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Documenti emanati dai dicasteri e da altri organismi della Curia Romana e della Santa Sede durante il pontificato di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 25/02/2013 19:30
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11/10/2010 15:25
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA "RELAZIONE PRIMA DELLA DISCUSSIONE" (RELATIO ANTE DISCEPTATIONEM) DELL’ASSEMBLEA SPECIALE PER IL MEDIO ORIENTE DEL SINODO DEI VESCOVI

Questa mattina, alle ore 12.45, nell’Aula "Giovanni Paolo II" della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la Conferenza Stampa di presentazione della "Relazione prima della discussione" (Relatio ante disceptationem) dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

Intervengono: S.B. Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti (Egitto), Relatore Generale; S.E. Mons. Béchara Raï, O.M.M., Vescovo di Jbeil, Byblos dei Maroniti (Libano).











Relazione del Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi
Durante la prima Congregazione generale




CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 11 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la relazione presentata dal Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, monsignor Nikola Eterović, questo lunedì mattina durante la prima Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente.



www.zenit.org/article-24047?l=italian

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Interventi per la seconda Congregazione generale dell'11 ottobre


CITTA' DEL VATICANO, martedì, 12 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le relazioni sui continenti e gli interventi pronunciati questo lunedì pomeriggio nella seconda Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.



www.zenit.org/article-24066?l=italian












BRIEFING DI PRESENTAZIONE DELLA LETTERA APOSTOLICA "MOTU PROPRIO" UBICUMQUE ET SEMPER DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CHE ISTITUISCE IL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, S.E. Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione, tiene un briefing di presentazione della Lettera Apostolica "Motu proprio" Ubicumque et semper del Santo Padre Benedetto XVI che istituisce il nuovo Pontificio Consiglio.
Pubblichiamo di seguito l’intervento di S.E. Mons. Rino Fisichella:


INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA

Uno dei tratti peculiari del cristianesimo è la sua concezione di essere profondamente inserito nella storia. Le parole di Gesù ai suoi discepoli quando ricorda loro di essere nel mondo, ma di non essere del mondo (cfr Gv 15,19; 17,13-14), sono state interpretate come un impegno fondamentale a condividere le vicende della storia, pur sapendo che l'obiettivo ultimo che da significato pieno agli avvenimenti, va oltre la storia stessa. Proprio su questo tema, tra l'altro, è facile rilevare un insegnamento tra i più conosciuti del concilio Vaticano II, il quale ha voluto sottolineare con maggior forza del passato il concetto di storia della salvezza. Questa premessa consente di comporre una riflessione dinanzi alla Lettera Apostolica, Ubicumque et semper, con la quale il Santo Padre istituisce il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Anzitutto, siamo grati a Papa Benedetto XVI per questa intuizione profondamente profetica. Essa è in grado di saper guardare con realismo al presente della Chiesa, per prospettarle un cammino che la impegnerà non poco nel prossimo futuro. Viviamo un tempo di gradi sfide, che incidono non poco nei comportamenti di intere generazioni, dovute al fatto della conclusione di un'epoca con l'ingresso in una nuova fase per la storia dell'umanità. A tanti elementi positivi, che consentono di vedere un impegno più coerente nella vita di fede - dovuto anche ad una conoscenza più profonda dei suoi contenuti - corrispondono non di rado forme di "distacco dalla fede" come conseguenza di una diffusa forma di indifferenza religiosa, preludio per un ateismo di fatto. Spesso la mancanza di conoscenza dei contenuti basilari della fede porta, inevitabilmente, ad assumere comportamenti e forme di giudizio morale spesso in contrasto con l'essenza stessa della fede, così come è stata sempre annunciata e vissuta nel corso dei venti secoli della nostra storia. Il relativismo, di cui Papa Benedetto ha sempre denunciato i limiti e le contraddizioni, proprio in vista di una corretta antropologia, emerge come la nota caratteristica di questi decenni segnati sempre più dalle conseguenze di un secolarismo teso ad allontanare il nostro contemporaneo dalla sua relazione fondamentale con Dio. In questo senso, sono soprattutto le Chiese di antica tradizione che risentono di questa condizione, anche se nel processo di globalizzazione in cui siamo inseriti nessuno sembra sfuggire a questa drammatica situazione che, per riprendere le parole della Lettera apostolica, crea un "deserto interiore", allontanando l'uomo da se stesso. Al principio secolarista di vivere nel mondo etsi deus non daretur, l'allora cardinale J. Ratzinger aveva opposto il principio di vivere nel mondo veluti si Deus daretur.

E' questo uno dei motivi che ha portato Papa Benedetto alla creazione di un dicastero con il compito di promuovere la nuova evangelizzazione. Essa, come ben afferma il titolo stesso del Motu proprio, è la missione che "sempre e dovunque" la Chiesa ha sentito come suo compito fondamentale per corrispondere in pieno al comando del Signore di andare in tutto il mondo e fare suoi discepoli tutti i popoli della terra. Il tema della nuova evangelizzazione è stato oggetto di attenta riflessione da parte del magistero della Chiesa negli ultimi decenni. È obbligatorio ricordare la Evangelii nuntiandi di Paolo VI, a conclusione del Sinodo sull'evangelizzazione del 1974, i ripetuti e insistenti interventi di Giovanni Paolo II che volle introdurre la stessa espressione di "nuova evangelizzazione" e, da ultimo, Benedetto XVI che ha voluto raccogliere il testimone compiendo un ulteriore passo concreto con l'istituzione di questo Pontificio Consiglio. L'obiettivo appare da subito come una grande sfida che viene a porsi per la Chiesa intera nel dover riflettere e trovare le forme adeguate per rinnovare il proprio annuncio presso tanti battezzati che non comprendono più il senso di appartenenza alla comunità cristiana e sono vittima del soggettivismo dei nostri tempi con la chiusura in un individualismo privo di responsabilità pubblica e sociale. Il Motu proprio, più direttamente, individua le Chiese di antica tradizione che, pur con una realtà tra loro ben differenziata per tradizione e cultura richiedono un rinnovato spirito missionario in grado di far compiere quel balzo necessario per corrispondere alle nuove esigenze che la situazione storica contemporanea richiede. In questo senso, il compito che ci attende non è diverso da quello che ha segnato la Chiesa da sempre: far conoscere il vero volto di Gesù Cristo, unico salvatore, rivelatore dell'amore misericordioso del Padre che va incontro a tutti senza escludere nessuno. Nel mistero della sua incarnazione egli porta a compimento la promessa antica di Dio e nella sua morte e risurrezione ha posto nel mondo il germe di quella speranza che non delude perché risponde all'esigenza dell'intimo di ogni persona di dare senso alla propria vita, fondandosi non sulle ipotesi peregrine del momento, ma sulla certezza che proviene dalla fede. La Chiesa, quindi, è chiamata a rinvigorire se stessa in ciò che ha di più essenziale quale il suo annuncio missionario. Lo potrà fare in maniera efficace nella misura in cui si fonderà sulla Parola di Dio che deve trasmettere in maniera viva di generazione in generazione, permettendo a tutti di compiere una vera esperienza di vita ecclesiale, fondamento per una genuina risposta di fede. Come attesta Ubicumque et semper, la "nuova evangelizzazione" non è una formula uguale per tutte le circostanze. Anzitutto, non è una formula più o meno fortunata. Essa indica molto di più; impegna, infatti, a elaborare un pensiero forte in grado di sostenere un'azione pastorale corrispondente. Inoltre, deve essere in grado di verificare con attenzione le differenti tradizioni e obiettivi che le Chiese possiedono in forza della ricchezza di tanti secoli di storia. Una pluralità di forme che non intacca l'unità, ma la rende più articolata e ne permette la dovuta efficacia presso il nostro contemporaneo.

Una parola sulle competenze del nuovo dicastero potrà aiutare a comprendere meglio le sue finalità e il lavoro che sarà chiamato a svolgere. Dovremo evitare, anzitutto, che "nuova evangelizzazione" risuoni come una formula astratta. Dovremo riempirla di contenuti teologici e pastorali e lo faremo forti del magistero di questi ultimi decenni. Una prima sistematizzazione di questo insegnamento evidenzierà l'attenzione permanente alla problematica e la ricchezza degli approcci che di volta in volta si sono susseguiti. Insieme a questo, sono da considerare le tante iniziative con le quali nel corso di questi anni i singoli vescovi con le loro Chiese particolari, le Conferenze episcopali e associazioni di credenti hanno assunto per la sensibilità propria al tema della nuova evangelizzazione. Una conoscenza e un coordinamento di queste preziose iniziative potrà essere prodromo per ulteriori attività del Dicastero. Nel 2012 ricorrerà il ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Tra le competenze che vengono affidate al Dicastero risulta essere qualificante quella di "promuovere" il suo uso. Il Catechismo, infatti, risulta essere uno dei frutti più maturi delle indicazioni conciliari; in esso viene raccolto in modo organico l'intero patrimonio dello sviluppo del dogma e rappresenta lo strumento più completo per trasmettere la fede di sempre dinanzi ai costanti cambiamenti e interrogativi che il mondo pone ai credenti. Trovare tutte le forme che il progresso della scienza della comunicazione ha realizzato per farle diventare strumenti positivi a servizio della nuova evangelizzazione è, infine, un compito che tocca da vicino il dicastero, consapevoli del ruolo determinante che i mezzi di comunicazione hanno nel veicolare la cultura e la mentalità nel contesto attuale.

Viviamo nella storia e le date hanno un loro significato. Anche il nuovo dicastero guarda con attenzione ad alcune date che lo riguardano da vicino per la valenza simbolica che possiedono. Il Santo Padre ha dato l'annuncio di voler istituire il Pontificio Consiglio nei Vespri solenni dei Santi Pietro e Paolo, le colonne della Chiesa, che con il loro annuncio e martirio hanno reso efficace testimonianza a Gesù Cristo. Questa Lettera Apostolica, con la quale il dicastero viene istituito, è stata firmata nel giorno di san Matteo, apostolo ed evangelista. Queste ricorrenze ci portano a considerare la fedeltà al successore di Pietro e l'impegno che dobbiamo porre nel rendere il Vangelo una parola di salvezza per il nostro contemporaneo. Il Vangelo non è un mito, ma la testimonianza viva di un evento storico che ha cambiato il volto della storia. La nuova evangelizzazione deve far conoscere, anzitutto, la persona storica di Gesù, e il suo insegnamento così come è stato fedelmente trasmesso dalla comunità delle origini e che trova nei vangeli e negli scritti del Nuovo Testamento la sua codificazione normativa. Oggi, infine, ricorre per il Vaticano la memoria liturgica della Vergine Maria Madre della Chiesa. Non è senza tremore che affidiamo a Lei, stella dell'evangelizzazione, la grande missione che il Papa ci ha affidato perché possa sostenere l'opera della Chiesa nel suo costante annuncio del Vangelo a ogni persona che incontriamo nel nostro cammino.











13/10/2010 00:46
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La Santa Sede all'Onu su pace, diritti umani e povertà



ROMA, martedì, 12 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'intervento pronunciato il 6 ottobre dall'Arcivescovo Francis Chullikatt, Nunzio apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, in occasione della sessantacinquesima sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, sul tema «Articolo 108»: rapporto del segretario generale sull'opera dell'Organizzazione.

* * *

Presidente,

lo scorso anno si è verificato un aumento del numero delle sfide sia presso le Nazioni Unite sia nella più vasta comunità globale, ma la mia delegazione continua a sperare che questa organizzazione risponda alle proprie responsabilità, sancite nella sua Carta, e si impegni a svolgere un'azione decisiva nel mettere in pratica i suoi propositi così come sono enunciati nel dettaglio nell'articolo i. Sebbene la crisi internazionale economica e finanziaria cominci a mostrare segni di ripresa, ancora oggi molti dei più poveri della società sono esclusi dai benefici di tale ripresa e altri sessantaquattro milioni di persone saranno ridotti in stato di povertà estrema entro la fine di questo anno. Questa sfida esige che la comunità internazionale sia di nuovo attenta a ritornare ad autentici programmi umanitari e sistemi finanziari che pongano la persona al proprio centro piuttosto che al loro servizio.

La crisi finanziaria si è dimostrata una sfida crescente per i Paesi industrializzati a trovare risorse finanziarie per soddisfare i loro impegni ufficiali di aiuto allo sviluppo, fornendo anche programmi per ricostruire e rinnovare i loro mercati finanziari e occupazionali. Sebbene la sfida sia reale, non sarebbe un ostacolo insormontabile se le nazioni spostassero le risorse da programmi volti a distruggere a quelli che, invece, promuovono, la vita e lo sviluppo. Di fatto questo compito spetta ai membri di questa nobile organizzazione.

Nel 2007, 1,3 trilioni di dollari sono stati impiegati in tutto il mondo per armi e per altre spese militari. Questa capacità infinita di trovare fondi per programmi militari evidenzia ancora una volta la necessità che i singoli individui e i responsabili governativi rivedano le proprie priorità e i propri impegni finanziari.

Queste spese sono ancora più inquietanti se prendiamo in considerazione che, in tutto il mondo, più di 1,4 miliardi di persone vivono con meno di 1,25 dollari al giorno, anche se vi si potrebbe portare rimedio, che l'educazione primaria universale è ancora inaccessibile, anche se potrebbe esserlo e che l'accesso all'acqua potabile e alla sanità continua a essere interdetto anche se potremmo renderlo possibile. A metà del cammino che ci separa dalla meta ambiziosa del 2015, mentre discutiamo della necessità di trovare fonti adeguate di finanziamento per gli Mdgs, dobbiamo riconoscere l'urgenza di spostare le risorse finanziarie dai programmi militari a quelli che ricercano uno sviluppo sostenibile di lungo periodo.

Queste spese dimostrano, infatti, che lo sviluppo, la pace e la sicurezza sono intrinsecamente legati fra loro. Sebbene gli sforzi delle Nazioni Unite per impegnarsi in una diplomazia preventiva e reagire alle crisi abbiano sortito risultati positivi, questi ultimi si riveleranno soltanto temporanei se i responsabili governativi e gli organismi delle Nazioni Unite non vorranno trovare modalità per adempiere alla propria responsabilità di proteggere tutte le nazioni e attribuire loro una voce efficace per il miglioramento di tutti i membri della famiglia umana. La natura sempre più interconnessa della comunità internazionale richiede un'autorità politica internazionale che sia in grado di orientare la cooperazione internazionale e di rispondere alla crisi economica e «per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell'ambiente e per regolamentare i flussi migratori» (Caritas in veritate, n. 67). Quest'organismo deve essere regolato dai principi di leggi eque, sussidiarietà, solidarietà e dalla ricerca del bene comune, impegnandosi, nello stesso tempo, a garantire uno sviluppo umano integrale autentico e ispirato dai valori della carità nella verità, una verità che rispetti ogni membro della famiglia umana.

Presidente,

promuovere lo sviluppo umano ed economico e una maggiore cooperazione fra gli Stati richiede anche un impegno per diritti umani fondamentali e autentici che rispettino la vera natura della persona umana. Fra questi diritti, il principale è quello fondamentale alla vita. Politiche demografiche e servizi sanitari che non riconoscono il diritto alla vita e il diritto di fondare e a alimentare una famiglia minano la dignità intrinseca della persona umana. I concetti di salute riproduttiva e di diritti sessuali che implicano l'accesso all'interruzione di gravidanza o altre forme di servizio o di ricerca che distruggono la vita promuovono la logica errata di una cultura della morte invece di quella basata sul rispetto, sull'accoglienza della vita e ancor meglio su un futuro sostenibile per l'umanità.

Inoltre, i diritti umani devono riconoscere la natura intrinsecamente sociale e spirituale della persona e rispettare il diritto dei singoli individui di praticare liberamente il proprio culto. La libertà religiosa è più della mera tolleranza della religione o di credi religiosi e implica anche la libertà di praticare il culto e di esprimere pubblicamente la propria fede nella società. In questa luce, l'intolleranza religiosa e la violenza perpetrata in nome della religione o di Dio devono essere condannate. È quindi importante che concetti come quello della diffamazione delle religioni siano riesaminati per garantire che l'intolleranza religiosa e l'incitamento alla violenza siano giustamente condannati senza ostacolare il diritto a una libertà religiosa autentica di beneficio per tutti.

Inoltre, l'estensione a livello universale della capacità umana di provvedere gli uni agli altri è uno strumento importante per permettere alle persone di tutto il mondo di divenire fratelli e sorelle. A questo proposito, la mia delegazione esorta alla solidarietà universale a favore di quanti sono più bisognosi. Oggi, le emergenze internazionali ricevono assistenza economica e tecnica da tutto il mondo. Come dimostra la reazione al terremoto ad Haiti e alle inondazioni in Pakistan, la comunità internazionale, quando ben intenzionata a impegnarsi, può trasformare il mondo in un posto più piccolo in grado di prendersi cura di persone in ogni area del globo. Nel coordinare queste reazioni, il sistema delle Nazioni Unite e i responsabili politici delle nazioni svolgono un ruolo importante nel garantire che gli aiuti raggiungano quanti sono più bisognosi e nella maniera più efficace possibile. Tuttavia, questo coordinamento deve anche riconoscere il ruolo particolare delle organizzazioni locali basate sulla fede, che reagiscono alle situazioni di emergenza. La loro opera e la loro vicinanza nel lungo periodo a una comunità colpita permettono di capire quali sono le necessità della comunità locale e promuovono il rispetto per le abitudini e le tradizioni locali.

Presidente,

le Nazioni Unite hanno contribuito in maniera determinante alla promozione dello sviluppo e di una pace e di una sicurezza maggiori. Tuttavia, questa istituzione deve continuare a rivitalizzare la sua opera per riuscire ancor di più a soddisfare le esigenze future della comunità internazionale in un modo che sia coerente con gli scopi enunciati nella Carta. Sebbene lo scorso anno il sistema delle Nazioni Unite abbia reagito a varie e gravi emergenze umanitarie, la Corte penale internazionale abbia reso definitivo un emendamento sul reato di aggressione, siano stati compiuti progressi sul disarmo nucleare e siano cominciati negoziati sul trattato relativo al commercio delle armi, tutti questi ottenimenti hanno dovuto affrontare l'assenza di un risultato finale da parte della Conferenza sui cambiamenti climatici a Copenaghen, il ritardo nella ripresa economica mondiale, una costante situazione di proliferazione nucleare, che sfida la sicurezza nazionale e globale, e una violenza permanente in molte aree del mondo. La Santa Sede ribadisce il proprio impegno a difesa dei principi e gli ideali che hanno fondato le Nazioni Unite e continuerà a operare per garantire che «l'organizzazione serva sempre di più quale segno di unità fra Stati e strumento di servizio per tutta la famiglia umana».

[Traduzione a cura de L'Osservatore Romano]

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Interventi per la seconda Congregazione generale dell'11 ottobre


CITTA' DEL VATICANO, martedì, 12 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le relazioni sui continenti e gli interventi pronunciati questo lunedì pomeriggio nella seconda Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.


www.zenit.org/article-24066?l=italian







Interventi per la terza Congregazione generale il 12 ottobre (mattina)



CITTA' DEL VATICANO, martedì, 12 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo martedì mattina nella terza Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.



www.zenit.org/article-24069?l=italian

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Interventi per la quarta Congregazione generale il 12 ottobre (pomeriggio)



CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 13 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo martedì pomeriggio nella quarta Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.



www.zenit.org/article-24081?l=italian

14/10/2010 15:06
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Intervento del Rabbino David Rosen al Sinodo per il Medio Oriente
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CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 14 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato questo mercoledì pomeriggio all'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi dal Rabbino David Rosen, consigliere del Gran Rabbinato di Israele, direttore del "Department for Interreligious Affairs of the American Jewish Committee and Heilbrunn Institute for International Interreligious Understanding".



www.zenit.org/article-24098?l=italian











Interventi per la quinta Congregazione generale il 13 ottobre (pomeriggio)


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 14 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo mercoledì pomeriggio nella quinta Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.



www.zenit.org/article-24097?l=italian


15/10/2010 00:40
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Interventi per la sesta Congregazione generale il 14 ottobre (mattina)


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 14 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo giovedì mattina nella sesta Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.



www.zenit.org/article-24108?l=italian






Saluto del Presidente della Repubblica a una delegazione di Padri sinodali

ROMA, giovedì, 14 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo del saluto pronunciato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, questo mercoledì durante la visita al Quirinale di una delegazione dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

* * *



Eminenza Sandri, Monsignori, Beatitudini,
Vi ringrazio profondamente per aver voluto renderci visita e darci testimonianza di un evento molto significativo: possiamo forse dire, senza esagerare, di un evento di portata storica, quale è il Sinodo del Medio Oriente. Avete voluto venire in questo Palazzo nel quale i Presidenti della Repubblica sono gli ultimi arrivati: siamo qui, io e i miei predecessori, soltanto da sessant'anni, dopo che per quasi tre secoli è stata residenza dei Papi.

Ma vorrei subito dirvi che vi ringrazio anche per il vostro "bell'italiano": ho sentito il Patriarca Naguib: io non sarei stato in grado di dialogare con voi in latino perché sono troppo lontani i tempi dei miei studi. Questa conversione dal latino all'italiano è cosa che da Presidente della Repubblica apprezzo profondamente.

Il vostro impegno, se ben intendo, è un impegno di rinnovamento, di rilancio e di valorizzazione della presenza cattolica e più in generale delle comunità cristiane nel Medio Oriente. Ed è un impegno dal quale - sono convinto - può trarre grande beneficio e impulso la causa del pluralismo religioso, la causa del dialogo, la causa della pace in questa regione tormentata. Naturalmente, senza confondere le responsabilità della politica con la responsabilità delle Chiese, credo che ci sia qualcosa di profondamente comune, pur nella distinzione, tra l'impegno di autorità politiche come quelle italiane e l'impegno vostro, soprattutto per la pace.

Nel corso dell'ultimo anno o poco più sono stato in vari paesi della regione: a Gerusalemme per un incontro sia con le autorità israeliane sia con le rappresentanze palestinesi, perché noi siamo sempre profondamente dominati dall'assillo per la soluzione di pace che da troppo tempo viene attesa tra Israele e popolazioni e rappresentanze palestinesi; l'Italia ha sempre operato - e questa è stata una costante della politica estera italiana, al di là del succedersi dei governi - in uno spirito di amicizia con Israele e, nello stesso tempo, in uno spirito di amicizia autentica con i Paesi arabi, per il superamento di quel conflitto affinché si giunga finalmente alla convivenza pacifica, nel mutuo rispetto, dello Stato di Israele e di uno Stato Palestinese indipendente, stabile e prospero.

Non sappiamo se davvero in questa fase si stiano aprendo finalmente delle strade nuove, lo auspichiamo vivamente: opera per questo il nostro governo qui rappresentato dalla sottosegretaria Craxi che proprio nell'ambito del Ministero degli Affari esteri si dedica con particolare passione al perseguimento di questo grande obiettivo. Ci auguriamo che sia così, e che tutti possiamo veramente dare il nostro contributo, perché finalmente si esca da una situazione che non è soltanto di enorme sofferenza in modo particolare per le popolazioni palestinesi, ma di gravissima incidenza su tutto il quadro regionale del Medio Oriente, o - come adesso si usa dire - del grande Medio Oriente. Noi sappiamo che nel momento in cui venisse finalmente risolta - e risolta secondo giustizia - la questione del conflitto israelo-palestinese, si potrà davvero anche andare verso il superamento di molte altre preoccupanti tensioni in tutta la regione.

Voi avete parlato giustamente, più in generale, di diritti umani: una volta si diceva "diritti dell'uomo", con una traduzione discutibile, perché i diritti umani sono diritti della persona - dell'uomo come della donna - e questa è una delle fondamentali dimensioni dell'impegno dell'Unione europea. Credo sia un impegno che dovremmo sempre tenere in primissimo piano, anche quando siamo assillati dalla crisi economica e quindi si discute moltissimo di economia, si vedono cifre e diagrammi e si fanno previsioni. Ma non possiamo mai dimenticare che l'Unione europea, e prima ancora la Comunità europea, è nata come comunità di valori, e tra questi valori i diritti umani sono un cardine essenziale che - ripeto - dovrebbe sempre guidare l'azione dell'Unione europea anche quando l'attenzione è così fortemente richiamata da altre problematiche.

Nell'ultimo anno sono stato anche in Libano e in Siria, e certamente in questi due Paesi ci sono delle condizioni migliori anche per l'operare dei cattolici e dei cristiani: c'è più pluralismo, più rispetto e credo siano veramente un esempio che dovrebbe estendersi ad altre realtà statuali di questa parte del mondo. Anche l'Unione europea, nello sviluppare le proprie relazioni con questi paesi, non dovrebbe mai trascurare di porre con forza il problema della libertà di culto e, più in generale, della libertà religiosa, del pluralismo religioso. Io per la verità proprio a Damasco ho incontrato i rappresentanti di tutte le confessioni - non so se ci fosse qualcuno di voi - e ricordo che c'erano anche i rappresentanti della comunità musulmana e della comunità ebraica. Credo che effettivamente questo grande filone del dialogo tra le religioni monoteiste, che la Chiesa Cattolica persegue con molta convinzione - l'attuale Pontefice lo fa in prima persona - sia davvero una delle strade fondamentali per assicurare quella che qualcuno ha chiamato, credo in modo appropriato, la riconciliazione tra le civiltà.


In fondo, per far fronte a sfide così complesse, così ardue in questa fase storica che toccano perfino problemi di sopravvivenza del pianeta e quindi temi del nostro destino comune, credo che la riconciliazione possibile, e da perseguire attivamente, tra le civiltà sia la maggiore risorsa di cui disponiamo per nutrire la nostra speranza e per perseguire i nostri ideali, i nostri obiettivi.



15/10/2010 15:07
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Interventi per la settima Congregazione generale il 14 ottobre (pomeriggio)

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 15 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo giovedì pomeriggio nella settima Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.


www.zenit.org/article-24116?l=italian

16/10/2010 00:27
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Interventi per l'ottava Congregazione generale il 15 ottobre (mattina)


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 15 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo venerdì mattina nell'ottava Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.


www.zenit.org/article-24133?l=italian

17/10/2010 15:29
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Decima Congregazione Generale del Sinodo per il Medio Oriente il 16 ottobre (mattina)


CITTA' DEL VATICANO, domenica, 17 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Questo sabato mattina, memoria facoltativa di Sant’Edvige, duchessa di Slesia e di Polonia, religiosa, e di Santa Margherita Maria Alacoque, vergine, con il canto dell'Ora Terza, ha avuto inizio la Decima Congregazione Generale, per la presentazione dello Schema del Messaggio, la discussione sul Messaggio e la Prima Votazione del Consiglio Speciale per il Medio Oriente della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.

Presidente Delegato di turno è stato S. B. Ignace Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri (Libano).

A questa Congregazione Generale, che si è conclusa alle 12.30 con la preghiera dell'Angelus Domini, erano presenti 162 Padri.


www.zenit.org/article-24141?l=italian








Interventi per la nona Congregazione generale il 15 ottobre (pomeriggio)


CITTA' DEL VATICANO, domenica, 17 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo venerdì pomeriggio nella nona Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.


www.zenit.org/article-24140?l=italian

18/10/2010 15:38
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA "RELAZIONE DOPO LA DISCUSSIONE" (RELATIO POST DISCEPTATIONEM) DELL’ASSEMBLEA SPECIALE PER IL MEDIO ORIENTE DEL SINODO DEI VESCOVI


Questa mattina, alle ore 12.45, nell’Aula "Giovanni Paolo II" della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione della "Relazione dopo la discussione" (Relatio post disceptationem) dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

Intervengono: l’Em.mo Card. John Patrick Foley, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Presidente della Commissione per l’Informazione; S.E. Mons. Antoine Audo, S.I., Vescovo di Alep dei Caldei (Siria), Vice Presidente della Commissione per l’Informazione, e il Rev.do P. Pierbattista Pizzaballa, O.F.M., Custode di Terra Santa (Gerusalemme).





19/10/2010 00:34
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Interventi degli uditori nell'undicesima Congregazione generale
Lunedì 18 ottobre (mattina)




CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 18 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo i testi degli interventi pronunciati dagli uditori questo lunedì mattina durante l'undicesima Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.


www.zenit.org/article-24158?l=italian















Relatio post disceptationem del Sinodo per il Medio Oriente
Nell'undicesima Congregazione generale




CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 18 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Nell'undicesima Congregazione generale del Sinodo per il Medio Oriente, questo lunedì mattina, è stata data lettura della Relatio post disceptationem (Relazione dopo la discussione). Il Relatore Generale, S.B. Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti (Repubblica Araba di Egitto), è intervenuto per la lettura del testo, continuata dopo l'intervallo dal Segretario Speciale, monsignor Joseph Soueif, Arcivescovo di Cipro dei Maroniti. Riportiamo di seguito il testo della Relatio post disceptationem.



www.zenit.org/article-24157?l=italian



20/10/2010 15:29
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DICHIARAZIONE DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, REV.DO P. FEDERICO LOMBARDI, S.I.

In risposta a domande di giornalisti, il Direttore della Sala Stampa ha rilasciato la seguente dichiarazione:

La notizia della conferma, da parte del Tribunale del Riesame, del sequestro in via preventiva di un deposito dello IOR su un conto del Credito Artigiano è stata appresa con stupore. Si ritiene che si tratti di un problema interpretativo e formale. I Responsabili dello IOR ritengono di poter chiarire tutta la questione al più presto nelle sedi competenti.


22/10/2010 00:49
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Lettera del Delegato pontificio per i Legionari di Cristo
"Riflessioni sul cammino da percorrere"



CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 21 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la lettera dal titolo "Riflessioni sul cammino da percorrere", inviata il 19 ottobre ai Legionari di Cristo e ai membri consacrati del Regnum Christi dall'Arcivescovo e futuro Cardinale Velasio De Paolis, Delegato pontificio per questa congregazione religiosa.


* * *

Roma, 19 ottobre 2010

Ai Legionari di Cristo
e ai membri consacrati del Regnum Christi

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,

dalla prima lettera che vi ho inviato in data 10 luglio, inizio del compito che il Santo Padre mi ha voluto affidare verso i Legionari di Cristo e il movimento Regnum Christi, collegato con loro, sono trascorsi tre mesi. Si è trattato di un tempo di vacanze estive, durante il quale l’impegno del lavoro è piuttosto affievolito. Tuttavia è stato un tempo prezioso per il cammino intrapreso. Molti hanno fatto sentire la loro voce, inviando i loro scritti o incontrandomi personalmente. Sono stati molti. Purtroppo non ho potuto ascoltare tutti quelli che lo desideravano. Ma spero che il cammino, che si prevede ancora lungo, lo permetterà in seguito. Né ho potuto rispondere ai tanti che hanno fatto sentire la loro voce per scritto. Non pochi hanno voluto inviarmi i loro auguri e saluti. Evidentemente non posso rispondere a ciascuno personalmente.

Colgo volentieri l’occasione per ringraziare tutti coloro che si sono fatti presenti: coloro che hanno voluto semplicemente farsi presente con un saluto ed un augurio; coloro che hanno voluto raccontare anche la storia della loro vocazione ed esprimere la loro volontà di rimanere fedeli alla propria vocazione religiosa e sacerdotale nella Legione, come fedeltà a Dio e alla Chiesa; coloro che hanno offerto anche i loro suggerimenti per il cammino di rinnovamento che siamo chiamati a percorrere, sia per avvertire dei pericoli che si corre quando si venga presi dalla voglia di cambiamento, sia per incoraggiare a cambiare e a rinnovare la Congregazione. Sono certo che tutti si muovono con il desiderio di operare per il bene; e certamente tutti sottolineano aspetti da tenere presenti nel cammino.

Vorrei invitare alla riflessione. Ciascuno di noi, sia pure con la maggiore buona volontà, in genere è parziale nella propria visione e valutazione dei fatti e delle esigenze di rinnovamento; pertanto invece che creare contrapposizioni per fare trionfare la propria visione, è necessario che ciascuno guardi anche agli altri e sia aperto e disponibile alla valutazione degli altri. Dalla valutazione e dai contributi di tutti, siamo chiamati ad un discernimento che ci porti alla strada del cambiamento nella continuità della stessa vita della Congregazione. Di fatto non si può negare che non poche cose vanno, dopo seria ponderazione, cambiate o migliorate; altre, e sono le fondamentali, circa la vita religiosa e sacerdotale, vanno conservate e promosse.

L’importante è soprattutto che ciascuno sia mosso dal desiderio di bene e dalla volontà di convertirsi sempre di più al Signore, sotto la guida della Chiesa, per essere disponibili alla sua volontà e progredire nel cammino della fedeltà e della santità, secondo la vocazione propria. Se si procederà uniti e rispettosi gli uni degli altri, il cammino sarà spedito e sicuro; se ci lasceremo prendere dalla volontà di prevalere, e di imporre le proprie idee contro gli altri, il naufragio è certo.

La responsabilità pertanto è grande e ciascuno la deve sentire di fronte alla propria coscienza, di fronte a Dio, di fronte alla Chiesa e alla Congregazione. Con questo spirito e con questo incoraggiamento, vi invio questa lettera con la quale comunico qualche notizia e qualche riflessione sul cammino percorso e sulla prospettiva del futuro.

I. Completamento del quadro per l’accompagnamento

1. Nella presentazione della lettera pontificia di nomina ho precisato che ulteriori determinazioni sarebbero state date in seguito con la pubblicazione del decreto del Segretario di Stato, che porta la data del 9 luglio 2010. Si tratta di un decreto che vi è stato già comunicato ed è da voi conosciuto. In questo Decreto viene precisato un punto fondamentale che va tenuto presente: con la nomina del Delegato Pontificio la Legione non viene commissariata, ma viene accompagnata nel suo cammino attraverso il Delegato Pontificio. Il Decreto Pontificio infatti, riconosce e conferma i superiori attuali. Questo significa da una parte che i superiori rimangono in carica a norma delle costituzioni; e dall’altra che essi devono procedere in armonia con lo stesso Delegato Pontificio. Ciò significa anche che la prima istanza per una trattazione dei problemi della stessa Legione sono i superiori, ai quali i religiosi sono pertanto invitati prima di tutto a rivolgersi.

2. Nello stesso tempo ho precisato che la mia funzione avrebbe potuto attivarsi pienamente solo quando mi fossero stati dati i consiglieri, che mi sarebbero stati di aiuto nel mio compito di Delegato Pontificio. In questi giorni è stata comunicata la notizia di questi consiglieri. Essi sono:

* S.E. Mons. Brian Farrell, L.C., segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
* P. Gianfranco Ghirlanda, S.I., ex rettore della Pontificia Università Gregoriana.
* Mons. Mario Marchesi, vicario generale della diocesi di Cremona.
* P. Agostino Montan, C.S.I., direttore dell’Ufficio per la vita consacrata della diocesi di Roma e vice-decano della facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense.

3. C’è anche una precisazione per quanto riguarda il movimento Regnum Christi, particolarmente per le persone consacrate. S. E. Mons. Ricardo Blázquez, arcivescovo di Valladolid, è stato costituito visitatore dei consacrati nel movimento Regnum Christi. Tale visita sarà attuata sotto la responsabilità del Delegato Pontificio e in coordinamento con la sua res-ponsabilità su tutta la Legione di Cristo e il movimentoRegnum Christi. Il movimento Regnum Christi è un bene prezioso indivisibilmente associato alla Legione. Questa deve sentirne la responsabilità e deve continuare ad offrire la sua cura; ma anche questo rapporto deve essere oggetto di una serena riflessione, e fa parte del cammino di rinnovamento che riguarda la Legione stessa e le sue costituzioni, anche in riferimento ai membri del Regnum Christi.

4. Inizio di una nuova fase.

Preciso ancora che il mio incarico di Delegato Pontificio non è neppure quello di visitatore apostolico, che ha il compito fondamentale di incontrare persone, raccogliere informazioni per avere un quadro della situazione reale e offrire all’Autorità competente suggerimenti e proposte quali rimedi per curare le situazioni non conformi all’ideale evangelico della vita religiosa.
Il compito di visitatore è stato assolto dai cinque vescovi incaricati dal Santo Padre a visitare tutta la Congregazione.

Tale compito si è protratto per quasi un anno. Il risultato è stato presentato al Santo Padre, che ha indicato, con la nomina del Suo Delegato, il cammino ulteriore, che non consiste più in quello di visitatore o commissario, ma in quello di accompagnare il cammino di rinnovamento, particolarmente in vista di un Capitolo Straordinario che dovrà elaborare un testo costituzionale da sottoporre alla Sede Apostolica. Si tratta di un cammino che dovrà partire dalle indicazioni emerse dalla visita apostolica e fatte proprie dalla Santa Sede, perché sulla base di esse ci si avvii verso il necessario rinnovamento.

E’ un compito che spetta a tutti e tutti pertanto devono essere coinvolti e responsabilizzati. Ma è evidente che tale compito compete soprattutto ai Superiori che sono chiamati ad organizzare, stimolare, suscitare e impegnare tutti, attivamente e ordinatamente, in questo rinnovamento. A questo stadio del cammino della Congregazione è di estrema importanza che i Superiori svolgano bene il loro compito.

Questo è anche l’aiuto principale che il Delegato Pontificio è chiamato a offrire. Il Santo Padre, avviando questa nuova fase del cammino, ha rinnovato la sua fiducia nella Congregazione; tale fiducia potrà avere esito positivo solo se ad essa seguirà la fiducia dei Legionari, che sono caldamente invitati ad abbandonare sospetti e diffidenze e ad operare fattivamente e positivamente per il bene della Legione, senza attardarsi ancora sul passato e senza alimentare divisioni. Dopo la fase della visita apostolica, è seguita quella nuova della ricostruzione e del rinnovamento. E’ quella nella quale siamo invitati ad inserirci.

II. Notizie e valutazioni

1. Nei tre mesi che sono intercorsi tra la pubblicazione della mia nomina e quella dei miei consiglieri, ho avuto diversi incontri, benché fossimo in periodo estivo e quindi di vacanze, con i superiori dell’istituto, sia per trattare alcuni problemi urgenti che si ponevano di volta in volta, sia anche per dare risposte ad attese che erano nell’aria e per offrire precisazioni su questioni che la prassi veniva di volta in volta ponendo.

2. Ho avuto così diversi incontri con la direzione generale, e ultimamente con la direzione generale e i superiori provinciali che si trovavano a Roma. Non si è trattato tanto di decisioni, rinviate a quando fossero nominati i quattro consiglieri del Delegato Pontificio; si è riflettuto piuttosto su aspetti di ordine generale e si è cominciato ad individuare alcune questioni da affrontare, sulle procedure da adottare, su problemi da chiarire, ecc. Sono stati presentati anche sia pure in modo molto sintetico alcuni rilievi emersi dalla riflessione dei visitatori della stessa Congregazione. Si è parlato del rapporto tra la situazione personale del Fondatore e la realtà carismatica e spirituale della stessa Legione; si è tentata anche una prima riflessione sul problema dell’esercizio dell’autorità all’interno della Legione; sul tema della libertà di coscienza, dei confessori e dei direttori spirituali; si è compiuto qualche riflessione sul cammino da percorrere per la revisione delle costituzioni, con particolare riferimento alla struttura di esse, nel rapporto tra norme costituzionali e altre; si è cercato anche di chiarire bene il rapporto tra i superiori: della Legione e il Delegato Pontificio; e altri argomenti del governo della Congregazione.

3. Si sono individuati alcuni problemi per i quali si prevede che sarà necessaria la costituzione di una commissione: anzitutto e principalmente la commissione per la revisione delle costituzioni; ma si prospetta anche la necessità di una commissione di avvicinamento di coloro che in qualche modo avanzano pretese nei confronti della Legione, e di una commissione per i problemi di ordine economico.

4. Non è mancato neppure un accenno ai tempi che si prevedono, per portare a termine il cammino. Da parte dei Legionari si rileva un desiderio di affrettare i tempi. Ma si è insistito sulla necessità di prendere il tempo necessario, che si prevede di almeno due o tre anni o anche più.

5. Leggendo le numerose lettere giunte, in linea generale si tratta di reazioni positive. Si ringrazia il Santo Padre per il suo intervento e per la nomina del Delegato Pontificio; si esprime la propria disponibilità a collaborare con lo stesso Delegato e si assicura la preghiera; si ringrazia il Signore per la vocazione ricevuta e si esprime fiducia nella Congregazione dei Legionari, nella quale si vuole perseverare. I seminaristi in genere si sono limitati ad esprimere la volontà di perseverare nella vocazione. Alcuni sacerdoti hanno espresso anche dei suggerimenti, delle perplessità, dei dubbi e difficoltà, soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione e la prassi sul foro interno, sull’esercizio dell’autorità e sulla nomina dei superiori o i cambiamenti; sulla formazione; qualcuno ha chiesto un tempo di riflessione come extra domum, o la volontà di lasciare la stessa Congregazione.

III. Alcuni punti specifici di maggiore rilievo

1. Vicenda del Fondatore e la reazione dei Legionari.

La grande maggioranza dei Legionari, di fronte alla vicenda del Fondatore, ha reagito positivamente riaffermando la gratitudine a Dio per la loro vocazione e scoprendo il tanto bene che la Legione aveva pure compiuto e sta tuttora compiendo. La Legione del resto è stata approvata dalla Chiesa e non può non essere ritenuta opera di Dio, al servizio del Suo Regno e della Chiesa. Le responsabilità del Fondatore non possono essere trasferite semplicemente sulla stessa Legione de Cristo.

2. Superiori attuali e loro responsabilità

Una difficoltà è ritornata più volte e da più parti secondo la quale gli attuali superiori non potevano non conoscere le colpe del Fondatore. Tacendole essi avrebbero mentito. Ma si sa che il problema non è tanto semplice. Le diverse denuncie pubblicate sui giornali fin dagli anni 1990 erano ben note, anche ai superiori della Congregazione. Ma altra cosa è avere le prove della fondatezza e più ancora la certezza di esse. Questa è avvenuta solo molto più tardi e gradualmente. In casi simili la comunicazione non è facile. Si impone l’esigenza di ritrovare la fiducia, per la necessaria collaborazione.

3. Il carisma della Legione

Un’altra questione molto delicata è quella del carisma della stessa Legione. La mancata distinzione tra norme costituzionali e norme di diritto ha forse nociuto all’individuazione del carisma stesso. Ma sembra innegabile che esso risulta sufficientemente chiaro e preciso, ed è quanto mai attuale. Si impone una riflessione ed approfondimento.

Vogliamo accennare ad un solo aspetto. La cultura attuale è secolarizzata, inficiata di immanentismo e relativismo. Tale mentalità caratterizza la cultura del tempo e le persone che oggi fanno opinione o si ritengono detentrici della cultura. È questione di cultura e questione quindi di leadership: ossia di persone nelle cui mani risiede la guida della società. Siamo di fronte ad una società che non esprime più personaggi di spessore culturale cristiano e segnatamente cattolico. Nello stesso tempo sappiamo che la fede non può essere ricondotta solo a livello privato.

La società di oggi per essere cristianizzata ha bisogno di persone che possano assumere la responsabilità della società di domani, che si formano nelle scuole e nelle università, di sacerdoti, persone consacrate e laici impegnati, ben formati, di apostoli della nuova evangelizzazione.

Il passato deve guidarci ad inserirci nel presente. La Chiesa ha plasmato il passato, ha contribuito ad una visione cristiana della vita, attraverso i monasteri, le università, gli studi e la cultura. La Chiesa riafferma questo quando parla di nuova evangelizzazione e progetta il nuovo dicastero per la nuova evangelizzazione. Penso che la Congregazione dei Legionari di Cristo trovi proprio in questo campo il suo spazio di servizio alla Chiesa. E questo fa bene sperare per il futuro.

IV. Riflessione conclusiva

A me pare che si può e si deve sperare in un positivo cammino di rinnovamento. Vi sono all’orizzonte tanti segni che fanno bene sperare per un approdo positivo al termine del cammino. Lo schock provocato dalle vicende del Fondatore è stato di un impatto terribile, in grado di distruggere la stessa Congregazione, come del resto tanti vaticinavano. Essa invece non solo sopravvive, ma è ancora quasi intatta nella sua vitalità. La grande maggioranza dei Legionari ha saputo leggere la storia della propria vocazione, non tanto in relazione al Fondatore, ma in relazione al mistero di Cristo e della Chiesa, e rinnovare la propria fedeltà a Cristo e alla Chiesa, nella Legione.

La capacità di leggere in una dimensione soprannaturale la loro vicenda ha permesso loro di non perdersi e smarrirsi. La stella polare della fedeltà alla Chiesa e dell’obbedienza al Papa li ha preservati da facili scoramenti e abbandoni. Non pochi hanno raccontato la loro reazione agli avvenimenti. La gran parte afferma che non ha avuto nessuna esitazione a riconfermare la propria fedeltà e il proprio impegno davanti a Dio e alla Chiesa. Più di qualcuno ha comunicato che ha avuto una prima reazione di stizza e quasi di rabbia, con la sensazione di essere stato tradito; ma poi si è ripreso. Qualcuno ha meditato anche di lasciare la Legione, per entrare in una diocesi. Ma si è trattato, tutto sommato, di pochi, che hanno scelto tale strada.

Qualche abbassamento si è avuto nella promozione vocazionale. In questi casi la difficoltà è venuta particolarmente dai parenti, che non hanno saputo discernere sufficientemente nel grande clamore sollevato dai mezzi di comunicazione la verità dalla falsificazione. In questo vortice di opinione pubblica purtroppo si è lasciato prendere anche qualche legionario che ha desistito dall’impegno di promozione vocazionale.

Nel cammino che rimane da percorrere, si annida forse un pericolo che va menzionato ed è tipico nelle situazioni di questo genere. Nella vicenda dei Legionari di Cristo si sta vivendo una specie di paradosso. Per gli Istituti religiosi in genere si lamenta che in nome del rinnovamento postconciliare richiesto dal Concilio, è venuta a mancare la disciplina e il senso dell’autorità, con una certa rilassatezza anche nella pratica dei consigli evangelici e con una crisi vocazionale impressionante, nonostante la ricchezza della teologia sulla vita religiosa che si è sviluppata in questo periodo; per i Legionari invece si tratta di aprirsi di più a questo rinnovamento postconciliare della disciplina e dell’esercizio dell’autorità. Il pericolo di andare oltre il segno e di innescare un meccanismo di disimpegno disciplinare e spirituale è reale; e serpeggia particolarmente tra qualche sacerdote o religioso. Questo pericolo è temuto dallo stesso Superiore Generale, il quale, esprimendo al Papa il suo impegno di obbedienza e di fedeltà, chiedeva però che l’istituto in questo cammino di rinnovamento sia preservato da questo pericolo, ossia dal pericolo che l’impegno per il rinnovamento si trasformi in indisciplinatezza e rilassatezza.

Rinnovo il mio invito a tutti voi di intensificare in questo periodo la vostra preghiera. L’angelo del Signore disse al profeta Elia: «Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino» (1 Re19,7). Così anche noi ci accostiamo con fiducia alla fonte inesauribile dell’Eucaristia, dove Cristo stesso è il nostro Sostegno e Compagno di viaggio. Che Dio vi benedica tutti.




22/10/2010 00:50
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Interventi dei delegati fraterni nella 12ma Congregazione generale
Giovedì 21 ottobre (mattina)



CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 21 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo giovedì mattina dai delegati fraterni nella 12ma Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

* * *

- Archimandrita Chrysostomos KYKKOTIS (CIPRO)

Testo pronunciato dal Rev.Dr. Demosthenis Demosthenous (Cipro)

Ringraziamo vivamente Sua Santità il Papa di Roma, Benedetto XVI, nostro amatissimo fratello in Cristo, il quale ci ha generosamente invitato a partecipare al Sinodo delle Chiese Cattoliche del Medio Oriente.
Siamo pienamente convinti che questo Sinodo si svolga in un momento decisamente critico per il mondo intero, ma soprattutto per la sensibile regione del Medio Oriente. Certamente, il Verbo Incarnato, il Salvatore del mondo, Gesù Cristo, ha recato a tutti gli uomini un messaggio di pace, di libertà e giustizia, insegnandoci con il suo esempio e con la sua predicazione a vivere in pace col nostro prossimo e con tutti i popoli. Quando, però, la pace si trova in pericolo, come purtroppo accade a Cipro ormai da trentasei anni, a causa della ininterrotta invasione e occupazione turca della parte settentrionale della nostra isola, è dovere di tutti noi di difenderla da coloro che intendono turbarla.
Sono particolarmente lieto perché questo messaggio di pace guida e unisce le nostre Chiese. Facendo appello alla Vostra bontà, non possiamo tralasciare di notare che Cipro è l'unica nazione dell'Unione Europea, dove gran parte del proprio territorio si trova sotto occupazione, dove quasi la metà della sua popolazione, scacciata con violenza dalle case paterne, sono profughi, mentre cinquecentoventi (520) chiese e altri venerabili luoghi sacri e mete di fervente devozione vengono distrutti, saccheggiati e trasformati in centri di divertimento o addirittura in stalle per gli animali.
Per tutti questi motivi, i Cristiani di Cipro chiedono e aspettano di avere il Vostro aiuto ed il vostro sostegno per la giusta lotta per il ritiro dalla nostra isola dell' esercito invasore turco e dei coloni che si sono insediati in essa, e per la libertà, la pace, la giustizia e in generale di tutti i diritti umani a favore dei legittimi autoctoni abitanti dell' isola
Auguriamo ogni successo ai lavori del Sinodo, per il bene dei popoli e degli uomini del Medio Oriente. Auguriamo, inoltre, che il Signore Gesù Cristo conceda a Sua Santità il Papa Benedetto XVI salute e serenità per molti anni, per il bene del gregge che gli è stato affidato. La grazia e la benedizione del Signore siano con tutti voi. Ancora grazie.
Con fervidi auguri e con grande affetto,
L’Arcivescovo di Cipro Chrysostomos II

[Testo originale: italiano]

- S. E. Barnaba EL SORYANY, Vescovo della Diocesi Copto-Ortodossa di San Giorgio Roma (ITALIA)

Sua Santità il Papa Shenouda III, Papa di Alessandria e Patriarca dell’Episcopato di San Marco, mi ha conferito l’incarico di partecipare al Sinodo come suo rappresentante e di esprimere la sua sentita gratitudine a Sua Santità per aver esteso un invito a partecipare ai lavori sinodali. Mi ha affidato il compito di offrire un tributo di amore fraterno a Sua Santità e a tutti i membri del Sinodo, nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, pregando e sperando che Dio conceda al Sinodo di produrre i frutti sperati per il benessere e la considerazione dei cristiani del Medio Oriente.
Permettetemi di dire che questo Sinodo giunge in uno stadio molto avanzato, poiché i conflitti e le persecuzioni che la nostra regione sta patendo si sono moltiplicati, diventando lamenti e sofferenza, causando la migrazione di un gran numero dei giovani cristiani migliori, che si lasciano alle spalle la loro patria. Intendo dire che lasciano indietro anche i loro cuori, con la loro storia, la loro cultura e la loro tradizione autentiche, per vivere e trovare accoglienza in un altro paese, le cui tradizioni e il cui modo di vivere sono loro estranei, non in sintonia con la loro natura, ma, se confrontati con quello che hanno passato, certo più sicuri e tranquilli, in grado di offrire loro e ai loro figli la speranza di un futuro migliore.
Il tema di questo Sinodo sulla comunione e la testimonianza assume nuovo significato e importanza se consideriamo la sofferenza e le sfide che i cristiani del Medio Oriente devono affrontare, a motivo di conflitti politici precari e complessi, soprattutto quello arabo-israeliano, come pure delle guerre che questa regione ha visto e sta ancora sopportando; guerre che hanno causato una recrudescenza dei problemi del Medio Oriente, dove, per reazione, sono sorti movimenti salafisti sia anti-ebraici che anti-cristiani, mentre lo spirito di odio, di ripulsa nei confronti dell’altro e l’isolazionismo vengono avvertiti dall’altra parte come risposta alla pressione psicologica e alla persecuzione. Tutto questo fino al martirio, l’emarginazione e la sensazione di essere cittadini “non indigeni” sottoposti a discriminazione sul lavoro, nelle istituzioni politiche e nei consigli parlamentari e locali.
In questo senso compito della Chiesa, in quanto realtà che deve vivere e convivere, è soprattutto quello di gestire quelle comunità che hanno abbandonato la patria e si sono sparpagliate in tutto il mondo - come pure gestire le comunità che sono rimaste all’interno dei paesi, incoraggiandole a non abbandonare la loro patria e cercando di risolvere i loro problemi il più possibile, grazie all’interessamento di funzionari.
Per la mia esperienza personale, posso confermare che siamo stati costretti a sopportare la realtà dell’emigrazione. Tuttavia la chiesa copta ha preso coscienza dei pericoli dell’emigrazione e dell’immigrazione, di abbandonare un paese quali che siano le ragioni dell’esilio. Di conseguenza, con la sua acuta intelligenza e sensibilità spirituale, Papa Shenouda III ha riconosciuto la necessità delle nostre comunità di migranti copti (circa due milioni di cristiani copti) che risiedono all’estero di vivere nel medesimo ambiente spirituale ecclesiastico orientale in cui sono nati, e in cui sono stati educati secondo le loro tradizioni. Ecco perché Papa Shenouda III ha inviato la chiesa a cercare queste comunità di fedeli per occuparsi di loro perché non si perdessero e per far sì che non perdessero la loro identità copta, nel timore di vederli scomparire all’interno di comunità straniere. Per questa ragione ha costruito chiese e monasteri e ha fondato scuole copte nei paesi di immigrazione quali:
Negli Stati Uniti: circa 160 chiese copte egiziane, due monasteri e cinque vescovi;
In Canada: 20 chiese copte;
In Bolivia: diverse chiese e un vescovo;
In Brasile: diverse chiese e anche un vescovo;
In Australia: 20 chiese copte, un monastero e tre vescovi;
In Europa: chiese in quasi tutti i paesi europei, tre monasteri e tre vescovi;
In Sudan: due parrocchie, due monasteri e due vescovi;
In Sudafrica: chiese in Kenia, Zimbabwe e altri paesi - un monastero e due vescovi. Ha fondato inoltre scuole copte negli Stati Uniti, in Canada e in Australia.
Vorrei affermare che noi ci aspettiamo molto da questo Sinodo, grazie all’impegno di Sua Santità e dei membri del Sinodo. Ci auguriamo che esso rappresenti un raggio di speranza in grado di portare migliori soluzioni ai problemi dei cristiani in Medio Oriente.
Ringrazio i membri del Sinodo che sono riusciti, grazie ai loro interventi, a coprire tutti gli aspetti che hanno vissuto e testimoniato, dimensioni queste che hanno avuto un’influenza diretta o indiretta sul movimento migratorio del Medio Oriente.

[Testo originale: inglese]

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Interventi pronunciati e "in scriptis" nella 12ma Congregazione generale
La mattina di giovedì 21 ottobre




CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 22 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la continuazione degli interventi pronunciati e quelli "in scriptis" di questo giovedì mattina, in occasione della 12ma Congregazione generale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.


www.zenit.org/article-24221?l=italian

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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO E CONCLUSIONE DELL’ASSEMBLEA SPECIALE PER IL MEDIO ORIENTE DEL SINODO DEI VESCOVI

Questa mattina, alle ore 12.45, nell’Aula "Giovanni Paolo II" della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio e conclusione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

Intervengono: S.B. Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti (Egitto), Relatore Generale; S.E. Mons. Joseph Soueif, Arcivescovo di Cipro dei Maroniti (Cipro), Segretario Speciale; S.E. Mons. Cyrille Salim Bustros, S.M.S.P., Arcivescovo di Newton dei Greco-Melkiti (Stati Uniti d’America), Presidente della Commissione per il Messaggio.


23/10/2010 15:08
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Messaggio al Popolo di Dio dal Sinodo per il Medio Oriente


CITTA' DEL VATICANO, sabato, 23 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio al Popolo di Dio a conclusione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, approvato venerdì pomeriggio dai Padri sinodali in occasione della quattordicesima Congregazione generale.


www.zenit.org/article-24242?l=italian



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Elenco finale delle Proposizioni del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente
Versione provvisoria e non ufficiale




CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 25 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la versione provvisoria e non ufficiale delle Proposizioni dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, resa nota dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.



www.zenit.org/article-24274?l=italian

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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA 97ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO



Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 97ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (16 gennaio 2011) sul tema: "Una sola famiglia umana".
Intervengono: S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; P. Gabriele Ferdinando Bentoglio, C.S., Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:


INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTONIO MARIA VEGLIÒ

Sono lieto e onorato di presentare oggi il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione annuale della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che avrà luogo il 16 gennaio 2011. Ne è tema "Una sola famiglia umana".

"Grazie alla comune origine il genere umano forma una unità. Dio infatti ‘creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini’ (At 17,26)", recita il Catechismo della Chiesa Cattolica – CCC – al n. 360. La prima pagina della Bibbia offre una meravigliosa visione, che ci fa contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in Dio: "un solo Dio e padre di tutti" (Ef 4,6) che "ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio prediletto" e "ci chiama anche a riconoscerci tutti come fratelli in Cristo" (Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2011).

L’umanità dunque è "una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali" (GMMR 2011), grazie anche alle migrazioni, che generalmente costituiscono una difficile esperienza, pur nelle varie tipologie che il fenomeno assume. Infatti, ci sono le migrazioni "interne o internazionali, permanenti o stagionali, economiche o politiche, volontarie o forzate" (GMMR 2011). Si tratta di movimenti che portano comunque a una mescolanza di etnie, culture e religioni che rende il dialogo un necessario strumento verso "una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze" (GMMR 2011). Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace (GMP) del 2001 (n. 12), il Venerabile Giovanni Paolo II affermò che "sono molte le civiltà che si sono sviluppate e arricchite proprio per gli apporti dati dall’immigrazione. In altri casi, le diversità culturali di autoctoni e immigrati non si sono integrate, ma hanno mostrato la capacità di convivere, attraverso una prassi di rispetto reciproco delle persone e di accettazione o tolleranza dei differenti costumi" (cfr. anche Erga Migrantes Caritas Christi – EMCC – , n. 2).

È dunque importante che gli immigrati si integrino nel Paese di accoglienza "rispettandone le leggi e l’identità nazionale" (GMMR 2011). È vero che "non è facile individuare assetti e ordinamenti che garantiscano, in modo equilibrato ed equo, i diritti e i doveri tanto di chi accoglie quanto di chi viene accolto" (GMP 2001, n. 12), ma si possono "individuare alcuni principi etici di fondo a cui fare riferimento. Primo fra tutti, è […] il principio secondo cui gli immigrati vanno sempre trattati con il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana" (ibid., n. 13). Certo è diritto degli Stati "regolare i flussi migratori e […] difendere le proprie frontiere" (GMMR 2011), per salvaguardare la sicurezza della Nazione, ma tale diritto deve sempre tener conto del principio appena menzionato. "Si tratterà allora di coniugare l’accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti (GMP 2001, n. 13)" (GMMR 2011).

Ogni flusso migratorio ha un suo itinerario di inserimento, connesso a molteplici variabili. I rapporti che si sviluppano fra gli immigrati (individui e gruppi) e la società di accoglienza si possono ricondurre a schemi che potremmo sintetizzare negli elementi seguenti:

1. l’assimilazione o assorbimento che si traduce nella conformazione all’ingranaggio sociale, processo che equivale a una "deculturazione" e "spersonalizzazione";

2. la ghettizzazione che implica la chiusura, l’autodifesa e la resistenza di fronte all’esclusione, il rifiuto della società circostante, la marginalità e la discriminazione, che alimentano l’aggressività e l’ostilità reciproche;

3. la fusione sincretica o "melting pot", che si esplicita nella fusione dei diversi modelli culturali, con perdita di identità culturale propria;

4. il "pluralismo culturale" che affianca le culture e sembra porsi come reazione al carattere unidimensionale della cultura locale, che tende a subordinare i modelli culturali a quelli della produzione e della consumazione.

A questi schemi classici, nella linea del Messaggio del Santo Padre che oggi presentiamo, possiamo aggiungere un quinto caso, quello dell’"integrazione sociale", accompagnata dalla "sintesi culturale", che comporta da un lato un processo dinamico – cioè la reciprocità dello scambio – e, dall’altro, un’integrazione sociale che presuppone la partecipazione alla creazione e al cambiamento delle relazioni sociali.

La "sintesi culturale" presuppone l’elaborazione di modelli originali, scaturiti dalle culture presenti, senza per questo lasciarsi ridurre ad alcuna di esse; modelli che si inseriscono nella cultura di base che in questo modo si rafforza.

In tale quadro concettuale solo l’ultimo processo rappresenta il successo del pluriculturalismo ed è l’unico a permettere ai gruppi immigrati di dare vita a una "nuova cultura" il cui beneficiario è la società intera (immigrati e autoctoni). L’assimilazione, in effetti, non può essere concepita come l’ultimo stadio dell’acculturazione, ma – come la ghettizzazione, il melting pot e il pluriculturalismo – essa non è che una forma del suo fallimento.

All’interno di questo quadro rappresentativo, costatiamo che tutti siamo figli di un solo Padre e fratelli tra di noi con vocazione all’unità. In effetti, rispondendo a questa autentica chiamata divina, siamo consapevoli che "noi ‘non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle’ (GMP 2008, 6)", e quindi tutti "fanno parte di un’unica famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono" (GMMR 2011).

Questa visione ci porta anche a considerare l’unità della casa dell’umanità, del suo habitat che è la terra, dei cui beni tutti gli uomini, per diritto naturale, possono usare per il sostentamento e lo sviluppo della vita. Sì, tutti hanno lo stesso diritto ai beni della terra, secondo il principio della "destinazione universale delle risorse", che la Dottrina sociale della Chiesa insegna. Dunque, la solidarietà umana e la carità non devono escludere nessuno dalla ricca varietà delle persone, delle culture e dei popoli (cfr. CCC, n. 361) e, ancora, condividere con gli altri non è un atto di gentilezza o di generosità, ma un dovere verso i membri della medesima famiglia.

In essa, a nessuno deve mancare il necessario e il patrimonio familiare va gestito nella solidarietà, senza eccessi e senza sprechi. Così anche nella famiglia umana – come si espresse Benedetto XVI nel 2008 – , non "vanno dimenticati i poveri [tra cui molti migranti e rifugiati], esclusi in molti casi dalla destinazione universale dei beni del creato" e va cercata "un’economia che risponda veramente alle esigenze di un bene comune a dimensioni planetarie". Le relazioni tra le singole persone e tra i popoli devono permettere "a tutti di collaborare su un piano di parità e di giustizia" e al tempo stesso occorre adoperarsi "per una saggia utilizzazione delle risorse e per un’equa distribuzione della ricchezza". In questo contesto, "gli aiuti dati ai Paesi poveri devono rispondere a criteri di sana logica economica, evitando sprechi" (cfr. GMP 2008, nn. 7 e 10).

Quando perciò la situazione è tale che non è possibile, per una persona e per la sua famiglia, vivere con dignità nella terra natia, si deve dare loro la possibilità di cercare migliori opportunità altrove. Il diritto ad emigrare sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 13, che ogni persona possiede, va infatti inquadrato proprio nella destinazione universale dei beni di questo mondo, come ribadì Giovanni XXIII nell’Enciclica Mater et Magistra (nn. 30 e 33). Giovanni Paolo II lo sottolineò nel suo Messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato del 2001 (n. 3) dicendo che "[il bene comune universale] abbraccia l’intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista. È in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare. La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo nel duplice aspetto di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita" (GMMR 2011).

Nell’Enciclica Caritas in veritate (CV), Benedetto XVI ha recentemente affermato che "nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo" (CV, 62). Pertanto, nella nostra "società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio (CV, 7)" (GMMR 2011).

Nel contesto di questa presentazione, vale la pena ricordare che le Nazioni Unite hanno dedicato l’anno 2010, che ormai volge al termine, come "Anno internazionale per l’avvicinamento delle culture", su richiesta della Conferenza Generale dell’UNESCO svoltasi a fine 2007. Tale proposta fu adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che conferì all’UNESCO il mandato di curare l’organizzazione dell’Anno. Obiettivo generale dell’iniziativa è stato quello di iscrivere nell’ottica del dialogo e della vicinanza interculturale le prassi politiche, a livello locale, nazionale, regionale e internazionale, coinvolgendo in tal modo il più ampio numero di partners. Si è inteso, dunque, rafforzare la comunicazione tra i popoli, ai fini di una migliore comprensione reciproca e di una più compiuta conoscenza dei diversi modi di vita. L’Anno 2010 è stata occasione di ribadire la visione di un’umanità pluralistica e l’interazione tra diversità culturale e dialogo interculturale. Pertanto, anche il Messaggio del Santo Padre rafforza nella comunità internazionale la percezione dell’importanza del dialogo e promuove il riconoscimento dei diritti umani per tutti, combattendo contro le nuove forme di razzismo e discriminazione.

"La mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli è causa profonda del sottosviluppo e […] incide fortemente sul fenomeno migratorio" (GMMR 2011), afferma Benedetto XVI. L’autentico sviluppo, infatti, proviene dalla "condivisione dei beni e delle risorse", che "non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr. Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà" (CV, 9). A questo proposito anche l’Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, pubblicata nel 2004 dal nostro Dicastero, solleva la "questione etica […] della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe […] a ridurre e moderare i flussi […] delle popolazioni in difficoltà". In effetti, tale nuovo ordine richiede una nuova visione "della comunità mondiale, considerata come famiglia di popoli, a cui finalmente sono destinati i beni della terra, in una prospettiva del bene comune universale" (EMCC, 8).

La riflessione e l’auspicio del Santo Padre sul tema dell’Eucaristia, "sorgente inesauribile di comunione per l’intera umanità" (GMMR 2011), incoraggia la crescita nella carità vissuta e concreta, soprattutto verso i più poveri e deboli, tra i quali questo Messaggio Pontificio raccomanda i migranti, i rifugiati e gli studenti internazionali.



INTERVENTO DI P. GABRIELE FERDINANDO BENTOGLIO, C.S.

A complemento di quanto ha esposto l’Arcivescovo Presidente, soffermandosi in particolare sui movimenti migratori – inclusi quelli internazionali a motivo di studio –, desidero mettere in luce quanto il Messaggio del Santo Padre si sofferma a considerare affermando che "in vari casi la partenza dal proprio Paese è spinta da diverse forme di persecuzione, così che la fuga diventa necessaria" (Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2011), riferendosi a quanti sono costretti a lasciare il proprio Paese per cercare asilo e rifugio altrove.

Con i processi di globalizzazione, anche mediante i frequenti e rapidi movimenti delle persone, il mondo si va sempre più unificando. A fondamento dell’autentica unità, comunque, vi è la consapevolezza della comune appartenenza alla natura umana. In tal modo, intravediamo il solido costituirsi di una sola famiglia, nella quale tutti siamo interdipendenti. In effetti, gli avvenimenti che si registrano in una parte del mondo inevitabilmente hanno ripercussioni anche altrove e, dunque, costatiamo che il mondo è davvero un villaggio, di cui tutti siamo diventati cittadini. E la mobilità umana, nelle sue differenti tipologie, è una di queste manifestazioni a livello globale, come afferma il Santo Padre spiegando che "il fenomeno stesso della globalizzazione, caratteristico della nostra epoca, non è solo un processo socio-economico, ma comporta anche ‘un’umanità che diviene sempre più interconnessa’, superando confini geografici e culturali" (GMMR 2011).

Quest’anno il Messaggio di Benedetto XVI, il quinto del suo Pontificato, sottolinea che l’umanità è una sola famiglia, multietnica e interculturale, e questo produce immancabili conseguenze per l’individuo, la società, gli Stati e le Chiese locali. La prima è che una famiglia autentica non è dominata dai membri più forti, ma si comporta esattamente all’opposto, cosicché i bisogni dei membri più deboli determinano la direzione e le decisioni da prendere. A fondamento vi è, senza dubbio, una cultura d’accoglienza, ospitalità e solidarietà. Come afferma il Santo Padre: "Accogliere i rifugiati e offrir loro ospitalità è per ognuno un gesto retto di solidarietà umana, così da non farli sentire isolati a causa dell’intolleranza e indifferenza" (GMMR 2011).

I rifugiati e i richiedenti asilo compiono atti di coraggio nell’abbandonare la loro patria e si dirigono verso altri Paesi proprio perché i loro fondamentali diritti umani sono stati violati, divenendo oggetto di persecuzione e vedendo in pericolo la loro stessa vita. Sono vittime di guerre e di violenze, costretti a fronteggiare condizioni umane in cui nessuno dovrebbe vivere. Ciò si assomma spesso al fatto di aver dovuto sopportare esperienze traumatiche, oppure alla consapevolezza che per loro il destino è stato favorevole, mentre i loro familiari sono rimasti in zone di pericolo.

Solo per quantificare il fenomeno di cui stiamo parlando, i dati statistici affermano che si contano oggi 15 milioni di rifugiati, dei quali 10.4 milioni sono sotto la responsabilità diretta dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), mentre il restante 4.8 sono a carico dell’Agenzia di Lavoro e Sostegno delle Nazioni Unite nel Vicino Medio-Oriente (UNRWA). Il numero delle persone sfollate all’interno dello stesso Paese (IDPs), soprattutto in relazione a casi di violazione dei diritti umani, si aggira attorno ai 27 milioni1.

In tale contesto, la Chiesa avverte come suo compito quello di ristabilire i valori e la dignità umana, specialmente mediante la promozione di una cultura dell’incontro e del rispetto, che risana le ferite subite e promette nuovi orizzonti di integrazione, di sicurezza e di pace. La sfida consiste nel creare zone di tolleranza, speranza, guarigione, protezione, e nell’assicurare che drammi e tragedie – già troppo a lungo sperimentati in tempi passati e anche in quelli recenti – non accadano mai più. Qui il Messaggio Pontificio tocca uno dei temi forti della millenaria esperienza cristiana, quello dell’accoglienza. Essa, tradotta nell’ospitalità, nella compassione e nella ricerca dell’uguaglianza – in fatto di diritti e di doveri – costituisce il primo passo della risposta alla sfida alla quale ho accennato. L’obiettivo è quello di garantire ai rifugiati, ai richiedenti asilo e ai profughi concrete possibilità di sviluppo del loro potenziale umano, "aiutati a trovare un luogo dove vivere in pace e sicurezza, dove lavorare e assumere i diritti e doveri esistenti nel Paese che li accoglie, contribuendo al bene comune, senza dimenticare la dimensione religiosa della vita" (GMMR 2011).

Tutto questo richiede che diventiamo tutti maggiormente consci delle disagiate situazioni dei rifugiati, dei loro sogni e progetti di vita, oltre alle cause prossime e remote dei loro problemi. Il Santo Padre dice che "anche nel caso dei migranti forzati la solidarietà si alimenta alla ‘riserva’ di amore che nasce dal considerarci una sola famiglia umana e, per i fedeli cattolici, membri del Corpo Mistico di Cristo: ci troviamo infatti a dipendere gli uni dagli altri, tutti responsabili dei fratelli e delle sorelle in umanità e, per chi crede, nella fede" (GMMR 2011).

L’accoglienza comincia con l’empatia, cioè con lo sforzo di capire i sentimenti dell’altro e di comprendere come ci si trova in un mondo sconosciuto, con costumi e tradizioni diverse. Significa vedere nel volto del rifugiato una persona umana, che in questo momento particolare ha bisogno di buona assistenza. Essa implica la disponibilità ad offrire aiuto, costruendo contatti di fraternità e tessendo quotidianamente canali di comunicazione, anche per spiegare il significato di nuove usanze e aiutare a penetrare meglio nella conoscenza del nuovo ambiente sociale con il coinvolgimento attivo negli eventi che segnano la vitalità del territorio.

Le raccomandazioni che cogliamo nel Messaggio del Santo Padre mirano a sollecitare i singoli e la comunità internazionale a non ignorare le dimensioni di una sfida che riguarda il mondo intero. In effetti, potremmo avere l’impressione che solo l’Europa stia attualmente affrontando tale problema. Ma non possiamo dimenticare che, ad esempio, il Sud Africa ha accettato 220 mila richiedenti asilo nell’arco dello scorso anno, e tale cifra corrisponde quasi al numero di persone accolte nei 27 Stati membri dell’Unione Europea messi insieme, e più di quattro volte il numero di coloro che hanno cercato asilo presso gli Stati Uniti d’America2. Teniamo conto, poi, che l’80% del numero complessivo dei rifugiati e dei richiedenti asilo cerca di mantenere una certa prossimità con il Paese di origine. Dunque, assumere consapevolezza delle dimensioni del fenomeno certamente aiuta a rimettere le cose nel loro giusto ordine.

Indubbiamente ciò richiede anche che gli Stati si assumano le rispettive legittime responsabilità. In effetti, l’atteggiamento attuale di molti Paesi sembra contraddire gli accordi sottoscritti, manifestando talvolta comportamenti dettati dalla paura dello straniero e, non di rado, anche da mascherata discriminazione. Così, emerge una disparità sempre più accentuata tra gli impegni presi e la loro attuazione. È sotto gli occhi di tutti il ricorso a vari modi per eludere la responsabilità di accogliere e sostenere coloro che cercano rifugio e protezione umanitaria. Esplicitamente Benedetto XVI ammonisce che "nei confronti di queste persone, che fuggono da violenze e persecuzioni, la Comunità internazionale ha assunto impegni precisi. Il rispetto dei loro diritti, come pure delle giuste preoccupazioni per la sicurezza e la coesione sociale, favoriscono una convivenza stabile ed armoniosa" (GMMR 2011).

Invece, l’ingresso in alcuni Paesi per chiedere asilo è sempre più ostacolato e impraticabile. Quelli che si avventurano con mezzi di trasporto via mare (nel Pacifico, nel Mediterraneo o nel Golfo di Aden, ad esempio), ma anche quelli che utilizzano altre vie di fuga, troppo spesso si vedono trattati con pregiudizio: i loro casi non sempre vengono esaminati individualmente, mentre accade con frequenza che vengano rigettati in blocco. Anche a loro si dirige l’appello del Santo Padre quando afferma che "hanno il dovere di integrarsi nel Paese di accoglienza, rispettandone le leggi e l’identità nazionale" (GMMR 2011).

Ad ogni modo, sembra confermato che rifugiati e richiedenti asilo versino oggi in pessime condizioni più che in passato, anche nei Paesi ospitanti del Sud del pianeta. Qui si contano a migliaia i rifugiati che sono forzati a rimanere nei campi di raccolta, a volte senza diritto di impiego e limitati nei loro movimenti all’interno del campo. Qui, tra l’altro, risiede uno dei motivi che li porta ad essere dipendenti dalle razioni di cibo giornaliero, che molto spesso sono insufficienti. Nel campo, poi, nascono e crescono nuove generazioni, che però conoscono soltanto il campo e sono ignare di quanto vi è all’esterno. Non è un’eccezione trovare bambini, figli di rifugiati, che hanno vissuto nel campo fino alla maggiore età.

Sorge allora l’interrogativo: cosa significa vivere per anni in un campo affollato, senza speranza di una vita più decente, oppure vedere che non c’è futuro per i bambini? Accade con frequenza, perciò, che vi sia chi tenti di abbandonare il campo per andare verso i centri urbani e sperare di rifarsi una vita, senza però chiedere la relativa autorizzazione e, dunque, violando la normativa vigente. Dignità e diritti dei rifugiati dovrebbero essere rispettati, specialmente in circostanze in cui esiste una frattura tra la teoria e la pratica. Ogni rifugiato possiede diritti fondamentali, che sono inalienabili e devono essere sempre rispettati.

Occorre offrire speranza per il futuro. La Chiesa, da parte sua, sta cercando di rispondere a questa domanda. I suoi sforzi e le sue attività ne sono appunto una chiara testimonianza. Papa Benedetto XVI offre ispirazione, motivazioni e incoraggiamento quando afferma che "ognuno, nutrito nella fede di Cristo al Banchetto eucaristico, assimila il suo stile di vita, che è lo stile del servizio attento specialmente ai più deboli e sfortunati. Infatti, la carità pratica è un criterio per provare l’autenticità delle nostre celebrazioni liturgiche".3

Vorrei concludere citando l’appello che risuona oggi con straordinaria forza nella voce del Santo Padre con queste espressioni: "Per la Chiesa, questa realtà costituisce un segno eloquente dei nostri tempi, che porta in maggiore evidenza la vocazione dell’umanità a formare una sola famiglia, e, al tempo stesso, le difficoltà che, invece di unirla, la dividono e la lacerano. Non perdiamo la speranza, e preghiamo insieme Dio, Padre di tutti, perché ci aiuti ad essere, ciascuno in prima persona, uomini e donne capaci di relazioni fraterne; e, sul piano sociale, politico ed istituzionale, si accrescano la comprensione e la stima reciproca tra i popoli e le culture" (GMMR 2011).

____________________________

1

Totale dei rifugiati

(sotto la protezione UNHCR)

Richiedenti asilo

IDPs connessi coi diritti umani


Alla fine del 2009





Africa

2.300.062

436.930

11.600.000


Asia

5.620.502

67.928

4.300.000


Europa

1.628.086

282.214



America Latina e Caraibi

367.437

68.785

5.000.000


Nord America

444.895

124.973



Oceania

35.558

2.590



Medio Oriente



3.800.000


Europa e Asia Centrale



2.400.000


Totale

10.396.540

983.420

27.100.000



I primi posti nelle statistiche concernenti persone sfollate nel loro Paese (IDPs alla fine del 2009) spettano a Sudan 4,9 milioni; Colombia 3,3 - 4,9 milioni; Iraq 2,76 milioni; Repubblica Democratica del Congo 1,9 milioni; Somalia 1,5 milioni; Pakistan 1,2 milioni. Cfr. IDMC - NRC, Internal Displacement Global Overview of Trends and Developments in 2009, Geneva, May 2010; UNHCR, 2009 Global Trends, Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Diplaced and Stateless Persons, Geneva, June 2010.

2 Cfr. Sixty-first Session of the Executive Committee of the High Commissioner’s Programme, Agenda item 5(a): Statement by Ms. Erika Feller Assistant High Commissioner - Protection: Rule of Law 60 Years On, 6 October 2010, che si può consultare su www.unhcr.org/refworld/docid/4cbOcbc12507.html [visto il 14 ottobre 2010].

3 BENEDETTO XVI, Angelus del 19 giugno 2005, in L’Osservatore Romano (22 giugno 2005), p.1.

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