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La Shoah nel Magistero di Benedetto XVI

In questi giorni sulla stampa internazionale si è molto parlato delle dichiarazioni di mons. Richard Williamson, uno dei quattro vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X a cui oggi il Papa ha rimosso la scomunica: il presule, nel novembre scorso, rilasciò alla Tv svedese affermazioni “negazioniste” in merito alla Shoah, espressione - ovviamente - di un suo pensiero del tutto personale. Tali dichiarazioni sono state condannate dal superiore della Fraternità, mons. Fellay, in una lettera alla Tv svedese. Si tratta di posizioni personali, totalmente non condivisibili, e che tanto meno riguardano il Magistero pontificio e le posizioni della Chiesa cattolica solennemente enunciate a più riprese. Da sottolineare che il Magistero di Benedetto XVI è caratterizzato fin dal suo inizio da una forte attenzione all’ebraismo. Il servizio di Luis Badilla.

Il primo segno lo si è avuto subito dopo l’elezione al Soglio pontificio quando il nuovo Papa, in risposta al messaggio di auguri inviato dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, lo ha invitato alla cerimonia d’inizio del Pontificato in Piazza San Pietro. Tutto il pensiero di Benedetto XVI così come il suo magistero con riferimento all’ebraismo è in linea con la Dichiarazione conciliare «Nostra Aetate» (1965), da lui molte volte citata nei suoi interventi, e con quanto affermato dai suoi predecessori, in particolare Paolo VI e Giovanni Paolo II. I discorsi di Benedetto XVI durante la visita alla Sinagoga di Colonia (19 agosto 2005) e ad Auschwitz (28 maggio 2006) rappresentano i due momenti più salienti del rapporto tra cattolici ed ebrei nel suo Pontificato. Certamente non sono gli unici, poiché si dovrebbero ricordare altri tre interventi negli Stati Uniti e in Francia l’anno scorso. Nella visita alla Sinagoga di Colonia nel 2005 Benedetto XVI confermava la sua ferma intenzione di continuare “con grande vigore” il cammino “verso il miglioramento dei rapporti e dell'amicizia con il popolo ebraico”. Quindi definiva la Shoah un “crimine inaudito” progettato “nel tempo più buio della storia tedesca ed europea” da “una folle ideologia razzista, di matrice neopagana” che voleva “sterminare l'ebraismo europeo”. E con Giovanni Paolo II chinava “il capo davanti a tutti coloro che hanno sperimentato questa manifestazione del mysterium iniquitatis". Ricordava quindi le “radici comuni e il ricchissimo patrimonio spirituale che gli ebrei e i cristiani condividono” ribadendo che "chi incontra Gesù Cristo incontra l'ebraismo”. Condannava poi duramente “gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque". Incoraggiava “un dialogo sincero e fiducioso tra ebrei e cristiani”. Un dialogo – aggiungeva - che “se vuole essere sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle: anche nelle cose che, a causa della nostra intima convinzione di fede, ci distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci e amarci a vicenda”.

Durante la storica visita ad Auschwitz-Birkenau (28 maggio 2006), Benedetto XVI esordì dicendo: "Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? ... Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? ... Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia! Questo grido d'angoscia che l'Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d'aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi”. Benedetto XVI concluse dicendo: "Il luogo in cui ci troviamo è un luogo della memoria, è il luogo della Shoah. Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere. Come Giovanni Paolo II ho percorso il cammino lungo le lapidi che, nelle varie lingue, ricordano le vittime di questo luogo: sono lapidi in bielorusso, ceco, tedesco, francese, greco, ebraico, croato, italiano, yiddish, ungherese, olandese, norvegese, polacco, russo, rom, rumeno, slovacco, serbo, ucraino, giudeo-ispanico, inglese. Tutte queste lapidi commemorative parlano di dolore umano, ci lasciano intuire il cinismo di quel potere che trattava gli uomini come materiale non riconoscendoli come persone, nelle quali rifulge l'immagine di Dio. Alcune lapidi invitano ad una commemorazione particolare. C'è quella in lingua ebraica. I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: ‘Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello’ si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo – a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele, con la Shoah, - afferma Benedetto XVI - volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte”.


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