo 1

Ciascun Ordinariato dipende dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e mantiene stretti rapporti con gli altri Dicasteri Romani a seconda della loro competenza.

Rapporti con le Conferenze Episcopali e i Vescovi diocesani

Articolo 2

§ 1. L’Ordinario segue le direttive della Conferenza Episcopale nazionale in quanto compatibili con le norme contenute nella Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus.

§ 2. L’Ordinario è membro della rispettiva Conferenza Episcopale.

Articolo 3

L’Ordinario, nell’esercizio del suo ufficio, deve mantenere stretti legami di comunione con il Vescovo della Diocesi in cui l’Ordinariato è presente per coordinare la sua azione pastorale con il piano pastorale della Diocesi.

L’Ordinario

Articolo 4

§ 1. L’Ordinario può essere un vescovo o un presbitero nominato dal Romano Pontefice ad nutum Sanctae Sedis, in base ad una terna presentata dal Consiglio di governo. Per lui si applicano i cann. 383-388, 392-394 e 396-398 del Codice di Diritto Canonico.

§ 2. L’Ordinario ha la facoltà di incardinare nell’Ordinariato i ministri anglicani entrati nella piena comunione con la Chiesa Cattolica e i candidati appartenenti all’Ordinariato da lui promossi agli Ordini Sacri.

§ 3. Sentita la Conferenza Episcopale e ottenuto il consenso del Consiglio di governo e l’approvazione della Santa Sede, l’Ordinario, se ne vede la necessità, può erigere decanati territoriali, sotto la guida di un delegato dell’Ordinario e comprendenti i fedeli di più parrocchie personali.

I fedeli dell’Ordinariato

Articolo 5

§ 1. I fedeli laici provenienti dall’Anglicanesimo che desiderano appartenere all’Ordinariato, dopo aver fatto la Professione di fede e, tenuto conto del can. 845, aver ricevuto i Sacramenti dell’Iniziazione, debbono essere iscritti in un apposito registro dell’Ordinariato. Coloro che sono stati battezzati nel passato come cattolici fuori dall’Ordinariato non possono ordinariamente essere ammessi come membri, a meno che siano congiunti di una famiglia appartenente all’Ordinariato.

§ 2. I fedeli laici e i membri di Istituti di Vita Consacrata e di Società di Vita Apostolica, quando collaborano in attività pastorali o caritative, diocesane o parrocchiali, dipendono dal Vescovo diocesano o dal parroco del luogo, per cui in questo caso la potestà di questi ultimi è esercitata in modo congiunto con quella dell’Ordinario e del parroco dell’Ordinariato.

Il clero

Articolo 6

§ 1. L’Ordinario, per ammettere candidati agli Ordini Sacri deve ottenere il consenso del Consiglio di governo. In considerazione della tradizione ed esperienza ecclesiale anglicana, l’Ordinario può presentare al Santo Padre la richiesta di ammissione di uomini sposati all’ordinazione presbiterale nell’Ordinariato, dopo un processo di discernimento basato su criteri oggettivi e le necessità dell’Ordinariato. Tali criteri oggettivi sono determinati dall’Ordinario, dopo aver consultato la Conferenza Episcopale locale, e debbono essere approvati dalla Santa Sede.

§ 2. Coloro che erano stati ordinati nella Chiesa Cattolica e in seguito hanno aderito alla Comunione Anglicana, non possono essere ammessi all’esercizio del ministero sacro nell’Ordinariato. I chierici anglicani che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari non possono essere ammessi agli Ordini Sacri nell’Ordinariato.

§ 3. I presbiteri incardinati nell’Ordinariato ricevono le necessarie facoltà dall’Ordinario.

Articolo 7

§ 1. L’Ordinario deve assicurare un’adeguata remunerazione ai chierici incardinati nell’Ordinariato e provvedere alla previdenza sociale per sovvenire alle loro necessità in caso di malattia, di invalidità o vecchiaia.

§ 2. L’Ordinario potrà convenire con la Conferenza Episcopale eventuali risorse o fondi disponibili per il sostentamento del clero dell’Ordinariato.

§ 3. In caso di necessità, i presbiteri, con il permesso dell’Ordinario, potranno esercitare una professione secolare, compatibile con l’esercizio del ministero sacerdotale (cf. CIC, can. 286).

Articolo 8

§ 1. I presbiteri, pur costituendo il presbiterio dell’Ordinariato, possono essere eletti membri del Consiglio Presbiterale della Diocesi nel cui territorio esercitano la cura pastorale dei fedeli dell’Ordinariato (cf. CIC, can. 498, § 2).

§ 2. I presbiteri e i diaconi incardinati nell’Ordinariato possono essere, secondo il modo determinato dal Vescovo diocesano, membri del Consiglio Pastorale della Diocesi nel cui territorio esercitano il loro ministero (cf. CIC, can. 512, § 1).

Articolo 9

§ 1. I chierici incardinati nell’Ordinariato devono essere disponibili a prestare aiuto alla Diocesi in cui hanno il domicilio o il quasi-domicilio, dovunque sia ritenuto opportuno per la cura pastorale dei fedeli. In questo caso dipendono dal Vescovo diocesano per quello che riguarda l’incarico pastorale o l’ufficio che ricevono.

§ 2. Dove e quando sia ritenuto opportuno, i chierici incardinati in una Diocesi o in un Istituto di Vita Consacrata o in una Società di Vita Apostolica, col consenso scritto rispettivamente del loro Vescovo diocesano o del loro Superiore, possono collaborare alla cura pastorale dell’Ordinariato. In questo caso dipendono dall’Ordinario per quello che riguarda l’incarico pastorale o l’ufficio che ricevono.

§ 3. Nei casi previsti nei paragrafi precedenti deve intervenire una convenzione scritta tra l’Ordinario e il Vescovo diocesano o il Superiore dell’Istituto di Vita Consacrata o il Moderatore della Società di Vita Apostolica, in cui siano chiaramente stabiliti i termini della collaborazione e tutto ciò che riguarda il sostentamento.

Articolo 10

§ 1. La formazione del clero dell’Ordinariato deve raggiungere due obiettivi: 1) una formazione congiunta con i seminaristi diocesani secondo le circostanze locali; 2) una formazione, in piena armonia con la tradizione cattolica, in quegli aspetti del patrimonio anglicano di particolare valore.

§ 2. I candidati al sacerdozio riceveranno la loro formazione teologica con gli altri seminaristi in un seminario o in una facoltà teologica, sulla base di un accordo intervenuto tra l’Ordinario e il Vescovo diocesano o i Vescovi interessati. I candidati possono ricevere una particolare formazione sacerdotale secondo un programma specifico nello stesso seminario o in una casa di formazione appositamente eretta, col consenso del Consiglio di governo, per la trasmissione del patrimonio anglicano.

§ 3. L’Ordinariato deve avere una sua Ratio institutionis sacerdotalis, approvata dalla Santa Sede; ogni casa di formazione dovrà redigere un proprio Regolamento, approvato dall’Ordinario (cf. CIC, can. 242, §1).

§ 4. L’Ordinario può accettare come seminaristi solo i fedeli che fanno parte di una parrocchia personale dell’Ordinariato o coloro che provengono dall’Anglicanesimo e hanno ristabilito la piena comunione con la Chiesa Cattolica.

§ 5. L’Ordinariato cura la formazione permanente dei suoi chierici, partecipando anche a quanto predispongono a questo scopo a livello locale la Conferenza Episcopale e il Vescovo diocesano.

I Vescovi già anglicani

Articolo 11

§ 1. Un Vescovo già anglicano e coniugato è eleggibile per essere nominato Ordinario. In tal caso è ordinato presbitero nella Chiesa cattolica ed esercita nell’Ordinariato il ministero pastorale e sacramentale con piena autorità giurisdizionale.

§ 2. Un Vescovo già anglicano che appartiene all’Ordinariato può essere chiamato ad assistere l’Ordinario nell’amministrazione dell’Ordinariato.

§ 3. Un Vescovo già anglicano che appartiene all’Ordinariato può essere invitato a partecipare agli incontri della Conferenza dei Vescovi del rispettivo territorio, nello stesso modo di un vescovo emerito.

§ 4. Un Vescovo già anglicano che appartiene all’Ordinariato e che non è stato ordinato vescovo nella Chiesa Cattolica, può chiedere alla Santa Sede il permesso di usare le insegne episcopali.

Il Consiglio di governo

Articolo 12

§ 1. Il Consiglio di governo, in accordo con gli Statuti approvati dall’Ordinario, ha i diritti e le competenze che secondo il Codice di Diritto Canonico sono propri del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori.

§ 2. Oltre tali competenze, l’Ordinario ha bisogno del consenso del Consiglio di governo per:

a. ammettere un candidato agli Ordini Sacri;

b. erigere o sopprimere una parrocchia personale;

c. erigere o sopprimere una casa di formazione;

d. approvare un programma formativo.

§ 3. L’Ordinario deve inoltre sentire il parere del Consiglio di governo circa gli indirizzi pastorali dell’Ordinariato e i principi ispiratori della formazione dei chierici.

§ 4. Il Consiglio di governo ha voto deliberativo:

a. per formare la terna di nomi da inviare alla Santa Sede per la nomina dell’Ordinario;

b. nell’elaborare le proposte di cambiamento delle Norme Complementari dell’Ordinariato da presentare alla Santa Sede;

c. nella redazione degli Statuti del Consiglio di governo, degli Statuti del Consiglio Pastorale e del Regolamento delle case di formazione.

§ 5. Il Consiglio di governo è composto secondo gli Statuti del Consiglio. La metà dei membri è eletta dai presbiteri dell’Ordinariato.

Il Consiglio Pastorale

Articolo 13

§ 1. Il Consiglio Pastorale, istituito dall’Ordinario, esprime il suo parere circa l’attività pastorale dell’Ordinariato.

§ 2. Il Consiglio Pastorale, presieduto dall’Ordinario, è retto dagli Statuti approvati dall’Ordinario.

Le parrocchie personali

Articolo 14

§ 1. Il parroco può essere assistito nella cura pastorale della parrocchia da un vicario parrocchiale, nominato dall’Ordinario; nella parrocchia dev’essere costituito un Consiglio pastorale e un Consiglio per gli affari economici.

§ 2. Se non c’è un vicario, in caso di assenza, d’impedimento o di morte del parroco, il parroco del territorio in cui si trova la chiesa della parrocchia personale, può esercitare, se necessario, le sue facoltà di parroco in modo suppletivo.

§ 3. Per la cura pastorale dei fedeli che si trovano nel territorio di Diocesi in cui non è stata eretta una parrocchia personale, sentito il parere del Vescovo diocesano, l’Ordinario può provvedere con una quasi-parrocchia (cf. CIC, can. 516, § 1).

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato le presenti Norme Complementari alla Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus, decise dalla Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato le pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 4 novembre 2009, Memoria di San Carlo Borromeo.

William Card. Levada
Prefetto

+ Luis. F. Ladaria, S.I.
Arcivescovo tit. di Thibica
Segretario



IL SIGNIFICATO DELLA COSTITUZIONE APOSTOLICA ANGLICANORUM COETIBUS (P. GIANFRANCO GHIRLANDA, S.I., RETTORE MAGNIFICO DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA)

La Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus del 4 novembre 2009, offre una normativa essenziale che regola l’istituzione e la vita di Ordinariati Personali per quei fedeli anglicani che desiderino entrare corporativamente o singolarmente in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Con essa, come viene espresso nel Proemio, il Santo Padre Benedetto XVI, come Pastore Supremo di tutta la Chiesa e garante, per mandato di Cristo, dell’unità dell’episcopato e della comunione universale di tutte le Chiese, manifesta la sua paterna sollecitudine verso quei fedeli anglicani, laici, chierici e membri di Istituti di vita consacrata e di Società di vita apostolica, che hanno ripetutamente chiesto alla Sede Apostolica di essere ricevuti nella piena comunione cattolica.

Il Proemio ci dà la ratio legis, mettendo in risalto alcuni elementi che conviene richiamare:

- la Chiesa, nella sua unità e diversità, ha come modello la Santissima Trinità, ed è stata istituita come "il sacramento, ossia il segno e lo strumento, dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium, 1) per cui ogni divisione fra i battezzati è una ferita a ciò che la Chiesa è e a ciò per cui la Chiesa esiste ed è quindi uno scandalo, perché contraddice la preghiera di Gesù prima della Sua passione e morte (cf. Gv 17,20-21);

- la comunione ecclesiale, costituita dallo Spirito Santo, che è il principio di unità della Chiesa, per analogia al mistero del Verbo incarnato è allo stesso tempo spirituale, invisibile e visibile, gerarchicamente organizzata; quindi la comunione fra i battezzati per essere piena non può che manifestarsi "visibilmente nei vincoli della professione dell’integrità della fede, della celebrazione di tutti i sacramenti istituiti da Cristo e del governo del Collegio dei Vescovi uniti con il proprio capo, il Romano Pontefice";

- sebbene l’unica Chiesa di Cristo sussista nella Chiesa Cattolica governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, tuttavia fuori del suo organismo visibile, quindi nelle Chiese e nelle Comunità cristiane separate, si trovano parecchi elementi di santificazione e di verità che, per il fatto di essere doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica.

Quei fedeli anglicani che hanno chiesto di entrare in piena comunione con la Chiesa Cattolica, sotto l’azione dello Spirito Santo, sono stati spinti verso la ricostituzione dell’unità dagli elementi propri della Chiesa di Cristo che sono stati sempre presenti nella loro vita cristiana personale e comunitaria.

Per questo la promulgazione della Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus da parte del Santo Padre e ciò che ne seguirà segnano un tempo di azione dello Spirito.

Il mezzo giuridico che il Santo Padre ha preordinato per ricevere nella piena comunione cattolica dei fedeli anglicani è quello dell’erezione di Ordinariati Personali (I § 1).

La competenza dell’erezione è data alla Congregazione per la Dottrina della Fede, per il fatto che quest’ultima lungo tutto l’iter che ha portato alla Costituzione Apostolica ha dovuto affrontare questioni di carattere dottrinale e questioni dello stesso carattere si presenteranno anche al momento dell’erezione dei singoli Ordinariati e della piena incorporazione di gruppi di fedeli anglicani nella piena comunione cattolica, attraverso gli Ordinariati che verranno eretti. Tuttavia, per singoli atti, ogni Ordinariato è soggetto non solo alla Congregazione per la Dottrina della Fede, ma anche agli altri Dicasteri della Curia Romana secondo le loro competenze (Cost. Ap. II), per esempio: per le associazioni di fedeli, al Pontificio Consiglio per i Laici; per la formazione dei chierici e la loro vita, alla Congregazione per il Clero; per le varie forme di vita consacrata, alla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, ecc. Solo per quello che riguarda la visita ad limina Apostolorum, a cui l’Ordinario è tenuto ogni cinque anni, oltre la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Costituzione Apostolica menziona espressamente la Congregazione per i Vescovi e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Cost. Ap. XI).

Con la previsione dell’erezione di Ordinariati Personali per Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica, la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus non viene a creare una nuova figura nell’ordinamento canonico vigente, ma applica la figura dell’Ordinariato Personale, già prevista per la cura pastorale dei militari dalla Costituzione Apostolica Spirituali militum cura, data da Giovanni Paolo II il 21 aprile 1986. È evidente che essendo diversa la finalità degli Ordinariati Militari e quella degli Ordinariati Personali per i fedeli provenienti dall’Anglicanesimo, pur essendovi delle analogie tra i due tipi di Ordinariati Personali, tuttavia vi sono anche differenze significative. Ci muoviamo nell’ambito di figure che sono dalla Chiesa create per far fronte a varie situazioni particolari che eccedono dall’ordinarietà della vita e delle necessità dei fedeli. La sollecitudine pastorale della Chiesa e l’elasticità del suo ordinamento canonico permettono di configurare circoscrizioni che siano le più adatte a venire incontro a tali necessità per il bene spirituale dei fedeli, purché esse non contraddicano i principi che fondano l’ecclesiologia cattolica.

Come gli Ordinariati Militari non sono previsti espressamente nel Codice di Diritto Canonico così non lo sono gli Ordinariati Personali per gli Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica. Tuttavia, come gli Ordinariati Militari nella Costituzione Apostolica Spirituali militum curae sono considerati peculiari circoscrizioni ecclesiastiche e vengono giuridicamente assimilati alle diocesi (Cost. Ap. I § 1), così anche gli Ordinariati Personali per i fedeli provenienti dall’Anglicanesimo nella Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus sono giuridicamente assimilati alle diocesi (Cost. Ap. I § 3).

Tali Ordinariati Personali non si possono considerare una Chiesa particolare rituale, in quanto la tradizione liturgica, spirituale e pastorale anglicana viene a configurarsi piuttosto come una particolarità all’interno della Chiesa Latina; inoltre scegliere la figura giuridica di una Chiesa rituale avrebbe potuto creare problemi ecumenici. Neppure possono essere considerati Prelature personali, in quanto, secondo il can. 294 le Prelature personali sono formate da presbiteri e diaconi del clero secolare, mentre i laici, secondo il can. 296, possono semplicemente dedicarsi alle opere apostoliche di esse mediante convenzioni; i membri di Istituti di vita consacrata o di Società di vita apostolica nei canoni riguardanti le Prelature personali non vengono neanche menzionati.

Gli Ordinariati per i fedeli provenienti dall’Anglicanesimo sono, allora, circoscrizioni personali, in quanto la giurisdizione dell’Ordinario, e di conseguenza dei parroci, non è circoscritta da un territorio all’interno di una Conferenza Episcopale come una Chiesa particolare territoriale, ma è esercitata "su tutti coloro che appartengono all’Ordinariato" (Cost. Ap. V). Inoltre, nel territorio di una stessa Conferenza Episcopale, a seconda delle necessità, possono essere eretti anche più Ordinariati Personali (Cost. Ap. I § 2).

Dalla lettura della Costituzione Apostolica e delle Norme Complementari emanate dalla Sede Apostolica si percepisce chiaramente l’intento, con la previsione di erezione di Ordinariati Personali, di comporre due esigenze: da una parte quella di "mantenere vive all’interno della Chiesa Cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della Comunione Anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere" (Cost. Ap. III); dall’altra quella di una piena integrazione di gruppi di fedeli o di singoli, già appartenenti all’Anglicanesimo, nella vita della Chiesa Cattolica.

L’arricchimento è reciproco: i fedeli provenienti dall’Anglicanesimo, entrando nella piena comunione cattolica, ricevono la ricchezza della tradizione spirituale, liturgica e pastorale della Chiesa Latina Romana, per integrarla con la loro tradizione, di cui viene ad arricchirsi la stessa Chiesa Latina Romana. D’altra parte proprio tale tradizione anglicana, che viene ricevuta nella sua autenticità nella Chiesa Latina Romana, nell’Anglicanesimo ha costituito uno di quei doni della Chiesa di Cristo che hanno spinto tali fedeli verso l’unità cattolica.

Si tratta, allora, di un provvedimento che va al di là della Pastoral Provision adottata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e approvata da Giovanni Paolo II il 20 giugno 1980. Infatti, mentre la Pastoral Provision prevedeva che i fedeli provenienti dall’Anglicanesimo appartenessero alla diocesi in cui avessero il domicilio, pur essendo oggetto di una particolare cura pastorale da parte del Vescovo diocesano, la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus prevede che fanno parte dell’Ordinariato Personale, non della diocesi in cui stabiliscono il loro domicilio, fedeli di ogni stato di vita (laici, chierici, membri di Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica), provenienti, come singoli o in gruppi, dall’Anglicanesimo o che ricevono i sacramenti dell’iniziazione nell’Ordinariato stesso (Cost. Ap. I § 4).

I chierici sono ascritti all’Ordinariato Personale tramite l’incardinazione, regolata secondo il Codice di Diritto Canonico (Cost. Ap. VI § 3), mentre i laici e gli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, provenienti dall’Anglicanesimo, debbono manifestare per iscritto la volontà di entrare a far parte dell’Ordinariato (Cost. Ap. IX). Le Norme Complementari (= NC) prevedono che tali laici e Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica siano iscritti in un apposito registro dell’Ordinariato (Art. 5 § 1). Infatti, mentre si fa parte di una Chiesa particolare territoriale per il fatto del domicilio o quasi domicilio, si fa parte dell’Ordinariato Personale sulla base del fatto oggettivo della precedente appartenenza all’Anglicanesimo oppure perché si è venuti alla fede cattolica tramite l’Ordinariato. Possiamo dire che l’iscrizione nel registro sostituisce il fatto del domicilio o quasi domicilio che in relazione all’appartenenza ad una struttura di carattere personale è irrilevante.

La Costituzione Apostolica in questo momento vuole innanzitutto provvedere al ristabilimento della piena comunione in un qualche modo "corporativa", da parte di gruppi che comprendono vari stati di vita. Gli Ordinariati Personali per tali gruppi sono sembrati le strutture canoniche più adatte a proteggere e alimentare la tradizione spirituale, liturgica e pastorale sviluppatasi nell’Anglicanesimo e che la Chiesa Cattolica riconosce come autentica. Ciò non esclude che possano far parte di un Ordinariato Personale anche singoli fedeli provenenti dall’Anglicanesimo o singoli fedeli che giungono alla fede cattolica attraverso l’attività pastorale e missionaria dell’Ordinariato Personale e che in esso ricevono i sacramenti dell’iniziazione. La Pastoral Provision non è sembrata un mezzo adatto per la nuova situazione cui la Sede Apostolica è stata sollecitata a rispondere.

L’Ordinario che ha la cura pastorale dei fedeli che fanno parte dell’Ordinariato Personale, esercita infatti una potestà ordinaria vicaria in nome del Romano Pontefice (Cost. Ap. V.b), e quindi, godendo di una sua giusta autonomia rispetto alla giurisdizione dei Vescovi diocesani in cui i fedeli dell’Ordinariato hanno il domicilio, può meglio garantire che sia evitata un’assimilazione di tali fedeli nelle diocesi in un modo tale da perdere la ricchezza della loro tradizione anglicana, apportando un impoverimento a tutta la Chiesa. D’altra parte l’Ordinario, nell’esercizio della sua potestà vicaria, deve anche garantire l’integrazione piena dell’Ordinariato nella vita della Chiesa Cattolica, evitando che esso si trasformi in una "chiesuola" al suo interno.

La tutela e l’alimento della tradizione anglicana sono assicurati:

a) dalla concessione all’Ordinariato della facoltà di celebrare l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, la Liturgia delle Ore e le altre azioni liturgiche secondo i libri liturgici propri della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede, senza però escludere che le celebrazioni liturgiche avvengano secondo il Rito Romano (Cost. Ap. III);

b) dal fatto che l’Ordinario, per la formazione dei seminaristi dell’Ordinariato che vivono in un seminario diocesano, può stabilire programmi specifici oppure erigere una casa di formazione per loro (Cost. Ap. VI § 5; NC Art. 10 § 2); i seminaristi debbono provenire da una parrocchia personale dell’Ordinariato o comunque dall’Anglicanesimo (NC Art. 10 § 4);

c) dalla concessione che coloro che erano ministri coniugati nell’Anglicanesimo, anche vescovi, possono essere ordinati nel grado del presbiterato, a norma dell’Enciclica di Paolo VI Sacerdotalis coelibatus, n. 42 e della Dichiarazione In June, cioè rimanendo nello stato matrimoniale (Cost. Ap. VI § 1);

d) dalla possibilità, dopo un processo di discernimento basato su criteri oggettivi e le necessità dell’Ordinariato (NC Art. 6 § 1), di chiedere al Romano Pontefice di ammettere caso per caso all’Ordine Sacro del presbiterato anche uomini coniugati, in deroga al CIC can. 277, §1, sebbene la regola sia che vengono ammessi all’ordine del presbiterato solo uomini celibi (Cost. Ap. VI § 2);

e) dall’erezione di parrocchie personali da parte dell’Ordinario, dopo aver sentito il parere del Vescovo diocesano del luogo e ottenuto il consenso della Santa Sede (Cost. Ap. VIII § 1);

f) dalla possibilità di ricevere Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica provenienti dall’Anglicanesimo e di erigerne di nuovi (Cost. Ap. VII);

g) dal fatto che, per il rispetto della tradizione sinodale dell’Anglicanesimo: 1) l’Ordinario è nominato dal Romano Pontefice, sulla base di una terna di nomi presentata dal Consiglio di Governo (NC Art. 4 § 1); 2) la costituzione del Consiglio Pastorale è prevista come obbligatoria (Cost. Ap. X § 2); 3) il Consiglio di Governo, composto di almeno sei sacerdoti, oltre le funzioni stabilite dal Codice di Diritto Canonico per il Consiglio Presbiterale e il Collegio dei Consultori, esercita anche quelle specificate nelle Norme Complementari, dovendo in alcuni casi dare il suo consenso o esprimere il suo voto deliberativo (Cost. Ap. X § 2; NC Art. 12).

L’integrazione nella vita della Chiesa Cattolica è assicurata da quelle norme che disciplinano la professione di fede e le relazioni con le Conferenze Episcopali e con i singoli Vescovi diocesani, secondo le quali:

a) il Catechismo della Chiesa Cattolica è considerato l’espressione autentica della fede dei membri dell’Ordinariato (Cost. Ap. I § 5);

b) un Ordinariato personale viene eretto dalla Santa Sede all’interno dei confini territoriali di una Conferenza Episcopale, dopo che quest’ultima sia stata consultata (Cost. Ap. I § 1);

c) l’Ordinario è membro della rispettiva Conferenza Episcopale, di cui è tenuto a seguire le direttive, a meno che non siano incompatibili con la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus (NC Art. 2);

d) l’ordinazione di ministri provenienti dall’Anglicanesimo è prevista come assoluta, nel rispetto dell’Epistola Apostolicae curae data da Leone XIII il 13 settembre 1896; in nessun modo viene previsto che siano ammessi all’ordine dell’episcopato uomini coniugati (NC Art 11 § 1), questo per rispetto a tutta la tradizione cattolica latina e delle Chiese orientali cattoliche, nonché della tradizione ortodossa;

e) i presbiteri incardinati in un Ordinariato costituiscono il suo presbiterio, ma debbono coltivare un vincolo di unità con il presbiterio della diocesi nel cui territorio svolgono il loro ministero e favorire iniziative e attività pastorali e caritative congiunte, che potranno essere oggetto di convenzioni stipulate tra l’Ordinario e il Vescovo o i Vescovi diocesani interessati (Cost. Ap. VI § 4; NC Art. 3); è prevista la possibilità di mutuo aiuto pastorale tra i chierici incardinati nell’Ordinariato e quelli incardinati nella diocesi in cui si trovano fedeli dell’Ordinariato (NC Art. 9 §§ 1 e 2);

f) i presbiteri dell’Ordinariato possono essere eletti membri del Consiglio Presbiterale della Diocesi nel cui territorio esercitano la cura pastorale dei fedeli dell’Ordinariato (NC Art. 8 § 1);

g) i presbiteri e i diaconi dell’Ordinariato possono essere membri del Consiglio Pastorale della Diocesi nel cui territorio esercitano il loro ministero (NC Art. 8 § 2);

h) la potestà dell’Ordinario è esercitata in modo congiunto con il Vescovo diocesano nei casi previsti dalle Norme Complementari (Cost. Ap. V; NC Art. 5 § 2);

i) i candidati agli Ordini sacri debbono essere formati insieme agli altri seminaristi, specialmente per quello che riguarda gli ambiti dottrinale e pastorale, anche se può essere per loro previsto un programma particolare oppure può essere eretta una casa di formazione (Cost. Ap. VI § 5; NC Art. 10 § 2);

j) per erigere una parrocchia personale l’Ordinario deve aver sentito il parere del Vescovo diocesano del luogo (Cost. Ap. VIII § 1);

k) le Norme Complementari stabiliscono quando i diritti e i doveri propri del parroco dell’Ordinariato saranno esercitati in mutuo aiuto pastorale col parroco del territorio in cui è eretta la parrocchia personale (Cost. Ap. VIII § 2; NC 14 § 2);

l) il tribunale competente per le cause giudiziali riguardanti i fedeli appartenenti all’Ordinariato è quello della diocesi in cui una delle parti ha il domicilio, a meno che l’Ordinariato non abbia costituito un suo tribunale (Cost. Ap. XII).

Come si può vedere, la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus predispone norme che stabiliscono la natura e regolano in modo generale la vita degli Ordinariati Personali appositamente eretti per Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica. Viene così istituita una struttura canonica flessibile, in quanto si può prevedere che i Decreti di erezione dei singoli Ordinariati terranno conto della situazione particolare dei vari luoghi adattando ad essa quanto contenuto nella presente Costituzione Apostolica e nelle Norme Complementari. Come lo Spirito Santo ha guidato il lavoro preparatorio di questa Costituzione Apostolica, così assisterà nell’applicazione di essa.

10/11/2009 15:49
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA SETTIMANA DI STUDIO SU "ASTROBIOLOGY" (CASINA PIO IV, VATICANO, 6-10 NOVEMBRE 2009)


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa a conclusione della Settimana di Studio su "Astrobiology", organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Specola Vaticana (Casina Pio IV, 6-10 novembre 2009).

Intervengono: P. José Funes, S.J., Direttore della Specola Vaticana; il Prof. Jonathan Lunine, Università di Tor Vergata (Roma), Dipartimento di Fisica; il Prof. Chris Impey, The University of Arizona, Department of Astronomy and the Steward Observatory, Tucson (USA); la Dr.ssa Athena Coustenis, Observatoire de Paris-Meudon, LESIA/CNRS (Francia).

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:


INTERVENTO DI P. JOSÉ FUNES, S.J.

Why the Vatican is involved in Astrobiology?

On the occasion of the International Year of Astronomy the Pontifical Academy of Sciences has organized a Study Week on Astrobiology.

This is a quite appropriate topic for the Academy which has a multi-disciplinary membership, since it is a field which combines research in many disciplines, principally: astronomy, cosmology, biology, chemistry, geology and physics. This is not the first time that such a topic is subject of interest in the Vatican. In 2005 the Vatican Observatory conducted a Summer School on this topic and brought together as a faculty some of the most important researchers in this field.

Although Astrobiology is an emerging field, and still a developing subject, the questions of life’s origins and of whether life exists elsewhere in the universe are very suitable and deserve serious consideration. These questions offer many philosophical and theological implications, however the meeting will be focused on the scientific perspective.

Among the objectives of the Pontifical Academy of Sciences, the promotion of natural sciences and stimulation of interdisciplinary approach to scientific knowledge are counted; the Study Week on Astrobiology tries to accomplish these goals.



INTERVENTO DEL PROF. JONATHAN LUNINE

Astrobiology is the study of life’s relationship to the rest of the cosmos: its major themes include the origin of life and its precursor materials, the evolution of life on Earth, its future prospects on and off the Earth, and the occurrence of life elsewhere. Behind each of these themes is a multidisciplinary set of questions involving physics, chemistry, biology, geology, astronomy, planetology, and other fields, each of which connects more or less strongly to the central questions of astrobiology. Stimulated by new capabilities for scientific exploration on and off the Earth, astrobiology seems to be establishing itself as a distinct scientific endeavor. The Study Week provides a special opportunity for scientists from different basic disciplines to spend an intensive week understanding how the work in their particular specialty might have an impact on, or be impacted by, that in other areas.

Nowhere is this more evident than in the work being done on how life formed on the Earth and evolved with the changing environment. It is becoming clear that Earth’s climate has not been particularly stable over time, and major environmental crises have occurred that are documented in the geologic record. How life has responded to this, and what the implications might be for Earth-like planets around other stars with somewhat different histories, cuts across all the disciplines of astrobiology from astronomy, to planetary and geological sciences, to biology.



INTERVENTO DEL PROF. CHRIS IMPEY

Four hundred years ago, Galileo Galilei turned his telescope to the heavens and forever changed the way we view ourselves in relation to the universe. In addition to cementing the Copernican revolution with his observations, he showed that the Moon was a geological body like the Earth, with mountains and valleys. Four hundred years later, the study of other worlds has grown to prominence in astronomy. In the past 15 years, technological breakthroughs have led to the discovery of over 400 planets beyond the Solar System. The smallest of these is not much more massive than the Earth. Meanwhile, lab experiments have made progress in tracing the processes by which simple chemical ingredients might have evolved into cells about four billion years ago, and scientists have discovered life in surprisingly diverse, inhospitable environments on the Earth. It is plausibly estimated that there are hundreds of millions of habitable locations in the Milky Way, which is just one of billions of galaxies in the universe.

As scientists gather to discuss progress in astrobiology, we still only know of one planet with life: our own. But there is a palpable expectation that the universe harbors life and there is hope that the first discovery is only a few years away. This meeting gathers an interdisciplinary set of scholars, whose expertise spans astronomy, planetary science, geology, chemistry, biology, and environmental science. They will present the latest research results and engage in deep discussion on the nature and prospects of life in the universe. If biology is not unique to the Earth, or life elsewhere differs bio-chemically from our version, or we ever make contact with an intelligent species in the vastness of space, the implications for our self-image will be profound. It is appropriate that a meeting on this frontier topic is hosted by the Pontifical Academy of Sciences. The motivations and methodologies might differ, but both science and religion posit life as a special outcome of a vast and mostly inhospitable universe. There is a rich middle ground for dialog between the practitioners of astrobiology and those who seek to understand the meaning of our existence in a biological universe.



INTERVENTO DELLA DR.SSA ATHENA COUSTENIS

The exploration of Outer planets and their systems

The outer giant planets and their systems offer many opportunities from the astrobiological point of view. In Jupiter’s system, Europa, a large satellite covered with a fractured icy crust is thought to contain vast amounts of liquid water beneath its surface. Within this ocean might be life, though to find it will require penetrating a crust whose depth will be measured by the Europa Jupiter System mission in the 2020’s.

In the Saturnian system, two satellites are of particular interest for astrobiologists: Titan and Enceladus. Titan is a complex world more like the Earth than any other: it has a dense, mostly nitrogen atmosphere with about 2% of methane, and active climate and meteorological cycles where the working fluid, methane, behaves the way that water does on Earth. Titan is therefore very rich in organic molecules, which are formed in the upper atmosphere and then deposited on the surface. Its geology, from lakes and seas to broad river valleys, dunes and mountains, while carved in ice is, in its balance of processes, again most like Earth. Beneath this panoply of Earth-like processes an ice crust floats atop what appears to be a liquid water ocean. The organic deposits, in coming into contact with the liquid water in the underground could possibly undergo an aqueous chemistry that could replicate aspects of life’s origins. Enceladus, a smaller moon, ejects large amounts of water and organics in the space from plumes located in its southern pole. The implied requirement for liquid water reservoirs under its surface, significantly broadens the diversity of solar system environments where one might possibly expect conditions suitable for living organisms, and calls for future exploration of the Saturnian system both with orbiting and in situ elements.

13/11/2009 16:09
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA 23ma ASSEMBLEA GENERALE DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DELLE UNIVERSITÀ CATTOLICHE (FIUC) - (PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA, 16-20 NOVEMBRE 2009)


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione della 23ma Assemblea Generale della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche (FIUC), sul tema: "L’università cattolica nelle società post-moderne. Ex corde Ecclesiae di fronte alle sfide del 21mo secolo" (Pontificia Università Gregoriana, 16-20 novembre 2009).

Intervengono alla Conferenza stampa: Mons. Angelo Vincenzo Zani, Sotto-Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica; Prof. Mons. Guy-Réal Thivierge, Segretario Generale della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche (FIUC); Rev.do P. Gianfranco Ghirlanda, S.I., Rettore Magnifico della Pontificia Università Gregoriana; Sig. Pedro Nel Medina Varon, Segretario generale aggiunto della FIUC.

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:


INTERVENTO DI S.E. MONS. ANGELO VINCENZO ZANI

In questa conferenza stampa intendiamo illustrare i lavori della XXIII Assemblea Generale della FIUC (Federazione Internazionale delle Università Cattoliche), che si svolgeranno a Roma dal 16 al 20 novembre 2009. L’Assemblea, che doveva tenersi in Honduras nel luglio scorso, ma che è stata sospesa a causa della situazione nel Paese, quest’anno ricorda il LX anniversario del riconoscimento canonico dello statuto della FIUC da parte della Santa Sede.

Due sono le date significative che segnano la storia della FIUC. Nel 1924 un primo nucleo di Università cattoliche si collegano tra loro per uscire dall’isolamento accademico di quel momento. Siamo negli anni nei quali prende vita la Società delle Nazioni, suscitata subito dopo la prima guerra mondiale. Anche le Università cattoliche decidono di cooperare tra loro per aprirsi al mondo, alle altre culture, agli altri sistemi di pensiero.

La seconda data, il 1949, poco dopo la seconda guerra mondiale, vede consolidarsi la volontà di collaborare in tutto il mondo a livello di educazione superiore; ed è così che la Federazione ridefinisce il proprio Statuto il quale viene riconosciuto canonicamente dalla Santa Sede. Questa decisione, basata sul rispetto dell’autonomia delle singole istituzioni, avvia un legame più profondo ed efficace tra le università cattoliche e la Congregazione per l’Educazione Cattolica.

Dai dati in nostro possesso, risulta che oggi esistono nel mondo circa 1.210 Università cattoliche, distribuite in tutti i continenti, nelle quali si studia e si fa ricerca sull’intera gamma dei saperi insegnati nelle università. La Federazione aggrega oltre 200 delle Università cattoliche più grandi; ma in genere tutte vi fanno riferimento.

Un contributo particolarmente significativo è quello che la FIUC ha dato nella preparazione della Costituzione Apostolica Ex corde Ecclesiae, approvata da Giovanni Paolo II il 15 agosto 1990. Anzi, si può dire che, proprio a partire dalla ricca esperienza condotta per decenni dalla FIUC, è stato possibile concepire un documento così importante nel quale – recependo le linee del Concilio circa l’indispensabile rapporto della Chiesa con la cultura, il mondo accademico e la ricerca scientifica – viene definito il profilo dell’Università cattolica.

A questo proposito, la Ex corde Ecclesiae afferma che, per garantire una presenza cristiana nel mondo universitario dinanzi ai grandi problemi della società e della cultura, una università, in quanto cattolica, deve possedere le seguenti essenziali caratteristiche: «1. un’ispirazione cristiana da parte non solo dei singoli, ma anche della Comunità universitaria come tale; 2. un’incessante riflessione, alla luce della fede cattolica, sul crescente tesoro della conoscenza umana, al quale cerca di offrire un contributo con le proprie ricerche; 3. la fedeltà al messaggio cristiano così come è presentato dalla Chiesa; 4. l’impegno istituzionale al servizio del popolo di Dio e della famiglia umana nel loro itinerario verso quell’obiettivo trascendente che dà significato alla vita».

Un’altra tappa significativa di collaborazione tra il nostro Dicastero e la FIUC è stata la Conferenza Internazionale tenuta a Roma nel 2002, sul tema: Globalizzazione ed Educazione Superiore Cattolica. Speranze e sfide. Dalla Conferenza è scaturito un Documento di lavoro sulla base del quale si sono sviluppati nei diversi continenti vari gruppi di ricerca scientifica, ancora oggi molto attivi.

La Congregazione, la quale per il servizio che è chiamata a svolgere a sostegno delle chiese particolari, è costantemente attenta alle sfide sempre nuove, trova un grande aiuto nel qualificato servizio condotto dalla FIUC, sempre volto a tratteggiare le risposte che le istituzioni accademiche cattoliche sono chiamate a dare oggi. Ed in questo impegno, la FIUC è sempre attenta a collaborare anche con gli organismi internazionali presso i quali è rappresentata.

A questo proposito, va ricordato che nel dibattito svolto durante l’ultima Conferenza Generale dell’UNESCO, tenuta a Parigi nell’ottobre scorso, sono state indicate diverse questioni che riguardano anche le Università cattoliche. Ne cito alcune: a. il diffondersi della "società della conoscenza", con le nuove scoperte tecnologiche e scientifiche, impone un nuovo paradigma pedagogico, una revisione dei sistemi formativi e una sempre più aggiornata qualificazione dei docenti; b. dinanzi ai profondi cambiamenti a livello socio-politico ed economico, si fa sempre più impellente la domanda etica e quindi la necessità di appellarsi ai valori fondamentali per orientare le scelte per il futuro; c. la crisi economica in corso interroga anche, e soprattutto, il mondo accademico, chiedendo che nella preparazione dei futuri professionisti si trasmettano conoscenze non chiuse o autoreferenziali, ma sempre più aperte e flessibili.

Il tema scelto dalla FIUC per questa Assemblea Generale: Le Università Cattoliche nelle società post-moderne, sembra rispondere alle aspettative più urgenti, messe in luce anche dall’UNESCO, e che sono avvertite da tutte le Università cattoliche. In questa prospettiva, risultano di grande attualità le indicazioni della Costituzione Ex corde Ecclesiae, come anche i richiami contenuti nella recente Lettera Enciclica Caritas in veritate, di Benedetto XVI. Il Dicastero è certo che il lavori dell’Assemblea risponderanno all’appello del Magistero di Papa Ratzinger a porre al centro dei processi formativi la questione antropologica e a promuovere uno sviluppo umano integrale e globale.

La Ex corde Ecclesiae fornisce orientamenti molto precisi in merito, quando invita a:

- rafforzare l’identità dell’Università cattolica perché contribuisca alla tutela e allo sviluppo della dignità umana e dell’eredità culturale (cf. ECE, n. 12);

- dare la priorità all’impegno di comunicare alla società di oggi quei principi etici e religiosi che offrono pieno significato alla vita umana (cf. ECE, n. 33);

- incoraggiare, nel servizio alla società, forme originali di dialogo e di collaborazione tra le università cattoliche e le altre università, in favore dello sviluppo, della comprensione tra le culture, della difesa della natura (cf. ECE, n. 37).



INTERVENTO DEL PROF. MONS. GUY-RÉAL THIVIERGE

Monday, November 16th

Inaugural Lecture

Presented by Prof. Fr. Philippe Capelle-Dumont, a French philosopher, this lecture will launch the work and introduce the theme of our Assembly. He will highlight and analyse the main challenges posed by post-modernity to the academic community and, more specifically, to the Catholic university. What kind of contributions do Catholic academics and institutions bring to the intelligence of contemporary cultures? How can a fruitful encounter with diversified cultures that are all undergoing deep changes be encouraged through the dissemination of and search for knowledge? How can one be responsible for a true development of persons, institutions and peoples? How do the Catholic universities thus participate according to their competences to the building of a "world that is more just and more human"? These are the major topical subjects to which Professor Philippe Capelle-Dumont, as a keynote speaker, will bring a critical lighting.

Tuesday, November 17th

The Catholic University in Dialogue with Cultures and Religions

The second day will address the theme of "The Catholic University in Dialogue with Cultures and Religions". We wish to highlight the great cultural diversity of contemporary societies, a diversity that is often the bearer of religious plurality, as well as indifference to the religious (res religiosa). How can the Catholic University maintain the threads of dialogue with the pluralism of post-modern societies in this context and continue to propose to modern society the Christian faith that creates culture and inspires science, arts, fine arts and peaceful cohabitation? It is in answer to these questions that His Excellency Msgr. Felix Machado, Bishop of the Diocese of Nashik in India, will bring the fruit of his reflections and, at the same time, offer us his point of view on the situation of the multicultural Indian society. In the afternoon, a Round Table that will bring together various personalities from several regions of the world will present different facets of the Catholic University. It will offer an excellent opportunity to discuss its place and role in multicultural societies.

Wednesday, November 18th

The Catholic University and Christian Intellectual Tradition

Professor James Heft, s.m., from the University of South California and Prof. Xavier Renders from the Université Catholique de Louvain, will open the session on the third day of the Assembly. The orator will place his presentation in the North American Catholic academic context and analyse the theme from three angles. First, he will present the prevailing cultural dimensions in North America and their effects on the academic world. Then, Professor Heft will define the various characteristics of the Christian intellectual tradition. Finally, he will identify seven challenges that Catholic universities face in their efforts to support and deepen the specific character of their mission. Professor Xavier Renders, basing himself on his experience at the Université Catholique de Louvain, will react and give us his point of view on the European situation of the Catholic academic world in the secular and lay context of the continent.

Thursday, November 19th

The Political and Social Responsibility of the Catholic University

We will broach the issue of the social and political responsibility of the Catholic university. Cardinal Maradiaga, President of Caritas Internationalis, will talk about the social and political missions of the Catholic academic community. He will stress the service to society as an essential dimension of the mission of the Catholic University (Apostolic Constitution Ex corde Ecclesiae, 30). A truly citizen institution, the latter fulfils a mission of public service by offering degree-conferring highly qualifying training, thus enabling people, societies and countries to develop socially and economically. Hence, the Catholic university becomes a societal institution that offers training in citizenship and a social education to the students who are entrusted to it. It also appears more and more as an inspiring institution, both at a social and political level. Dr. Anne-Thérèse Falkenstein, Providence University (Taiwan), will be invited to respond to the speaker, basing herself on reflections that are directly linked to her experiences in an Asian context. Hence, a Latin American and an Asian perspective will meet, witnessing the richness of the academic practices of the IFCU network. In the afternoon, a panel of speakers from different horizons will discuss the social and political positioning and the international cooperation (and networking) of Catholic universities. We will then have the pleasure of going to the «Policlinico Gemelli» of the Università Cattolica del Sacro Cuore where we will pay tribute to Father Agostino Gemelli, co-founder of the Federation, and commemorate the fiftieth anniversary of his passing. Professors Maria Bocci and Luciano Pazzaglia of the Università Cattolica del Sacro Cuore (Milan) will present the personality of Father Agostino Gemelli, his commitments and his vital role in the history of our Federation.

Friday, November 20th

The Catholic University and the Future

The closing of the Assembly will begin with a historical presentation by Prof. Pierre Hurtubise (Université Saint-Paul d’Ottawa) on the history of the elaboration of the Apostolic Constitution Ex Corde Ecclesiae in which he will stress the major role of IFCU and its affiliates. Then, Prof. Thérèse Lebrun, from the Université Catholique de Lille, and Prof. Joaquim Clotet, from the Pontifícia Universidade do Rio Grande do Sul, will present, in the light of the week’s work as well as their experience, the new challenges that Catholic universities, and with them the Apostolic Constitution, must meet today and tomorrow. They will also outline the possible paths that Catholic universities can follow to fulfil their academic, political and social mission in the service of society and the Church. It is on these reflections that the academic chapter of the Assembly will end and the administrative session will open with the presentation of the administrative and financial reports of the Secretariat and the Centre for Coordination of Research, as well as the election of the members of the Executive Committee and the Administrative Board for the period 2009-2012.

An Engaging and Interactive Assembly

Throughout this academic meeting, the participants will be invited to take part in workshops whose content will be directly linked to the themes being studied. The workshops, which will be organized in accordance with the three official languages of the Federation, helping the participants to meet and cross-fertilize theirvision, knowledge and experience.

The first two workshops - optional - (Tuesday, November 17th) will revolve around the theme of intercultural and inter-religious dialogue. The first will aim at clarifying the orientations of this dialogue and will analyse the many challenges that university faces, insofar as it affirms an identity and a faith, a prophetic message in plural and secular societies. The second workshop will attempt to define the practices of intercultural and inter-religious dialogue by considering the characteristics of an institution of Catholic identity today.

On Wednesday, another workshop will be dedicated to the place of the Christian intellectual tradition in Catholic university: its human, academic, political and social challenges and commitments. Many aspects will be evoked, such as the role of Catholic university in the understanding and promotion of the Christian intellectual tradition and in the birth and promotion of a new Christian humanism.

This dynamic will give rise to fruitful and enriching debates between the participants, who will be invited to share their experiences, the challenges they face in their respective contexts, as well as the answers they are in a condition to bring to them. Hence, we shall come back to our institutions in a different frame of mind, enriched by a human experience, maybe by a "supplement d’âme", and also where having grown intellectually and spiritually in the contact and together with other people.



INTERVENTO DEL REV.DO P. GIANFRANCO GHIRLANDA, S.I.

Da una parte esprimo il mio rammarico che questa 23a Assemblea Generale della FIUC per ragioni ad essa estrinseche non si sia potuta tenere nell’Università Cattolica di Honduras, come già tutto era predisposto; dall’altra, come Rettore della Pontificia Università Gregoriana, manifesto la gioia e l’onore perché quest’ultima è stata scelta come sede dell’Assemblea. Gioia e onore innanzitutto per il fatto stesso di ospitare un evento così importante a livello mondiale ed ecclesiale, che riunisce i Rettori e i delegati di tante prestigiose istituzioni accademiche, ma anche in quanto la celebrazione del 60° anniversario del riconoscimento ufficiale della FIUC da parte della Santa Sede, riporta ai primi passi della Federazione stessa, di cui l’Università Gregoriana è membro fin dalla fondazione nel 1924 e di cui il Magnifico Rettore dell’Università Gregoriana, P. Harvé Carrier S.J., è stato Presidente dal 1970 al 1980.

Come si sa, la Pontificia Università Gregoriana è l’erede e la continuatrice del Collegio Romano, fondato nel 1551 da Sant’Ignazio di Loyola. Dal giorno della sua nascita, il Collegio Romano si è collocato all’incrocio tra Chiesa e Società, tra fede e cultura, dimensione che la FIUC ha la missione propria di sostenere e promuovere. Proprio per il suo carattere di universalità, l’Università Gregoriana in tutte le sue componenti - docenti, studenti e personale amministrativo - si rallegra di ospitare l’Assemblea Generale della FIUC, che manifesta concretamente l’universalità della missione educativa della Chiesa.

I partecipanti a quest’Assemblea sono chiamati a riflettere insieme sulle sfide che all’Università Cattolica e all’Università ecclesiastica, nella loro identità d’istituzioni ecclesiali, vengono rivolte dalle società post-moderne, che, in una progressiva secolarizzazione, si fa sempre più resistente a recepire i valori evangelici, che sono valori autenticamente umani, e che per la globalizzazione, si fa sempre più multiculturale e multireligiosa.

Cristo stesso ha affidato alla Chiesa, in quanto strumento di salvezza per il genere umano, la missione di annunciare il Vangelo della salvezza.. Così la missione di insegnare fa parte integrante della natura e della vita della Chiesa, in quanto ne costituisce la sua prima ragion d’essere. Da questo scaturisce il dovere/diritto nativo, intrinsecamente spettante alla Chiesa, di insegnare, indipendentemente da qualsiasi potestà umana (DH 13; CD 19a; c. 747, § 1). Questo dovere/diritto della Chiesa è congruente col dovere/diritto di tutti gli uomini di cercare la verità. Per questa ragione destinatari dell’insegnamento della Chiesa sono tutti gli uomini (c. 771), e non solo i fedeli cattolici. La ricerca della verità è un qualcosa di costitutivo della natura dell’uomo e della sua dignità e vocazione e la Chiesa deve offrire i mezzi perché la verità sia trovata da tutti coloro che la cercano, affinché una volta trovatala, la possano liberamente abbracciare proprio per il fatto che la verità si impone da se stessa alla mente e alla coscienza dell’uomo (DH 1b.c; 2b).

Qui è la ragione per cui la missione delle Università Cattoliche non si rivolge solo ai fedeli cattolici - anzi, in molte di esse gli studenti cattolici sono una piccola minoranza - ma a ogni uomo e ogni donna che intenda ricevere una formazione integrale per lo sviluppo di una personalità libera e responsabile. Diversi sono i destinatari della missione delle Università o Facoltà Ecclesiastiche, in quanto prevalentemente rivolte alla formazione di chierici e religiosi/e, pur non escludendo i laici/che - che diventano sempre più numerosi - i quali vogliono svolgere compiti impegnativi nella società, testimoniando la loro fede nell’inserimento all’interno delle strutture temporali. Pur in questa diversità, però, l’elemento che unisce le Università Cattoliche e le Università Ecclesiastiche è la formazione degli studenti alla ricerca della verità e del bene, affinché sentano questa ricerca come un dovere che scaturisce dall’interno della loro coscienza.

Nell’uomo stesso, nella realtà che lo circonda e nelle relazioni che stabilisce con i suoi simili, c’è una ragione, che è la sua verità come creatura, della realtà creata che lo circonda e delle relazioni che stabilisce. È questa conoscenza della sua ratio essendi, della ratio essendi della realtà creata e degli altri, che conduce l’uomo alla sapienza, cioè a quella verità e quel bene, che nel suo attuarsi storico si manifestano come amore e solidarietà per gli altri. Lo scopo delle Università Cattoliche e delle Università Ecclesiastiche, a mio parere, è proprio quello di rispondere a questo anelito dell’uomo, offrendogli i mezzi per tale "sapiente conoscenza". Se ciò non fosse, gli studi universitari si ridurrebbero a una serie di nozioni che darebbero una conoscenza superficiale e spesso anche distorta della realtà dell’uomo e del mondo che lo circonda e delle relazioni che stabilisce nel costruire la società in cui vive.

L’acquisizione di tale "sapiente conoscenza" è un compito permanente nell’uomo, mai pienamente compiuto; per questo essa rimane un anelito costante e costitutivo del proiettarsi in avanti dell’uomo. Ne deriva che anche il compito di un’Università Cattolica e di un’Università Ecclesiastica non è mai compiuto, ma è proprio questa incompiutezza che spinge l’una e l’altra alla ricerca di sempre nuove vie, mezzi e metodi per essere il luogo di tale ricerca che l’essere umano fa, senza fine, su se stesso, in dialogo con la realtà che lo circonda.

L’Assemblea Generale della FIUC vuole essere una riflessione comune sui mezzi e i metodi che oggi, nelle società post-moderne, possano permettere alle Università di essere il luogo che educa l’uomo alla ricerca di una "sapiente conoscenza".



INTERVENTO DEL SIG. PEDRO NEL MEDINA VARON

Los grandes desafíos de la Federación Internacional de Universidades Católicas (FIUC) en las sociedades postmodernas actuales

Es para mí un honor poder hablar en representación de la Federación Internacional de Universidades Católicas (FIUC), en mi calidad de Secretario General Adjunto de la Federación y también de Coordinador Científico de su Centro Coordinador de la Investigación.

La Federación Internacional de Universidades Católicas (FIUC) es una organización que reúne a más de 200 universidades e instituciones de educación superior católicas del mundo entero, en un afán de progreso intelectual, humano y social.

Es importante destacar que la FIUC es la asociación más antigua en su campo y que, en la actualidad, continúa siendo la principal.

Datos estadísticos

- A día de hoy, la FIUC reúne exactamente a 207 universidades e instituciones católicas de educación superior de 56 países diferentes.

- A través de su variada membresía, la FIUC se encuentra presente en los 5 continentes.

- En el seno de la federación existen 6 grupos regionales y 10 grupos con carácter sectorial.

- La FIUC cuenta, asimismo, con un Centro de Coordinación de la Investigación.

- Este Centro, que constituye uno de los principales servicios de la Federación, tiene en todo momento una decena de proyectos marco en funcionamiento, con beneficiarios en África, las Américas, Asia, Europa y el Próximo Oriente.

- Dichos proyectos suelen movilizar un promedio de 200 investigadores pertenecientes a 50 equipos de investigación.

- En el período comprendido entre la segunda mitad de 2006 y 2009, nuestro Centro ha organizado 68 encuentros, que han adoptado la forma de misiones, reuniones de proyectos, seminarios metodológicos o bien coloquios internacionales.

- En el trascurso de estos últimos 3 años, la ferviente actividad editorial del Centro ha dado lugar a 34 publicaciones, la mayoría de las cuales de carácter científico.

- Además, la Federación, junto con el Centro, se encuentra representada en 7 de las organizaciones internacionales más influyentes de la escena mundial, ello sin contar también su activa colaboración con agrupaciones universitarias regionales, nacionales y mundiales.

La principal misión de la Federación consiste en contribuir al progreso del saber y, con ello, a la construcción de un mundo más justo y más humano. La divisa de la FIUC, "Saber para Servir", expresa a la perfección la idea de que el conocimiento generado en las instituciones de enseñanza superior debe ser puesto al servicio de toda la humanidad.

A menudo definimos la Federación como una red de redes, dedicada a fomentar la reflexión y el diálogo entre sus afiliados, con fines a comprender mejor y también a dar respuesta a los desafíos más importantes de las sociedades postmodernas actuales. La FIUC contribuye, asimismo, al desarrollo de la enseñanza superior católica y, por extensión, al de la tradición intelectual cristiana. Asistiendo a la Iglesia en la tarea de interpretar "los signos de los tiempos", la Federación se erige indiscutiblemente como la voz de la enseñanza católica internacional.

Desde la Federación, consideramos que la universidad católica tiene tres responsabilidades principales.

1) La primera es preservar la tradición intelectual católica.

La universidad católica tiene, en efecto, la misión de preservar y transmitir la tradición intelectual católica. Entendemos por tradición intelectual católica la reflexión que lleva adelante la comunidad cristiana desde hace dos milenios, acerca de las cuestiones más profundas de la vida y de la condición humanas, así como de las creencias y valores transmitidos por el Evangelio.

Ello también supone analizar críticamente esta tradición a la luz de las sociedades actuales, y reflexionar sobre cómo sus valores y creencias pueden aportar una contribución a culturas diferentes de la propia. Es precisamente en el seno de la universidad católica, en un ambiente de libertad académica y de integridad, donde la Iglesia tiene y debe elaborar su más alto pensamiento.

2) La segunda responsabilidad de las universidades católicas es la educación integral de la persona.

La universidad católica se encuentra comprometida con el desarrollo y la formación integral de los estudiantes. En la tradición intelectual católica, la educación se traduce en una invitación a crecer y a vivir en comunión con Dios y con el prójimo.

La universidad debe fomentar en todo momento las oportunidades de cooperación, ayuda mutua, asistencia a los necesitados y reflexión crítica sobre los valores esenciales del vivir humano. Así de esta manera, la Eucaristía y la Liturgia deben también conservar un lugar central en la vida universitaria católica.

3) La tercera gran responsabilidad de toda universidad católica es el servicio a la Iglesia.

La universidad católica sirve a la Iglesia precisamente con la preservación de la tradición intelectual católica y mediante la educación integral de la persona. Adicionalmente, la universidad católica también asiste a la Iglesia en la interpretación de los "signos de los tiempos" y en el desarrollo de una doctrina social católica. El propio Papa Benedicto XVI nos invita, en su primera encíclica "Deus Caritas Est" a un tal compromiso.

Terminaré con una pregunta que quisiera dirigir a las universidades católicas del mundo: ¿Pueden nuestras universidades ser, además de todo lo anterior, lugares privilegiados donde académicos e intelectuales se reúnan con líderes políticos comprometidos con el bien común y con la justicia social? Con esta pregunta, espero ofrecer materia para reflexionar a las universidades católicas que aún no se han unido a nuestra Federación. Para todas aquéllas que, al contrario, ya forman parte de la gran familia que es la FIUC, tendré el gusto de compartir con sus representantes reflexiones de esta índole en el transcurso de nuestra Asamblea General, que tendrá lugar la semana entrante en la sede de la Pontificia Università Gregoriana.

13/11/2009 16:09
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STATEMENT OF THE HOLY SEE AT THE 64th SESSION OF THE UN GENERAL ASSEMBLY BEFORE THE PLENARY ON ITEM 49: CULTURE OF PEACE

Here below the statement delivered by H.E. Archbishop Celestino Migliore Apostolic Nuncio Permanent Observer of the Holy See, on 10 November 2009, at the 64th Session of the UN General Assembly before the Plenary on item 49: Culture of Peace:

Mr. President,

At the outset, my delegation would like to congratulate the Secretary General for his report highlighting the activities carried out by key United Nations entities involved in the field of interreligious and intercultural dialogue.

The question of religion and the contribution of religions to peace and development have resurfaced in the United Nations in recent years because they have become urgent and inevitable in the opinion of the world. A century and a half ago, at the beginning of the industrial revolution, religion was described as the "opium of the people", today, in the context of globalization, it is increasingly regarded as the "vitamin of the poor".

The unique contribution of religions and the dialogue and cooperation among them lies in their raison d'être which is to serve the spiritual and transcendental dimension of human nature. They tend as well to raise the human spirit, protect life, empower the weak, translate ideals into action, purify institutions, contribute to resolving economic and non-economic inequalities, inspire their leaders to go beyond the normal call of duty, permit people to attain a fuller realization of their natural potential, and traverse situations of conflict through reconciliation, peace-building processes and the healing of memories scarred by injustice.

It is well known that throughout history individuals and leaders have manipulated religions. Likewise, ideological and nationalistic movements have taken religious differences as an opportunity to garner support for their own causes. Recently, the manipulation and misuse of religion for political purposes have given rise to debates and deliberations at the United Nations on the theme, placing it in the context of human rights.

Indeed, the debate within the UN on the role of religions has unfolded for quite some time now and the need for a coherent vision of and appropriate approach to this phenomenon is deeply felt. My delegation would like to offer some considerations on the matter with a view to contributing to a suitable and effective interaction of religion and religions with the United Nations' goals and activities.

Interreligious or interfaith dialogue aiming at investigating the theological and spiritual foundations of different religions in view of mutual understanding and cooperation is becoming more and more an imperative, a conviction and an effective endeavor among many religions.

I am pleased to call to mind here the leadership taken by the Catholic Church, some forty years ago, with the promulgation of the conciliar document Nostra Aetate, in reaching out to other religious traditions. Today, many Christian denominations and other religions are engaged in dialogue with programs of their own and in this way have continued to make progress in greater understanding among each other. In this regard, the Holy See has implemented a number of initiatives to promote dialogue among Christian denominations, with Jewish believers, Buddhists and Hindus. A Council on Interreligious Dialogue was set up more than forty years ago and more recently a first-of-its-kind initiative with the representatives of the 138 Muslim signatories of the document, A Common Word Between Us and You. This engagement seeks to foster greater respect, understanding and cooperation among believers of various denominations, encourage the study of religions and promote the formation of persons dedicated to dialogue.

This type of theological and spiritual dialogue requires that it be conducted by and among believers and adopt a proper methodology. At the same time, it offers the indispensable premise and basis for that much broader culture of dialogue and cooperation that different academic, political, economic and international institutions have launched in past decades.

Recent social and political events have renewed the engagement of the United Nations to integrate its reflection and action on affirming a culture of respect with a specific concern for interreligious understanding. The protagonists of this dialogue are member States in their interaction with civil society. Their approach and methodology stem from the very mission and purpose of the United Nations.

However, having in mind the spirit and the word of the UN Charter as well as core juridical instruments, it is safe to say that the United Nations' specific and primary responsibility vis-à-vis religion is to debate, elucidate and help States to fully ensure, at all levels, the implementation of the right to religious freedom as affirmed in the relevant UN documents which include full respect for and promotion not only of the fundamental freedom of conscience but also of the expression and practice of everybody's religion, without restriction.

Indeed, the United Nations' ultimate goal and achievement in pursuing interreligious understanding and cooperation is to be able to engage States as well as all segments of human society to recognize, respect and promote the dignity and rights of every person and each community in the world.

Thank you Mr. President.

14/11/2009 00:20
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Intervento della Santa Sede all'ONU sulla cultura della pace



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 13 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'intervento pronunciato il 10 novembre dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti alla plenaria, sull'item 49: cultura della pace.

* * *

Presidente,

innanzitutto la mia delegazione desidera congratularsi con il Segretario Generale per il suo rapporto, che evidenzia le attività svolte da organismi chiave delle Nazioni Unite impegnati nel campo del dialogo interreligioso e interculturale.

La questione della religione e il contributo delle religioni alla pace e allo sviluppo sono riemersi nelle Nazioni Uniti negli ultimi anni perché sono divenuti urgenti e ineludibili nell'opinione del mondo. Un secolo e mezzo fa, all'inizio della rivoluzione industriale, la religione era descritta come «l'oppio dei popoli». Oggi, nel contesto della globalizzazione, è sempre più considerata la «vitamina dei poveri».

Il contributo unico delle religioni e il dialogo e la cooperazione fra di esse fanno parte della loro raison d'être che consiste nel servire la dimensione spirituale e trascendente della natura umana. Parimenti tendono a elevare lo spirito, a tutelare la vita, a conferire forza ai deboli, a tradurre ideali in azione, a purificare le istituzioni, a contribuire a sanare le ineguaglianze economiche e non economiche, a ispirare i loro responsabili ad andare oltre il normale senso del dovere, a permettere alle persone di ottenere una realizzazione maggiore del loro potenziale naturale e a contrastare situazioni di conflitto attraverso la riconciliazione, i processi di ricostruzione post-conflitto e la guarigione di memorie segnate dall'ingiustizia.

È ben noto che nel corso della storia individui e leader hanno manipolato le religioni. Parimenti, movimenti ideologici e nazionalistici hanno colto le differenze religiose come un'opportunità per ottenere sostegno per le loro cause. Di recente, la manipolazione e il cattivo uso della religione a scopi politici hanno sollevato dibattiti e prodotto deliberazioni alle Nazioni Unite su questo tema, inserendolo nel contesto dei diritti umani.

Infatti, il dibattito nelle Nazioni Unite sul ruolo delle religioni si svolge già da un po' di tempo ormai e la necessità di una visione coerente di questo fenomeno e di un approccio adatto a esso è profondamente sentita. La mia delegazione vorrebbe offrire alcune considerazioni sulla questione al fine di contribuire a un'interazione appropriata ed efficace della religione e delle religioni con gli obiettivi e le attività delle Nazioni Unite.

Il dialogo interreligioso o fra diverse fedi, volto a studiare i fondamenti teologici e spirituali delle differenti religioni in vista di una comprensione e di una cooperazione reciproche, sta diventando sempre più un imperativo, una convinzione e uno sforzo concreto fra molte religioni.

Sono lieto di ricordare qui il ruolo guida assunto dalla Chiesa cattolica, circa quarant'anni fa, nel rivolgersi alle altre tradizioni religiose, con la promulgazione del documento conciliare Nostra Aetate. Oggi, molte denominazioni cristiane e altre religioni sono impegnate nel dialogo con programmi propri e in tal modo hanno continuato a fare progressi nella maggiore comprensione reciproca. A questo proposito, la Santa Sede ha realizzato una serie di iniziative per promuovere il dialogo fra denominazioni cristiane, con credenti ebrei, buddisti e hindu. Più di quaranta anni fa è stato creato un Consiglio per il Dialogo Interreligioso e più di recente è stata presa un'iniziativa, la prima del suo genere, con i rappresentanti del 138 firmatari musulmani del documento Una Parola Comune tra Noi e Voi. Questo impegno mira a promuovere maggiore rispetto, comprensione e cooperazione fra credenti di varie denominazioni, a incoraggiare lo studio delle religioni e a promuovere la formazione di persone che si dedichino al dialogo.

Questo tipo di dialogo teologico e spirituale richiede che sia condotto da e fra credenti e adotti una metodologia appropriata. Nello stesso tempo, offre una premessa e una base indispensabili per quella cultura di dialogo e di cooperazione molto più ampia che varie istituzioni accademiche, politiche, economiche e internazionali hanno avviato negli scorsi decenni.

Recenti eventi sociali e politici hanno rinnovato l'impegno delle Nazioni Unite a integrare le loro riflessioni e la loro azione volte all'affermazione di una cultura di rispetto con una sollecitudine specifica per la comprensione interreligiosa. I protagonisti di questo dialogo sono Stati membri nella loro interazione con la società civile. Il loro approccio e la loro metodologia scaturiscono dalla missione e dallo scopo stessi delle Nazioni Unite.

Tuttavia, avendo in mente lo spirito e la lettera della Carta delle Nazioni Unite nonché degli strumenti giuridici più importanti, è giusto affermare che la responsabilità specifica e primaria delle Nazioni Unite vis-à-vis la religione consiste nel discutere, spiegare e aiutare gli Stati a garantire pienamente, a tutti i livelli, la realizzazione del diritto alla libertà religiosa, come affermato nei pertinenti documenti delle Nazioni Unite, che includono il pieno rispetto e la promozione non solo della fondamentale libertà di coscienza, ma anche della libertà di espressione e di pratica della religione di ognuno, senza restrizioni.

Infatti, l'obiettivo e lo scopo definitivi delle Nazioni Unite nella ricerca della comprensione e della cooperazione interreligiose è quello di riuscire a impegnare gli Stati nonché tutti i segmenti della società umana a riconoscere, rispettare e promuovere la dignità e i diritti di ogni persona e di ogni comunità nel mondo.

Grazie, Presidente.

[Traduzione del testo originale in inglese a cura de “L'Osservatore Romano”]


14/11/2009 15:48
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COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM: 28a ASSEMBLEA PLENARIA (12-14 NOVEMBRE 2009)

La 28a Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum si è svolta dal 12 al 14 novembre corrente, sul tema "Percorsi formativi per gli operatori della carità"; erano rappresentate le Diocesi, le Caritas, le Organizzazioni internazionali di aiuto e di assistenza dai cinque continenti.

Da parte dei responsabili delle attività caritative della Chiesa sono emerse due indicazioni fondamentali:

A) lo scopo ultimo del nostro lavoro è la testimonianza cristiana attraverso le opere di aiuto per i più poveri; ma testimoniare Cristo implica averlo prima incontrato;

B) per educare bisogna essere continuamente educati, altrimenti, nel percorso formativo degli operatori di carità, si rischia di fare proprie le priorità fissate da altre istanze internazionali aliene dalla Chiesa, mentre questa non può tacere il proprio fondamento di fede.

Ricevendo i partecipanti all'Assemblea, il 13 novembre, il Santo Padre Benedetto XVI, nel corso dell'Udienza, ha affermato: "La Chiesa con l'annuncio del Vangelo apre il cuore per Dio e per il prossimo e sveglia le coscienze. Con la forza del suo annuncio difende i diritti umani e si impegna per la giustizia. La fede è una forza spirituale che purifica la ragione nella ricerca di un ordine giusto, liberandola dal rischio sempre presente di venire "abbagliata" dall'egoismo, dall’interesse e dal potere".

Le parole del Papa, assieme alla Sua Enciclica Deus caritas est, tracciano "l’ agenda" per il prossimo futuro di Cor Unum. Il Dicastero continuerà a promuovere, nel variegato mondo della carità e del volontariato, la testimonianza costruttiva dei cristiani e delle comunità ecclesiali.

16/11/2009 16:06
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Lettera del Card. Bertone ai sacerdoti cinesi per l'Anno sacerdotale

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 16 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, ha voluto indirizzare a tutti i sacerdoti della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese in occasione dell’Anno Sacerdotale.

Il testo è stato diffuso dall'agenzia Fides.

* * *

Cari Fratelli nel Sacerdozio,

L’Anno Sacerdotale, un dono del Santo Padre Benedetto XVI, che stiamo celebrando in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, mi invita a rivolgermi a voi, presbiteri della Chiesa in Cina, in una maniera particolare.

1. Invito alla speranza. Nella Lettera, che il Santo Padre ha indirizzato il 27 maggio 2007 ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici nella Repubblica Popolare Cinese, sono indicate varie linee-guida per il futuro cammino della Chiesa. Tra di esse desidero sottolineare la riconciliazione all’interno della comunità cattolica e un dialogo rispettoso e costruttivo con le Autorità civili, senza rinunciare ai principi della fede cattolica. Al riguardo, nonostante le persistenti difficoltà, le informazioni, che sono giunte da differenti parti della Cina, indicano anche segni di speranza.

Per affrontare l’attuale situazione ecclesiale e socio-politica, in cui vi trovate a vivere, e per proseguire sulla via della riconciliazione e del dialogo, è urgente per ciascuno di voi attingere luce e forza alle sorgenti della spiritualità sacerdotale, che sono l’amore di Dio e l’incondizionata sequela di Cristo.

A solo due anni dalla pubblicazione della Lettera pontificia, non sembra che sia giunto il momento di fare bilanci definitivi. Usando le parole del grande missionario della Cina, Padre Matteo Ricci, credo che si possa dire che ancora è tempo più di semina che di raccolta.

Forse qualcuno di voi rimase sorpreso dalla Lettera del Papa alla Chiesa in Cina. Vi assicuro che la Santa Sede è al corrente della complessa e difficile situazione nella quale vi trovate. Il Santo Padre, aprendo l’Anno Sacerdotale, ha invitato tutti i sacerdoti del mondo a “saper cogliere la nuova primavera che lo Spirito sta suscitando ai nostri giorni nella Chiesa”. Ciò è vero anche per voi: le nuove sfide, che il Popolo cinese deve affrontare all’inizio del Terzo Millennio, vi chiedono di aprirvi con fiducia al futuro e di continuare a cercare di vivere integralmente la fede cristiana.



2. Annunciare Cristo. Cari Fratelli sacerdoti, voi siete pastori del Popolo di Dio in un Paese geograficamente e demograficamente vasto. Come piccolo gregge in mezzo a una grande moltitudine di persone, vivete a fianco sia di seguaci di altre religioni sia di persone che hanno una posizione di indifferenza, se non di avversione, verso Dio e verso la religione.

Non pensate di essere voi soli a dover affrontare una simile problematica. Infatti, voi condividete la stessa situazione di molti confratelli in altre parti del mondo, i quali, “pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione: quella di «amici di Cristo», da Lui particolarmente chiamati, prescelti e inviati” (Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). Anche per voi vale l’osservazione del Papa Benedetto XVI: “Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore per Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti” (Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). E per voi in Cina “come non ricordare a questo proposito, quale incoraggiamento per tutti, le figure luminose di Vescovi e di sacerdoti che, negli anni difficili del recente passato, hanno testimoniato un amore indefettibile alla Chiesa, anche con il dono della propria vita per essa e per Cristo?” (Lettera alla Chiesa in Cina, n. 13).

Spesso, guardando al mondo che ci circonda, siamo presi dallo sgomento. Quanta gente da sfamare! Dove potremo trovare il pane per tutta questa gente? Come posso, con i miei limiti, aiutare Gesù nella sua missione? Ancora una volta il Santo Padre, commentando il testo del vangelo di Giovanni (6, 1-15), ci ha ricordato la risposta del Signore: “Proprio mettendo nelle sue mani «sante e venerabili» il poco che essi sono, i sacerdoti, noi sacerdoti diventiamo strumenti di salvezza per tanti, per tutti!” (Angelus del 26 luglio 2009). Sono vari i modi pratici in cui potete dare il vostro prezioso contributo: ad esempio, visitando frequentemente sia famiglie cattoliche e non cattoliche sia villaggi, mostrando la vostra sollecitudine per i bisogni della gente; aumentando gli sforzi per preparare e formare buoni catechisti; favorendo un uso maggiore dei servizi caritativi, diretti specialmente ai bambini e alle persone ammalate e anziane, allo scopo di mostrare la carità disinteressata della Chiesa; organizzando riunioni speciali, in cui i cattolici possano invitare i loro parenti e amici non cattolici affinché vengano meglio a conoscenza della Chiesa cattolica e della fede cristiana; distribuendo pubblicazioni cattoliche ai non cattolici.

Le virtù sacerdotali. Alla scuola di san Giovanni Maria Vianney dobbiamo imparare a identificarci con il ministero ricevuto. In Cristo, tale identificazione è stata totale: “In Gesù, Persona e Missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo «Io filiale» che, da tutta l’eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà” (Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). È dall’identificazione col proprio ministero che nascono tutte le virtù, necessarie ad ogni sacerdote.

Il Santo Curato d’Ars seppe dialogare con tutti, perché fu uomo di preghiera: l’arte del dialogo, a qualsiasi livello, si apprende nel dialogo con Dio, in una preghiera continua e sincera. Egli visse la povertà con estremo rigore, perché riteneva che tutto quello che riceveva era donato alla sua chiesa, ai suoi poveri, alle sue famiglie più disagiate. Anche la sua castità era quella richiesta a un prete per il suo ministero: era la castità conveniente a chi deve toccare abitualmente l’Eucaristia. È noto, poi, quanto egli fosse tormentato dal pensiero della propria inadeguatezza al ministero parrocchiale e dal desiderio di fuggire: solo l’obbedienza e la passione per le anime riuscirono a convincerlo a restare al suo posto. La regola d’oro per una vita obbediente gli sembrava questa: “Fare solo ciò che può essere offerto al buon Dio”.

4. L’Eucaristia. In questo Anno Sacerdotale desidero ricordarvi la fonte dove potete trovare la forza per essere fedeli alla vostra importante missione. E desidero farlo con le parole del Papa Benedetto XVI: nella Chiesa “ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo” (Lettera alla Chiesa in Cina, n. 5, nota 20).

La celebrazione del Mistero Pasquale rivela l’agape, cioè l’amore di Dio, quell’amore che vince il male e, quindi, trasforma il male in bene, l’odio in amore. Attraverso la partecipazione al Corpo e al Sangue di Cristo nell’Eucaristia - ci ha ricordato il Santo Padre - quella energia divina “viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi” (Lettera enciclica Deus caritas est, n. 14). Uniti a Cristo nell’Eucaristia, diventiamo i soggetti della vera trasformazione dei cuori (cfr Deus caritas est, nn. 13-14). Come diceva il Santo Curato d’Ars, “tutte le buone opere riunite non equivalgono al Sacrificio della Messa, perché quelle sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio”.

L’Eucaristia, sacramento della comunione, fonte e culmine della vita ecclesiale e dell’evangelizzazione, è al centro del vostro cammino di riconciliazione. L’Eucaristia, anche se è celebrata in una comunità particolare, non è mai celebrazione di quella sola comunità. Una comunità veramente eucaristica non può ripiegarsi su se stessa, quasi fosse autosufficiente, ma deve mantenersi in comunione con ogni altra comunità cattolica. Infatti, ogni celebrazione dell’Eucaristia postula l’unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l’Ordine episcopale, con tutto il clero e con l’intero Popolo di Dio.

San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, mostrava quanto le loro divisioni, che si manifestavano nelle assemblee eucaristiche, fossero in contrasto con quello che celebravano, la Cena del Signore. Conseguentemente l’Apostolo li invitava a riflettere sulla vera realtà dell’Eucaristia, per farli ritornare allo spirito di comunione fraterna (cfr 1 Cor 11, 17-34).

Il Papa Giovanni Paolo II ci ha ricordato che l’Eucaristia crea comunione ed educa alla comunione. E Benedetto XVI, facendo eco a tale insegnamento, ha dato alcune direttive circa la ricezione dei sacramenti nell’attuale situazione della Chiesa in Cina (cfr Lettera alla Chiesa in Cina, n. 10). Queste direttive hanno la loro radice “nella promozione della comunione” e nella “carità, che è sempre al di sopra di tutto”: esse sono richiamate anche nel “Compendio” della medesima Lettera pontificia, che è stato pubblicato dalla Santa Sede il 24 maggio 2009.

La Parola di Dio. Mi sia consentito di ricordare ancora una volta a voi, cari Sacerdoti, le parole del Santo Padre Benedetto XVI: “Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d’Ars, occorre che i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica. Ha giustamente osservato Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni». Perché non nasca un vuoto esistenziale in noi e non sia compromessa l’efficacia del nostro ministero, occorre che ci interroghiamo sempre di nuovo: «Siamo veramente pervasi dalla Parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa Parola al punto che essa realmente dia un’impronta alla nostra vita e formi il nostro pensiero?». Come Gesù chiamò i Dodici perché stessero con Lui (cfr Mc 3, 14) e solo dopo li mandò a predicare, così anche ai giorni nostri i sacerdoti sono chiamati ad assimilare quel «nuovo stile di vita» che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli apostoli” (Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale).

6. Il compito dei Vescovi. Cari Sacerdoti, a questo punto permettetemi di rivolgere qualche parola anche ai vostri Vescovi, che hanno ricevuto la pienezza del sacerdozio. A voi, carissimi Confratelli, vorrei ricordare che il cammino verso la santità dei vostri presbiteri è affidato alla vostra attenta cura pastorale. Se si pensa alle condizioni sociali e culturali del mondo attuale, è facile capire quanto sia incombente sui presbiteri il pericolo della dispersione in un grande numero di compiti diversi.

L’esperienza quotidiana mostra che i germi di disgregazione tra gli uomini sono molto radicati nell’umanità a causa del peccato, ma la Chiesa può contrapporre la forza, generatrice di unità, del Corpo di Cristo. Il Concilio Vaticano II ha individuato nella carità pastorale il vincolo che dà unità alla vita e alle attività dei sacerdoti.


7. Una pastorale a favore delle vocazioni sacerdotali. Come vi ha ricordato il Santo Padre, “durante gli ultimi cinquant’anni non è mai mancata nella Chiesa in Cina un’abbondante fioritura di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Di questo si deve rendere grazie al Signore perché si tratta di un segno di vitalità e di un motivo di speranza. […] tale fioritura è accompagnata, oggi, da non poche difficoltà. Emerge pertanto l’esigenza sia di un più attento discernimento vocazionale da parte dei responsabili ecclesiali sia di una più approfondita educazione e istruzione degli aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa. Nonostante la precarietà dei mezzi a disposizione, per l’avvenire della Chiesa in Cina bisognerà adoperarsi per assicurare, da un lato, una particolare attenzione nella cura delle vocazioni e, dall’altro lato, una formazione più solida sotto gli aspetti umano, spirituale, filosofico-teologico e pastorale, da realizzare nei seminari e negli istituti religiosi” (Lettera alla Chiesa in Cina, n. 14).

Sia, perciò, la celebrazione dell’Anno Sacerdotale un’occasione per dare l’avvio a iniziative di sostegno della vita dei vostri seminaristi. Al riguardo, cari Vescovi, sarete in grado di dedicare particolare attenzione alla loro formazione visitandoli nei seminari e mostrando profonda premura per la formazione che essi vi ricevono, sul piano sia spirituale sia accademico. Inoltre, la vostra paterna sollecitudine vi suggerirà, secondo le possibilità e le condizioni di ogni diocesi, le iniziative atte a promuovere le vocazioni al sacerdozio, quali giornate e incontri di preghiera o apertura di luoghi, dove i sacerdoti e i fedeli, specialmente giovani, possano ritrovarsi per pregare insieme sotto la guida di esperti e buoni sacerdoti quali direttori spirituali.

8. La formazione permanente. Il Santo Padre Benedetto XVI è consapevole che “anche in Cina, come nel resto della Chiesa, emerge la necessità di un’adeguata formazione permanente del clero. Di qui nasce l’invito, rivolto a voi Vescovi come responsabili delle comunità ecclesiali, a pensare specialmente al giovane clero che è sempre più sottoposto a nuove sfide pastorali, connesse con le esigenze del compito di evangelizzare una società così complessa com’è la società cinese attuale. Ce lo ricordava il Papa Giovanni Paolo II: la formazione permanente dei sacerdoti «è un’esigenza intrinseca al dono e al ministero sacramentale ricevuto e si rivela necessaria in ogni tempo. Oggi però risulta essere particolarmente urgente, non solo per il rapido mutarsi delle condizioni sociali e culturali degli uomini e dei popoli entro cui si svolge il ministero presbiterale, ma anche per quella ‘nuova evangelizzazione’ che costituisce il compito essenziale e indilazionabile della Chiesa alla fine del secondo millennio»” (Lettera alla Chiesa in Cina, n. 13).

Sia cura di ogni Vescovo, in comunione con i suoi confratelli Vescovi delle diocesi vicine, di organizzare e di seguire personalmente seri programmi di formazione permanente. Un’attenzione particolare dovrebbe essere prestata ai giovani sacerdoti, che di frequente devono lavorare da soli subito dopo l’ordinazione. Spesso essi si sentono isolati, con gravi responsabilità. I Vescovi non soltanto dovrebbero avere cura della loro formazione permanente ma dovrebbero anche assicurare che siano accolti e aiutati dal clero più anziano. Inoltre, sarebbe anche utile che Vescovi e sacerdoti possano trovare frequenti occasioni per contatti personali tra di loro e aumentare le riunioni sia ufficiali sia informali al fine di pianificare insieme le attività diocesane, condividere le loro esperienze e aiutarsi gli uni gli altri nel risolvere le difficoltà personali e pastorali.

9. Il culto eucaristico. Il Santo Curato d’Ars ci insegna che il culto, reso all’Eucaristia fuori della Messa, è di un valore inestimabile nella vita di ogni sacerdote. Tale culto è strettamente congiunto con la celebrazione dell’Eucaristia. Spetta a voi Pastori incoraggiare il culto eucaristico, sia con la testimonianza personale sia organizzando un’ora settimanale di adorazione, processioni, ecc., ai livelli diocesano e parrocchiale. I fedeli potrebbero, così, riunirsi intorno all’Eucaristia e sperimentare la comunione ecclesiale.

A questo proposito mi piace ricordarvi quanto il Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato come in un suo testamento: “È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto (cfr Gv 13, 25), essere toccati dall’amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l’«arte della preghiera», come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento? Quante volte, miei cari fratelli e sorelle, ho fatto questa esperienza, e ne ho tratto forza, consolazione, sostegno!” (Enciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 25).

10. La riconciliazione spirituale dei cuori. Che cosa potete fare davanti al permanere dei contrasti e delle miserie anche all’interno della comunità cattolica? Se siamo uniti in Cristo eucaristico, tutte le miserie del mondo risuonano nei nostri cuori per implorare la misericordia di Dio. Nello stesso modo, da noi si innalza un inno di lode e di ringraziamento per tutte le bellezze del creato, per le buone opere degli uomini e per gli innumerevoli doni di grazia che il Signore effonde sull’umanità: il cuore si dilata ad un amore più grande, che assume la misura di quello di Cristo morto e risorto.

Non bisogna dimenticare che anche “la comunità dei discepoli conosce fin dagli inizi non solo la gioia dello Spirito Santo, la grazia della verità e dell’amore, ma anche la prova, costituita soprattutto dai contrasti circa le verità di fede, con le conseguenti lacerazioni della comunione. Come la comunione dell’amore esiste sin dall’inizio e vi sarà fino alla fine (cfr 1 Gv 1, 1ss), così purtroppo fin dall’inizio subentra anche la divisione. Non dobbiamo meravigliarci che essa esista anche oggi” (Lettera alla Chiesa in Cina, n. 6).

Nella prima lettera ai Corinzi, a proposito delle divisioni esistenti nelle sue comunità, san Paolo scrive: “È necessario che avvengano divisioni tra voi perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi” (1 Cor 11, 19). Tutto rientra nel piano di Dio, affinché tutto serva alla sua onnipotenza che è sapienza e infinito amore. In questo momento, nessuno esiti a cercare la riconciliazione con gesti concreti, a tendere la mano al fratello che “ha qualche cosa contro di te” (cfr Mt 5, 23-24). Per ottenere ciò, occorre con urgenza prestare attenzione anche alla formazione umana di tutti i fedeli, compresi i sacerdoti e le religiose, poiché la mancanza di maturità umana, di auto-controllo e di armonia interiore è la fonte più frequente di incomprensioni, di mancanza di cooperazione e di conflitti in seno alle comunità cattoliche.

11. Gli organismi di comunione. Nella prospettiva dell’«ecclesiologia di comunione», idea centrale e fondamentale dei documenti del Concilio Vaticano II, sembra opportuno attirare la vostra attenzione su quanto la legislazione canonica prevede per favorire il compito pastorale dei Vescovi e la crescita della comunità diocesana: “Ogni Vescovo Diocesano è invitato a servirsi di indispensabili strumenti di comunione e di collaborazione all’interno della comunità cattolica diocesana: la curia diocesana, il consiglio presbiterale, il collegio dei consultori, il consiglio pastorale diocesano e il consiglio diocesano per gli affari economici. Questi organismi esprimono la comunione, favoriscono la condivisione delle responsabilità comuni e sono di grande aiuto ai Pastori, che possono così avvalersi della fraterna collaborazione di sacerdoti, di persone consacrate e di fedeli laici” (Lettera alla Chiesa in Cina, n. 10).

Quando non si può mettere su l’intera curia diocesana a causa della scarsità di sacerdoti, i Vescovi dovrebbero almeno cominciare a diversificare i ruoli nominando gradualmente un vicario generale, il cancelliere, il procuratore, ecc., al fine di avere qualcuno a portata di mano con cui consultarsi e cooperare nel prendere decisioni giuridiche e pastorale.



Desidero chiudere la mia lettera formulando e affidando alla Vergine Santissima l’augurio che la vostra vita sacerdotale sia guidata sempre più da quegli ideali di totale donazione a Cristo e alla Chiesa che ispirarono il pensiero e l’azione del Santo Curato d’Ars.

Resto unito con voi nella preghiera e nella speranza che il vostro lavoro pastorale produrrà un raccolto abbondante, e mi confermo

Vostro nel Signore

+ Tarcisio Card. Bertone

Segretario di Stato

17/11/2009 16:21
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA XXIV CONFERENZA INTERNAZIONALE SUL TEMA: "EFFATÀ! LA PERSONA SORDA NELLA VITA DELLA CHIESA", PROMOSSA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE)

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza stampa di presentazione della XXIV Conferenza Internazionale sul tema: "Effatà! La Persona sorda nella vita della Chiesa", promossa dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute), che si terrà nei giorni 19, 20 e 21 novembre 2009 in Vaticano, presso l’Aula Nuova del Sinodo.

Intervengono: S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute); S.E. Mons. José L. Redrado, O.H., Segretario del medesimo Pontificio Consiglio; il Rev.do Mons. Jean-Marie Mpendawatu, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio; il Rev.do P. Savino Castiglione, Congregazione Religiosa "Piccola Missione per i Sordomuti" e il Prof. Marco Radici, Direttore della U.O.C. di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Giovanni di Dio "Fatebenefratelli", Roma.

Pubblichiamo di seguito l’intervento di S.E. Mons. Zygmunt Zimowski:


INTERVENTO DI S.E. MONS. ZYGMUNT ZIMOWSKI

Sono oltre 278 milioni nel mondo le persone con un deficit uditivo tale da comprometterne una soddisfacente partecipazione alla vita sociale, a partire dall'educazione scolastica, l’inserimento nel mondo del lavoro così come il crearsi una famiglia. Tra questi, oltre 59 milioni sono affetti da sordità totale.

Sempre secondo le statistiche ufficiali, uno ogni mille bambini nati nei Paesi ad alto reddito è afflitto da ipoacusia. Un dato già grave che addirittura raddoppia nelle zone del pianeta meno economicamente avanzate e dove, a tutt'oggi, ritroviamo ben l'80 percento del totale delle persone non udenti.

Ciò è dovuto alla mancanza di interventi necessari quanto tempestivi, dunque alla mancanza di sufficienti infrastrutture sanitarie e di mezzi per l'acquisto dei farmaci o dei vaccini. Un esempio è dato dalla rosolia che, se contratta dalla gestante, può comportare la sordità per il nascituro.

D'altro lato l'ipoacusia è una disabilità non appariscente, ci si accorge di una persona sorda solamente quando si stabilisce un contatto ravvicinato. Le conseguenze sono più negative che positive soprattutto da quando il mondo ha iniziato a superare i pregiudizi e le superstizioni legati alle disabilità fisiche.

Le ricadute sono notevoli quanto inevitabili sulla vita della Chiesa Cattolica, della quale si stima facciano parte circa un milione e trecentomila sordi. Ciò sia in termini di difficoltà per loro a partecipare pienamente, con conseguente impedimento alla loro possibilità di crescita nella vita spirituale e nella pratica religiosa, sia per la mancanza del loro contributo in termini di vitalità e ricchezza della Chiesa stessa.

In occasione del Giubileo del 2000, Sua Santità Papa Giovanni Paolo II esortava ancora a trovare "lo spazio per i disabili" e, sebbene vi siano diverse realtà ecclesiali e del volontariato che già si occupano con grande perizia e impegno di questo particolare settore, si sente la necessità di promuoverlo e migliorarlo fino a raggiungere una reale integrazione delle persone sorde.

Ecco da dove nasce l'esigenza di questa XXIV Conferenza Internazionale organizzata dal nostro Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari dedicata al tema: "Effatà! La persona sorda nella vita della Chiesa".

L'iniziativa sarà tenuta in Vaticano, nella Nuova aula del Sinodo, e ha richiamato una ricca e variata adesione sin dal momento del suo annuncio.

Oggi, giunti alla vigilia dell'apertura della Conferenza, rileviamo la partecipazione di ben 498 persone, consacrate e non e delle quali 89 sorde, in rappresentanza di 67 Paesi del mondo.

Secondo il programma prestabilito, i tre giorni di incontro saranno suddivisi in sezioni legate ai differenti aspetti della sordità. Il primo giorno saranno trattati i temi de "Le persone sorde nel mondo tra passato e presente", "Il mondo psicologico delle persone sorde", gli "Aspetti medici della sordità", e le "Esperienze dal mondo della sordità".

Il secondo giorno, che avrà il suo momento culminante nell'udienza concessa da Sua Santità Papa Benedetto XVI, si approfondirà in merito a "La famiglia e le persone sorde" e della "Pastorale con le persone sorde".

La giornata conclusiva sarà dedicata alla ricapitolazione di quanto emerso dalle relazioni e dalle tavole rotonde e alla presentazione di un rapporto finale.

Tra le numerose personalità di primo piano che arricchiranno la Conferenza desideriamo segnalare innanzitutto i nostri predecessori alla guida del Pontificio Consiglio, le Loro Eminenze il Cardinale Javier Lozano Barragán e il Cardinale Fiorenzo Angelini, primo Presidente del dicastero che l'11 febbraio prossimo festeggerà il XXV della sua istituzione.

Apporteranno inoltre il proprio contributo, fra gli altri, il vice-Ministro per la salute italiano, professor Ferruccio Fazio, monsignor Patrick A. Kelly, Arcivescovo di Liverpool, e Terry O’Meara, rispettivamente Presidente e Direttore della International Catholic Foundation for the Service of Deaf Persons. E, inoltre, il dottor Silvio P. Mariotti, esperto dell'Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) per la prevenzione di cecità e sordità che giungerà appositamente da Ginevra, il dottor Marco Radici, Primario otorinolaringoiatra dell'Ospedale Fatebenefratelli - Isola Tiberina di Roma, e padre Savino Castiglione della Piccola Missione per i Sordomuti.

A parlare della propria esperienza di persone sorde saranno quindi esponenti del clero e di istituti religiosi e del laicato. Davvero particolare, soprattutto in concomitanza con l'Anno sacerdotale in corso, sarà la testimonianza di padre Cyril Axelrod, presbitero sordo-cieco.

Un momento importante sarà costituito inoltre dalle testimonianze di famiglie con componenti udenti e non.

Per garantire la piena fruizione dei lavori da parte di tutti, e per la prima volta in una Conferenza internazionale di questo livello, l'incontro sarà tradotto ufficialmente anche in 4 lingue dei segni: inglese, inglese angloamericano, spagnolo e italiano. Il servizio sarà offerto in collaborazione con la Piccola Missione per i Sordomuti.

Nel suo complesso, un impegno organizzativo e partecipativo tanto necessario quanto condiviso e complesso, quasi paragonabile ad una piccola olimpiade!

In questo caso, però, la medaglia più ambita è costituita dal pieno inserimento della persona affetta da disabilità "nella società e - come sottolineato dal Santo Padre durante il suo recente viaggio in Giordania - nell'assicurare che un adeguato esercizio e strumentazione siano forniti per facilitare una simile integrazione".





17/11/2009 16:22
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STATEMENT OF THE HOLY SEE AT THE 64th SESSION OF THE UN GENERAL ASSEMBLY BEFORE THE PLENARY ON ITEM 119: QUESTION OF EQUITABLE REPRESENTATION ON AND INCREASE IN THE MEMBERSHIP OF THE SECURITY COUNCIL AND RELATED MATTERS

Here below the statement delivered by H.E. Archbishop Celestino Migliore Apostolic Nuncio Permanent Observer of the Holy See, on 13 November 2009, at the 64th Session of the UN General Assembly before the Plenary on item 119: Question of equitable representation on and Increase in the membership of the Security Council and related matters:

Mr. President,

Among the topics of the reform of the Security Council my Delegation would like to concentrate particularly on the question of the right of veto.

Many valid and clear positions and views have been expressed with regard to the right of veto. At this stage of the intergovernmental negotiations, however, the abolishment of the veto seems to be the least feasible. Hence, its reform is more suitable and realistic.

Experience teaches that there is good reason for advancing positions in favour of reform of the veto with the aim of limiting its exercise. On so many occasions in history its use has slowed down and even obstructed the solution of the issues crucial to international peace and security, thereby allowing the perpetration of violations of freedom and human dignity. Too often it is the failure to intervene that does the real damage.

The reform of the veto is all the more necessary at a time when we experience the obvious paradox of a multilateral consensus that continues to be in jeopardy because it is still subordinated to the decisions of a few, whereas the world’s problems call for interventions in the form of collective action by the international community.

Against this background, the Holy See recognizes the importance of the view put forward by other Delegations that the Security Council’s permanent members should commit themselves to a practice of not casting a veto in situations where genocide, crimes against humanity, war crimes, serious violations of international humanitarian law or similar acts are involved.

At the minimum, in an effort to reach a timely and more representative solution for such grave situations, the number of affirmative votes supporting the Security Council’s decisions should require the concurring vote of no more than two permanent members. Otherwise, as already suggested by other Delegations, a permanent member could cast a negative vote, stating that voting against a given proposal should not be understood as a veto and that his opposition is not of such a nature as to warrant the blocking of a decision.

Many agree that the permanent members should show great accountability and transparency in using the right of veto. Before casting such a vote, transparency, flexibility, confidence and political will should already have been a part of the drafting process of a resolution, in order to ensure that States are not effectively vetoing texts before they can be considered by the Council. Indeed, knowing that a permanent member would vote against their adoption, many proposed drafts are never formally presented to the Council for a vote. More open dialogue and cooperation between the permanent and other members of the Security Council is crucial to avoid any later obstructions in adopting a resolution. A deeper search for ways of pre-empting and managing conflicts is needed by exploring every possible diplomatic avenue and by giving attention and encouragement to even the faintest sign of dialogue or desire for reconciliation.

The decision to extend, limit or abolish the veto lays in the hands of the Member States and will depend on the broadest possible consensus on one of the options. We trust that such a decision would be right and it would favour transparency, equality and justice, reflecting the values of democracy and mutual trust in the work of the reformed Security Council.

Thank you Mr. President.

18/11/2009 00:18
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La Santa Sede e l'equa rappresentanza nel Consiglio di Sicurezza
Intervento alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu



CITTA' DEL VATICANO, martedì, 17 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'intervento pronunciato il 13 novembre dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, in occasione della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, davanti alla plenaria sull'item 119: “La questione dell'equa rappresentanza nel Consiglio di Sicurezza e dell'aumento dei suoi membri e temi correlati”.

* * *

Presidente,

fra i temi della riforma del Consiglio di Sicurezza, la mia delegazione desidera concentrarsi in particolare sulla questione del diritto di veto.

A proposito del diritto di veto sono state espresse molte posizioni e opinioni valide e chiare. Tuttavia, in questa fase dei negoziati intergovernativi, l'abolizione del veto sembra essere la via meno percorribile. Quindi, la sua riforma è più appropriata e realistica.

L'esperienza insegna che ci sono buoni motivi per promuovere la posizione a favore della riforma del veto allo scopo di limitare il suo esercizio. In così tante occasioni della storia il suo esercizio ha rallentato e addirittura ostacolato la soluzione di questioni cruciali per la pace e la sicurezza internazionali, permettendo in tal modo il perpetrarsi di violazioni della libertà e della dignità umane. Troppo spesso è la mancanza di intervento a causare il danno vero.

La riforma del veto è tanto più necessaria in un momento in cui sperimentiamo l'ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua a essere in pericolo perché è ancora subordinato alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi sotto forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale.

Su questo sfondo, la Santa Sede riconosce l'importanza del punto di vista presentato da altre delegazioni secondo il quale i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dovrebbero impegnarsi nella pratica di non opporre un veto in situazioni in cui sono coinvolti genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, gravi violazioni del diritto umanitario internazionale o atti simili.

Per lo meno, nello sforzo di trovare una soluzione tempestiva e più rappresentativa a queste gravi situazioni, il numero di voti favorevoli a sostegno delle decisioni del Consiglio di Sicurezza dovrebbe richiedere il voto coincidente di non più di due membri permanenti. Oppure, come già suggerito da altre delegazioni, un membro permanente potrebbe opporre un voto negativo, ma affermando espressamente che votare contro una data proposta non dovrebbe essere inteso come un veto e che questa sua opposizione non ha un carattere tale da giustificare il blocco di una decisione.

Molti concordano sul fatto che i membri permanenti dovrebbero dimostrare maggiore affidabilità e trasparenza nell'esercizio del diritto di veto. Prima di opporre questo voto, trasparenza, flessibilità, fiducia e volontà politica dovrebbero già essere state parte del processo di elaborazione di una risoluzione, per garantire che gli Stati non stiano effettivamente ponendo il veto a testi prima ancora che questi ultimi siano sottoposti all'attenzione del Consiglio. Infatti, sapendo che un membro permanente voterebbe contro la loro adozione, molte bozze di proposta non vengono mai formalmente presentate al Consiglio per il voto. Un dialogo e una cooperazione più aperti fra i membri permanenti e non del Consiglio di Sicurezza sono cruciali per evitare qualsiasi ostacolo successivo nell'adozione di una risoluzione. Una ricerca più profonda di modalità per prevenire e gestire conflitti è necessaria, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione e dando incoraggiamento perfino al segnale più debole di dialogo o desiderio di riconciliazione.

La decisione di estendere, limitare o abolire il veto è nelle mani degli Stati membri e dipenderà dal più ampio consenso possibile su una di tali opzioni. Confidiamo nel fatto che verrà presa una decisione giusta e a favore della trasparenza, dell'eguaglianza e della giustizia, rispecchiando i valori della democrazia e la fiducia reciproca nell'opera del Consiglio di Sicurezza riformato.

[Traduzione del testo in inglese a cura de “L'Osservatore Romano”]

19/11/2009 00:34
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Discorso dell'Osservatore Permanente vaticano all'UNESCO


ROMA, mercoledì, 18 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato il 12 ottobre da monsignor Francesco Follo, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), alla Commissione per l'Educazione della 35ª sessione della Conferenza generale dell'organizzazione. La traduzione dell'intervento è stata diffusa da "L'Osservatore Romano".

* * *

Signor Presidente,

Eccellenze,

In questo momento cruciale per la vita di milioni di esseri umani resi fragili dalla crisi finanziaria, economica e sociale che riguarda oggi il mondo intero, non ci si può che rallegrare nel vedere la fedeltà dell'Unesco alla sua intuizione fondatrice e il suo desiderio di partecipare con maggiore efficacia all'umanizzazione di ogni essere umano e all'educazione dei più poveri. Il mezzo scelto oggi è quello di salvaguardare e di aumentare il budget dell'Unesco destinato all'educazione, in particolare il programma «Educazione per tutti».

Dobbiamo tuttavia accontentarci nel quadro dell'Unesco di definire priorità, sebbene degne di lode, come quelle dedicate all'Africa e alla promozione delle donne? Se l'Unesco vuole poter favorire l'universalità e l'effettività delle norme etiche concernenti lo sviluppo di tutti attraverso l'educazione, e in particolare dei più bisognosi, occorre, come in altri dibattiti, che osi avviare una riflessione fondamentale sull'esigenza universale del rispetto dell'essere umano e sul tipo di educazione per tutti che ciò presuppone. Di fatto il punto debole del moltiplicarsi delle priorità definite attualmente è di ridurre il problema filosofico ed etico dell'educazione e dello sviluppo umano a questioni puramente tecniche. Solo una riflessione fondamentale su «l'educazione integrale» e sull'antropologia che tale educazione presuppone dovrebbe condurci a definire ciò che è effettivamente umanizzante per tutta l'umanità e in particolare per i più poveri e per le donne.

Ma cosa s'intende con «educazione integrale»? Adottando l'espressione «educazione integrale» ci riferiamo all'accezione utilizzata nel 1993 nel Documento finale della Conferenza mondiale sui Diritti dell'uomo organizzata dalle Nazioni Unite che chiedeva di «orientare l'educazione verso il pieno sviluppo della persona e il rafforzamento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Si tratta qui di un'educazione integrale capace di preparare soggetti autonomi e rispettosi della libertà e della dignità altrui». In questa ottica, lo sappiamo, la difesa e la promozione del diritto all'educazione, di cui l'Unesco ha fatto il suo asse principale, concerne non solo la possibilità per ogni essere umano di istruirsi, di sviluppare i propri talenti e di partecipare quindi alla vita pubblica, economica e sociale, ma anche la capacità di umanizzarsi veramente e di godere pienamente della dignità inerente a ogni persona umana. Non si tratta dunque solo di offrire un'educazione interculturale dove bambini e adolescenti di etnie, razze, culture e sesso diversi imparerebbero a rispettarsi attraverso il dialogo, anche se l'obiettivo di un'educazione interculturale tiene seriamente conto delle mancanze e degli ostacoli all'uguaglianza e alla giustizia che risultano dalla categorizzazione etnica. L'educazione integrale deve comprendere anche l'apprendimento della vita in comune, della solidarietà. Ciò passa per l'apprendimento delle responsabilità.

Una seconda accezione alla quale ci riferiamo non è molto lontana da quella proposta dall'Onu. Si tratta dell'accezione messa in evidenza dalla Chiesa cattolica per definire il suo progetto educativo come «educazione integrale per la persona umana». Questo progetto educativo mira a formare la persona nell'unità integrale del suo essere, intervenendo con gli strumenti dell'insegnamento e dell'apprendimento laddove si formano «i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita» (Paolo vi, Esortazione apostolica post-sinodale Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 19; aas 68 [1976], 18). Questo progetto educativo sostiene che, «nel contesto della globalizzazione, occorre formare soggetti capaci di rispettare l'identità, la cultura, la storia, la religione e soprattutto le sofferenze e i bisogni altrui, nella consapevolezza che "tutti siamo veramente responsabili di tutti"» (Congregazione per l'educazione cattolica, Educare insieme nella scuola cattolica, 18 settembre 2007, n. 44). In questo contesto, diviene particolarmente urgente offrire ai giovani un percorso di formazione scolastica che non si riduca all'utilizzazione individualistica e istituzionale di un servizio che avrebbe come fine solo l'ottenimento di un diploma. L'immenso vantaggio di questo progetto educativo è che già esiste in pratica nel mondo, ricco di tutta una storia e di un potere d'immaginazione e di creatività. Nonostante le effettive difficoltà economiche e politiche, questo progetto educativo è corresponsabile dello sviluppo sociale e culturale delle diverse comunità e dei popoli, di cui la scuola cattolica fa parte, condividendo le loro gioie e le loro speranze, le loro sofferenze, le loro difficoltà e il loro impegno per un autentico progresso umano e comunitario. In questa prospettiva, occorre menzionare il prezioso contributo che questo tipo di educazione integrale offre allo sviluppo spirituale e materiale dei popoli più bisognosi, mettendosi al loro servizio (cfr. Ibidem, n. 5.). Esperienze, come quella messa in atto dai Fratelli delle Scuole Cristiane in Camerun con il programma Eva (Educazione alla vita e all'amore per evitare l'Aids), mostrano tutta l'ampiezza che può assumere questa educazione integrale: si tratta qui di educare i giovani nel loro comportamento sessuale in conformità con gli assi centrali dell'azione mondiale e regionale, tenendo conto del contesto psicoaffettivo, sociale, culturale, religioso e familiare.

Perché questa educazione integrale possa permettere ai bambini e ai giovani non solo di acquisire una maturità umana, morale e spirituale, ma anche di impegnarsi nella trasformazione della società, la Chiesa cattolica invita profondamente a riflettere sull'antropologia che la sottende: «Si vuole dimenticare che l'educazione presuppone e coinvolge sempre una determinata concezione dell'uomo e della vita. Alla pretesa neutralità scolastica corrisponde, il più delle volte, la pratica rimozione, dal campo della cultura e dell'educazione, del riferimento religioso. Una corretta impostazione pedagogica è invece chiamata a spaziare nel territorio più decisivo dei fini, ad occuparsi non solo del "come", ma anche del "perché", a superare il fraintendimento di una educazione asettica, a ridare al processo educativo quella unitarietà che impedisce la dispersione nei rivoli delle diverse conoscenze e acquisizioni e mantiene al centro la persona nella sua identità globale, trascendente e storica» (Congregazione per l'educazione cattolica, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, 28 dicembre 1997, n. 10). Non si può educare l'uomo quando, per esempio, lo si riduce a un'antropologia derivata da una concezione secondo la quale l'uomo non è che libertà, decisione, soggettività, separate dalla trascendenza e dalla verità. Non si può educare un essere umano quando non si riesce ad articolare l'uguaglianza dei soggetti nel rispetto delle loro differenze culturali.

Nell'area culturale occidentale, i filosofi sono spesso incapaci di comprendere l'uguaglianza nella differenza; l'uguaglianza dei sessi è esemplare di questa difficoltà. Ma non si può dire altrettanto della Bibbia e del messaggio trasmesso dalla Chiesa. Il testo fondatore che contiene «le verità fondamentali dell'antropologia», come notava Papa Giovanni Paolo ii in Mulieris dignitatem, n. 6, è in questo caso quello della Genesi: «E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1, 27). La definizione dell'essere umano è percettibile solo nel riconoscimento e nel rispetto della differenza fra i due sessi. Questa differenza radicata biologicamente non è una mera delimitazione, ma ha piuttosto un senso per la persona stessa. L'uomo e la donna sono allo stesso livello, entrambi creati a immagine di Dio. La fede cristiana nutre dunque la convinzione che nessuno potrà mai negare a un essere umano, uomo o donna, il valore costitutivo che Dio gli ha concesso e che non gli toglierà mai. Esso garantisce i diritti dell'uomo grazie al suo riferirsi all'amore divino che ci fonda e che ci ricrea sempre.

Concludendo, questa educazione integrale, che è l'accesso dell'uomo alla sua piena umanità, è una via impegnativa ma necessaria. È «una necessità primordiale per la lotta contro la povertà», affinché l'economia sia al servizio dell'uomo. L'educazione è una priorità, ma deve essere integrale poiché «non basta una formazione tecnica e scientifica» per educare «uomini e donne responsabili nella loro famiglia e a tutti i livelli della società» (cfr. Benedetto xvi, Discorso ai nuovi Ambasciatori presso la Santa Sede, 13 dicembre 2007).

L'educazione integrale è a tale titolo un cantiere aperto, difficile e necessario.

- Un cantiere aperto perché deve essere un evento, un approccio sistematico che aiuti a vivere l'educazione come incontro dialogico con altre persone (del passato e del presente) e con altre culture, e non solo come istruzione e apprendimento dei dati fissati.

- Un cantiere difficile poiché implica un approccio critico rispetto alla selezione del sapere insegnato e ai rapporti con tale sapere. Le diverse discipline non presentano solo conoscenze da acquisire ma anche valori da assimilare e verità da scoprire.

- Un approccio critico rispetto all'interpretazione dei valori fondamentali delle società occidentali secolarizzate. Il diritto della persona a ricevere un'educazione adeguata secondo la sua libera scelta deve essere garantito.

- Un approccio critico, infine, rispetto alla natura sociale dello spazio scolastico. La comunità educativa, presa globalmente, è chiamata a promuovere l'obiettivo di una scuola come ambito di formazione integrale attraverso la relazione interpersonale e la responsabilità.

- È anche un cantiere necessario, poiché la corrente di riflessione sull'educazione integrale si fa carico in particolare della contraddizione, patente nella vita politica ma poco pensata nel campo educativo, fra, da un lato, le tensioni identitarie e le discriminazioni e, dall'altro, i valori della comunione all'interno del corpo sociale e politico. È dunque una delle correnti che può alimentare la riflessione, oggi molto ricca, sull'educazione alla cittadinanza.

Grazie per la vostra attenzione.

23/11/2009 16:27
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COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM": VISITA DELL’EM.MO CARD. PAUL JOSEF CORDES ALLA CONFERENZA EPISCOPALE AUSTRALIANA


Su invito della Conferenza Episcopale Australiana, il Cardinale Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum", dicastero della Santa Sede responsabile per l’orientamento delle agenzie cattoliche di carità, sarà in Australia dal 22 al 29 novembre 2009 per incontrare i Vescovi riuniti a Sydney in occasione dell’Assemblea plenaria.

Lo scopo della visita è di rafforzare la testimonianza della Chiesa Cattolica nell’ambito della carità. Il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto della missione della diakonia ecclesiale un punto centrale del suo magistero; tale servizio, unito all’annuncio della Parola di Dio e alla celebrazione dei sacramenti, manifesta la natura più intima della Chiesa. Il Cardinale Cordes rifletterà insieme ai Pastori sugli insegnamenti dell’Enciclica Deus caritas est, alla luce delle varie esperienze delle chiese locali.

Nel corso del suo viaggio, il Cardinale Cordes affronterà il tema delle differenti dimensioni della carità anche in incontri con sacerdoti, seminaristi, operatori delle associazioni caritative e alcuni rappresentanti di associazioni laicali. Terrà inoltre una conferenza sull’Enciclica Caritas in veritate presso l’Università Cattolica Australiana.

26/11/2009 15:42
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COMUNICATO: SESSIONE PLENARIA ANNUALE DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

La Commissione Teologica Internazionale, presieduta da Sua Eminenza il Cardinale William Levada, terrà la prima Sessione plenaria annuale del nuovo quinquennio dal 30 novembre al 4 dicembre 2009 presso la "Domus Sanctae Marthae" in Vaticano, sotto la direzione del Rev.do Padre Charles Morerod, O.P., Segretario Generale.

La Commissione, che celebra quest’anno il quarantesimo anniversario della sua creazione da parte del Papa Paolo VI, deciderà innanzitutto i temi che saranno trattati in questo nuovo quinquennio nonché l’organizzazione concreta dei lavori. Fra i temi che il Cardinale Presidente ha chiesto ai membri di prendere in considerazione vi è l’importante questione della metodologia teologica, sulla quale si era già riflettuto durante il precedente quinquennio.

Durante la settimana di lavori i membri della Commissione Teologica Internazionale saranno invitati a partecipare ad una Santa Messa celebrata dal Santo Padre nel Palazzo Apostolico.

26/11/2009 15:42
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL VENTENNALE DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

Alle ore 11.30 di oggi, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del ventennale della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa.

Intervengono S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa; il Rev.mo P. Ab. Michael John Zielinski, O.S.B. Oliv, Vice-Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e il Prof. Francesco Buranelli, Segretario della medesima Pontificia Commissione.

Di seguito ripotiamo il testo dell’intervento del Prof. Francesco Buranelli:


INTERVENTO DEL PROF. FRANCESCO BURANELLI

Custodiri et conservari oportet...competentibus curatoribus committantur...

Dovranno essere custoditi e conservati...affidati a competenti curatori...

1989 – 2009. Vent’anni, più che uno scarto generazionale e – come accade in queste felici circostanze – si tirano le somme del lavoro svolto, si focalizzano gli obiettivi raggiunti, si ricordano i successi ottenuti, ma soprattutto si analizzano le problematiche che i nuovi tempi impongono e si individuano le soluzioni da mettere in atto per continuare nel cammino segnato da Chi, appunto vent’anni or sono, ebbe la lungimirante visione culturale di istituire una struttura cui affidare la protezione dei tesori della Chiesa nel mondo.

Sono questa lungimiranza e i successivi anni di appassionato lavoro e confronto, che la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa intende celebrare, oggi in occasione del suo primo ventennale di attività, in un dibattito aperto e costruttivo.

Dopo il saluto introduttivo del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, i lavori – presieduti dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi, Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa – verranno svolti da due eminenti studiosi. Il vescovo di Würzburg, Mons. Friedhelm Hofmann (già membro della Pontificia Commissione) e il Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, prof. Salvatore Settis, i quali presenteranno – dal punto di vista dell’esperienza ecclesiastica e laica – un primo bilancio sull’attività svolta dalla Pontificia Commissione nella tutela, nella conservazione e nella valorizzazione dell’incommensurabile patrimonio dei beni culturali della Chiesa, nonché sull’impatto dell’azione di promozione nell’ambito della cultura contemporanea.

Fu Giovanni Paolo II con la Costituzione apostolica sulla Curia Romana Pastor Bonus del 28 giugno 1988, ad avere la felice intuizione di istituire la "Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa", che di fatto l’anno successivo avviò la propria attività. Dopo pochi anni, il 25 marzo 1993, col motu proprio Inde a Pontificatus, lo stesso pontefice la rinominò Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e le confermò il fondamentale e complesso «compito di presiedere alla tutela del patrimonio storico ed artistico di tutta Chiesa», intendendo per tale non solo «tutte le opere di qualsiasi arte del passato, che dovranno essere custodite e conservate con la massima diligenza», ma anche il patrimonio storico e «tutti i documenti e strumenti giuridici che riguardano ed attestano la vita e la cura pastorale» riconoscendo alla Pontificia Commissione un’azione universale, culturale e religiosa, come universale è il ruolo della Chiesa nel mondo.

È proprio il valore dell’universalità a sottolineare l’eccezionalità della Pontificia Commissione che, con una caratteristica che la accomuna ai grandi organismi internazionali (quali ad es., l’UNESCO), non è un Dicastero di tutela legato a limiti territoriali o statali, ma assolve alla vocazione propria della Chiesa, di conservare, proteggere e valorizzare ogni bene culturale riconosciuto come patrimonio identitario della cristianità.

La Chiesa di Roma, come sottolineato dal Concilio Vaticano II, «è stata sempre amica delle arti liberali ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente perché le cose appartenenti al culto sacro fossero veramente degne, decorose e belle» (Sacrosanctum Concilium 122) e si è sempre preoccupata di tutelare e valorizzare il proprio patrimonio culturale attraverso istituzioni a livello universale e locale intese a curarlo e promuoverlo in relazione alle finalità pastorali.

Questa sensibilità e consapevolezza della Chiesa ha avuto la necessità, nei secoli recenti di essere "calata" nella diversificata realtà di popoli, culture e situazioni che nelle più varie aree geografiche e contesti sociali, non partecipavano alla tradizione culturale, tutta "romana", della tutela.

Per questo la gestione dei beni culturali ecclesiastici si è organizzata secondo la struttura gerarchica della Chiesa: a livello di Chiesa universale è competente questa Pontificia Commissione; le Conferenze Episcopali sono a loro volta invitate a istituire un Ufficio Nazionale per i Beni Culturali della Chiesa, o altro organismo analogo, allo scopo di fornire il necessario supporto logistico alle Diocesi. Per parte loro, i Vescovi devono mettere in atto, attraverso un apposito Ufficio Diocesano per i Beni Culturali, le azioni necessarie alla tutela, alla conservazione, alla valorizzazione pastorale dei beni.

Si tratta di una attività quotidiana e serrata che, attraverso i rapporti con le Conferenze episcopali, le Associazioni di settore (archivisti, bibliotecari, conservatori di musei ecclesiastici, ecc.) e i singoli Ordinari diocesani costituisce il principale impegno della Pontificia Commissione. Particolare rilevanza è stata data alla preparazione di documenti di indirizzo e di orientamento, nei quali al pensiero teorico ed allo sviluppo di metodologie si sono affiancati suggerimenti operativi.

Ricordo, solo a titolo di esempio, i testi sulla Formazione dei futuri presbiteri all'attenzione verso i beni culturali della Chiesa (15 ottobre 1992); Le biblioteche ecclesiastiche nella missione della Chiesa (19 marzo 1994); I beni culturali degli Istituti religiosi (10 aprile 1994); La funzione pastorale degli archivi ecclesiastici (2 febbraio 1997); La Necessità e urgenza dell'inventariazione e catalogazione dei beni culturali della Chiesa (8 dicembre 1999), La funzione pastorale dei musei ecclesiastici (29 giugno 2001). e infine L’inventariazione dei beni culturali degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica: alcuni orientamenti pratici (15 settembre 2006).

Particolare cura è stata poi prestata nei contatti con gli Organismi internazionali al fine di provvedere sia alla conservazione dei beni culturali della Chiesa sia alla loro valorizzazione. L’obiettivo principale che caratterizza la partecipazione della Santa Sede agli Organismi internazionali (UNESCO, Consiglio d’Europa, ICCROM, ICOMOS, ecc.) consiste nel diffondere una sempre maggiore consapevolezza del ruolo e del valore specifico del patrimonio culturale religioso, particolarmente di quello cristiano, all’interno del patrimonio culturale di ogni nazione e di conseguenza nel patrimonio mondiale dell’umanità.

Ad essa spetta infine, ed è dichiarazione di grande momento, di «impegnarsi perché il Popolo di Dio diventi sempre più consapevole dell’importanza e della necessità di conservare il patrimonio storico e artistico della Chiesa».

L’azione dei due primi Presidenti della Pontificia Commissione, l’ispiratore cardinale Francesco Marchisano (in carica dalla fondazione al 2003) e il suo successore mons. Mauro Piacenza (dal 2003 al 2007), rivoltasi dapprima al disegno della struttura ed alle attribuzioni di competenze, si è poi concretizzata nella fondamentale opera di formazione del personale religioso, nonché nella promozione delle attività propedeutiche alla tutela quali la catalogazione e l’inventariazione del patrimonio e l’istituzione di musei, archivi e biblioteche diocesane.

Grazie a questa straordinaria mole di lavoro svolta negli anni passati, oggi, sotto la vigorosa guida dell’attuale presidente, mons. Gianfranco Ravasi, ci troviamo nell’entusiasmante situazione di poter proseguire sia nella conservazione di quanto ci è stato tramandato nei secoli e, contemporaneamente, di volgere di nuovo l’attenzione al futuro dell’arte.

La stampa e l’opinione pubblica internazionale, negli ultimi tempi, hanno prestato molta attenzione alla annunciata partecipazione, nel 2011, della Santa Sede alla LIV Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia con un Padiglione promosso dalla Pontificia Commissione; le opinioni più diverse, a favore o contro l’iniziativa, sono già state espresse apertamente o fatte velatamente trapelare, ma sostanzialmente la notizia è stata accolta con grande favore: è sembrato, infatti, comune sentire che fosse ormai maturo il momento per la Chiesa di assumere nuovamente, con coraggio, il ruolo di ispirazione e committenza che ne ha per secoli caratterizzato l’opera evangelizzatrice.

Da qui la Chiesa dovrà partire per cimentarsi di nuovo in quel dialogo con l’arte e sull’arte che l’ha vista per secoli al centro del dibattito culturale e che è sembrato affievolirsi - fino a perdersi in rivoli di banalizzazione o dissenso - nel corso dei due secoli appena trascorsi.

Il confronto fra la Chiesa e gli artisti ha vissuto in questi ultimi decenni momenti di nuovo e intenso slancio, non a caso coinciso con il grande rinnovamento teologico e liturgico iniziato nel secondo dopoguerra, culminato nel Concilio Vaticano II, e favorito con consapevolezza e lungimiranza dagli ultimi Pontefici da Pio XII fino al recentissimo emozionante incontro di SS. Benedetto XVI con gli artisti, avvenuto lo scorso 21 novembre sotto il severo sguardo del Cristo Giudice in Cappella Sistina. Si colmava, in quell’occasione un vuoto che era la triste conseguenza dell’interruzione del vibrante e costruttivo dialogo che la Chiesa aveva instaurato con l’arte contemporanea fin dagli albori dell’arte paleocristiana. Il distacco rischiava di dilatarsi oltre misura, fino a fare di Chiesa ed arte due antagonisti; per questo i Papi del XX secolo intervennero.

Paolo VI – uomo di grande sensibilità e conoscitore approfondito di arte e musica, che sentiva personalmente e profondamente la necessità di un continuo confronto con gli artisti – riprese il dialogo interrotto; successivamente Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del 2000, approfondì nella sua "Lettera agli Artisti", pubblicata il giorno di Pasqua del 4 aprile 1999, il tema del dialogo tra l’arte ed il sacro: ancora una volta un Pontefice Romano tornava a proporre agli artisti i grandi temi di Dio, dell’Uomo, della Bellezza.

Nessuna commemorazione degli antichi fasti, nessuna dotta citazione di munifiche committenze, solo il riconoscimento di incomprensioni e la richiesta, da amico ad amico, di rinnovare un rapporto di affetto e di fiducia.

Si tratta per la Chiesa – ed è questo lo sforzo che sta compiendo oggi, facendo propri gli insegnamenti di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa – di non avere più paura di questa amicizia, di accettare ancora una volta il carattere specifico dell’arte in Occidente, scaturita anche dal suo seno, di voler cercare Dio a partire dalla propria coscienza di Uomo, nel rispetto della sensibilità e della cultura di ciascun artista.

Dove porta questo discorso? Innanzitutto a un’espansione necessaria del problema, ad un coinvolgimento ecclesiale che non si limiti all’ascolto della autorevole iniziativa dei Pontefici, ma che di essa faccia tesoro e spinga le Istituzioni religiose a operare in iniziative di formazione e di stimolo perché ciò che è stato un movimento "dall’alto", diventi operativo anche nella "base", perché dall’ispirazione delle parole del Magistero nasca una nuova stagione artistica per la Chiesa intera.

Questo significa attenzione delle Chiese particolari per gli artisti presenti nel proprio territorio, il "costituirsi" di commissioni diocesane di arte religiosa contemporanea che si affianchino alle doverose iniziative di conservazione e valorizzazione dell’arte del passato nei musei diocesani. Significa creare le condizioni perché l’artista, accompagnato, ma non prevaricato, nell’acquisizione di un linguaggio coerente ed unitario e di una sintassi intelligibile, possa approdare alla Teologia, alla conoscenza profonda dei riti e simboli cristiani, ed entrando in una chiesa sappia percepire qual è il "sacro" che la sua arte è chiamata a far vivere nel cuore dei credenti.

Solo in questo modo la committenza ecclesiastica potrà uscire dalle facili scorciatoie delle produzioni "seriali", e gli artisti si sentiranno nuovamente provocati dal tema del rapporto con l’Inesprimibile e potranno, confrontandosi con il tema forse più alto che la mente umana abbia concepito, crescere nel loro cammino d’arte.

Nell’antica tradizione, nei fatti recenti, nelle parole di grandi Pontefici, si trovano, dunque, i presupposti per comprendere il passo della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa verso la Biennale d’Arte di Venezia del 2011, un nuovo appuntamento in quel complesso e non sempre facile percorso che permetterà attraverso spunti di riflessione e di confronto tra artisti e teologi di sviluppare un tessuto connettivo di immagini e simboli che consenta alla nostra società di tornare ad essere consapevole delle proprie radici culturali e di riacquisire la capacità di vedere l’invisibile.

27/11/2009 15:59
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JOINT COMMUNIQUÉ OF THE BILATERAL PERMANENT WORKING COMMISSION BETWEEN THE HOLY SEE AND THE STATE OF ISRAEL (25-26 NOVEMBER 2009)


La Commissione Bilaterale Permanente del Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele si è incontrata il 25 e 26 novembre 2009 per continuare il suo lavoro su un Accordo in conformità all’Articolo 10 § 2 del "Foundamental Agreement"del 1993 tra le due Parti.

Gli utili colloqui si sono tenuti in preparazione della Riunione plenaria della Commissione, che avrà luogo il 10 dicembre, in Vaticano.

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